domenica 11 febbraio 2024

Whitout thriller - 11 febbraio 2024

Visto che è sempre più invalso l’uso negli annunci di lancio, uso anch’io l’inglese per annunciare una trama senza autori inglesi. Cosa non molto usuale. Ma ci sono due francesi che seguo da anni e con buone riuscite: Musso e Bussi (c’è un po’ di origini italiane, penso che lo abbiate colto). Altrettanto interessante l’ultimo libro in lingua preso in una bella e storica libreria di Bordeaux. Del solito livello di media grandezza le due donne, la svedese Läckberg e la spagnola Redondo.

Guillaume Musso “Angélique” La Nave di Teseo s.p. (Prestito di Alessandra)

[A: 30/04/2023 – I: 30/07/2023 – T: 31/07/2023] - &&&  --

[tit. or.: Angélique; ling. or.: francese; pagine: 268; anno 2022]

Pubblicato solo l’anno scorso, visto che Alessandra è diventata Musso-addicted, l’ultimo libro dell’italo-francese è entrato subito nel giro dei libri da leggere. In poco tempo è balzato sulla mia scrivania, ed eccoci qui, a palare del solito grande giro di giostra che Musso organizza intorno ai suoi personaggi.

Devo dire che ho gradito molto un cambio di passo, rispetto agli ultimi scritti, che qui abbiamo poco a che fare con elementi al limite della comprensione umana, quei viaggi temporali, quelle agnizioni che vengono da altre dimensioni mentali. Qui, tutto si spiega, tutto è a portata di comprensione anche a noi poveri lettori. Anche se, usando le sue solite tecniche di andare su e giù nel tempo, narrando prima avvenimenti che avvengono dopo, e poi togliendo il velo che ce li fanno comprendere, non sempre riesce ad essere così lineare come potrebbe. Questo porta a quei piccoli meno nel giudizio finale.

La trama in sé sarebbe “quasi” riorganizzabile in momenti temporali susseguenti uno all’altro, con un piccolo omaggio a “sliding doors”, film inimitabile e da rivedere prima o poi.

Il poliziotto Mathias Taillefer, mentre sale su una metropolitana, sceglie a caso un vagone, e lì c’è la svolta della sua vita. Dei ragazzi importunano una signorina, Alice, lui la salva, nasce una breve storia che porta poi Mathias lontano ed Alice ad una gravidanza che non confessa al marito Laurent.

Anni dopo Mathias ha un infarto, e necessita di un cuore nuovo che viene trovato con difficoltà, data la particolarità del suo gruppo sanguigno. Ma il cuore c’è, e durante la convalescenza conosce la misteriosa Lena, di cui si innamora, ma il loro rapporto, per le reticenze di Lena, si arena miseramente.

Mathias, sbandato e disgustato, si dimette dalla polizia e viene ingaggiato da un gruppo di “aggiustatori”, spesso ai limiti della legge, composto da un nucleo duro di famiglie influenti in giro per tutto il mondo. Quando qualcuno subisce un torto, si rimette al giudizio del tribunale del gruppo, e, se nella ragione (almeno secondo il gruppo), qualcuno si incaricherà di aggiustare il torto.

Noi iniziamo a leggere la storia con Mathias nuovamente in ospedale, cullato da una musica proveniente da una violoncellista che si occupa di “Music therapy”. Si chiama Louise, e, scoperto Mathias essere un poliziotto, gli chiede di indagare sulla morte di una ex-ballerina, Stella Petrenko, un tempo étoile dell’Opera de Paris. Indagando, ora in solitaria, ora in coppia, i due mettono in luce tuta una nuova storia.

Pochi giorni prima di Stella, nello stesso edificio, si ammala di Covid un pittore italiano, Marco. Che viene salvato, inizialmente, da Angélique, l’infermiera che periodicamente va a visitare Stella ed a curarla. Angélique è incinta e cerca anche lei di uscire dalle ristrettezze, e trova in Marco una via d’uscita. Per una serie di coincidenze, può farsi passare da “amichetta” di Marco. Prima che Marco si svegli, da infermiera, riesce ad indurgli un coma irreversibile. Ma Stella è sul chi vive, sa cosa sia realmente successo, così che Angélique non può che sbarazzarsi anche di lei.

