Settimana da giallo italiano, essenzialmente dedicata alle prove “romane” della siciliana Giuseppina Torregrossa (e se ne leggete le citazioni capirete anche di più), con un buon risultato, insieme alle storie piemontesi di Farinetti. Su livelli di buona lettura, ma non molto di più le avventure in quel di Milano del compianto Crapanzano e quelle romagnole del bravo, ma forse meglio in altre scritture, Enrico Franceschini.
Dario
Crapanzano “Il furto della Divina Commedia” Repubblica Brivido Noir 35 euro
8,90
[A: 01/02/2021
– I: 14/11/2023 – T: 16/11/2023] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 157; anno: 2019]
Dispiace
un po’ che questo sia l’ultimo libro scritto da Dario Crapanzano prima di
lasciarci, e dispiace anche che non sia un libro che possa essere ricordato a
lungo. Dell’anziano scrittore avevo letto alcuni romanzi imperniati
sull’ispettore Mario Arrigoni, che, seppur di qualità media, erano ben
strutturati per la parte “gialla”. Qui, purtroppo, questa componente va calando
molto. Rimane solo, ed è per questo che il giudizio non sprofonda, una
ricostruzione della Milano d’epoca degli anni ’50 che è gustosamente da
leggere.
Intanto,
l’autore cambia personaggio principale, introducendo il commissario Fausto
Lorenzi, un più che trentenne di origini friulane, occhio azzurro,
considerevole altezza (giocava ed è appassionato di pallacanestro), un
matrimonio finito alle spalle con figlio di nove anni che vede almeno una volta
a settimana. Inciso: siamo nel ’54, quindi sarà pure separato, ma di sicuro (a
meno che non intervenga la Sacra Rota) non divorziabile. Motivo per cui, anche
se durante questo episodio conosce ed instaura un buon rapporto con la giovane
Rossana, di sicuro non potrà essere un rapporto “normale”. D’altra parte, non
esistendo altri episodi, queste sono solo congetture fini a sé stesse.
Come
dicevo, una trama gialla poco coinvolgente. Viene rubata, all’esperto di libri
antichi nonché preside di un liceo classico, un incunabolo della “Divina
Commedia”, di alto valore economico. Lorenzi, aiutato dall’assistente Tindaro,
poliziotto siciliano di stirpe normanna, indaga sul furto, soprattutto, per
motivi semplici, nell’ambito dello stesso liceo. In particolare, la segretaria
Anna Maria ed un circolo di aitanti professori.
Che
Anna Maria è una bella donna indipendente, segretaria, ma anche pittrice
dilettante, ed animatrice di un piccolo teatro dilettantesco. L’omicidio di
Anna Maria getterebbe la vicenda verso un possibile intreccio di gialla
difficoltà. Invece tutto si svolge con una semplicità disarmante. Un aitante
personaggio gira in una improbabile MG, una spider inglese di lusso. E tutto
viene di nuovo a riferirsi all’interno del liceo. Gelosie, provocazioni
semi-erotiche, separazione tra furto ed omicidio, fino ad un finale veloce
quanto scontato.
Tra
l’altro, seppur vero che apprezziamo il modo disinvolto delle inchieste di
Lorenzi, molto devote ai ragionamenti alla Maigret, l’accumularsi di indizi è
un po’ esterno alla vicenda stessa. Forse, non è proprio il giallo che
interessava Crapanzano, quanto la ricostruzione di una Milano del tempo che fu.
La
parte migliore, infatti, per me è una breve gita per Milano che Fausto e
Rossana fanno per la zona intorno a Piazza Buonarroti. È una zona vicina alla
Fiera Campionaria, ma, all’epoca anche se ora ci sono diversità, era anche
dotata di spunti architettonici interessanti. I due grattacieli gemelli (seppur
non di grande altezza) che introducono la piazza provenendo da via Washington.
La casa di riposo per musicisti Giuseppe Verdi, voluta dal maestro e da lui
sovvenzionata. Al 38 di via Buonarroti, poi, c’era la casa di Maria Callas
(c’era perché è stata abbattuta e solo una targa ne ricorda la vicenda).
