domenica 25 febbraio 2024

Torna l'avventura - 25 febbraio 2024

Da molto tempo non dedicavo una trama intera ai romanzi d’avventura, altra serie minore ma non di nicchia, con molti estimatori. Io lo sono per alcuni autori, di cui ho quasi le intere produzioni, ma non di tutti. Qui abbiamo due buoni risultati e tre discreti. Tra i buoni, per interesse e scrittura, indicherei la saga giapponese di Clavell e una delle ultime fatiche di Wilbur Smith. Tra le altre, un libro in spagnolo del finlandese Waltari, ma non sull’Egitto, uno sull’Egitto del francese Jacq ed uno dei nuovi episodi della serie della “Cussler factory” dedicata a Isaac Bell.

Mika Waltari “El Aventurero” Éxito s.p. (regalo di Alessandra)

[A: 01/10/2021 – I: 01/02/2022 – T: 13/02/2022] - && e ½

[tit. or.: Mikael Karvajalka; ling. or.: finlandese; pagine: 372; anno 1948]

Un libro entrato in maniera alquanto strana nella mia biblioteca. Si era in visita allo stupendo giardino botanico “La Concepcion” di Malaga. Mentre aspettavo sorseggiando un caffè, Ale mi porta un regalo: la botanica aveva messo dei libri incartati, da prendere insieme ad un fiore. Regalo nascosto, da cui sbuca questo libro. Del grande scrittore finlandese Mika Waltari, una delle sue grandi opere storiche. Ovviamente tradotto, ma, traduzione per traduzione, si può leggerlo in qualsiasi lingua, dato che il finlandese ancora mi è decisamente ostico.

Libro di avventure, come riporta il titolo in inglese (“The Adventurer”), in italiano (“L’avventuriero”) o questo in spagnolo. Anche se il titolo originale riporta solo il nome del protagonista (o un’indicazione come “Michael der Finn” in tedesco), che tra l’altro, essendo ambientato nel 1500, usa spesso un cognome significativo, essendo “Karvajalka” in finlandese “Piede Peloso”. Seguiamo così, attraverso lo scritto, le vicende di Michele dal 1502 (quando nasce) al 1527 (dove termina questo libro, per proseguire poi nel successivo “Mikael Hakim”, che tuttavia non credo leggerò).

Anche l’edizione spagnola è ben datata del resto, visto che è l’edizione del ’56, e se ne sente il peso, che la lingua non è particolarmente scorrevole (d’altra parte, provate a leggere libri coevi italiani, e non sempre saranno di facile lettura). Motivo per cui il testo mi ha impegnato più a lungo del consueto, obbligandomi a riprendere la mia natura antica di leggere più libri in parallelo, altrimenti mi avrebbe bloccato l’andatura.

Waltari è uno dei più popolari scrittori finlandesi, e di sicuro il più venduto, soprattutto per il suo libro più conosciuto, “Sinhoué l’egiziano”. Qui, invece dell’antico Egitto, ci porta nel 1500, coprendo un arco di 25 anni circa, e terminando il testo in una data eponima, quel 6 maggio 1527 che secondo Bertrand Russell ed altri studiosi, è la data conclusiva del Rinascimento.

Mikael nasce a Turku (al tempo chiamata Abo) nel 1502, e lo incontriamo quando, ancora bambino, la sua famiglia viene sterminata e lui è accolto da Pirjo, una zitella in odore di stregoneria. Mikael è dotato, studioso, tanto che dopo le scuole clericale locali, riuscirà ad andare a studiare a Parigi. Prima però incontrerà l’amico di tutta la vita, Antti Tykinvalaja, forte, leale, gran bevitore, più dedito alle spedizioni militari che ai fini ragionamenti.

Ma prima di arrivare a Parigi, molte saranno le peripezie del giovane Mikael, che parte dalla Finlandia nel 1517 e solo tre anni dopo arriverà in Francia. Partendo squattrinato, ricco solo della raccomandazione del vescovo Arvid, si dà a mille mestieri: marinaio per traghettarsi in Germania, orafo in terra tedesca, dove ha la sua prima storia d’amore, spia a Lubecca per il re danese Cristiano II, contattato da tal Didrik, con la cui sorella ha la prima storia di sesso (molto casto nella descrizione, ovvio), in fuga con cavalli ed altri mezzi, attraverso Amburgo, Colonia, e finalmente in terra di Francia. Qui si unisce ad un mercante d’arte, ma viene sedotto dalla di lui moglie, per cui si vede costretto a fuggire.

