domenica 7 aprile 2024

Lontano dall'Inghilterra - 07 aprile 2024

Beh, forse non tanto, tanto lontano, ma una trama senza autori inglesi, e tutti con una media decisamente sul sufficiente pieno. Abbiamo uno degli ultimi Markaris (Grecia, per la gioia del mio amico ellenofono), due avventure di Anne Holt (Norvegia, visto che siamo da poco tornati dalle Lofoten), un “vecchio”, e capirete perché, Aspe (Belgio, in ricordo dei miei anni bruxellesi) ed il primo di Mukherjee (India con qualche riserva, anche se l’unico scritto in inglese).

Sono molto stringato che sto facendo altro in questi giorni, ma si recupererà.

Petros Markaris “L’università del crimine” Repubblica Emozione Noir 9 euro 7,90

[A: 23/09/2019 – I: 25/10/2023 – T: 27/10/2023] - &&& 

[tit. or.: Σεμινάρια Φονικής Γραφής; ling. or.: greco; pagine: 315; anno 2018]

Sono già trascorsi due anni dall’ultima lettura dei libri di Markaris, che avevo anche bisogno di prendere un po’ di spazio dall’autore dove il suo commissario stava cominciando ad essere troppo involuto e legato, certo con interesse, alle vicende politiche greche. Però forse, anche un po’ troppo internamente legato, che le vicende stesse, nell’ultimo decennio, sono state discretamente complicate e non sempre a me chiare.

Ma Markaris è sempre piacevole da leggere e Kostas un commissario che piace accompagnare nelle sue avventure. Anche qui, al solito, con uno stretto legame, ma anche con andamenti asincroni, tra vita pubblica e vita privata.

Kostas vive tranquillamente il progredire del tempo e del lavoro, concedendosi una vacanza in Epiro (quella zona della Grecia prospicente l’isola di Corfù) con la moglie Adriana, dove incontra e fa amicizia con tre signore, più o meno coetanee, più o meno pensionate. Inoltre, sul lato familiare la figlia Caterina annuncia la prossima nascita di un nipote, che Adriana già attende con gioia e che Kostas paventa per l’allontanamento fisico della figlia e la mancanza (ad ora) di un definitivo vincolo matrimoniale.

Sul primo fronte pubblico, c’è una piccola grande rivoluzione in ufficio. Il suo capo, Ghikas, decide di andare in pensione (e noi ricordiamo le tante battaglie tra lui e Kostas), e, per anzianità e pro tempore, è proprio Kostas ad essere nominato reggente al posto di Ghikas. Un incarico già normalmente non facile, ovviamente che si aggrava subito in seguito agli avvenimenti che, contemporaneamente, si sviluppano con una serie di omicidi.

Il bersaglio che Markaris cerca di colpire questa volta è assai alto. I morti sono tutti legati sia al mondo accademico sia alla politica. Il primo è un Ministro in carica, professore di filosofia, noto per la sua bulimia, ucciso con una torta al veleno. Il secondo è un Viceministro, nonché esperto di poesia ionica, noto per la sua sportività, ucciso con una spranga ed un coltello durante uno jogging mattutino. Il terzo ex Ministro e professore di Economia, noto per la rete di clientele che aveva messo in piedi, ucciso con una iniezione di non so quale acido, in macchina durante un colloquio, pare, con persone di sicuro sospette.

La particolarità, che ben presto verrà alla luce a valle di rivendicazioni degli omicidi, è che i morti incarnano uno stretto rapporto tra carriera accademica e carriera politica. I primi due ex-professori che hanno intrapreso la carriera politica, l’ultimo uno che aveva chiuso il cerchio, passando dall’Università alla politica e viceversa. Quasi a significare, come parrebbero indicare le rivendicazioni, un malessere di un particolare strato di persone a questo passaggio. Tra l’altro tornerò sopra le rivendicazioni stesse.

Kostas si interroga passando al vaglio tutte le possibili strade: terrorismo, anarchici che vogliono crea confusione, studenti arrabbiati, intellettuali che non vedono di buon occhio questo commercio di poltrone, ex-studenti e/o ex-professori e/o pensionati legati ad un certo modo di intendere l’insegnamento e la politica.

