domenica 9 giugno 2024

Torregrossa & friends - 09 giugno 2024

Settimana da giallo italiano, essenzialmente dedicata alle prove “romane” della siciliana Giuseppina Torregrossa (e se ne leggete le citazioni capirete anche di più), con un buon risultato, insieme alle storie piemontesi di Farinetti. Su livelli di buona lettura, ma non molto di più le avventure in quel di Milano del compianto Crapanzano e quelle romagnole del bravo, ma forse meglio in altre scritture, Enrico Franceschini.

Dario Crapanzano “Il furto della Divina Commedia” Repubblica Brivido Noir 35 euro 8,90

[A: 01/02/2021 – I: 14/11/2023 – T: 16/11/2023] &&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 157; anno: 2019]

Dispiace un po’ che questo sia l’ultimo libro scritto da Dario Crapanzano prima di lasciarci, e dispiace anche che non sia un libro che possa essere ricordato a lungo. Dell’anziano scrittore avevo letto alcuni romanzi imperniati sull’ispettore Mario Arrigoni, che, seppur di qualità media, erano ben strutturati per la parte “gialla”. Qui, purtroppo, questa componente va calando molto. Rimane solo, ed è per questo che il giudizio non sprofonda, una ricostruzione della Milano d’epoca degli anni ’50 che è gustosamente da leggere.

Intanto, l’autore cambia personaggio principale, introducendo il commissario Fausto Lorenzi, un più che trentenne di origini friulane, occhio azzurro, considerevole altezza (giocava ed è appassionato di pallacanestro), un matrimonio finito alle spalle con figlio di nove anni che vede almeno una volta a settimana. Inciso: siamo nel ’54, quindi sarà pure separato, ma di sicuro (a meno che non intervenga la Sacra Rota) non divorziabile. Motivo per cui, anche se durante questo episodio conosce ed instaura un buon rapporto con la giovane Rossana, di sicuro non potrà essere un rapporto “normale”. D’altra parte, non esistendo altri episodi, queste sono solo congetture fini a sé stesse.

Come dicevo, una trama gialla poco coinvolgente. Viene rubata, all’esperto di libri antichi nonché preside di un liceo classico, un incunabolo della “Divina Commedia”, di alto valore economico. Lorenzi, aiutato dall’assistente Tindaro, poliziotto siciliano di stirpe normanna, indaga sul furto, soprattutto, per motivi semplici, nell’ambito dello stesso liceo. In particolare, la segretaria Anna Maria ed un circolo di aitanti professori.

Che Anna Maria è una bella donna indipendente, segretaria, ma anche pittrice dilettante, ed animatrice di un piccolo teatro dilettantesco. L’omicidio di Anna Maria getterebbe la vicenda verso un possibile intreccio di gialla difficoltà. Invece tutto si svolge con una semplicità disarmante. Un aitante personaggio gira in una improbabile MG, una spider inglese di lusso. E tutto viene di nuovo a riferirsi all’interno del liceo. Gelosie, provocazioni semi-erotiche, separazione tra furto ed omicidio, fino ad un finale veloce quanto scontato.

Tra l’altro, seppur vero che apprezziamo il modo disinvolto delle inchieste di Lorenzi, molto devote ai ragionamenti alla Maigret, l’accumularsi di indizi è un po’ esterno alla vicenda stessa. Forse, non è proprio il giallo che interessava Crapanzano, quanto la ricostruzione di una Milano del tempo che fu.

La parte migliore, infatti, per me è una breve gita per Milano che Fausto e Rossana fanno per la zona intorno a Piazza Buonarroti. È una zona vicina alla Fiera Campionaria, ma, all’epoca anche se ora ci sono diversità, era anche dotata di spunti architettonici interessanti. I due grattacieli gemelli (seppur non di grande altezza) che introducono la piazza provenendo da via Washington. La casa di riposo per musicisti Giuseppe Verdi, voluta dal maestro e da lui sovvenzionata. Al 38 di via Buonarroti, poi, c’era la casa di Maria Callas (c’era perché è stata abbattuta e solo una targa ne ricorda la vicenda).