Ripreso da Didrik, si unisce ai soldati per la battaglia che porta alla conquista di Stoccolma da parte di Cristiano II. Che, non rivelandosi clemente, uccide i nemici, attuali e potenziali. Mikael è disgustato e fugge con Antti (ogni tanto si perdono poi si ritrovano). Dopo varie ed alterne vicende, i due si vedono costretti a fuggire dalla Finlandia, riparano nuovamente in Germania dove, a Memmingen, Mikael rimane quasi ucciso. Sarà la giovane Barbara a salvarlo. Ma costei, pur bruttina ma con la quale avrà una intensa storia d’amore, è vista in odore di stregoneria. Tanto che finirà sul rogo, e Mikael giura che andrà a Roma ad uccidere il papa.

Nel frattempo, incontra Paracelso, da cui imparerà arti mediche. Discute con i religiosi tedeschi che stanno vivendo la controriforma luterana, si unisce alle truppe di Carlo V contro il re di Francia, fa una puntata a Madrid, ma poi deve tornare in Italia. Dove, con i lanzichenecchi, partecipa nel maggio 1527, al sacco di Roma. Waltari ben descrive questa parte, con tutto l’orrore della guerra, ma anche della peste, degli stupri, e di tutta le barbarie conseguenti.

Mikael, pentito e disgustato, decide di andare con Antti a Gerusalemme per espiare i suoi peccati. Così finisce il libro avventuroso.

Due sono le cose che mi hanno colpito: l’insistenza dello scrittore nei rapporti d’amore sfortunati del protagonista e l’inserimento, nel corso della narrazione, di personaggi storici. Mikael incontra Anna, Veronica, la sorella di Didrik, Geneviève, Barbara, Lucrezia. E tutte o muoiono malamente, o lo tradiscono. Fosse un po’ misogino, il nostro finlandese?

L’altra parte mi ha divertito, nella scansione di persone, alcune ben note a tutti, altre note forse nei mondi scandinavi. Cose, elencando alla rinfusa, ricordo: i militari, Carlo di Lannoy, stratega di Carlo V, Georg von Frundsberg, comandante dei lanzichenecchi che saccheggiano Roma; i religiosi rivoluzionari, Sebastian Lotzer, leader della protesta contadina di Memmingen, Thomas Müntzer, leader del Cristianesimo rivoluzionario tedesco; i religiosi studiosi, Arvid Kurck, l’ultimo vescovo cattolico finlandese, Martin Lutero e Erasmo da Rotterdam; regnanti, sacri e profani, Cristiano II, re di Danimarca (noto come Cristiano il Tiranno dopo i massacri di Stoccolma), Carlo V d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Francesco I re di Francia, il papa Clemente VII; artisti e letterati come Tintoretto, Tiziano, Ludovico Ariosto. Nonché un personaggio che incise molto nella crescita di Mikael, e nei suoi studi, il millantatore medico Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelso.

Ultimo punto stimolante nell’excursus storico avventuriero di Waltari, sono appunto i vari momenti storici che si attraversano: la conquista danese di Stoccolma ed i massacri di Cristiano II, la vita studentesca alla Sorbona di Parigi, la caccia alle streghe da parte dell’Inquisizione, la riforma luterana, i disordini contadini che ne seguirono, le guerre europee del XVI secolo, la lotta con l’Impero Ottomano, il sacco di Roma.

Insomma, una lettura di medio gradimento, che tuttavia è servita a rinverdire uno spagnolo un po’ troppo arrugginito. Sul testo, forse è troppo datato per divertire come al tempo della sua pubblicazione.

Clive Cussler & Justin Scott “Il contrabbandiere” TEA euro 9,90

[A: 25/01/2022 – I: 29/08/2022 – T: 31/08/2022] - && --   

[tit. or.: The Bootlegger; ling. or.: inglese; pagine: 366; anno 2014]

ISAAC BELL07

Entrato da poco in libreria, rispetto ad altri libri del maestro, ma solo perché non usciva l’economica. Quindi si legge prima, e, purtroppo, non lascia una grande impressione.

Intanto, rimarcando che Cussler ci ha lasciato da xx anni, continua il pendolo temporale delle avventure del detective Isaac Bell e dell’agenzia Van Dorn (modellata, come ho già scritto, sulle gesta della famosa Pinkerton). Così, mentre il sesto episodio si concludeva nel 1912, qui facciamo un balzo in avanti verso il 1921. Ovvio che è un salto pericoloso, visto che nove anni non sono pochi. E che anni! Prima Guerra, Rivoluzione Russa, fermenti tedeschi e proibizionismo.