Approfittando nel nuovo ruolo, usando al meglio i collaboratori e financo la sua mente fina, Kostas riuscirà ad unire i punti scarsi del dilemma, ricomponendo un quadro che dà giustizia a tutta la cosmogonia che Markaris gli ha costruito intorno. Peccato che, mentre il dibattito sul ruolo degli studiosi, degli intellettuali e dei politici ha un qualche interesse (e non solo per la Grecia), la scelta della soluzione è risibile e poco credibile. Non dico che non possa essere giusta, ma indebolisce tutto il cartello politico che Markaris aveva costruito intorno al problema.

Interessante, comunque, la scelta che Markaris, da studioso qual è, fa dei riferimenti contenuti nelle rivendicazioni. Ognuno mette in contrapposizione la bassa caratura dell’ucciso con un qualche luminare che gli avrebbe dovuto dare l’esempio. Il bello della mia ricerca è che questi riferimenti (assolutamente ignoti per i non greci, e forse anche per alcuni di loro) sono personaggi esistiti e ben referenziati.

Il primo fa riferimento a Ioannis Theodorakopoulos (Laconia, 28 febbraio 1900 Atene, 20 febbraio 1981) filosofo greco per alcuni mesi Ministro dell'Istruzione e degli affari religiosi. Il secondo a Georgios Theodorou Zoras (Pyrgos, 1908 – Atene, 13 giugno 1982) filologo di rango, che non fu ministro, ma si laureò negli anni ’30 in Italia con il nome di Giorgio Zoras; Markaris ne fa una parodia, descrivendo il periodo italiano del morto e la sua affiliazione a Lotta Continua. Il terzo a Xenofōn Zolōtas (Atene, 26 marzo 1904 – 11 giugno 2004) economista greco di grande spicco, presidente anche della Banca di Grecia.

Le rivendicazioni mettevano in contrasto la povertà intellettuale degli uccisi al cospetto di questi, omologhi nelle attività, ma di ben diversa caratura.

La scrittura di Markaris rimane sempre gradevole, con i suoi gustosi inserti sia della cucina della moglie Adriana che delle divagazioni sul grande dizionario della lingua greca. Come detto la storia porta in basso il giudizio del libro, che si risolleva a poco sopra la sufficienza per l’invenzione dei riferimenti rivendicativi.

“Gli studiosi … vivono nelle biblioteche, studiano e producono lavoro scientifico. Gli intellettuali sono specialisti in generalizzazioni e, soprattutto, sono convinti di possedere un sapere esteso a tutto lo scibile umano. Gli studiosi hanno conoscenze; gli intellettuali hanno opinioni che amano esprimere in ogni occasione.” (188)

Anne Holt “Nella tana dei lupi” Repubblica Essenza Noir 11 euro 8,90

[A: 04/09/2022 – I: 28/10/2023 – T: 31/10/2023] - &&& --- 

[tit. or.: Løvens Gap; ling. or.: norvegese; pagine: 442; anno 1997]

Hanne Wilhelmsen04

Con i soliti due anni di gap, riprendiamo le letture di una delle prime autrici di gialli non anglofone (né italiane) che riempiono la mia libreria. Ed è un ritorno importante in quanto serve a colmare metà di un vuoto che, purtroppo, rimane ancora nella mia biblioteca. Infatti, delle avventure di Hanne scritte da Anne avevo saltato i capitoli 4 e 5, così che con questo recupero il quarto, rimanendo in sospeso il solo quinto.

Una lettura filologica quindi, o meglio, anche. Unita ad un qualche elemento di contorno che meglio precisa la scrittrice ed i suoi personaggi. Ma andiamo con ordine.

Intanto, ricordiamo alcuni fatti essenziali di Anne: è stata avvocato e giornalista, dall’ottobre ’96 al febbraio ’97 è stata Ministro della Giustizia, nelle file del partito laburista. Carica da cui si dimise appunto nel febbraio per ragioni di salute, tornando a dedicarsi alla carriera di scrittrice che aveva intrapresa nel 1993. Ha però nuove idee per lo sviluppo della serie di romanzi incentrati su Hanne Wilhelmsen, per cui in questo quarto episodio (e poi nel sesto) si fa aiutare da una grande avvocatessa (si dirà così?) norvegese, Berit Reiss-Andersen, che però (perché?) non compare quasi mai sulle copertine (anche qui è menzionata solo all’interno).