Poi, proseguendo verso viale Ezio, uno degli edifici liberty più interessanti di Milano. La villa Faccanoni Romeo ora (ma già dal 1949) clinica Columbus. La villa costruita nel 1913 dall’architetto Sommaruga fu acquistata nel ’19 da Nicola Romeo, il fondatore della azienda automobilistica Alfa Romeo (inciso: non tutti sanno che era nata per contrapposizione con la FIAT; infatti, l’azienda di Torino si chiamava Fabbrica Italiana di Automobili Torino, mentre quella milanese era Anonima Lombarda Fabbrica Automobili. Grandi spigolature), ed ornata di sculture discinte provenienti da Corso Venezia al centro di Milano (tanto da essere chiamata la “Ca’ de ciapp”, e penso che abbiate capito perché).

L’interessante e miglior capitolo termina davanti alla fontana delle Quattro Stagioni di Piazza Giulio Cesare. Fontana inaugurata il 12 aprile del ’27 per l’inaugurazione della Fiera Campionaria. Ma è ricordata soprattutto per l’attento al re Vittorio Emanuele III avvenuto l’anno seguente che provocò 20 morti e di cui non fu mai scoperta la matrice.

Ecco, Crapanzano, sia qui che nelle sue altre opere che ho letto, inserisce sempre un ricordo, una visita, uno sprazzo dedicato dalla Milano degli anni ’50. Che sono le cose migliori dei suoi scritti. Anche perché, come le migliori scritture da romanzo, sono quelle che stimolano ricerche e pensieri. Facendoci ricordare che anche Milano è una bella città.

Giuseppina Torregrossa “Morte accidentale di un amministratore di condominio” Repubblica Essenza Noir 31 euro 8,90

[A: 24/01/2023 – I: 02/01/2024 – T: 03/01/2024] &&& 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 152; anno: 2021]

Giuseppina Torregrossa è autrice di un po’ più di una dozzina di libri (di cui ne ho letti almeno 2/3), con alcune narrazioni generali (come l’esordio ne “Il conto delle minne”), per poi virare sul versante giallo-ironico con le avventure di Marò Pajno (Vice Questore di Palermo e direttrice della squadra anti-femminicidio). Data comunque la sua frequentazione romana (è stata ginecologa al Policlinico di Roma per molti anni), decide, con discreto successo, di introdurre un nuovo personaggio l’ispettore di polizia Mario Fagioli, di stanza al Commissariato di Monte Mario.

Devo dire che questa idea, l’invenzione dei personaggi e l’ambientazione, ne fanno un prodotto, se non eccelso, quanto meno godibile, soprattutto per un romano doc come me, che ha passato l’infanzia a Monte Mario e la maturità a Prati-Trionfale. Che, come vedremo, sono dei punti forti dell’intreccio romanzesco.

Infatti, pur essendoci (e ne parleremo) una trama gialla, quello che più mi ha colpito e fatto partecipe all’atmosfera del libro sono i continui rimandi alla mia vita, ai miei luoghi, con l’aggiunta di alcuni giochi verbali, che non è male decifrare.

Intanto, facciamo la conoscenza con Mario Fagioli. Poliziotto di rango, un lungo lavoro (di successo) come infiltrato nelle mafie calabresi, ma con una spiccata propensione ad intrecciare relazioni femminili. Che non gli portano bene, visto che viene scoperto in atteggiamenti poco consoni al ruolo con un’impiegata di banca nel corso di un appostamento, cosa che gli comporta l’immediato trasferimento a Roma, mansioni ridotte e quasi un’aspettativa poco sana di andare presto in pensione (non per la pensione, ma per l’abilità del nostro).

Mario allora torna ad abitare con la madre, in un condominio di via Pomponazzi. Ed è lì che lo incontriamo all’inizio del romanzo, rimasto solo per la morte della madre. E ci gustiamo le scene rionali. Pomponazzi, mitico luogo del “Collettivo” degli anni ’70 nonché residenza, per alcuni anni, della mia mica Mariella. Mario che mangia intingoli gustosi di cucina romanesca da Maria a via Tunisi (primo elemento da traslare, che Maria gestisce una degnissima trattoria ma a via Santamaura, la parallela di via Tunisi). Infine, comincia ad essere accudito da Lidia, la verduraia del Mercato Trionfale, come aveva organizzato la madre. