Visto che è sempre più invalso l’uso negli annunci di lancio, uso anch’io l’inglese per annunciare una trama senza autori inglesi. Cosa non molto usuale. Ma ci sono due francesi che seguo da anni e con buone riuscite: Musso e Bussi (c’è un po’ di origini italiane, penso che lo abbiate colto). Altrettanto interessante l’ultimo libro in lingua preso in una bella e storica libreria di Bordeaux. Del solito livello di media grandezza le due donne, la svedese Läckberg e la spagnola Redondo.
Guillaume Musso “Angélique” La Nave di Teseo s.p.
(Prestito di Alessandra)
[A:
30/04/2023 – I: 30/07/2023 – T: 31/07/2023] - &&& --
[tit.
or.: Angélique; ling. or.: francese; pagine: 268;
anno 2022]
Pubblicato
solo l’anno scorso, visto che Alessandra è diventata Musso-addicted, l’ultimo
libro dell’italo-francese è entrato subito nel giro dei libri da leggere. In
poco tempo è balzato sulla mia scrivania, ed eccoci qui, a palare del solito
grande giro di giostra che Musso organizza intorno ai suoi personaggi.
Devo
dire che ho gradito molto un cambio di passo, rispetto agli ultimi scritti, che
qui abbiamo poco a che fare con elementi al limite della comprensione umana,
quei viaggi temporali, quelle agnizioni che vengono da altre dimensioni
mentali. Qui, tutto si spiega, tutto è a portata di comprensione anche a noi
poveri lettori. Anche se, usando le sue solite tecniche di andare su e giù nel
tempo, narrando prima avvenimenti che avvengono dopo, e poi togliendo il velo
che ce li fanno comprendere, non sempre riesce ad essere così lineare come
potrebbe. Questo porta a quei piccoli meno nel giudizio finale.
La
trama in sé sarebbe “quasi” riorganizzabile in momenti temporali susseguenti
uno all’altro, con un piccolo omaggio a “sliding doors”, film inimitabile e da
rivedere prima o poi.
Il
poliziotto Mathias Taillefer, mentre sale su una metropolitana, sceglie a caso
un vagone, e lì c’è la svolta della sua vita. Dei ragazzi importunano una
signorina, Alice, lui la salva, nasce una breve storia che porta poi Mathias
lontano ed Alice ad una gravidanza che non confessa al marito Laurent.
Anni
dopo Mathias ha un infarto, e necessita di un cuore nuovo che viene trovato con
difficoltà, data la particolarità del suo gruppo sanguigno. Ma il cuore c’è, e
durante la convalescenza conosce la misteriosa Lena, di cui si innamora, ma il
loro rapporto, per le reticenze di Lena, si arena miseramente.
Mathias,
sbandato e disgustato, si dimette dalla polizia e viene ingaggiato da un gruppo
di “aggiustatori”, spesso ai limiti della legge, composto da un nucleo duro di
famiglie influenti in giro per tutto il mondo. Quando qualcuno subisce un
torto, si rimette al giudizio del tribunale del gruppo, e, se nella ragione
(almeno secondo il gruppo), qualcuno si incaricherà di aggiustare il torto.
Noi
iniziamo a leggere la storia con Mathias nuovamente in ospedale, cullato da una
musica proveniente da una violoncellista che si occupa di “Music therapy”. Si
chiama Louise, e, scoperto Mathias essere un poliziotto, gli chiede di indagare
sulla morte di una ex-ballerina, Stella Petrenko, un tempo étoile dell’Opera de
Paris. Indagando, ora in solitaria, ora in coppia, i due mettono in luce tuta
una nuova storia.
Pochi
giorni prima di Stella, nello stesso edificio, si ammala di Covid un pittore
italiano, Marco. Che viene salvato, inizialmente, da Angélique, l’infermiera
che periodicamente va a visitare Stella ed a curarla. Angélique è incinta e
cerca anche lei di uscire dalle ristrettezze, e trova in Marco una via
d’uscita. Per una serie di coincidenze, può farsi passare da “amichetta” di
Marco. Prima che Marco si svegli, da infermiera, riesce ad indurgli un coma
irreversibile. Ma Stella è sul chi vive, sa cosa sia realmente successo, così
che Angélique non può che sbarazzarsi anche di lei.
In
questo modo, entra senza ostacoli nella famiglia Sabatini, convincendoli che
porta in grembo l’erede della dinastia.
Tutto
collasserà in un finale a più livelli tra Venezia e Beirut. Venezia dove
accorrono Mathias e Louise, per smascherare Angélique. Beirut dove si precipiterà
Mathias avendo avuto notizia della presenza in Libano di Lena. Tutti i
frammenti combaciano, i cattivi pagheranno, anche se non per la giustizia
ordinaria, almeno per quella di ordine superiore che serva ad aggiustare la
vita di ognuno, come direbbe il buon Maigret. E nel caleidoscopico finale
capiremo appunto i rapporti tra Louise e Mathias, tra Alice e Stella, tra
Louise e Alice, tra Mathias e Lena. Insomma, di tutto e di più.
Quindi,
e mi ripeto, una bella caratterizzazione dei personaggi, a supporto di una
trama un filino troppo complicata, ma non ci possiamo aspettare niente di
diverso da Musso. Personaggi al bivio che scelgono (quasi) sempre una
scorciatoia per migliorare la loro vita, ma non sempre questa è la scelta
migliore. Personaggi che costruiscono la vita su menzogne, e che difficilmente
aderiscono agli stereotipi cui siamo abituati. Mathias è un poliziotto balordo,
Stella è marcia nel profondo, Louise, forse, non è chi dice di essere, e
Angélique si giocherebbe un bel posto in un pantheon delle efferatezze degno
della penna di Patricia Highsmith.
La
fortuna è che tutto si spiega, e non è poco nei libri di Musso.
Resta
da citare due cose che mi restano in testa. Baptiste, figlio di Lena, gioca con
le figurine Panini. Ora, siamo nel 2021 (data dell’azione) e per me, Panini è
sempre indice dei miei anni Sessanta, e delle figurine sportive. Che salto
all’indietro.
Infine,
Musso, nel ricostruire tutti i fili spezzati delle varie persone, fa
riferimento ad una tecnica di cui ho già parlato in occasioni giapponesi, e che
ho visto in una bottega a Kyoto. Il kintsugi, l’arte cioè di ricostruire
una cosa rotta evidenziando con laccature dorate i punti di rottura. Non
possiamo riportare all’origine qualcosa che orami è diverso, ma possiamo
sottolinearne i punti deboli, per poterli rafforzare e farne dei punti di
forze.
Tutto
bene allora Guillaume, ed aspettiamo un nuovo libro, presto.
Camilla Läckberg “Il
figlio sbagliato” Marsilio s.p. (prestito della sig.ra Laura)
[A: 16/08/2023 – I: 18/08/2023 – T: 20/08/2023] - &&&
[tit. or.: Gökungen; ling. or.: svedese; pagine: 446; anno 2022]
FJÄLLBACKA11
Ho
letto tre anni fa il precedente episodio de “I delitti di Fjällbacka”,
intramezzato dalla lettura poco coinvolgente dei due episodi di “Faye” e di
quello di “Hämndserien”. Avendo constato un costante declino della scrittura di
Camilla, ho perciò saltato i due libri scritti a quattro mani con Henrik Fexeus.
Approfittando però di un gentile prestito intrafamiliare, ho deciso di darle
una nuova chance per questo undicesimo episodio.
Come
al solito cominciamo con le lamentale sul titolo. Ora, ci può stare che si
parli di figlio sbagliato in un giallo in cui i rapporti familiari sono
oltremodo complicati. Ma il titolo originale si riferiva al “cuculo”, che, se
non lo sapete, ha la particolarità di essere refrattario ad accudire la prole.
Per cui, prodotto un uovo, lo deposita nel nido di qualche altro uccello, che
provvederà a fare il “genitore vicario”, almeno fino a che non si accorge della
diversità. Poi il cuculo si deve arrangiare. Cosa che imparerà presto a fare.
Quindi
proseguiamo con le vicende personali del gruppo che costituisce il nocciolo
duro delle storie di Fjällbacka. Abbiamo Erica e Patrick, i due elementi
centrali delle storie. Ora hanno finalmente ben tre figli (Maja la grande ed i
due gemelli). Erica sempre al centro delle storie, con le sue intuizioni, con
le sue ricerche e con le sue scoperte. Non ultima la scoperta di essere
nuovamente incinta e di dover decidere cosa fare. Patrick in qualche modo a
capo delle indagini, ma, come avevo accennato anche nel decimo episodio, è come
se si mettesse in seconda fila, ad aspettare gli eventi piuttosto che a
dirigerli.
C’è Paula con la
sua compagna Johanna, ma interviene solo in modo marginale. Così come marginale
è Gosta. Più presente è Martin che, superato il dramma della morte della prima
moglie, sembra in grado di ricostruirsi una nuova vita. Infine, c’è Bertil, che
smette finalmente i panni del giullare, per assumersi le proprie responsabilità
private, visto che alla nuova compagna, Rita, viene scoperto un grave tumore.
La storia “gialla”
invece ruota intorno agli ambienti letterari e mondani dell’alta borghesia
svedese. C’è Henning il grande scrittore che è anche in corsa per il Nobel. C’è
Elizabeth, la moglie, nonché editrice delle sue opere. E c’è la festa per il
loro cinquantesimo anniversario di nozze. C’è Rolf, il grande fotografo, in
procinto di inaugurare una grande mostra fotografica, dal titolo ambivalente di
“Innocenza e Colpa”. C’è Vivian, la sua seconda moglie, che lo ama, ma che non
riesce a fargli dimenticare la morta Ester. Ci sono Suzanne e Ole, che insieme
ai precedenti hanno creato un club esclusivo, il Blanche, per lanciare promettenti
esordienti.
Infine, ci sono i
figli di Henning ed Elizabeth: il cadetto Rickard (con inutile moglie Tilde)
sempre a corto di soldi ed in cerca di aiuto, in particolare dalla madre, ed il
maggiore Peter, con i figli Max e William, e la seconda moglie Louise, che è
anche amministratrice del Blanche.
La
prima svolta delle indagini che seguono alla prima morte (quella di Rolf,
mentre esamina le foto della colpa) viene data da Vivian, che ricorda la morte
di Lola e della piccola Pytte, un trans che era, negli anni ’80, al centro
della vita del Cenacolo. Lola che di sicuro amava qualcuno del cenacolo; amici
dove Elisabeth e Rolf erano qualcosa in più, visto che Rickard era figlio loro
e non di Henning; Ole che continua a mettere le mani su tutte le persone di
qualsiasi sesso e Suzanne che lo copre. Ma Lola muore per due colpi di pistola
e Pytte soffocata. Gli amici decidono allora di fondare il Blanche, in onore di
Place Blanche, il centro della vita notturna di Parigi (c’è il mitico Moulin
Rouge), nonché cuore delle fotografie LGBT del fotografo svedese Christer
Strömholm.
Dopo
la morte di Lola, le vite dei “blanchistes” hanno un balzo. Sempre più belle le
foto di Rolf, Suzanne entra nel giro dell’Accademia di Svezia, ed escono gli
scritti di Henning che gli procurano una fama solida e costante.
Ma
dopo la morte di Rolf, viene ucciso a sangue freddo anche Peter con i due
figli. Panico, paura e sgomento. Possibilità multiple di scoprire chi ha fatto
fuoco. Dubbi se tutte le morti hanno la stessa mano assassina. Ovvio, che
saranno le ricerche di Erica che riveleranno tutte le connessioni presenti, e
porteranno ad un finale finalmente chiarificatore di tutti gli aspetti. Che ci
siamo stufati di finali veloci, che lasciano qualcosa in ombra.
Prima
di un commento generale, toglierei dall’ombra un elemento di “errore di
citazione”. A pagina 315 si parla dell’atleta Lars-Erik Skiöld e si dice
che soffiò il bronzo ad un altro atleta, anche lui svedese (e che ora fa il
detective). Ora, Lars-Erik Skiöld prese realmente il bronzo alle Olimpiadi di
Mosca nel 1980. Ma in lotta greco-romana e non in lotta libera. Nella categoria
fino a 68 kg, che sembra un po’ sottopeso per il robusto detective. Infine, in
quelle Olimpiadi c’era un solo atleta nella categoria indicata, quindi era
difficile che Skiöld soffiasse il bronzo ad uno svedese. Tutt’al più, lo aveva
soffiato all’armeno Suren Nalbandyan. Ma forse lo sport merita altre
narrazioni.
Dicevo, Camilla torna, dopo passaggi
poco esaltanti, ad uno stile vivace, coinvolgente, e decisamente scorrevole. Inoltre,
affronta al solito una svariata messe di problematiche, di grande attualità. La
sessualità ed il mondo dei trans, i rapporti tra letteratura e arte, il
rapporto dei bambini con la realtà che li circonda, l’amore-odio tra fratelli.
Un buon libro che ci riporta la buona Camilla quasi ai livelli dei primi libri
della serie.
“La
letteratura è questione di vita o di morte. Le persone vanno e vengono. Noi
viviamo e moriamo. Invece la letteratura che creiamo ci sopravvive.” (164)
Martial
Caroff “Ne me remerciez pas!” Fayard s.p. (Regalo di Alessandra)
[A: 06/12/2023
– I: 14/12/2023 – T: 16/12/2023] - &&&
[tit.
or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 283;
anno 2023]
Tutti
(o quasi tutti) sanno che, durante i miei viaggi, tento di riportarmi a casa un
libro locale. Tentativo che ha buona ragione di riuscita quando viaggio in
paesi in cui riesco a maneggiare la lingua (francofoni, anglofoni o
ispanofoni). Quindi, in questa trasferta-regalo in quel di Bordeaux, non poteva
mancare un libro-regalo (così è stato un regalo a tutto tondo).
Non
siamo riusciti a trovare un libro che mi piacesse e basato nella città dei
vini, abbiamo quindi ripiegato su un libro parigino, che ha vinto il “Prix du
Quai des Orfevres 2024” dedicato ai migliori inediti di ambiente “noir” e
selezionati da una giuria composta da poliziotti e magistrati. Incontrando qui
un autore bretone nato ad un tiro di schioppo da Brest. Caroff, pur avendo
scritto diversi “polar”, è soprattutto noto come geologo (tiene un corso di
geologia all’Università di Brest) materia cui ha dedicato molti dei suoi libri
scientifici.
Qui,
pur essendo un noir, si sente, e molto, questa sua passione, dato che non solo
il libro è ambientato nell’ambiente di ricerca geologica, ma altresì alcuni
elementi sono molto prossimi alla sua specializzazione. Fortuna che la sua
capacità divulgativa ci consente di seguire (abbastanza) agevolmente anche la
parte scientifica. Parte su cui tornerò in seguito che ha un elemento di
riflessione interessante.
Comunque,
la difficoltà maggiore nella lettura del testo non è tanto derivata
dall’ambientazione scientifica, quanto dall’uso di un linguaggio molto
“francese”, con abbreviazioni ed espressioni gergali, certo di uso corrente, ma
non sempre decifrabili a prima vista. In ogni caso, un buon esercizio di
ripasso di una lingua viva, a contatto con la vita quotidiana, in particolare
parigina.
Il
nucleo centrale dell’attività investigativa si concentra poi sulla brigata
criminale (il nome francese della squadra poliziesca) capeggiata del
commissario Kestner. Ci sono Varenne, Manuel e Lèa, ma soprattutto lui,
Kestner, uno che sente il bisogno di far quadrare la scena criminale, in un
modo che mi ricorda il commissario Buonocore di Enrico Luceri. Sarà proprio un
elemento “fuori posto” come vedremo che condurrà Kestner verso un fine
ragionamento che lo porterà alla soluzione del caso.
Tutto
inizia dalla morte per avvelenamento di un esperto paleogeologo e dall’indagine
che ne consegue. Seguendo un filo rosso che parte dai ringraziamenti singolari
di un articolo scientifico (come analizzo meglio in seguito) che mettono alla
berlina Colin un ricercatore dell’Istituto in cui lavora Gaubert. Il filo,
partendo da Colin, coinvolge molto personale direttivo dell’Istituto. Vincent
che, accusato da un foglio manoscritto, ha un collasso nervoso. Pauline cui
viene sottratto un documento privato compromettente e che viene anche lei
uccisa. Piera, una ricercatrice italiana, allieva di Gaubert, che vede sparire
i fossili delle sue ricerche. Isabelle, amica e qualcosa in più di Pauline, che
viene trovata suicida in un torrente, dopo che molte prove convergono sulla sua
colpevolezza.