In questo modo, entra senza ostacoli nella famiglia Sabatini, convincendoli che porta in grembo l’erede della dinastia.

Tutto collasserà in un finale a più livelli tra Venezia e Beirut. Venezia dove accorrono Mathias e Louise, per smascherare Angélique. Beirut dove si precipiterà Mathias avendo avuto notizia della presenza in Libano di Lena. Tutti i frammenti combaciano, i cattivi pagheranno, anche se non per la giustizia ordinaria, almeno per quella di ordine superiore che serva ad aggiustare la vita di ognuno, come direbbe il buon Maigret. E nel caleidoscopico finale capiremo appunto i rapporti tra Louise e Mathias, tra Alice e Stella, tra Louise e Alice, tra Mathias e Lena. Insomma, di tutto e di più.

Quindi, e mi ripeto, una bella caratterizzazione dei personaggi, a supporto di una trama un filino troppo complicata, ma non ci possiamo aspettare niente di diverso da Musso. Personaggi al bivio che scelgono (quasi) sempre una scorciatoia per migliorare la loro vita, ma non sempre questa è la scelta migliore. Personaggi che costruiscono la vita su menzogne, e che difficilmente aderiscono agli stereotipi cui siamo abituati. Mathias è un poliziotto balordo, Stella è marcia nel profondo, Louise, forse, non è chi dice di essere, e Angélique si giocherebbe un bel posto in un pantheon delle efferatezze degno della penna di Patricia Highsmith.

La fortuna è che tutto si spiega, e non è poco nei libri di Musso.

Resta da citare due cose che mi restano in testa. Baptiste, figlio di Lena, gioca con le figurine Panini. Ora, siamo nel 2021 (data dell’azione) e per me, Panini è sempre indice dei miei anni Sessanta, e delle figurine sportive. Che salto all’indietro.

Infine, Musso, nel ricostruire tutti i fili spezzati delle varie persone, fa riferimento ad una tecnica di cui ho già parlato in occasioni giapponesi, e che ho visto in una bottega a Kyoto. Il kintsugi, l’arte cioè di ricostruire una cosa rotta evidenziando con laccature dorate i punti di rottura. Non possiamo riportare all’origine qualcosa che orami è diverso, ma possiamo sottolinearne i punti deboli, per poterli rafforzare e farne dei punti di forze.

Tutto bene allora Guillaume, ed aspettiamo un nuovo libro, presto.

Camilla Läckberg “Il figlio sbagliato” Marsilio s.p. (prestito della sig.ra Laura)

[A: 16/08/2023 – I: 18/08/2023 – T: 20/08/2023] - &&&   

[tit. or.: Gökungen; ling. or.: svedese; pagine: 446; anno 2022]

FJÄLLBACKA11

Ho letto tre anni fa il precedente episodio de “I delitti di Fjällbacka”, intramezzato dalla lettura poco coinvolgente dei due episodi di “Faye” e di quello di “Hämndserien”. Avendo constato un costante declino della scrittura di Camilla, ho perciò saltato i due libri scritti a quattro mani con Henrik Fexeus. Approfittando però di un gentile prestito intrafamiliare, ho deciso di darle una nuova chance per questo undicesimo episodio.

Come al solito cominciamo con le lamentale sul titolo. Ora, ci può stare che si parli di figlio sbagliato in un giallo in cui i rapporti familiari sono oltremodo complicati. Ma il titolo originale si riferiva al “cuculo”, che, se non lo sapete, ha la particolarità di essere refrattario ad accudire la prole. Per cui, prodotto un uovo, lo deposita nel nido di qualche altro uccello, che provvederà a fare il “genitore vicario”, almeno fino a che non si accorge della diversità. Poi il cuculo si deve arrangiare. Cosa che imparerà presto a fare.