Poi,
proseguendo verso viale Ezio, uno degli edifici liberty più interessanti di
Milano. La villa Faccanoni Romeo ora (ma già dal 1949) clinica Columbus. La
villa costruita nel 1913 dall’architetto Sommaruga fu acquistata nel ’19 da
Nicola Romeo, il fondatore della azienda automobilistica Alfa Romeo (inciso:
non tutti sanno che era nata per contrapposizione con la FIAT; infatti,
l’azienda di Torino si chiamava Fabbrica Italiana di Automobili
Torino, mentre quella milanese era Anonima Lombarda Fabbrica
Automobili. Grandi spigolature), ed ornata di sculture discinte
provenienti da Corso Venezia al centro di Milano (tanto da essere chiamata la
“Ca’ de ciapp”, e penso che abbiate capito perché).
L’interessante
e miglior capitolo termina davanti alla fontana delle Quattro Stagioni di
Piazza Giulio Cesare. Fontana inaugurata il 12 aprile del ’27 per
l’inaugurazione della Fiera Campionaria. Ma è ricordata soprattutto per
l’attento al re Vittorio Emanuele III avvenuto l’anno seguente che provocò 20
morti e di cui non fu mai scoperta la matrice.
Ecco,
Crapanzano, sia qui che nelle sue altre opere che ho letto, inserisce sempre un
ricordo, una visita, uno sprazzo dedicato dalla Milano degli anni ’50. Che sono
le cose migliori dei suoi scritti. Anche perché, come le migliori scritture da
romanzo, sono quelle che stimolano ricerche e pensieri. Facendoci ricordare che
anche Milano è una bella città.
Giuseppina Torregrossa “Morte accidentale
di un amministratore di condominio” Repubblica Essenza Noir 31 euro 8,90
[A: 24/01/2023 – I: 02/01/2024 – T: 03/01/2024]
&&&
[titolo: originale; lingua: italiano;
pagine: 152; anno: 2021]
Giuseppina
Torregrossa è autrice di un po’ più di una dozzina di libri (di cui ne ho letti
almeno 2/3), con alcune narrazioni generali (come l’esordio ne “Il conto delle
minne”), per poi virare sul versante giallo-ironico con le avventure di Marò
Pajno (Vice Questore di Palermo e direttrice della squadra anti-femminicidio).
Data comunque la sua frequentazione romana (è stata ginecologa al Policlinico
di Roma per molti anni), decide, con discreto successo, di introdurre un nuovo
personaggio l’ispettore di polizia Mario Fagioli, di stanza al Commissariato di
Monte Mario.
Devo
dire che questa idea, l’invenzione dei personaggi e l’ambientazione, ne fanno
un prodotto, se non eccelso, quanto meno godibile, soprattutto per un romano
doc come me, che ha passato l’infanzia a Monte Mario e la maturità a
Prati-Trionfale. Che, come vedremo, sono dei punti forti dell’intreccio
romanzesco.
Infatti,
pur essendoci (e ne parleremo) una trama gialla, quello che più mi ha colpito e
fatto partecipe all’atmosfera del libro sono i continui rimandi alla mia vita,
ai miei luoghi, con l’aggiunta di alcuni giochi verbali, che non è male
decifrare.
Intanto,
facciamo la conoscenza con Mario Fagioli. Poliziotto di rango, un lungo lavoro
(di successo) come infiltrato nelle mafie calabresi, ma con una spiccata
propensione ad intrecciare relazioni femminili. Che non gli portano bene, visto
che viene scoperto in atteggiamenti poco consoni al ruolo con un’impiegata di
banca nel corso di un appostamento, cosa che gli comporta l’immediato
trasferimento a Roma, mansioni ridotte e quasi un’aspettativa poco sana di
andare presto in pensione (non per la pensione, ma per l’abilità del nostro).