Notiamo di passaggio che, dopo sei puntate, si è deciso di non intervenire sul titolo, lasciando il termine “contrabbandiere” che ben caratterizza l’anima del libro. Che cerca sì di muoversi su due linee, una politica ed una economica, ma la prima risulta un mero pretesto, per concentrarsi presto sulla seconda. Altro dato, negativo invece anche questa volta, è la sovrabbondanza, di nomi, di città, di persone. Se uno volesse seguire anche brevemente le vicende narrate, potrebbe che so fare un ripasso delle grandi e piccole città coinvolte: New York, Detroit, Miami, Amburgo e Berlino si ricordano, poi Patchoque e Bayport (New York) Hoboken e Asbury Park (New Jersey), Windsor (Connecticut), Ecorse (Michigan) per sconfinare nelle Bahamas ed in Canada. Ed anche i personaggi sono troppi. Tutti i sodali dell’agenzia Van Dorn, che entrano ed escono dalla storia. Quindi, facciamo tagli secchi e concentriamoci su Van Dorn, Bell e le loro signore, nonché l’emergente Pauline Grandzau. Per gli avversari avremmo modo di parlarne.

Come detto, l’azione si sviluppa nel 1921, ed è importante che ne dà una ben precisa connotazione. A gennaio del ’20, infatti, un emendamento costituzionale aveva vietato la vendita di alcolici, dando inizio al periodo, che durerà sino al ’33, denominato “proibizionismo”. Periodo che permise alla malavita organizzata di radicalizzarsi sul territorio americano e di trarne profitti enormi. In parallelo, finita la guerra, tutto il mondo ribolliva di fermenti nuovi. La Rivoluzione russa aveva suscitato grandi speranze. Ed il partito comunista, ancora sotto l’ala di Lenin e Trotskij, usando l’organizzazione di respiro internazionale, figlia del Comintern, cercava di portare fermenti rivoluzionari, spesso violenti, dove fosse possibile. Non entreremo qui sui dibattiti politici, che sarebbero interessanti ma fuori luogo. Quello che è pur vero è che, nei momenti di crisi, c’è spazio per le menti rapide, e capaci di azioni anche ardite. Bisogna vedere quanto poi queste siano al fin di bene. Ma questo è un altro discorso.

Qui, il cattivo di turna, è tal Marat Zolner, alias Dmitri Smirnoff alias Principe André. Inviato dal Comintern in America per fomentare una rivoluzione anticapitalista. Il nostro Marat comincia abbastanza bene, collegandosi con il sindacalismo di sinistra (per chi volesse saperne di più, invito a cercare l’IWW), con gli scioperi e con la nascita del CPUSA. Ma le rivoluzioni hanno bisogni di fondi, e Lenin & co. non è che avessero risorse infinite. Quindi Marat pensa bene di inserirsi nei due filoni forti del periodo: entrare nel contrabbando ed investire sui mercati azionari. Per il primo, fa in modo di avere molta immigrazione russa clandestina al suo servizio, usandola come “esercito nascosto”. Per la seconda sfrutta il suo fascino verso le donne, in modo da essere presentato nei salotti buoni.

Tutto andrebbe a meraviglia se, durante un assalto per “rubare” alcool e rivenderlo con profitto, la barca di Marat incappa nella guardai costiera. Nel conflitto a fuoco che ne segue, sfortunatamente, Marat ferisce Joe Van Dorn, il capo dell’Agenzia Investigativa di cui seguiamo le tracce in questi libri. Ovvio che a Isaac Bell, il James Bond dell’Agenzia, salta la mosca al naso e comincia una guerra senza quartiere per stanare Marat ed i suoi complici.

Mentre Cussler sviluppa questo filone, il suo scrittore in seconda, Justin Scott, infarcisce tutto il romanzo di sparatorie, lotte, inseguimenti ed altre ricercatezze poco allettanti (per me). Una parte notevole viene anche svolta dalla nuova entrata in agenzia, la tedesca Pauline che tra la Germania e la Florida, riesce a trovare i punti deboli di Marat.

Dopo pagine e pagine di scazzafrulli intorno al contrabbando, c’è la solita lotta finale, con la solita vittoria dei buoni. Ovvio che tutto l’interesse del libro è il modo di arrivare a questa lotta, il modo di stanare i cattivi attraverso i meno buoni, ed altre amenità.