Quindi proseguiamo con le vicende personali del gruppo che costituisce il nocciolo duro delle storie di Fjällbacka. Abbiamo Erica e Patrick, i due elementi centrali delle storie. Ora hanno finalmente ben tre figli (Maja la grande ed i due gemelli). Erica sempre al centro delle storie, con le sue intuizioni, con le sue ricerche e con le sue scoperte. Non ultima la scoperta di essere nuovamente incinta e di dover decidere cosa fare. Patrick in qualche modo a capo delle indagini, ma, come avevo accennato anche nel decimo episodio, è come se si mettesse in seconda fila, ad aspettare gli eventi piuttosto che a dirigerli.

C’è Paula con la sua compagna Johanna, ma interviene solo in modo marginale. Così come marginale è Gosta. Più presente è Martin che, superato il dramma della morte della prima moglie, sembra in grado di ricostruirsi una nuova vita. Infine, c’è Bertil, che smette finalmente i panni del giullare, per assumersi le proprie responsabilità private, visto che alla nuova compagna, Rita, viene scoperto un grave tumore.

La storia “gialla” invece ruota intorno agli ambienti letterari e mondani dell’alta borghesia svedese. C’è Henning il grande scrittore che è anche in corsa per il Nobel. C’è Elizabeth, la moglie, nonché editrice delle sue opere. E c’è la festa per il loro cinquantesimo anniversario di nozze. C’è Rolf, il grande fotografo, in procinto di inaugurare una grande mostra fotografica, dal titolo ambivalente di “Innocenza e Colpa”. C’è Vivian, la sua seconda moglie, che lo ama, ma che non riesce a fargli dimenticare la morta Ester. Ci sono Suzanne e Ole, che insieme ai precedenti hanno creato un club esclusivo, il Blanche, per lanciare promettenti esordienti.

Infine, ci sono i figli di Henning ed Elizabeth: il cadetto Rickard (con inutile moglie Tilde) sempre a corto di soldi ed in cerca di aiuto, in particolare dalla madre, ed il maggiore Peter, con i figli Max e William, e la seconda moglie Louise, che è anche amministratrice del Blanche.

La prima svolta delle indagini che seguono alla prima morte (quella di Rolf, mentre esamina le foto della colpa) viene data da Vivian, che ricorda la morte di Lola e della piccola Pytte, un trans che era, negli anni ’80, al centro della vita del Cenacolo. Lola che di sicuro amava qualcuno del cenacolo; amici dove Elisabeth e Rolf erano qualcosa in più, visto che Rickard era figlio loro e non di Henning; Ole che continua a mettere le mani su tutte le persone di qualsiasi sesso e Suzanne che lo copre. Ma Lola muore per due colpi di pistola e Pytte soffocata. Gli amici decidono allora di fondare il Blanche, in onore di Place Blanche, il centro della vita notturna di Parigi (c’è il mitico Moulin Rouge), nonché cuore delle fotografie LGBT del fotografo svedese Christer Strömholm.

Dopo la morte di Lola, le vite dei “blanchistes” hanno un balzo. Sempre più belle le foto di Rolf, Suzanne entra nel giro dell’Accademia di Svezia, ed escono gli scritti di Henning che gli procurano una fama solida e costante.

Ma dopo la morte di Rolf, viene ucciso a sangue freddo anche Peter con i due figli. Panico, paura e sgomento. Possibilità multiple di scoprire chi ha fatto fuoco. Dubbi se tutte le morti hanno la stessa mano assassina. Ovvio, che saranno le ricerche di Erica che riveleranno tutte le connessioni presenti, e porteranno ad un finale finalmente chiarificatore di tutti gli aspetti. Che ci siamo stufati di finali veloci, che lasciano qualcosa in ombra.

Prima di un commento generale, toglierei dall’ombra un elemento di “errore di citazione”. A pagina 315 si parla dell’atleta Lars-Erik Skiöld e si dice che soffiò il bronzo ad un altro atleta, anche lui svedese (e che ora fa il detective). Ora, Lars-Erik Skiöld prese realmente il bronzo alle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Ma in lotta greco-romana e non in lotta libera. Nella categoria fino a 68 kg, che sembra un po’ sottopeso per il robusto detective. Infine, in quelle Olimpiadi c’era un solo atleta nella categoria indicata, quindi era difficile che Skiöld soffiasse il bronzo ad uno svedese. Tutt’al più, lo aveva soffiato all’armeno Suren Nalbandyan. Ma forse lo sport merita altre narrazioni.