Mario
allora torna ad abitare con la madre, in un condominio di via Pomponazzi. Ed è
lì che lo incontriamo all’inizio del romanzo, rimasto solo per la morte della
madre. E ci gustiamo le scene rionali. Pomponazzi, mitico luogo del
“Collettivo” degli anni ’70 nonché residenza, per alcuni anni, della mia mica
Mariella. Mario che mangia intingoli gustosi di cucina romanesca da Maria a via
Tunisi (primo elemento da traslare, che Maria gestisce una degnissima trattoria
ma a via Santamaura, la parallela di via Tunisi). Infine, comincia ad essere
accudito da Lidia, la verduraia del Mercato Trionfale, come aveva organizzato
la madre. Lidia è un eponimo di alcune banchiste del Mercato, che ben conosco
visto che ho cominciato a frequentarlo nel 1978, e lo faccio tuttora, che entra
di traverso nella vita del nostro, ma che continuerà ad esserci.
Il
solo elemento che non ho pienamente decifrato è il forno di Ponte Milvio dove
Mario compra la sua pizza untissima e buonissima. Potrebbe essere il
Gianfornaio (ma ce n’è uno più vicino a Prati). Oppure un trasferimento
dell’ottima pizza di Bonci in via Trionfale, la migliore di Roma (ma anche la
più cara).
Comunque
il nostro Mario sta bel bello ad aspettare che il tempo passi, nel
Commissariato di Monte Mario (che si trova poco distante dall’Hilton che domina
il monte, e subito dietro la casa di famiglia del mio amico Massimo), quando
viene coinvolto nelle indagini per quella che sembra una routine sulla morte di
un amministratore di condominio. E qui abbiamo l’ultimo colpo d’ironia della
nostra, che l’azione si sposta appunto nel condominio di via Minimi, dove è
facile riconoscere il comprensorio fatto di abitazioni ben frequentate di via
Massimi: notai, generali in pensione, nonché il professore emerito nonché mio
amico Luciano.
Il
morto è appunto l’amministratore, Michele Noci (notate i riferimenti culinari
tra Noci e Fagioli), apparentemente scivolato per le scale. Ma il nostro, che
potrebbe chiuderla lì con una morte accidentale, sente puzza di bruciato, in
particolare dopo aver interrogato le donne del condominio. Donne che, chi come
amica, chi come moglie, chi come amante, ronzavano intorno a Michele.
Così,
tra una pizza unta da solo ed un pranzetto (con strascichi che immaginate)
insieme a Lidia, il nostro ispettore riesce a scardinare i silenzi del
condominio. Ma sarà vera gloria? Si troverà, se c’è, un colpevole? E trovatolo,
potrà essere punito?
Giuseppina
si muove con la consueta ironia tra questi dilemmi, portando per mano noi
lettori ad interrogarci, anche, sull’infinta potenza del potere. Come detto,
lettura gradevole, anche solo per i miei personali rimandi (e quindi per le
citazioni che sotto riporto).
“Talvolta
lo strappavano al torpore … certi intingoli speziati che la sora Maria cucinava
per lui in una trattoria di via Tunisi.” (11)
“L’appartamento,
due camere e una cucina all’ultimo piano di un edificio popolare di via
Pomponazzi, si trovava vicino al Mercato Trionfale.” (37)
Giuseppina Torregrossa “Chiedi al
portiere” Marsilio s.p. (inserito nel regalo di Natale di Mario&Ines)
[A: 25/12/2023 – I: 13/01/2024 – T: 14/01/2024]
&&
[titolo: originale; lingua: italiano;
pagine: 165; anno: 2022]
Inserito
nelle cabale natalizie, questa volta mi capita di leggere subito il secondo
episodio delle storie quasi gialle dell’ispettore Mario Fagioli imbastite dalla
siculo-romana Giuseppina Torregrossa. Da un lato, un bene che non si perde il
filo dei personaggi, dall’altro qualche punto in meno, sia perché, se non si è
letto il primo, si perde un po’ propria la natura dei personaggi, sia perché la
storia in sé è leggermente più debole della precedente.