Il
fatto è che Kestner ed i suoi sembrano sempre un passo indietro rispetto al
colpevole, come se questi sapesse le loro mosse in anticipo. Ma proprio il
suicidio di Isabelle mette un tarlo nella mente di Kestner: la ricercatrice non
sarebbe potuta passare con la macchina là dove poi si è gettata in un torrente.
Come dice il commissario: non si riesce a far entrare una tovaglia rettangolare
in un cassetto quadrato. Da qui, ripercorrendo passo dopo passo tutti gli
avvenimenti, usando intelligentemente l’adagio di Conan Doyle (“Quando hai
escluso l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, è la verità”)
Kestner ed i suoi arrivano alla soluzione del caso.
Con
un epilogo che sembra promettere altre avventure della brigata.
Dicevo
dei giochi di parole. Ora il motore della prima ricerca dei nostri sono i
ringraziamenti che Gaubert pone in epigrafe ad una ricerca firmata da lui e dai
maggiori ricercatori dell’Istituto. È una pubblicazione scientifica, quindi
scritti in inglese, e recita: “The authors thank the CLIMATGATE research group
for the useful discussions. They also thank Jean Paffavec de Paulin, Zette
Fiotedeux, Colin Eckomssa, J. Le Nicollin for their technical assistance”. Ora
i nomi citati sono palesemente falsi, e l’ultima frase, letta in francese ed
interpretata, si può riproporre come: “J’enpaffe avec deux poings cette fiotte
de Colin et comme ça, j’le nique, Colin”. Che, volendo riportarla in italiano,
suona: “Schiaffeggerò quel frocio di Colin con due pugni in faccia e poi ti
manderò a fare in culo, Colin.”
Capite
bene come questo scambio di “gentilezze” possa generare rapporti problematici
in Istituto, coinvolgendo appunto Gaubert, Colin e le altre persone
dell’articolo (appunto Vincent, Isabelle e Piera, nonché Pauline come capo
dell’Istituto stesso).
L’altro
punto cui accennavo all’inizio riguarda l’ambiente di indagine dei paleogeologi,
le diatomee e la loro trasformazione fossile in diatomiti. Primo perché la
polvere delle diatomee è un elemento altamente velenoso ed è la causa della
morte di Gaubert. Secondo perché, una volta fossilizzatesi in diatomiti, il
loro studio permette di analizzare lo stato del clima al tempo della loro vita
acquatica. Essendo le diatomee organismi alghiformi unicellulari fondamentali
nella produzione dell’ossigeno nell’atmosfera (pare ne producano il 25%).
L’affermazione
interessante di Caroff riguarda la possibilità che le diatomee, comparse nel
Cretaceo, indichino un possibile riscaldamento del pianeta avvenuto 145 milioni
di anni fa. Elemento che serve a confutare l’idea dell’unicità del nostro
riscaldamento attuale. Non viene analizzato però dagli studiosi presenti in
questa fiction, cosa successe dopo. Cioè un periodo di innalzamento delle
acque, con conseguenti stravolgimenti dei cicli delle stagioni, che portarono
60 milioni di anni fa all’evento noto come “estinzione di massa del cretaceo”,
dove scomparvero l’80% degli esseri viventi, non sopravvivendo nessuna specie
di peso superiore ai 25 kg.
Riflettiamo
anche sul clima, dopo aver concluso che, pur con qualche zoppicamento, è stata
una bella lettura.
Michel
Bussi “Non lasciare la mia mano” E/O euro 10 (in realtà, scontato a 9 euro)
[A: 30/08/2022
– I: 22/12/2023 – T: 23/12/2023] - &&&
e ½
[tit.
or.: Ne lâche pas ma main; ling. or.: francese; pagine: 354;
anno 2013]
Terzo
libro che leggo dello scrittore francese ritenuto il secondo scrittore
francofono per numero di vendite, nell’ambito degli scrittori viventi, essendo
il primo (almeno così mi risulta) Guillaume Musso.