Dicevo, Camilla torna, dopo passaggi poco esaltanti, ad uno stile vivace, coinvolgente, e decisamente scorrevole. Inoltre, affronta al solito una svariata messe di problematiche, di grande attualità. La sessualità ed il mondo dei trans, i rapporti tra letteratura e arte, il rapporto dei bambini con la realtà che li circonda, l’amore-odio tra fratelli. Un buon libro che ci riporta la buona Camilla quasi ai livelli dei primi libri della serie.

“La letteratura è questione di vita o di morte. Le persone vanno e vengono. Noi viviamo e moriamo. Invece la letteratura che creiamo ci sopravvive.” (164)

Martial Caroff “Ne me remerciez pas!” Fayard s.p. (Regalo di Alessandra)

[A: 06/12/2023 – I: 14/12/2023 – T: 16/12/2023] - &&&

[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 283; anno 2023]

Tutti (o quasi tutti) sanno che, durante i miei viaggi, tento di riportarmi a casa un libro locale. Tentativo che ha buona ragione di riuscita quando viaggio in paesi in cui riesco a maneggiare la lingua (francofoni, anglofoni o ispanofoni). Quindi, in questa trasferta-regalo in quel di Bordeaux, non poteva mancare un libro-regalo (così è stato un regalo a tutto tondo).

Non siamo riusciti a trovare un libro che mi piacesse e basato nella città dei vini, abbiamo quindi ripiegato su un libro parigino, che ha vinto il “Prix du Quai des Orfevres 2024” dedicato ai migliori inediti di ambiente “noir” e selezionati da una giuria composta da poliziotti e magistrati. Incontrando qui un autore bretone nato ad un tiro di schioppo da Brest. Caroff, pur avendo scritto diversi “polar”, è soprattutto noto come geologo (tiene un corso di geologia all’Università di Brest) materia cui ha dedicato molti dei suoi libri scientifici.

Qui, pur essendo un noir, si sente, e molto, questa sua passione, dato che non solo il libro è ambientato nell’ambiente di ricerca geologica, ma altresì alcuni elementi sono molto prossimi alla sua specializzazione. Fortuna che la sua capacità divulgativa ci consente di seguire (abbastanza) agevolmente anche la parte scientifica. Parte su cui tornerò in seguito che ha un elemento di riflessione interessante.

Comunque, la difficoltà maggiore nella lettura del testo non è tanto derivata dall’ambientazione scientifica, quanto dall’uso di un linguaggio molto “francese”, con abbreviazioni ed espressioni gergali, certo di uso corrente, ma non sempre decifrabili a prima vista. In ogni caso, un buon esercizio di ripasso di una lingua viva, a contatto con la vita quotidiana, in particolare parigina.

Il nucleo centrale dell’attività investigativa si concentra poi sulla brigata criminale (il nome francese della squadra poliziesca) capeggiata del commissario Kestner. Ci sono Varenne, Manuel e Lèa, ma soprattutto lui, Kestner, uno che sente il bisogno di far quadrare la scena criminale, in un modo che mi ricorda il commissario Buonocore di Enrico Luceri. Sarà proprio un elemento “fuori posto” come vedremo che condurrà Kestner verso un fine ragionamento che lo porterà alla soluzione del caso.

Tutto inizia dalla morte per avvelenamento di un esperto paleogeologo e dall’indagine che ne consegue. Seguendo un filo rosso che parte dai ringraziamenti singolari di un articolo scientifico (come analizzo meglio in seguito) che mettono alla berlina Colin un ricercatore dell’Istituto in cui lavora Gaubert. Il filo, partendo da Colin, coinvolge molto personale direttivo dell’Istituto. Vincent che, accusato da un foglio manoscritto, ha un collasso nervoso. Pauline cui viene sottratto un documento privato compromettente e che viene anche lei uccisa. Piera, una ricercatrice italiana, allieva di Gaubert, che vede sparire i fossili delle sue ricerche. Isabelle, amica e qualcosa in più di Pauline, che viene trovata suicida in un torrente, dopo che molte prove convergono sulla sua colpevolezza.