Abbiamo
sempre il nostro Mario, ma che ora condivide una routine familiare con la bella
Lidia. Ed abbiamo il coinvolgimento del nostro in una serie di indagini cui
entra “obtorto collo”.
Da
un lato c’è l’inchiesta così detta ufficiale, cui è spinto dal commissario, per
indagare i motivi e gli autori di una aggressione ad una diva dei talk show
televisivi, Albina Santalmassi. La quale subisce l’aggressione andando a
trovare la madre che, guarda caso, abita nel famoso condominio di via Minimi di
cui abbiamo notizie dal precedente romanzo. Certo che se non lo hai letto,
capisci poco delle interazioni tra il portiere rumeno, l’ispettore e le signore
del palazzo.
Dall’altro,
c’è l’inchiesta privata, che un’amica di Lidia, Eleonora, è convinta che la
morte della madre non sia dovuta a cause naturali. Anzi, è fortemente convinta
che sia stato il padre, in qualche maniera, a provocarne anzitempo la
dipartita. L’intreccio si intreccia (voluto gioco di parole) con le differenti
vite dei protagonisti, che la madre di Eleonora abitava nel condominio di
fronte a quello dell’aggressione. Ed anche qui, c’è un portiere, ma questa
volta italiano e ruspante, che forse sa, forse dice, forse fa capire.
Il
nostro Fagioli è dibattuto, che la prima inchiesta sempre di facile soluzione,
anche se la brava Albina sembra avere poco interesse a risolvere il caso, visto
che può sfruttarlo per tenere alta l’audience del suo spettacolo. Inoltre,
allungando il brodo dell’indagine, Mario ha modo di frequentare la giovane
segretaria di Albina, la bella e tatuata Samantha che sembra fargli la corte in
ogni occasione. E si sa, l’uomo (in genere) non è di legno.
L’altra
indagine invece non decolla, che Eleonora è restia a denunciare il padre, anche
se spinta da Lidia e dalla sua compagna. Tra l’altro, il comportamento privato
delle due era mel visto in quel di via Minimi, in particolare dal padre. Che
Fagioli incontra, e che gli fa una pessima impressione a pelle. Una persona di
aspetto sgradevole, ma non per questo necessariamente un assassino.
Certo
che ci sono zone oscure, ricoveri fantasma, spostamenti di clinica, nonché
tracce di elleboro, una pianta molto velenosa, sia per ingestione che per uso
esterno, nella casa della morta. Una pianta le cui proprietà allucinogene (in
modica quantità) erano già state descritte da Petronio Arbitro nel “Satyricon”.
Tutto converge nella morte non accidentale, ma senza prove si può andare poco
avanti.
Mentre
nell’altro caso le prove ci sono, tuttavia acquisite senza mandato del
procuratore, quindi inutilizzabili ai fini processuali. Soprattutto, in questa
parte, la descrizione degli ambienti alto borghesi, in crescita o in disgrazia,
non avvicina molto il lettore al testo. Comunque, come al solito, Fagioli,
anche con una discreta dose di piccoli errori che commette nel suo percorso
d’indagine, trova le soluzioni. Ma Giuseppina continua a farci sapere che c’è
una bella differenza tra legge e giustizia.
Inoltre,
sfrutta, con la sua scrittura che ci accompagna senza traumi, l’andamento del
romanzo per lanciare alcuni (giusti) strali. Contro la malasanità, derivante
ovviamente dai lunghi anni in ginecologia della scrittrice. Contro le sette
religiose che irretiscono le persone di debole carattere. Ma anche e
soprattutto, sugli abusi psicologici verso le donne, altro argomenti di cocente
e ben nota attualità. In questo contesto, viene usato, per definire l’abuso, il
termine “Gaslighting”, di derivazione dal film “Gaslight” di George Cuckor con
Ingrid Bergman, Charles Boyer e Joseph Cotten. Un film eponimo nel trattare la
manipolazione che un uomo malintenzionato può indurre su una donna. Per inciso,
il film in Italia fu distribuito con il titolo “Angoscia”.
Prima
di concludere, non posso che ribadire, con le citazioni finali, la vicinanza
del romanzo con il mio quotidiano di molti anni. Un unico appunto: alla
Fiorentina non bisogna mangiare le sfogliatelle, ma il danese, una pasta che
ritengo di superlativa lavorazione presso di loro.
Un
ultimo accenno ad un punto che mi ha portato ad alcuni approfondimenti. Dato
che la nostra scrittrice, ad un certo punto, fa rivolgere al buon Mario una
preghiera a San Luigi Scrosoppi, definito patrono dei calciatori. Poiché mi era
oscuro, sono andato alla ricerca, ed ho scoperto, per l’appunto che il prelato
Luigi Scrosoppi (1804-1884) e santificato nel 2001, nel 2010 è stato insignito
della qualifica di “patrono dei calciatori”. Non perché si occupasse di calcio
(era ancora presto), ma per il suo lavoro con i giovani e lo sviluppo dei
valori che dovrebbero caratterizzare lo sport: la correttezza, la perseveranza,
l'impegno e la determinazione.
Un
plauso alla diocesi di Udine per lo sforzo ed a Giuseppina per avercene dato
notizia.
“Le
madri sanno sempre cosa è meglio per i loro figli, però che fastidio doverlo
ammettere!” (8)
“Fumò
un paio di sigarette nel cortile di via Pomponazzi.” (39)
“In
via Andrea Doria, si fermò davanti alla Fiorentina; si sbafò due sfogliatelle
una dietro l’altra.” (119)
Gianni
Farinetti “Prima di morire” Repubblica Brivido Noir 38 euro 8,90
[A: 21/02/2021
– I: 01/03/2024 – T: 02/03/2024] &&&---
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno: 2014]
Avevo
commentato, agli altri due libri letti di Farinetti, che è una scrittura
godibile, ma non accattivante, per cui “se capita si legge, ma non si cerca”.
Così è capitato anche per questo libro, che mantiene alcuni caposaldi della
scrittura del nostro, riuscendo ad eliminarne altri, e riducendo il testo ad
una lunghezza più che accettabile.
Farinetti,
ricordo, è un cultore della piemontesità, e dopo i primi testi legati
strettamente a Torino, sposta la sua azione nelle Langhe, magari imbastando
tutta una serie di storie che si intrecciano sul territorio e rimandano echi da
un libro all’altro. Intanto, notiamo subito, e con piacere, che ci viene
risparmiato il lungo elenco dei personaggi, dove poi nella fattispecie sono di
numero contenuto e quindi ricordabile.
L’altro
elemento è un rimando al territorio, che una villa teatro dell’azione viene
indicata come un possedimento dei de Salmour, nome presente anche in altri
romanzi. Ed un rimando, ma di sfuggita da un personaggio, che fa capolino da
dietro le quinte Sebastiano Guarienti, personaggio centrale e ben presente
negli altri due libri da me letti. C’è anche qualche altro nome sparso, pur se
di poca rilevanza, mentre non è ancora presente il maresciallo Bonanno, che
buona impressione mi fece nell’altro testo letto di Farinetti.
Il
testo bellamente si divide in due parti ben caratterizzate, dai titoli
significanti: “Nel giugno di ventitré anni prima” e “Nel settembre di ventitré
anni dopo”. Con un poco di salti mentali da fare: il prima si riferisce ai
fatti avvenuti appunto ventitré anni prima di ora, il dopo, invece, si
riferisce all’adesso per mettere in luce quanto è accaduto nel prima. Certo,
titoli ad effetto, che se invece si metteva in testa da un lato “giugno 1990” e
dall’altro “settembre 2013” ci sarebbe stata meno confusione, almeno nella mia
testa.