Il pur breve passaggio nelle altre sfere della politica le lascia però qualche segno e qualche spina da togliere dalla sua coscienza. Non è quindi un caso che tutto questo libro, nato subito dopo quell’esperienza, si non solo tutto svolto all’interno di una compagine ministeriale, ma, volendo leggerne trasversalmente alcuni strali, non sia esente da critiche all’arrivismo della politica, alla sua cecità verso i bisogni della gente (unito anche all’arrivismo dei giornalisti, alle complicazioni burocratiche della giustizia, all’ottusità della polizia, o di alcuni suoi esponenti).

Contestualizziamo allora, anche i personaggi oltre che la vicenda. Il personaggio principale, Hanne, compare solo verso la metà del libro, essendo prima in congedo in America insieme alla sua compagna Cecilie. Tuttavia, da quando compare, pur lavorando nell’ombra, darà un contributo fondamentale alla comprensione della vicenda. Per lunghi tratti, la punta di diamante delle indagini è sostenuta da Billy T., il poliziotto rude e macho, che non è ancora entrato in antipatia all’autrice. Macho che non aspetta altro che di andare a letto con tutte le donne possibili, lui rude, calvo, alto due metri e sempre senza paracadute (tanto che ha già quattro figli da quattro donne diverse, e vi anticipo che verso gli ultimi volumi, i figli arriveranno a sei).

Sono però i personaggi non seriali quelli che prendono la scena, che coinvolge due filoni (o tre) di indagine, molto legati al pubblico ed al privato norvegese. Tutto nasce quando viene trovata morta, nello studio presidenziale, il primo ministro Brigitte Volter (su cui faremo poi un accenno). Nessuno sembra aver avuto l’occasione di entrare, data la presenza della segretaria, nonché di guardie giurate della sicurezza. Solo il giudice Benjamin Grinde ha visitato Brigitte, ma è uscito ben prima dell’ora della morte. Grinde che è a capo di una commissione che indaga sulle morti sospette di 900 bambini avvenuta 32 anni prima, nel 1965, a seguito della somministrazione di un vaccino trivalente (almeno così sembra).

Le cose si complicano quando, man mano che avanza il racconto, veniamo a sapere che: Benjamin e Brigitte si conoscevano fin da ragazzi, con Benjamin padrino della figlia di Brigitte e Roy, nata nel ’65 e morta per quel vaccino. C’è Ruth, il ministro della Sanità che un anno prima ha sedotto Roy, e che usa tutte le sue armi per avere potere, con il risultato di scoprire il fianco a palesi critiche non aiutando la ricerca della verità sui fatti del ’65, anzi fornendo dati alla stampa mettendo in difficoltà il governo. Stampa in particolare rappresentata dalla giornalista Liten Litvik (liten significa piccola mentre lei è un donnone super alto e super obeso), che usa tutte le sue armi ricattatorie per avere notizie di prima mano, anche con personaggi esteri probabilmente implicati nella vicenda del vaccino. Poi c’è un estremista di destra che pianifica di uccidere membri del governo, coinvolgendo una delle guardie giurate di cui sopra, ma che, pur volendo uccidere il Primo Ministro, la trova già morta. Ma questo è un filone che, seppur presenta in molta letteratura nordica, qui serve solo come depistaggio. Infine, una settimana dopo Brigitte, viene trovato Benjamin morto, probabilmente suicida.

Hanne, tornata per un mese dal congedo americano (la vicenda si svolge dal 4 al 27 aprile) aiuterà Billy T. a ragionare, insieme ad altri elementi della polizia e dei servizi segreti, arrivando poi ad isolare una serie limitata di possibilità: suicidio, omicidio per motivi personali, omicidio legato alla vicenda vaccini, omicidio legato al terrorismo di destra.

Pur nel solito finale un po’ veloce, e sempre con qualche passaggio che non mi chiarisce tutti gli elementi, Hanne fornirà ai suoi capi la soluzione.