Sarà
che ho letto solo libri di una decina di anni fa, all’inizio della scrittura di
Bussi, ma tutti si sono rivelati di un buon se non ottimo livello. Certo,
“Ninfee nere” letto in lingua mi ha colpito, anche se (purtroppo) alcuni punti
“dialettali” mi hanno dato filo da torcere. Come qui, per alcune frasi e/o
citazioni in “creolo della Riunione”, una lingua basata sul francese ma con
molti prestiti ed influenze delle differenti etnie che abitano l’isola (creoli,
malgasci, indiani, malesi ed altri). Non per un caso, ma perché l’azione si
svolge proprio sull’isola territorio d’oltremare francese.
Dico
subito che, seppur incalzante e ben costruito, con un sapiente dosaggio di
colpi di scena e di situazioni annunciate e poi stravolte, quello che mi ha un
po’ frenato è l’aver messo, in ogni svolgimento d’azione, un riferimento
temporale, preciso in ora e minuti. Peccato che, nella lettura, uno non tenga a
mente esattamente l’istante dell’avvenimento, e laddove ci sono momenti quasi
contemporanei, e Bussi, per aumentare la tensione, salta dall’uno all’altro,
magari tornando indietro di qualche minuto, io, povero lettore, mi trovo in
difficoltà.
Se
però ce ne freghiamo e leggiamo il libro ignorando tutto ciò, l’azione scorre,
le fasi del thriller si incastrano, ed il libro raggiunge una sua leggibilità e
gradevolezza di sicuro pregio.
Intanto,
il primo punto è l’ambientazione, esotica in un certo senso, come si diceva
sopra, ma gradevole per la descrizione dei luoghi, delle persone e della fauna.
Siamo infatti, nell’isola “la Réunion”, questa che sarebbe la dicitura esatta,
con l’articolo minuscolo, e l’azione ci fa esplorare i più pittoreschi siti
dell’isola: la spiaggia di Boucan-Canot (attualmente Saint-Paul), le scogliere
dell’Anse des Cascades (tra Sainte-Rose e Saint-Philip), ma soprattutto il
Piton de la Fournaise, uno dei vulcani più attivi del pianeta (primato che
contende periodicamente all’Etna) e da una geotermia impressionante per cui,
repentinamente, nel primo pomeriggio a volte si ricopre di nuvole di vapore che
impediscono la visuale già a due metri di distanza.
Il
marchingegno thriller di Bussi (fatte salve le indicazioni orarie di cui ho
detto) è di certo ben congegnato. Comincia in sordina: c’è la famiglia Bellion
in vacanza sull’isola, composta da Martial, Liane e dalla piccola Sofa (sei
anni, diminutivo di Josepha). Senza motivi apparenti, Liane scompare, e Martial
è forzato a denunciarlo alla polizia, ed in particolare alla comandante Aja
Purvi, una mista creola, brava ed ambiziosa. Compaiono subito delle crepe, che
la stanza d’albergo è macchiata di sangue e che Martial mente alla polizia.
Dopo
un centinaio di pagine in cui siamo indotti a credere Martial essere
l’assassino, c’è una svolta improvvisa: Martial fugge dall’albergo con Sofa, e
sparisce nei meandri della pur piccola isola. A questo punto Aja, ed i suoi
aiutanti, sono indotti ad approfondire le notizie su Martial, scoprendo una
storia che viene da lontano.
Martial
aveva vissuto a lungo nell’isola una quindicina di anni prima, sposando la
bella Graziella e avendo con lei un figlio, Alex. Martial, bello e giovane, era
un insegnante di surf, Graziella gestiva un albergo. Martial non disdegna la
compagnia femminile, per cui si allontana dalla moglie, finendo in un divorzio,
con affido alternato di Alex. Un brutto giorno, in seguito a disguidi e
ripicche, Alex viene lasciato solo in spiaggia, e finisce per morire affogato.
Martial
se ne addossa la colpa e abbandona l’isola, tornandoci appunto solo quindici
anni dopo con una nuova moglie ed una figlia che, all’epoca del racconto, ha la
stessa età di Alex.