La “Cussler factory” funziona, anche se c’è qualche passaggio ardito e qualche dimenticanza. Mentre sulla seconda sorvolerei, sulla prima farei soltanto menzione sull’improbabilità che un idrovolante in avaria, durante un inizio di tempesta, riesca ad atterrare sulla tolda di una nave, per giunta sotto mitragliate di fuoco nemico. Non ci sono i soliti rimandi “culturali” che hanno fatto storie nel marchio Cussler. Rimangono qualche spicciolo, come le giacche sciancrate che si usavano al tempo (quelle strette in vita), i funzionamenti degli speakeasy (i locali dove “parlando piano” si poteva ordinare alcool illegale), nonché (ma questo è un pallino di molta produzione cussleriana) il funzionamento delle linee ferroviarie private, dove, con i soldi, potevi comprarti un treno ed una tratta di percorrenza.

Si capisce comunque che, a parte qualche velleitarismo storicistico, è un romanzo di basso profilo, ben realizzato, da leggere in una calda estate, sotto un ombrellone.

James Clavell “Shōgun” Bompiani euro 15 (in realtà, scontato a 12,75 euro)

[A: 25/12/2019 – I: 10/11/2023 – T: 14/11/2023] - &&& +

[tit. or.: Shōgun; ling. or.: inglese; pagine: 1094; anno 1975]

Avevo inserito questo libro tra le possibili letture, spinto dalle mie libropeute con le loro citazioni, anche se veniva inserito tra i “libri da leggere su di un’amaca”. Tuttavia, essendo in compagnia di “Norwegian Wood” di Murakami e “Vedrò Singapore?” di Pietro Chiara (due libri che mi hanno intrigato, anche se per motivi diversi), mi è sembrato che potesse valere la pena di leggerlo, prima o poi. Anche perché, come vedete in alto, non è che sia un vero e proprio tascabile (pur essendo questa l’edizione economica), ma un tomo da oltre mille pagine.

Clavell, intanto, inglese nato in Australia e naturalizzato americano è stato scrittore e sceneggiatore, quindi, come ci si aspetta, dotato di una proprietà di linguaggio visivo che permette ad un’opera storico-avventurosa-romantica di farsi leggere gradevolmente mantenendo (abbastanza) una sua visibilità quasi filmica. Per quanto poi questo venga considerato il primo capitolo (cronologico) dei suoi libri “asiatici”, non credo che, pur nella mia onnivora volontà di lettura, proseguirò nei suoi scritti. Questo mi è stato gradito, ma anche sufficiente.

Qui, intanto, abbiamo questo grande pastiche che mescola vicende storiche reali a raccordi da fiction che servono a collegare tra loro i momenti noti. In particolare, seguiamo due vicende parallele che si intrecciano assai, creando quella dicotomia oriente – occidente che era uno degli scopi dello scrittore.

Da un lato l’inglese John Blackthorne (William Adams, metto tra parentesi il personaggio storico, anche se su di lui e sul giapponese ritornerò), pilota di navi che naufraga sulle coste del Giappone. Dall’altra Toranaga (Tokugawa Ieyasu) uno dei cinque reggenti il Giappone al momento dell’arrivo di John e che seguiamo nella sua lotta e nei suoi intrighi per diventare feudatario principe dell’imperatore, e quindi proclamarsi Shōgun.

Parentesi. Il termine Shōgun è un'abbreviazione di sei-i taishōgun, che significa letteralmente “grande generale dell'esercito che sottomette i barbari”, e, pur essendo una carica militare, divenne poi sinonimo di capo del governo, di fatto estromettendo dal potere reale l’imperatore, che comunque c’era essendo di discendenza divina. Gli “shogunati” ebbero inizio con Minamoto nel 1192 (con capitale Kamakura), passando per gli Ashikaga (che portarono la capitale a Kyoto, fino al 1600) e terminando con Tokugawa Yoshinobu che, nel 1868, restituì il potere all’imperatore Meiji (intanto la capitale era stata spostata a Tokyo).

Ai due personaggi sopra citati si intreccia la storia di una donna che serve a Clavell da collante tra i due mondi, Toda Mariko (Hosokawa Tamako “Grazia”), una donna giapponese convertita al cattolicesimo e che parlava portoghese e latino, quindi, tra l’altro, utilizzata come interprete.

La storia, in breve, vede l’arrivo di John con la sua nave naufragata sulle coste. John è protestante e non potrà che entrare in conflitto con i gesuiti, allora unici occidentali sul suolo giapponese. Il generale che lo accoglie, Yabu, sobillato dai preti, cerca di ucciderlo, ma lui si salva, anche perché Toranaga pensa possa essere utilizzato per le sue conoscenze militari. Per questo lo prende sotto la sua protezione, chiedendo a Mariko di fare da interprete ed insegnargli il giapponese. Contemporaneamente, John comincia ad incontrarsi e scontrarsi con la cultura giapponese, ma, ovviamente, anche ad innamorarsi, senza futuro, di Mariko.