Comunque
siamo nelle Langhe, dove si è trasferita Donna Costanza, con al seguito la dama
di compagnia ed infermiera Adele, e dove è accudita dai mezzadri: Rosa, la
tuttofare, con il manesco marito Oreste ed il figlio ritardato Livio. Nella
tenuta c’è la nipote Elisabetta, reduce o forse no, da problemi di droga. E lì
bazzica Emanuele, uno delle tenute vicine, studente poco incline allo studio,
e, come spesso in Farinetti, gay più o meno esplicito. Di sicuro con una
propensione verso Carlo, il fratello di Elisabetta.
Tutta
la prima parte serve a portarci al nucleo centrale del racconto: Rosa scopre
altre turpitudini di Oreste, Elisabetta fa di tutto per isolarsi e farsi quanto
prima una bella dose di eroina, Carlo passa di sfuggita, forse preso da
pensieri femminili per ora ignoti, Emanuele bivacca ospite, un po’ per tirar su
il morale ad Elisabetta, un po’ nella speranza di vedere Carlo, e Donna
Costanza persa nei suoi pensieri sul tempo andato, sulla dirittura morale dei
comportamenti, sulla pena di dover accudire ai due nipoti, essendo i loro
genitori morti in un incidente.
Nella
notte tragica, vediamo Oreste fulminato da due colpi di fucile giù nella valle,
mentre in villa, un’urlante Adele fa scoprire il corpo straziato di Donna
Costanza, pugnalata a più riprese, nella cui stanza è presente una Elisabetta,
ebete di droga, con un coltello sanguinante in mano. Una scena con cui
Farinetti aveva scelto di aprire il testo, e che ha impiegato cento pagine per
farci tornare lì dove aveva descritto.
Con
un salto di ventitré anni, vediamo Emanuele che ha comprato la villa,
trasformandola aiutato da Rosa, in una sorta di agriturismo di lusso. Non
vediamo Elisabetta che, dopo essere stata ricoverata in una struttura di
disintossicazione, è scomparsa. Non vediamo Carlo, ma ne sapremo qualcosa che
inaspettatamente si presenta in villa Giulio, il figlio di Carlo, tornato
appositamente dall’America dove si era trasferito con i genitori. Tornato per
parlare con Emanuele, avendo aggiornamenti sui fatti dell’epoca.
Ci
viene quindi narrato, anche se per sommi capi, quanto è avvenuto nel frattempo.
Rosa era stata prima incriminata e poi assolta per la morte di Oreste. Carlo si
sposa con Giuliana, che però non ha lo stesso suo tenore sociale, e benché
nasca Giulio, i due sono in perpetua lotta, nonché in perpetua crisi alcolica.
Tanto che decidono di emigrare in America, dove non riescono comunque a trovare
il bandolo della matassa. Anzi, la frattura aumenta, i due si lasciano, ed un
brutto giorno di due anni prima, Carlo si spara alla testa.
Giulio
sarebbe rimasto in America e nulla si sarebbe risolto, se lui non avesse
ricevuto una lettera da sua nonna, la madre di Giuliana. Una lettera che
leggiamo con lui e con Emanuele e dove, con un tocco alla Van Dine, si
ricostruisce tutta la storia e se ne comprendono i come ed i perché.
Farinetti,
innamorato delle Langhe, ben le descrive ed è forse la parte migliore. Non è un
vero thriller, forse un discreto “noir”, anche se prende di più la descrizione
dei personaggi, la loro vita, la ragnatela dei rapporti umani. Una scrittura
onesta, dove dicevo fa capolino Sebastiano con un cammeo della sua amicizia con
Emanuele.
Una
lettura veloce, che ribadisce il mio assunto iniziale.
Enrico
Franceschini “Bassa marea” Repubblica Brivido Noir 14 euro 8,90
[A: 02/09/2020
– I: 03/04/2024 – T: 05/04/2024] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 348; anno: 2019]
Enrico Franceschini è sempre stato un giornalista di
cui leggevo con partecipato interesse le corrispondenze in giro per il mondo
sulle colonne di “Repubblica”. Or son qualche anno che, oltre alle cronache
politiche, si dedica alla scrittura. Avevo letto il suo primo libro dedicato a
gialli, thriller ed altro, ambientato nella mia amata Gerusalemme. Mi aveva
convinto sino ad un certo punto, pur riconoscendo che muovendosi in Terrasanta
qualche punto in più lo meritava.