Pur se leggermente datato, è un libro interessante, in particolare per tutti gli strali che Anne lancia al mondo pubblico svedese: arrivismo, arroganza, menefreghismo, uso del sesso per fare carriera. Tutti elementi che lì fanno scandalo, ma che da noi sono stati berlusconianamente accettati. Per fortuna io continuo ad indignarmi, ed a gradire chi si indigna con me.

Due appunti. Uno riguarda quanto dicevo prima, dello stretto legame tra fiction e realtà. Brigitte prende il suo posto per le dimissioni di Gro Harlem Brundtland, che non è un personaggio inventato, ma che realmente era il capo del Governo prima che venisse nominato Thorbjørn Jagland. Infine, il titolo originale parla della tana del leone, che comunque è abbastanza ben reso nel cambio tra leone e lupo.

Comunque, torneremo nel futuro a riparlare di Anne e Hanne.

Anne Holt “La condanna” Repubblica Emozione Noir 8 euro 7,90

[A: 16/09/2022 – I: 16/11/2023 – T: 18/11/2023] - && e ½   

[tit. or.: In støv og aske; ling. or.: norvegese; pagine: 412; anno 2016]

Hanne Wilhelmsen10

Dopo che il mese scorso abbiamo riempito un buco del passato delle storie di Hanne, ora ne riprendiamo il filo delle avventure in ordine di tempo, ricollegandoci a quanto letto in un tempo ormai lontano. Dato che acqua è scorsa sotto i ponti, dobbiamo riaggiornarci un po’ su quanto è avvenuto nel mentre.

Per qualche motivo, forse nel quinto e non letto episodio, sappiamo che Cecilie è morta, e che Hanne ha fatto un lungo percorso per tornare alla vita normale. Vita in cui si incontra con una profuga turca, Nefis, che viene a vivere con lei, mentre continuano le liti, ma anche gli aiuti, con il poliziotto macho Billy T. Poi, durante una spinosa indagine, quando ormai vive con Nefis, viene colpita dal colpevole di un pluriomicidio e rimane paralizzata. In una successiva indagine, passati ormai anni, in un rifugio di montagna dove, pur sulla sedia a rotelle risolve un altro caso, conosce una giornalista, Tori, fortemente radicalizzata contro l’immigrazione araba, legale o illegale che sia. Arrivati ormai quasi alla contemporaneità, con Ida (la figlia di Hanne e Nefis) ormai tredicenne, si continua sul filone “politico” (in fondo, Holt è pur sempre stata anche Ministro della Giustizia) per risolvere un complesso caso di finti attentati islamici, in cui è coinvolto il figlio di Billy T (che da qui, esce di scena), ed una blogger che, smascherata da Hanne ed il suo nuovo aiutante Henrik, pare sia la miccia che accese la cenere terroristica.

Ciò detto, entriamo nella nuova puntata delle avventure della nostra poliziotta, con due filoni di pensieri e di indagini, che poi diventano tre, e che forse potrebbero essere uno. D’altronde, Anne Holt ha molta immaginazione e scrive molte pagine. Il tutto con alla ribalta praticamente solo Hanne ed il compulsivo Henrik, sempre più brillante, anche se maniacale da far paura e completamente sottomesso ai desiderata di Hanne.

Un filone riguarda la morte di tal Anna Abrahamsen, avvenuta dodici anni prima, di cui fu incolpato il marito Jonas. I due erano in rotta da due anni, dopo la morte in un incidente della loro figlia Dina, cui avevano reagito in modo opposto. Lei buttandosi nel lavoro, lui nello sconforto e nel pedinamento, senza senso apparente, di una ragazzina. Un poliziotto, andando in pensione, convince Henrik ad indagare meglio su quella morte.

L’altro riguarda il suicidio di Iselin Havørn, la blogger di cui sopra della precedente puntata. Suicidio assai strano per le modalità e la personalità di Iselin, nonché per il modo in cui Maria, sua moglie reagisce alla morte stessa. Mentre tutti sono portati a chiudere in fretta l’episodio, Hanne, proprio per i motivi di cui sopra, comincia ad avere sospetti.

Abbiamo così i nostri due investigatori fuori rango (Hanne ormai è una consulente esterna e Henrik un poliziotto emarginato, pur se capace) che si trovano ad indagare alle due morti, dove Hanne vede un omicidio dove tutti vedono un suicidio e Henrik vede un suicidio dove tutti vedono un omicidio.

Intanto, Jonas ha fatto dodici anni di carcere ed è tornato in libertà, e riprende a seguire quella che ormai è una donna ed ha una figlia dell’età di Dina quando morì.

Il tutto si complica con la comparsa di Tori, quella giornalista estremista presente due episodi fa, che di sicuro conosceva Maria e Iselin e forse aveva una relazione clandestina con Iselin. Poi scopriamo dei legami insospettati sia tra il padre della stalkizzata e Jonas, nonché tra Maria e Anna. Insomma, la nostra scrittrice riesce a portare avanti un mix di indagini ben fatte condite con casualità insospettate.

Tutto alla fine torna, Hanne ed Henrik risolvono i loro casi, anche se non sempre nella direzione che si aspettavano. Soprattutto, la pecca della nostra brava scrittrice è di affettare la conclusione in poche pagine, come se questa fosse un elemento marginale, mentre invece serve, ai giallisti più esperti per dare una concordanza a quanto scritto in tutto il resto del libro.

Finisce anche il processo agli estremisti della puntata precedente, e termina con una pesante condanna ai responsabili. Qui si apre il mio solito accanimento verso i titolatori italiani. Che, prendendo spunto dalle condanne presenti nel romanzo, di quello si intestardiscono e ne fanno il marchio del libro.

Certo, gli estremisti sono condannati, Jonas subisce una condanna forse ingiusta, molti personaggi vivono le loro esperienze di vita come condanne per chissà cosa. Ma la scrittrice era stata più sottile nello scegliere il titolo. Che in norvegese significa “nella polvere e nella cenere”. Ed è un verso del libro di Giobbe (42, 6) dove il povero Giobbe capisce il disegno divino e lo accetta. Un titolo molto in linea con il romanzo. Anche perché si collega ad una lettera, importante nell’economia del testo, dove, nelle prime frasi si riportano le seguenti parole “prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte”, che anch’esse sono prese dal libro di Giobbe (10, 21).

Nel complesso, tuttavia, pur rimanendo un estimatore di Anne Holt, anche questo libro si colloca su di una sufficienza senza esaltazione. La scrittura c’è, un po’ di tramone intricate pure, ma c’è troppa continuità con gli altri libri, e molte sfumature non sono colte se non nella lettura integrale dei testi. Vedremo se uscirà una nuova puntata.

Abir Mukherjee “L’uomo di Calcutta” Repubblica Emozione Noir euro 7,90

[A: 23/09/2019 – I: 04/12/2023 – T: 06/12/2023] - &&&  

[tit. or.: A Rising Man; ling. or.: inglese; pagine: 410; anno 2016]

Un ottimo inizio di lettura per una serie che pensavo si fermasse a tre volumi, ma che, invece, è già arrivata al quinto. Scritta da un indiano di Calcutta che a Calcutta non ha mai vissuto, essendo i genitori emigrati a Londra prima della sua nascita. Sempre comunque immerso nella cultura di provenienza, Abir, verso i quarant’anni decide due cose: scrivere, che è sempre stata la sua passione, anche se, per vivere faceva il contabile, ed approfondire le tematiche legate al periodo coloniale e post-coloniale indiano.

Concepisce così le storie legate al capitano della Guardia Imperiale Sam Wyndham, che accetta un posto nel corpo di polizia inglese di Calcutta, volendo lasciare la patria ed i suoi brutti ricordi (ha perso la moglie per l’influenza spagnola del 1919). Corpo di polizia dove troverà un sodale e solerte alleato nel sergente indiano Surendranath Banerjee, il cui difficile nome è storpiato dai loro sodali in “Surrender-not”, con un gioco di parole non traducibile in italiano, visto che il soprannome significa “Non arrendersi”.

Nascono così le avventure e le storie di Wynham e Banerjee, un thriller storico che parte proprio dal 1919 e da questo primo volume. Sul quale farei subito un appunto sul fatto che non capisco il motivo di modificare il titolo dall’originale “Un uomo in carriera”, ad uno specifico (l’uomo) qualificato poi con la città in cui si svolge l’azione (di Calcutta). È sempre un mio pallino e qualcuno, spero, prima o poi, mi farà partecipe dei motivi di tali scelte.