Nella seconda parte del libro (oltre pagina 500), entriamo più a fondo nelle lotte di potere all’interno dei clan giapponesi. Lo scontro, all’inizio solo di tatticismi verbali, tra Toranaga e Ishido (Ishida Mitsunari) è reso abbastanza bene da Clavell, con tutta una serie di decisioni e contro decisioni molto in linea con lo spirito nipponico. La chiave di volta del conflitto sarà proprio Mariko, che, confinata illegalmente nel castello di Osaka, ne vuole uscire ma, impedita in vario modo da Ishido, trova la maniera cruenta di farsi uccidere. Questo scatenerà tutta una serie di conseguenze che portano i due contendenti allo scontro aperto, che si concluderà con la Battaglia di Sekigahara (avvenuta realmente il 21 ottobre 1600), che vedrà la vittoria di Toranaga, il quale, rafforzando il proprio potere negli anni successivi, il 24 marzo 1603 si farà nominare Shōgun dall’imperatore Go-Yōzei.

Ovvio che questa è una sintesi delle linee principali, non volendo entrare nei mille rivoli della trama, interessanti alcuni, forzati altri. Certo, nella parte finale, un nuovo ruolo assume John, che vede distrutta la sua nave, ma che, dopo aver nella prima parte addestrato le truppe di Toranaga all’uso dei moschetti, userà il suo tempo per costruire un nuovo vascello con cui attaccare, se servisse, portoghesi ed altri cattolici. O sarebbe interessante seguire lo sviluppo degli intrighi di Genjiko (Oeyo) per realizzare un quartiere dedito al piacere a Edo (nome della residenza principale di Toranaga, prima che le venisse assegnato il nome di Tokyo; in realtà, approfondendo, in giapponese Kyoto significa “città capitale” e Tokyo “capitale orientale”).

Altri elementi toccati, sottesi, a volte forse troppo accentuati potrebbero essere le lotte senza esclusione di colpi tra cattolici e protestanti (cioè tra ispano-portoghesi ed anglo-indiani). Ma anche quelli tra gesuiti e francescani. Più coinvolgente, per i miei interessi, la contrapposizione tra le due culture. John viene forzato a fare il bagno (cosa che in patria faceva una o due volte l’anno!) perché puzza, e ne viene conquistato. Apprezzerà anche, ma con lentezza, a non vergognarsi del proprio e dell’altrui corpo, ad entrare in sintonia con la lealtà estrema della mentalità locale. All’importanza dell’essenza contrapposto all’apparenza.

È con uno sforzo mentale non banale che si può “giacere” con una persona amandone un’altra ed in quell’unione sublimare il vero rapporto. Un discorso complicato, ma molto giapponese.

C’è anche un discreto sforzo linguistico nella costruzione dell’autore, che lascia intere frase in traslitterazione giapponese, traducendone alcune o alcune parti. Restituisce un senso di estraneazione, simile a chi, realmente, si trova ad Osaka e cerca di comunicare con i locali (esperienza mia personale, bella e faticosa).

Di converso, ci sono alcune inesattezze (i tempi dell’introduzione delle armi da fuoco, alcune datazioni di battaglie, un giapponese che nelle prime pagine parla portoghese e poi lo dimentica) ed un po’ di confusione volendo mettere troppa carne al fuoco. Ed anche, ad essere un po’ “rompini” a voler a forza inserire storie romantiche. In parallelo, c’è un onesto tentativo di far comprendere la mentalità giapponese anche considerando che cinquanta anni fa il mondo del Sol Levante era di sicuro meno noto di adesso.

Come detto all’inizio poi, a parte che volendo si può trovare in internet un ricco parallelo tra i personaggi fittizi di Clavell e quelli reali, di certo è intrigante la storia die due personaggi principali (e mezzo).

William Adams fu realmente il primo inglese ad arrivare in Giappone, aiutò realmente il signore di Edo nelle sue vittorie, e rimase lì, costruendo navi ed aprendo la via al commercio della Compagnia delle Indie. Date le difficoltà linguistiche, venne chiamato Anjin (“pilota”) e la sua residenza a Edo era chiamata Anjin-chō, in una zona che ora è dentro Tokyo ed in suo onore è battezzata Chūō.

Tokugawa Ieyasu, come dice Clavell, divenne il primo Shōgun del periodo Edo, fu di rara astuzia, e di lunga preveggenza, decretando, pochi anni dopo la presa del potere, la chiusura del Giappone a tutti gli stranieri, eccetto che nel porto di Nagasaki, utile per i commerci. In ogni caso, è da visitare, a Nikko, il santuario dedicato allo Shōgun.