Si
capisce bene, da questo punto in poi, che il presente è molto condizionato dal
passato, laddove molti abitanti sanno ma non parlano. C’è anche Graziella, pur
essendosi spostata nella non lontana Mauritius. Seguiamo, minuto dopo minuto,
la lotta contro il tempo di Martial per ritrovare e liberare Liane, che non era
morta ma rocambolescamente rapita. La parte migliore è proprio nel finale
incandescente come il vulcano della Fournaise, uno degli scenari principi della
risoluzione finale. Finale in cui c’è molto altro, oltre quello che ho
descritto, e che risolleva l’andamento di un romanzo che inizialmente sembrava
moscio ed un po’ lento.
Ma
Bussi ha una buona penna, e non fallisce di certo il colpo, pur con le piccole
riserve che ho detto.
Terminerei
con due notazioni di carattere naturalistico. Ad un certo punto si parla del
“Dodo bianco”, come possibile specie endemica dell’isola, parente del Dodo
delle Mauritius. Ora il secondo è certamente dimostrato aver abitato l’isola,
il primo, probabilmente, era un parente ma non un vero e proprio Dodo. Ricordo,
di passaggio, che il nome all’animale venne dato dai primi scopritori
dell’isola come storpiatura del termine portoghese “doudo” che significa
“inetto”, in quanto, pur uccello, il Dodo non volava.
Infine,
l’operazione poliziesca che la polizia (ma non Aja) inscena per catturare
Martial viene chiamata “Operazione Papangue”, senza spiegarne il nome. Sarebbe
stato facile invece chiamarla con la traduzione italiana del termine avicolo
francese, in quanto l’autoctono Papangue non è altro che l’Albanella. Allora,
forse, meglio “Operazione Albanella” con una nota a piè di pagina.
Dolores
Redondo “Inciso nelle ossa” TEA euro 12
[A: 28/09/2019
– I: 26/12/2023 – T: 28/12/2023] - &&
+
[tit.
or.: Legado en los huesos; ling. or.: spagnolo; pagine: 475;
anno 2013]
Meno
di un anno dopo la scrittura del romanzo che le ha dato fama, la scrittrice
basca Dolores Redondo mette in uscita il secondo episodio di quella che, con il
terzo libro uscito l’anno seguente, è conosciuta in Spagna come la “trilogia di
Baztán”, dal nome della regione montuosa della provincia di Navarra,
strettamente confinante con la Francia.
Il
nome deriva appunto dal luogo, e dalle sue mitologie, ma poteva anche chiamarsi
la “trilogia di Amaia Salazar”, dal nome dell’ispettore capo protagonista dei
romanzi. Circa quattro anni fa avevo letto il primo libro, e spero di far
passare meno anni per leggere il libro conclusivo.
A
parte alcuni personaggi di contorno, il centro della scena, oltre ad Amaia, è
preso dalle sue sorelle, Ros e Flora, dalla zia Engrasi, e dal marito James, un
artista americano di cui Amaia si è innamorata ed ha sposato nel primo libro,
nonché, nell’intervallo tra i due, fatto un figlio che, all’inizio del volume
viene alla luce. Dalle ecografie sembrava una bambina, invece è un bel
maschietto cui viene dato il nome di Ibai (fiume in basco).
Amaia
è un poliziotto capace, di buona carriera, con buoni successi investigativi
alle spalle, ma è anche una donna, che si innamora di James, avendo con lui una
relazione di forte complementarità. Ed è anche piacente come vedremo (lo
accenno ma non ha importanza qui) quando compare sulla scena il bel giudice Xabier
Markina. Infine, è anche una figlia, che non ha ancora risolto il suo rapporto
con la madre Rosario. Abbiamo infatti visto nel primo libro i suoi sogni
ricorrenti di Rosario che tenta di ucciderla (e qui ne scopriremo nuovi
episodi), sogni tra la finzione ed il reale, tanto che la madre viene rinchiusa
in un ospedale psichiatrico.
L’altro
elemento centrale in tutta la saga è la mitologia basca. Una mitologia in cui
tutte le divinità si trovano nella terra e non in cielo, governata da una donna,
la dea Mari, e dove le creature maschili servono a farle un contorno di paure e
di difesa. Non vediamo, fino ad ora, Mari in prima persona, ma nel primo libro
c’era il Basajaun, una divinità maschile in parte anche buona, che deve
difendere la natura, e per far questo può diventare cattivissimo. Qui, fin
dalle prime battute incontriamo cenni e rimandi a Tarttalo (spesso indicato
anche con Tarta), un ciclope monocolo simile a Polifemo, cattivissimo e dedito
al cannibalismo, soprattutto verso i giovani. Motivo per cui, per rabbonirlo,
gli si fanno offerte, anche umane, in termini femminili.