Il fatto è che Kestner ed i suoi sembrano sempre un passo indietro rispetto al colpevole, come se questi sapesse le loro mosse in anticipo. Ma proprio il suicidio di Isabelle mette un tarlo nella mente di Kestner: la ricercatrice non sarebbe potuta passare con la macchina là dove poi si è gettata in un torrente. Come dice il commissario: non si riesce a far entrare una tovaglia rettangolare in un cassetto quadrato. Da qui, ripercorrendo passo dopo passo tutti gli avvenimenti, usando intelligentemente l’adagio di Conan Doyle (“Quando hai escluso l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, è la verità”) Kestner ed i suoi arrivano alla soluzione del caso.

Con un epilogo che sembra promettere altre avventure della brigata.

Dicevo dei giochi di parole. Ora il motore della prima ricerca dei nostri sono i ringraziamenti che Gaubert pone in epigrafe ad una ricerca firmata da lui e dai maggiori ricercatori dell’Istituto. È una pubblicazione scientifica, quindi scritti in inglese, e recita: “The authors thank the CLIMATGATE research group for the useful discussions. They also thank Jean Paffavec de Paulin, Zette Fiotedeux, Colin Eckomssa, J. Le Nicollin for their technical assistance”. Ora i nomi citati sono palesemente falsi, e l’ultima frase, letta in francese ed interpretata, si può riproporre come: “J’enpaffe avec deux poings cette fiotte de Colin et comme ça, j’le nique, Colin”. Che, volendo riportarla in italiano, suona: “Schiaffeggerò quel frocio di Colin con due pugni in faccia e poi ti manderò a fare in culo, Colin.”

Capite bene come questo scambio di “gentilezze” possa generare rapporti problematici in Istituto, coinvolgendo appunto Gaubert, Colin e le altre persone dell’articolo (appunto Vincent, Isabelle e Piera, nonché Pauline come capo dell’Istituto stesso).

L’altro punto cui accennavo all’inizio riguarda l’ambiente di indagine dei paleogeologi, le diatomee e la loro trasformazione fossile in diatomiti. Primo perché la polvere delle diatomee è un elemento altamente velenoso ed è la causa della morte di Gaubert. Secondo perché, una volta fossilizzatesi in diatomiti, il loro studio permette di analizzare lo stato del clima al tempo della loro vita acquatica. Essendo le diatomee organismi alghiformi unicellulari fondamentali nella produzione dell’ossigeno nell’atmosfera (pare ne producano il 25%).

L’affermazione interessante di Caroff riguarda la possibilità che le diatomee, comparse nel Cretaceo, indichino un possibile riscaldamento del pianeta avvenuto 145 milioni di anni fa. Elemento che serve a confutare l’idea dell’unicità del nostro riscaldamento attuale. Non viene analizzato però dagli studiosi presenti in questa fiction, cosa successe dopo. Cioè un periodo di innalzamento delle acque, con conseguenti stravolgimenti dei cicli delle stagioni, che portarono 60 milioni di anni fa all’evento noto come “estinzione di massa del cretaceo”, dove scomparvero l’80% degli esseri viventi, non sopravvivendo nessuna specie di peso superiore ai 25 kg.

Riflettiamo anche sul clima, dopo aver concluso che, pur con qualche zoppicamento, è stata una bella lettura.

Michel Bussi “Non lasciare la mia mano” E/O euro 10 (in realtà, scontato a 9 euro)

[A: 30/08/2022 – I: 22/12/2023 – T: 23/12/2023] - &&& e ½

[tit. or.: Ne lâche pas ma main; ling. or.: francese; pagine: 354; anno 2013]

Terzo libro che leggo dello scrittore francese ritenuto il secondo scrittore francofono per numero di vendite, nell’ambito degli scrittori viventi, essendo il primo (almeno così mi risulta) Guillaume Musso.