Hosokawa Tamako era una donna di alto lignaggio aristocratico, si convertì assumendo il nome di “Grazia”, e fu il perno della vittoria di Ieyasu ad Osaka, dove, commettendo il sacrificio rituale, costrinse Ishida a scoprire le sue carte, portando poi Ieyasu a sconfiggerlo nella battaglia sopra citata.

In fondo, più che del libro in sé, decente ma non esaltante, mi ha coinvolto il mondo che vi si rappresenta, e le lotte di potere che cominciarono 450 anni fa e per una trentina di anni attraversarono in lungo e in largo le isole nipponiche.

Wilbur Smith & Chris Wakling “Tempesta” HarperCollins euro 16

[A: 18/04/2021 – I: 18/12/2023 – T: 20/12/2023] - &&& 

[tit. or.: Cloudburst; ling. or.: inglese; pagine: 331; anno 2020]

(periodo: 2019) JackCourtney 01

Sono due anni e mezzo che non metto mano ad un libro di Smith, fors’anche per rispettarne la memoria, visto che ormai anche lui ci ha lasciato. Ho però alcuni libri dell’ultimo sequel del grande avventuriero, dedicati all’ultima stagione dei Courtney, ed in particolare rivolti ad un pubblico giovanile, essendo imperniati su Jack, il più giovane della stirpe della grande famiglia.

Intanto, come spesso nell’ultimo periodo delle sue scritture, Smith si fa “aiutare” da un giovane scrittore, Chris Wakling, autore di alcuni libri di viaggio, alcuni romanzi e da sempre ammiratore di Smith. Il tocco di Wakling si sente abbastanza pesantemente per la parte descrittiva delle interazioni tra i giovani protagonisti e per la loro descrizione ed approccio alla vicenda. Inoltre, è di sicuro frutto degli interessi di viaggio di Chris prendere in mano le parti naturaliste, che sicuramente Wilbur aveva immaginato, e trasporle con la dovuta cura.

La trama si sente frutto delle idee del grande vecchio, in particolare per quei tocchi di “ambientalismo” che da sempre punteggiano i suoi romanzi. Viene un po’ meno l’intreccio uomo-donna, o meglio ragazzo-ragazza, che il libro è rivolto ad un pubblico indicato come 13+, anche se gli adolescenti ben sanno già tutto. Pur con qualche velata freccia, che non scocca, il romanzo si mantiene nel solco del più puro politically correct.

Cominciamo allora con l’inquadrare i personaggi della vicenda. Il narratore e protagonista principale è Jack Courtney, nato nel 2005 e quindi quattordicenne durante la storia. Aveva un fratello, Mark, morto quattro anni prima in un incidente di cui Jack, erroneamente, si sente colpevole. Poi abbiamo i genitori: la madre Janine Ferdinand, di cui sappiamo poco, ed il padre, Nicholas Miguel de Santiago y Machado Courtney, di cui invece sappiamo molto. È infatti figlio di Ramon De Santiago y Machado, detto “Volpe d’oro”, un agente del KGB, che sposa fraudolentemente Isabella Courtney, solo per rapire Nicholas ed usarlo come arma di ricatto. Ricatto che non va a buon fine, e Ramon rimane ucciso nel 1977. Isabella si risposa con Jeffrey Smile con cui ha un figlio, Langdon. Il quale sposa Alice Adams con cui ha Caleb, nel 2004.

In questo primo episodio vediamo coinvolti Nicholas, Janine e Jack, oltre al fratellastro Langdon ed al cugino Caleb. Ci sono poi due personaggi “esterni”, che però mi dicono nel sito di Wilbur rimarranno nella serie: Amelia e Xander. La prima è nata insieme a Jack, nello stesso ospedale, ed i due si frequentano da sempre. Xander è un nigeriano che studia nello stesso collegio di Jack.

La vicenda, come vuole la tradizione di Smith, ha un duplice aspetto: presentazione di terre e luoghi poco noti al lettore ed una vena di ambientalismo e cura della terra. Quindi ci trasportiamo nella Repubblica Democratica del Congo (ex-Congo Belga) uno dei territori più ricchi in risorse estrattive (diamanti, rame, uranio, tantalio) ed uno dei più poveri in assoluto (si colloca al 184° posto dei 193 paesi censiti dal Fondo Monetario Internazionale. Questo dovuto alle ruberie endemiche del monarca Mobutu che vi regnò sino al 1997, ed allo sfruttamento delle sue risorse, prima e dopo, da parte delle multinazionali straniere.