Dicevo, un thriller storico perché ben intreccia la vicenda al contorno con il momento e gli avvenimenti del periodo. Così, mentre andiamo con il capitano a conoscere le mille sfaccettature di Calcutta (che rimane sempre una città affascinante), accadono cose che avranno di certo un segno sullo sviluppo dell’India, di una coscienza indiana e dei rapporti tra indiani e britannici.

Intanto Calcutta è sempre stata una città pronta alla rivolta, punto di convergenza di molti dissapori, tant’è che pochi anni prima Giorgio V spostò la capitale a Delhi, lasciando di stanza a Calcutta il governatorato del Bengala e la relativa corte. Non solo, la vicenda narrata si svolge nell’aprile del 1919, esattamente in coincidenza con quelle che venne chiamato il “massacro di Amristar”, dove le truppe britanniche spararono su cittadini inermi rei solo di un assembramento numeroso, provocando quasi 400 morti. Ed instaurando un clima di tensione e di focolai di rivolta in tutta l’India.

In questo contesto, appena arrivato a Calcutta, il nostro capitano viene coinvolto nelle indagini sulla morte di un facoltoso inglese, MacAuley, con in bocca un biglietto di rivendicazione in bengalese. Ovvio che Sam ed il suo aiutante, pur spinti subito ad indagare si trovano di fronte a molte difficoltà, interne ed esterne.

Interne che il vicecapitano Digby si sente scavalcato da Sam e mette i bastoni tra le ruote, anche pesantemente. Esterne, che l’entourage del governatore vuole chiudere in fretta la faccenda, incolpando un presunto terrorista, Sen, cercando di condannarlo alla pena capitale anche senza prove. Il collegamento tra la morte e le rivolte è dato dal fatto che una banda di rivoltosi assalta un treno che doveva trasportare armi, ma che era quello sbagliato in quanto la morte di MacAuley aveva fermato tutti i convogli in partenza da Calcutta.

Il nostro autore a questo punto cerca di aumentare l’entropia del racconto. Introducendo altri fatti storici, come il collegamento di Sen con Jatindranath Mukherjee, detto “Tigre Jatin”, un terrorista che aveva svolto molti attacchi contro gli inglesi, finendo ucciso alcuni anni prima. Peccato che Sen, allora seguace di Tigre, in carcere si sia convertito al movimento non-violento di Gandhi. Questo dà modo ad Abir di disquisire sui movimenti rivoluzionari indiani, ma anche con alcune interessanti pagine sulla non-violenza.

Non contento dell’entropia introdotta, Abir aggiunge un presumibile irredentista irlandese che potrebbe fornire di armi i ribelli, una prostituta che, forse incinta di qualche inglese, muore in modo violento, nonché la segretaria della vittima, Annie Green, che sa molto ma che in particolare sembra attratta da Sam. Vedremo.

Insomma si tratta di capire quanto ci sia di rivoluzionario nella morte di MacAuley e quanto di personale e privato, o altro di analogo. Il solito finale un po’ troppo veloce porta alla risoluzione dei problemi, dandoci appuntamento al secondo episodio.

Una prima lettura interessante, condita dal giusto risentimento verso il razzismo inglese e la stigmatizzazione di tutti i comportamenti poco consoni a qualsiasi etica. Piace, a me che è rimasta negli occhi, la descrizione del mondo di Kolkata, come adesso si chiama la città.

Cito un’ultima perla nella descrizione dell’Università di Calcutta, giustamente citata come la prima del mondo asiatico (fondata nel 1857). Non viene però detto come, al tempo degli avvenimenti, già due ex-studenti della stessa avessero già ricevuto un premio Nobel: Ronald Ross in medicina nel 1902 e soprattutto Rabindranath Tagore in letteratura nel 1913, essendo anche il primo non europeo ad ottenere il premio.

Pieter Aspe “Il caso Dreyse” Repubblica Emozione Noir 36 euro 7,90

[A: 10/02/2020 – I: 08/02/2024 – T: 09/02/2024] - &&&

[tit. or.: Het Dreyse-incident; ling. or.: nederlandese; pagine: 283; anno 1999]

Una votazione leggermente superiore alla effettiva lettura in quanto credo sia l’ultimo libro di Pieter Aspe che entrerà nella mia biblioteca. Sia perché Aspe non ha mai avuto un grosso successo in Italia, e quindi difficilmente verranno pubblicati tutti e 40 i volumi che costituiscono il corpo delle inchieste del commissario Van In, sia perché tre anni fa, Aspe è mancato che non aveva ancora compiuto settanta anni.