Ora,
sull’onda di alcune idee nate da quel romanzo, si sposta nei suoi luoghi natii,
tra Bologna e la riviera romagnola, un po’ più a nord di Rimini ed un po’ a sud
di Milano Marittima. Qui ambienta una storia che fa perno su di un suo alter
ego (quasi fosse il giornalista presente nel suo primo romanzo andato in
pensione): Andrea Muratori detto Mura, corrispondente estero andato in pensione
con un po’ di anticipo, ma ancora in gamba per i suoi sessant’anni (ah, ah,
ah!).
Intorno
a Mura si muovono i suoi amici e sodali di sempre, corredati da donne più o
meno fisse. C’è Danilo Baroncini detto Barone, primario ospedaliero con la sua
girlfriend brasiliana Raffa. C’è Pietro Gabrielli detto Professore,
bibliotecario con la sua eterna fidanzata Carla. C’è Sergio Baldazzi detto
Ingegnere, di professione tuttologo con Mari, la sua morosa. E c’è Caterina
detta Cate, giornalista corrispondente di guerra, nonché “scopamica” di Mura.
Otto
personaggi non in cerca d’autore, ma forse di trama, anche se una trama, o
forse anche due, ci sono. Purtroppo la trama poliziesca è un piccolo pretesto,
un po’ laterale, per dire altro e sorreggere la trama principale. Una trama che
si comprende sin dalle prime battute, che riserva poche sorprese, anzi forse
solo una, abbastanza divertente. Ma dove alcuni spunti vengono qua e là
dimenticati. Anche perché il grande affresco che Franceschini vuole dipingere è
quello della riviera, di com’era, di com’è e forse di come sarà. Il tutto
condito da ricordi personali e spunti sociologici (e forse politici).
La
trama gialla è legata all’escort di lusso Sasha che Mura trova desnuda sul
bagnasciuga, che fa rifugiare nel suo capanno, ex baracchino da pesca in cui
vive da quando è in pensione. Sasha gli parla di chi la sfrutta, e della figlia
che le hanno sequestrato. Vediamo allora Mura cercare di risalire la china
delle informazioni, tra visite a luoghi di malaffare, tentativi di districarsi
tra vecchi e nuovi vitelloni, ricerca dei modi di dribblare i neo-spacciatori
cinesi, cercando di non coinvolgere carabinieri e polizia.
In questa
ricerca è aiutato dai suoi tre amici, quasi fossero dei novelli moschettieri.
Una ricerca ed un salvataggio che non potrà che andare a buon fine, pur con
qualche ammaccatura. Ma Sasha e Svetlana non potranno che essere salvate. E non
potranno che andare altrove, certo non vi dico con chi. Che anche se Mura aveva
avuto delle idee verso la bella russa (nonostante i suoi due precedenti
matrimoni ed il figlio studioso a Londra), Sasha non è per le sue corde. Mura
farà bene a restare con la “sua” Cate.
Come
detto però, almeno in questo primo episodio (ho ben scoperto che ci sono altre
avventure di Mura già nella mia biblioteca), altri sono gli interessi di
Franceschini. Quello che vuole, che ben ci presenta, è il mondo della riviera
romagnola. Sia con i tuffi nel passato, rinvangando elementi giovanili dei
nostri quattro eroi, sia concionando sull’evoluzione del territorio e della
fauna balneare. Il tutto condito da citazioni filmiche che ho ben apprezzato (e
da sfidare i miei cugini, la cui più facile è “Nessuno è perfetto”; facile,
eh!). Mura si destreggia in questa vita da solitario tra colazione al bar
“Dolce&Salato”, una piada per pranzo ed una pizza per cena. E noi con lui
vediamo l’evoluzione del territorio, un tempo contadino e pescatore, ed ora
tristemente albergatore. Tuttavia questo non è un trattato sociologico, ma un
romanzo commedia gialla, ed alcune di queste parti potevano essere ridotte.