La vicenda vede la famiglia Courtney recarsi a Kinshasa per partecipare ad una conferenza che deve deliberare sulla limitazione dello sfruttamento della foresta pluviale congolese da parte delle industrie estrattive. Ovvio che Janine è la paladina della crociata anti-sfruttamento. Alla conferenza partecipano anche le industrie, e tra queste c’è Langdon, il fratellastro, proprietario di diverse miniere sul territorio, e fortemente ostile al progetto di Janine.

Fatto sta che mentre i ragazzi (Jack, Amelia, Xander e Caleb) partecipano ad uno sfortunato safari per fotografare i gorilla, Janine e Nicholas vengono rapiti affinché non portino i loro dossier alla Conferenza. Da qui parte l’avventura dei ragazzi che, soli contro tutti, o con pochi aiuti, cercano di ritrovare le tracce dei rapiti, in questo ostacolati, più o meno scopertamente, da Langdon. Ben descritte nelle parti naturalistiche, le varie vicende che si alternano non lasciano gran che alla suspense, forse anche per il pubblico primario cui si rivolge.

Certo, vediamo Jack esibirsi in due o tre episodi positivi e a volte divertenti, vediamo Amelia, la banca dati del gruppo, fornire dati ed informazioni utili, vediamo Xander sfruttare le risorse paterne per aiutare il trio, vediamo Caleb prima antipatico, poi sempre più coinvolto nella lotta ai cattivi (forse anche per un suo interessamento ad Amelia). La soluzione da una parte è scontata, che Langdon non può non essere dalla parte sbagliata. Ma il finale riserva qualche sorpresa non scontata e che rende interessante il finale stesso.

Anche se Janine non farà in tempo con i suoi dossier, un memorandum fotografico di Jack permetterà in extremis di ottenere il voto sperato. Con un epilogo che non può che fare da apripista al secondo episodio.

Insomma, scrittura giovanile gradevole, alcuni tratti ben disegnati (Jack e Amelia in particolare) ed una lettura che scorrevole piacevolmente.

Un solo appunto “semantico”. Ad un certo punto, di una agenzia da coinvolgere in un certo affare, viene detto che su di lei è stata fatta una “dovuta diligenza”, maldestra traduzione di una attività di selezione dei dati detta “due diligence”, che serve all’analisi delle informazioni relative ad un dato soggetto. È uno strumento molto utilizzato nelle grandi aziende, e viene sempre riportato in inglese. La traduzione italiana, pur corretta, porta un po’ fuori strada l’attenzione del lettore.

Infine, la solita domanda sul titolo, che in inglese sarebbe nubifragio piuttosto che tempesta. Ma tant’è.

Christian Jacq “La regina d’oro” tre60 s.p. (Prestito di Alessandra)

[A: 25/12/2023 – I: 20/02/2024 – T: 22/02/2024] - &&

[tit. or.: La femme d’or. La vie miraculeuse de la reine-Pharaon Hatchepsout; ling. or.: francese; pagine: 311; anno 2021]

In gioventù, al ritorno dai miei primi viaggi francesi, mi innamorai della scrittura egizia di Jacq, per cui comprai, lessi ed apprezzai la sua pentalogia su Ramses. Poi ritornai sulla sua scrittura quindici anni fa, con un altro libro egittologo, anche se ambientato nell’Ottocento londinese. Erano comunque tutte letture in originale. Prendendo invece spunto dal grande viaggio celebrativo del Capodanno 2023, ho regalato ad Alessandra questo libro sull’importante figura della regina faraone Hatshepsut, che ora leggo anch’io, per la prima volta tradotto.

Anche ben tradotto, rimane un testo agevole, che si fa leggere senza troppi intoppi, anche se, per le conoscenze egizie di Jacq, a volte sorvola su passaggi che ad un neofita risultano oscuri. È vero che l’Antico Egitto era un mondo complesso, dove realtà e culto degli dèi (un numero enorme) si intrecciano e si mescolano. Talvolta anche gli stessi dei prendono nomi diversi per funzioni diverse, si incarnano in animali e sembrano intervenire di persona nella vita quotidiana. Un mondo che a noi risulta alquanto lontano, così che, per seguire il testo ed i suoi messaggi, sono rimasto fedele alla lettura delle parti storiche e sociali.

Essendo un libro di fanta-biografia, molta parte è pur sempre legata alla realtà della vita di Hatshepsut, ma un grosso filone è utilizzato dallo scrittore per tener viva l’attenzione del lettore, imbastendo un filo rosso di intrighi tendenti all’uccisione della regina, e legati ad alcuni personaggi fittizi. Questo consente di avere un filo conduttore, dall’inizio dei primi tradimenti fino alla sconfitta dei cattivi ed alla vittoria della regina. Il tutto condensato nei primi nove anni di regno, anche se poi lei visse fino a cinquant’anni raggiungendo, unica tra le regine d’Egitto, ben ventidue anni di regno.