Che
c’entra tutto ciò con il nostro romanzo? È che fin dall’inizio ci sono
misteriosi suicidi di persone che hanno trattato male o ucciso donne giovani,
fidanzate, ragazza in età da marito, ma anche adolescenti. Suicidi
inspiegabili, dove, prima della fine, il morituro scrive in qualche modo la
parola “Tarttalo”. Amaia viene coinvolta nelle indagini, anche per altri
accadimenti poco inerenti la trama principale. Quello che vediamo è la sua
ricerca di un elemento comune, oltre al fatto che i suicidi, poco prima
dell’ultima mossa, in qualche maniera cercano di coinvolgerla, di chiamarla,
quasi a voler indicare un elemento di vicinanza.
Elemento
che convergerà sulla figura della madre. Amaia non ha mai risolto i suoi
problemi con Rosario, ma queste casualità la spingono ad indagare sul passato
familiare, scoprendo così di aver avuto una sorella gemella, vittima
sacrificale di quelle morti nella culla di cui abbiamo letto già in alcuni
romanzi di Simonetta Agnello Hornby. Cercando di stanare la madre su questo
terreno, scopre che non solo è fuggita dall’ospedale psichiatrico, ma che lo
psicologo della madre era anche in contatto con molti (o forse tutti) i
suicidi.
Arriveremo
alle scene finali con un po’ di fiato sospeso, visto che viene anche rapito
Ibai. Ma lo spirito investigativo di Amaia e la sua convinzione di essere
sempre dalla parte giusta, porterà allo scioglimento della trama. Con alcuni
ovvi punti in sospensione, visto che ci sarà il terzo e conclusivo episodio,
che dovrebbe chiudere tutte le porte.
Seppur
molto intrigante nelle parti riguardanti il folclore vasco-narravino, il libro
risulta un po’ fragile nella parte investigativa. Certo, di interesse
l’intreccio con le vicende personali della famiglia Salazar (non ultima e non
dimenticabile la figura della zia Engrasi). Tuttavia mi aspettavo qualcosa di
più dalla scrittura e dalla trama. Vedremo prima o poi di tirarne le file dopo
la fine della serie.
“Quando
uno decide di amare una persona al punto di rinunciare a chiunque altro, non
diventa cieco e neppure invisibile, continua a vedere ed essere visto. Non c’è
nessun merito a essere fedeli quando quello che vediamo non ci tenta o quando
nessuno ci guarda. Il vero banco di prova è quando si presenta una persona di
cui ci potremmo innamorare … una persona che fa per noi, che ci piace e che ci
attira. Una persona che sarebbe perfetta se non avessimo già scelto un’altra
persona perfetta. Questa è la fedeltà.” (275)
Continuiamo
anche la chiusa senza inglesi, con alcune frasi tratte da “Marina” di Carlos
Ruiz Zafon. Forse un po’ estreme ma realistiche: “La
verità non si trova, è lei che trova noi.” (132); “Chi
non sa dove è diretto non arriva da nessuna parte” (152); “Il nostro corpo
comincia a morire nel preciso istante in cui nasciamo” (248).
E con una frase da un libro del francese Christian Jacq che abbiamo apprezzato in passato per i libri su Ramsete II, ultimamente
per la biografia di Hatshepsut, ma che era di buona lettura anche in un giallo
archeologico, “Le procès de la
momie”, dove troviamo questa bella
sentenza: “Ciascuno può essere felice, se vuole; poiché la felicità
dipende certamente da noi. L'uomo che si accontenta di ciò che la sorte gli dà
è felice, soprattutto se è bene persuaso che quello è tutto ciò che potrà
ottenere.” (277)
Per il resto sapete bene che è un febbraio di quiete e di attenzione, in preparazione di una, si spera, più rigogliosa e produttiva primavera. E cercheremo di mettere in cantiere più viaggi possibili, che è sempre una buona soluzione. A parte il fatto di dedicarvi un abbraccio.
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