Sarà che ho letto solo libri di una decina di anni fa, all’inizio della scrittura di Bussi, ma tutti si sono rivelati di un buon se non ottimo livello. Certo, “Ninfee nere” letto in lingua mi ha colpito, anche se (purtroppo) alcuni punti “dialettali” mi hanno dato filo da torcere. Come qui, per alcune frasi e/o citazioni in “creolo della Riunione”, una lingua basata sul francese ma con molti prestiti ed influenze delle differenti etnie che abitano l’isola (creoli, malgasci, indiani, malesi ed altri). Non per un caso, ma perché l’azione si svolge proprio sull’isola territorio d’oltremare francese.

Dico subito che, seppur incalzante e ben costruito, con un sapiente dosaggio di colpi di scena e di situazioni annunciate e poi stravolte, quello che mi ha un po’ frenato è l’aver messo, in ogni svolgimento d’azione, un riferimento temporale, preciso in ora e minuti. Peccato che, nella lettura, uno non tenga a mente esattamente l’istante dell’avvenimento, e laddove ci sono momenti quasi contemporanei, e Bussi, per aumentare la tensione, salta dall’uno all’altro, magari tornando indietro di qualche minuto, io, povero lettore, mi trovo in difficoltà.

Se però ce ne freghiamo e leggiamo il libro ignorando tutto ciò, l’azione scorre, le fasi del thriller si incastrano, ed il libro raggiunge una sua leggibilità e gradevolezza di sicuro pregio.

Intanto, il primo punto è l’ambientazione, esotica in un certo senso, come si diceva sopra, ma gradevole per la descrizione dei luoghi, delle persone e della fauna. Siamo infatti, nell’isola “la Réunion”, questa che sarebbe la dicitura esatta, con l’articolo minuscolo, e l’azione ci fa esplorare i più pittoreschi siti dell’isola: la spiaggia di Boucan-Canot (attualmente Saint-Paul), le scogliere dell’Anse des Cascades (tra Sainte-Rose e Saint-Philip), ma soprattutto il Piton de la Fournaise, uno dei vulcani più attivi del pianeta (primato che contende periodicamente all’Etna) e da una geotermia impressionante per cui, repentinamente, nel primo pomeriggio a volte si ricopre di nuvole di vapore che impediscono la visuale già a due metri di distanza.

Il marchingegno thriller di Bussi (fatte salve le indicazioni orarie di cui ho detto) è di certo ben congegnato. Comincia in sordina: c’è la famiglia Bellion in vacanza sull’isola, composta da Martial, Liane e dalla piccola Sofa (sei anni, diminutivo di Josepha). Senza motivi apparenti, Liane scompare, e Martial è forzato a denunciarlo alla polizia, ed in particolare alla comandante Aja Purvi, una mista creola, brava ed ambiziosa. Compaiono subito delle crepe, che la stanza d’albergo è macchiata di sangue e che Martial mente alla polizia.

Dopo un centinaio di pagine in cui siamo indotti a credere Martial essere l’assassino, c’è una svolta improvvisa: Martial fugge dall’albergo con Sofa, e sparisce nei meandri della pur piccola isola. A questo punto Aja, ed i suoi aiutanti, sono indotti ad approfondire le notizie su Martial, scoprendo una storia che viene da lontano.

Martial aveva vissuto a lungo nell’isola una quindicina di anni prima, sposando la bella Graziella e avendo con lei un figlio, Alex. Martial, bello e giovane, era un insegnante di surf, Graziella gestiva un albergo. Martial non disdegna la compagnia femminile, per cui si allontana dalla moglie, finendo in un divorzio, con affido alternato di Alex. Un brutto giorno, in seguito a disguidi e ripicche, Alex viene lasciato solo in spiaggia, e finisce per morire affogato.

Martial se ne addossa la colpa e abbandona l’isola, tornandoci appunto solo quindici anni dopo con una nuova moglie ed una figlia che, all’epoca del racconto, ha la stessa età di Alex.