Io ne avevo letto il primo libro una quindicina di anni fa, in una delle mie ultime uscite bruxellesi, e saltabeccando qua e là per i primi volumi. Qui, anche se in ritardo, copro il buco apertosi otto anni fa con la lettura del quarto e del sesto volume. Dove questo è per l’appunto il quinto. Non mi risulta che ne siano usciti altri in Italia. E d’altra parte, anche in Francia non ha avuto lo spazio che meritava.

Non è che siano capolavori nascosti (niente a che vedere con le perle di Colin Dexter), ma sono libri di media resa, e soprattutto espressione di lingua fiamminga come pochi ce ne sono nel comparto poliziesco. Perché, anche se belga, non è appunto francofono alla Simenon. Tuttavia riesce a ben rappresentare l’altra metà del Belgio, con queste storie che si snocciolano a Bruges (una città adorabile) e dintorni.

Poiché non credo che avrò occasione di tornare su Aspe, vorrei citare il protagonista della serie ed i due co-protagonisti. Il fulcro è il commissario Pieter Van In (che nel primo libro è vice, poi viene promosso). È un orso, odia tutte le diavolerie moderne, ma ha uno strano fascino che attrae le donne. In primo luogo, e nel primo libri, il magistrato Hannelore Martens (uno dei co-protagonisti). Nello stesso libro i due si mettono insieme, nel quinto libro Hannelore è incinta di due gemelli, nel quattordicesimo si sposano e nel libro venticinque hanno un terzo figlio. Nel frattempo Hannelore diventa giudice istruttore. La loro è una forte relazione complementare, ed i loro scontri consentono di andare a fondo nelle trame e trovarne soluzione.

Per finire con Van In è un fumatore accanito ed un amante della birra Duvel. Aspe si rispecchia abbastanza nel commissario, almeno nei tratti esterni, tanto che nell’ultimo libro Van In scopre di avere un cancro e di cominciare a soffrire di Alzheimer.

Il terzo personaggio fisso è Guido Versavel, il sergente ed alter-ego di Van In. È gay dichiarato, seguiamo nel corso del tempo le sue tre relazioni quasi fissi. Ha un paio di baffi molto “alla belga”, maniaco del fitness e della cultura, con cui spesso fa a gare con il pur colto Van In, vincendo sempre.

In questa storia il fulcro è un furto di pistole della marca del titolo, le Dreyse, pistole semiautomatiche tedesche. Un furto che però nascondeva altro. Le pistole erano di un faccendiere super-ricco, Patrick, ma nella scatola era nascosto un dischetto da computer (ricordo che siamo nel 1999) con tutte le attività illecite che Patrick ha portato avanti per il russo Sevrov, mafioso e cattivo.

C’è la moglie di Patrick che potrebbe aver avuto un ruolo, in quanto anche amante di uno scrittore di successo e di grande gelosia. Che riversa sia su Patrick che su Wille, un ricettatore di armi. C’è la Finanza che, tramite tal Van Rick, indaga sugli affari dei due. C’è Joyce, amante di un ministro ma anche escort di Sevrov, che mescola molte carte sul tavolo.

La trama non è proprio lineare, e noi seguiamo, anche e soprattutto i nostri, tesi alla ricerca di un bandolo, che rischia anche di mettere in pericolo la vita di Hannelore. Pieter avrà l’intuizione giusta ed un finale con qualche sorpresa permetterà di ricapitolare tutta la vicenda e di capirci qualcosa in più.

Aspe è ben attento alla città ed ai suoi risvolti, ma anche alla vita politica del suo paese, non lesinando grossi strali alla classe politica. Peccato, appunto, che non abbia avuto un grande successo in Italia. Personalmente poi sono stato molto colpito dalla sua morte (01/05/2021) per un tumore ai polmoni, preceduto da molti problemi cardiaci.