Una parte fiction che si lega in modo naturale al momento storico dell’inizio della XVIII dinastia egizia. Che da non molti anni erano stati sconfitti gli invasori Hyksos, e quindi quanto di meglio imbastire una trama di tradimenti ed inganni da parte dei discendenti degli invasori uniti a personalità che non digerivano la presenza sul trono di una donna, magari contrapposto ad un uomo, anche se, all’epoca, ancora bambino.

Questa è la parte che serve a tenere il lettore vicino alla pagina, mentre in parallelo, e più interessante dal punto di vista della ricostruzione storico-ambientale, viene la parte legata agli avvenimenti “reali” ed ai personaggi che vengono poi segnalati sia sulla mitica tomba della regina, che visitai trentacinque anni fa in quella che, appunto, si chiama Valle delle Regine (in arabo Deir el-Bahari, ora chiusa al pubblico dopo gli attentati del 1997) sia nell’unica cronaca arrivataci, pur frammentaria, quella dello storico Manetone.

Vediamo così Hatshepsut più o meno quindicenne aspirare al trono del padre Thutmose I, essendo figlia del Faraone e della sposa Reale. Ma essendo donna, gli viene preferito il fratellastro Thutmose II, figlio del Faraone e di una sposa secondaria (pratica molto in voga al tempo avere più mogli). Quando però Thutmose II deve scegliersi una sposa Reale, avendo la sua concubina rifiutato, sposa Hatshepsut. Ma il Faraone è cagionevole e muore presto, così che a venticinque anni la nostra può aspirare al titolo, ma il Gran Consiglio le preferisce il figlio maschio della concubina, che tuttavia, avendo solo quattro anni, viene associato al Regno, lui Faraone e lei Regina.

Intanto lei si era costruita un entourage forte, associandosi al potere l’amico d’infanzia Senenmut, architetto, astronomo e poi gran consigliere, e scegliendo Hapuseneb come Primo Sacerdote, carica che equivale ad un Capo di Stato di quel tempo. Loro tre introducono una rivoluzione sociale, imbastendo una sequenza di avvenimenti che portano Hatshepsut ad essere dichiarata figlia di Amon, e quindi incoronata Faraone a trent’anni. Inciso: nella sua tomba c’è tutta la storia di questa costruzione inventata, molto interessante.

Ma sappiamo anche che, seppur il suo regno fu di soli venti anni (morì quindi a cinquanta), in questi nove anni che ci narra Jacq instaurò una grande pace sociale, affrontò e superò una crisi derivante da una inondazione del Nilo, nonché riuscì a importare l’incenso dal Corno d’Africa, che da allora orna e profuma tutto l’Egitto.

Nel frattempo, aveva generato una figlia, Neferura, che morirà a venticinque anni, essendo ancora viva la madre, ma che darà inizio alla scalata al potere del cosiddetto Faraone legittimo, Thutmose III.

La scrittura e le descrizioni di Jacq sono efficaci, anche se, come detto, poco si addentrano sui sistemi di potere vigenti all’epoca, pur restituendoci una non facile pittura degli usi e dei costumi degli antichi egizi.

Un’ultima notizia: la tomba di Hatshepsut fu scoperta da Howard Carter nel 1916, sei anni prima che il “tombarolo” americano scoprisse quella di Tutankhamon, che lo renderà immortale nell’universo degli archeologi.

Visto che abbiamo trattato avventure, vi girerei alcune frasi dell’epopea romana di Giulio Valerio Maggiorano narrata da Giulio Castelli nel suo “Imperator”:

“Thea aveva la facoltà di scovare un’altra persona in me.” (146)

“Con un gioco di parole potrei dire che era un profondo conoscitore delle cose superficiali e un superficiale conoscitore di quelle profonde” (192)

“La verità è che tu mi ami e non mi ami… Forse sei un po’ geloso. Ma non bruci di passione.  ... Non ami le persone. Ami le idee, non gli esseri umani.” (196)

“Avevo cominciato a pensare che la decadenza è una lenta spirale. Dapprima gli uomini non la avvertono. Poi il movimento si fa sempre più rapido fino a divenire inarrestabile. A quel punto tutti ne diventano consapevoli ma ormai è troppo tardi.” (346)

Si avvicina la fine del mese bisestile, nonché un compleanno gradito di un “anziano” amico, per non scordarsi che manca poco ad imbarcarsi. Quindi, poche parole e molti abbracci.

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