Si capisce bene, da questo punto in poi, che il presente è molto condizionato dal passato, laddove molti abitanti sanno ma non parlano. C’è anche Graziella, pur essendosi spostata nella non lontana Mauritius. Seguiamo, minuto dopo minuto, la lotta contro il tempo di Martial per ritrovare e liberare Liane, che non era morta ma rocambolescamente rapita. La parte migliore è proprio nel finale incandescente come il vulcano della Fournaise, uno degli scenari principi della risoluzione finale. Finale in cui c’è molto altro, oltre quello che ho descritto, e che risolleva l’andamento di un romanzo che inizialmente sembrava moscio ed un po’ lento.

Ma Bussi ha una buona penna, e non fallisce di certo il colpo, pur con le piccole riserve che ho detto.

Terminerei con due notazioni di carattere naturalistico. Ad un certo punto si parla del “Dodo bianco”, come possibile specie endemica dell’isola, parente del Dodo delle Mauritius. Ora il secondo è certamente dimostrato aver abitato l’isola, il primo, probabilmente, era un parente ma non un vero e proprio Dodo. Ricordo, di passaggio, che il nome all’animale venne dato dai primi scopritori dell’isola come storpiatura del termine portoghese “doudo” che significa “inetto”, in quanto, pur uccello, il Dodo non volava.

Infine, l’operazione poliziesca che la polizia (ma non Aja) inscena per catturare Martial viene chiamata “Operazione Papangue”, senza spiegarne il nome. Sarebbe stato facile invece chiamarla con la traduzione italiana del termine avicolo francese, in quanto l’autoctono Papangue non è altro che l’Albanella. Allora, forse, meglio “Operazione Albanella” con una nota a piè di pagina.

Dolores Redondo “Inciso nelle ossa” TEA euro 12

[A: 28/09/2019 – I: 26/12/2023 – T: 28/12/2023] - && +    

[tit. or.: Legado en los huesos; ling. or.: spagnolo; pagine: 475; anno 2013]

Meno di un anno dopo la scrittura del romanzo che le ha dato fama, la scrittrice basca Dolores Redondo mette in uscita il secondo episodio di quella che, con il terzo libro uscito l’anno seguente, è conosciuta in Spagna come la “trilogia di Baztán”, dal nome della regione montuosa della provincia di Navarra, strettamente confinante con la Francia.

Il nome deriva appunto dal luogo, e dalle sue mitologie, ma poteva anche chiamarsi la “trilogia di Amaia Salazar”, dal nome dell’ispettore capo protagonista dei romanzi. Circa quattro anni fa avevo letto il primo libro, e spero di far passare meno anni per leggere il libro conclusivo.

A parte alcuni personaggi di contorno, il centro della scena, oltre ad Amaia, è preso dalle sue sorelle, Ros e Flora, dalla zia Engrasi, e dal marito James, un artista americano di cui Amaia si è innamorata ed ha sposato nel primo libro, nonché, nell’intervallo tra i due, fatto un figlio che, all’inizio del volume viene alla luce. Dalle ecografie sembrava una bambina, invece è un bel maschietto cui viene dato il nome di Ibai (fiume in basco).

Amaia è un poliziotto capace, di buona carriera, con buoni successi investigativi alle spalle, ma è anche una donna, che si innamora di James, avendo con lui una relazione di forte complementarità. Ed è anche piacente come vedremo (lo accenno ma non ha importanza qui) quando compare sulla scena il bel giudice Xabier Markina. Infine, è anche una figlia, che non ha ancora risolto il suo rapporto con la madre Rosario. Abbiamo infatti visto nel primo libro i suoi sogni ricorrenti di Rosario che tenta di ucciderla (e qui ne scopriremo nuovi episodi), sogni tra la finzione ed il reale, tanto che la madre viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico.

L’altro elemento centrale in tutta la saga è la mitologia basca. Una mitologia in cui tutte le divinità si trovano nella terra e non in cielo, governata da una donna, la dea Mari, e dove le creature maschili servono a farle un contorno di paure e di difesa. Non vediamo, fino ad ora, Mari in prima persona, ma nel primo libro c’era il Basajaun, una divinità maschile in parte anche buona, che deve difendere la natura, e per far questo può diventare cattivissimo. Qui, fin dalle prime battute incontriamo cenni e rimandi a Tarttalo (spesso indicato anche con Tarta), un ciclope monocolo simile a Polifemo, cattivissimo e dedito al cannibalismo, soprattutto verso i giovani. Motivo per cui, per rabbonirlo, gli si fanno offerte, anche umane, in termini femminili.