Finisco con un piccolo appunto per i traduttori. Ci sono alcuni punti ironici, alcune battute che servono un po’ anche a caratterizzare il “personaggio Van In”. Tuttavia se non vengono spiegate se ne legge e poco si capisce. Tanto per fare un esempio, all’inizio Van In e Versavel cercano la casa di un presunto omicidio, casa che si trova in Doolhofweg. Versavel fa un battuta sul nome come presagio e Van In risponde che il suo sottoposto allora dovrebbe abitare in Hengstenstraat. Sarebbe stato utile mettere in nota che Doolhofweg significa “Strada del Labirinto” (per questo non trovano la casa) e Hengstenstraat significa “Via degli Stalloni” (dove Van In prende in giro il suo amico gay). Non è che sarebbe costato molto due righe di spiegazione.

Al solito inizio del mese non ci facciamo mancare le letture precedenti, questa volta dedicate al mese di gennaio. Un inizio di anno decisamente buono, dove svetta su tutti Paul Auster con il suo “Baumgartner”, seguito a cortissima distanza dall’ultimo McCarthy e dal primo dell’argentino Ricardo Piglia. Ma anche gli altri sono tutti di un buon livello, senza nessuna caduta abissale.

 

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Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Diego Collaveri

L'odore salmastro dei Fossi

Corriere Gazzetta

7,99

2

2

Denis Johnson

Jesus’ Son

Corriere Americana

8,90

2

3

Giuseppina Torregrossa

Morte accidentale di un amministratore di condominio

Repubblica Essenza Noir

8,90

3

4

Philip Roth

L’animale morente

Corriere Americana

8,90

2

5

Claudia Piñeiro

Elena lo sa

Repubblica Profondo Noir

8,90

3,5

6

Juan Carlos Onetti

Il cantiere

Repubblica Latino-americana

9,90

2

7

Annamaria Fassio

I volti del mistero

Mondadori

5,90

2,5

8

Jun’ichirō Tanizaki

Racconti del crimine. Volume II

Capolavori Giapponesi

8,90

2

9

Paul Auster

Baumgartner

Einaudi

s.p.

4

10

Giuseppina Torregrossa

Chiedi al portiere

Marsilio

s.p.

2,5

11

Georges Simenon

La casa sul canale

Repubblica

9,90

2,5

12

Ricardo Piglia

Respirazione artificiale

Repubblica Latino-americana

9,90

4

13

Julian Barnes

Elizabeth Finch

Einaudi

s.p.

3,5

14

Maurizio De Giovanni

Soledad

Einaudi

s.p.

3

15

Kathryn Stockett

The Help – L’aiuto

Mondadori

13

3,5

16

Olivier Norek

Tra due mondi

Corriere Profondo Nero

7,90

2

17

Barbara Bellomo

Il terzo relitto

TEA

10

3

18

Cormac McCarthy

Il passeggero

Einaudi

s.p.

4

Poiché il tempo passa e le frasi che ricordo nel mio libricino nero aumentano, questa settimana vi ricordo due autori, entrambi non inglesi, ovvio. Il primo è lo spagnolo immaginifico Enrique Vila-Matas, che in un suo pamphlet metaletterario “Storia abbreviata della letteratura portatile” definisce così prima gli scrittori (cosa che io non sono) poi i collezionisti di libri (cui forse mi avvicino un po’).

“Più che artisti, che suona vuoto e pomposo, siamo artigiani, cioè gente che fa cose” (69)

“A Siviglia … diventa collezionista di libri e di passioni, perché sa che la caccia di libri … arricchisce la geografia del piacere, e in ciò trova un’altra ragione per vagabondare per il mondo” (101)

L’altro è il grande pensatore polacco Zygmunt Bauman, che in uno dei suoi tanti testi sulla liquidità, cioè “Vita liquida” così ci descrive:Prima ancora di essere homo sapiens, creatura che pensa, l’uomo è una creatura che spera” (175)

E come creatura che spera, spero sempre di fare tanti e tanti viaggi, di rimettere a posto la schiena (o l’anca o forse qualche altra parte dolente del corpo). Solo l’umore sembra difficile da migliorare, anche se oggi, una bella giornata di sole, si sta di certo meglio che il mese scorso a -13°. Quindi posso inviarvi un caloroso abbraccio.

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