Certo
i ricordi di Enrico sono similari a quelli miei (e dei miei cugini) pur essendo
noi di poco più grandi, ma soprattutto di poco a più a sud (noi si era nel
teramano). Ma alcune cose sono immutabili, come la pista per le biglie sulla
sabbia, dove io, ai grandi dell’epoca, avevo sempre contrapposto il mio amato
lussemburghese Charly Gaul.
La
cosa migliore del libro, comunque, è la playlist che il Professore compila per
Mura, che spazia dagli anni Cinquanta ad oggi, e che mi ha spinto a risentire
alcuni pezzi che ho sempre amato ma che da tempo non tornavano all’orecchio. In
particolare, “Samba Pa Ti” di Santana e “A Night in Tunisia” di Miles Davis.
Unico appunto qui: il complesso The Velvelettes non interpretò mai “Please Mr.
Postman”, che invece fu un grande successo delle Marvelettes.
Tra
l’altro, una tirata d’orecchie gigante agli estensori della quarta di copertina
che vogliono farci credere che il tutto si muove dal ritrovamento di una donna
morta. Cosa che sappiamo essere palesemente falsa, fin dalla seconda pagina del
romanzo.
“Le
domande che vorremmo fare ai nostri genitori spesso arrivano troppo tardi.”
(258)
Se parliamo di gialli, citiamo gialli, non
solo italiani. Ed anche in buon numero.
Abbiamo
Maurizio de Giovanni con una delle prime uscite del commissario
Ricciardi, “Il giorno dei morti” che ci ammonisce: “Perché sentiva di essere soltanto
un debole e di avere, per debolezza, lasciato che accadesse qualcosa di
profondamente sbagliato?” (363)
Un sentimento che accomuna molti. Abbiamo poi
il compianto Lorenzo Arruga che in “Suite Algérienne” ci parla
di un pensiero che porta di sicuro fuori strada, in quei momenti: “Anche nel
fare l’amore … quel vizio di esclamare alla fine ‘anche questa è fatta’ …
ancora adesso al pensiero gli pesava un poco.” (92)
Abbiamo poi due campione del giallo.
L’americano Michael Connelly con
alcune considerazioni tratte da “Ghiaccio nero”: “Chandler: non c’è
trappola più mortale di quella che ci prepariamo da soli” (47); “La mente di
Bosch sfiorò il ricordo dell’unico breve incontro che lui aveva avuto con suo
padre. Un uomo vecchio e malato sul letto di morte. Bosch lo aveva perdonato di
ogni secondo di cui era stato derubato. Sapeva che doveva farlo, altrimenti per
il resto della sua vita avrebbe dovuto fronteggiare quel dolore inutile” (313).
E
soprattutto: “Le cose che non vuoi sapere o ricordare continuano a tormentarti”
(391).
Finiamo
con l’altra americana Elizabeth George
che ambiente i suoi gialli in Gran Bretagna. Nel suo “Corsa verso il baratro”
parla in modi diversi di responsabilità:
“–
Quella donna le ha dato la vita. – Non sono stata io a chiederlo. – No. Ma ci
si sente sempre responsabili verso chi ci ha dato qualcosa. Qual è la scelta
migliore da fare? … E la scelta migliore è anche quella giusta oppure si tratta
solo di una comoda fuga?” (41)
“Era la classica situazione che si veniva a
creare dopo un divorzio … Una situazione del genere richiede un abile
equilibrio fra esigenze disparate, di modo che, anche se un matrimonio finisce,
gli ex partner possano costruirsi una vita più produttiva e i figli non subire
danni irreparabili” (190).
Ora, comunque, ci si avvia alla costruzione di un’estate possibilmente di riposo e di rilancio, tra mare e campagna, tra sole e penombra, da dove si spera ripartire per un autunno intenso. Dandoci appuntamento alla prossima domenica, confidando in un voto clemente per l’Europa, vi abbraccio.
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