Che c’entra tutto ciò con il nostro romanzo? È che fin dall’inizio ci sono misteriosi suicidi di persone che hanno trattato male o ucciso donne giovani, fidanzate, ragazza in età da marito, ma anche adolescenti. Suicidi inspiegabili, dove, prima della fine, il morituro scrive in qualche modo la parola “Tarttalo”. Amaia viene coinvolta nelle indagini, anche per altri accadimenti poco inerenti la trama principale. Quello che vediamo è la sua ricerca di un elemento comune, oltre al fatto che i suicidi, poco prima dell’ultima mossa, in qualche maniera cercano di coinvolgerla, di chiamarla, quasi a voler indicare un elemento di vicinanza.

Elemento che convergerà sulla figura della madre. Amaia non ha mai risolto i suoi problemi con Rosario, ma queste casualità la spingono ad indagare sul passato familiare, scoprendo così di aver avuto una sorella gemella, vittima sacrificale di quelle morti nella culla di cui abbiamo letto già in alcuni romanzi di Simonetta Agnello Hornby. Cercando di stanare la madre su questo terreno, scopre che non solo è fuggita dall’ospedale psichiatrico, ma che lo psicologo della madre era anche in contatto con molti (o forse tutti) i suicidi.

Arriveremo alle scene finali con un po’ di fiato sospeso, visto che viene anche rapito Ibai. Ma lo spirito investigativo di Amaia e la sua convinzione di essere sempre dalla parte giusta, porterà allo scioglimento della trama. Con alcuni ovvi punti in sospensione, visto che ci sarà il terzo e conclusivo episodio, che dovrebbe chiudere tutte le porte.

Seppur molto intrigante nelle parti riguardanti il folclore vasco-narravino, il libro risulta un po’ fragile nella parte investigativa. Certo, di interesse l’intreccio con le vicende personali della famiglia Salazar (non ultima e non dimenticabile la figura della zia Engrasi). Tuttavia mi aspettavo qualcosa di più dalla scrittura e dalla trama. Vedremo prima o poi di tirarne le file dopo la fine della serie.

“Quando uno decide di amare una persona al punto di rinunciare a chiunque altro, non diventa cieco e neppure invisibile, continua a vedere ed essere visto. Non c’è nessun merito a essere fedeli quando quello che vediamo non ci tenta o quando nessuno ci guarda. Il vero banco di prova è quando si presenta una persona di cui ci potremmo innamorare … una persona che fa per noi, che ci piace e che ci attira. Una persona che sarebbe perfetta se non avessimo già scelto un’altra persona perfetta. Questa è la fedeltà.” (275)

Continuiamo anche la chiusa senza inglesi, con alcune frasi tratte da “Marina” di Carlos Ruiz Zafon. Forse un po’ estreme ma realistiche: “La verità non si trova, è lei che trova noi.” (132); “Chi non sa dove è diretto non arriva da nessuna parte” (152); “Il nostro corpo comincia a morire nel preciso istante in cui nasciamo” (248).

E con una frase da un libro del francese Christian Jacq che abbiamo apprezzato in passato per i libri su Ramsete II, ultimamente per la biografia di Hatshepsut, ma che era di buona lettura anche in un giallo archeologico, “Le procès de la momie”, dove troviamo questa bella sentenza: “Ciascuno può essere felice, se vuole; poiché la felicità dipende certamente da noi. L'uomo che si accontenta di ciò che la sorte gli dà è felice, soprattutto se è bene persuaso che quello è tutto ciò che potrà ottenere.” (277)

Per il resto sapete bene che è un febbraio di quiete e di attenzione, in preparazione di una, si spera, più rigogliosa e produttiva primavera. E cercheremo di mettere in cantiere più viaggi possibili, che è sempre una buona soluzione. A parte il fatto di dedicarvi un abbraccio.

Nessun commento:

Posta un commento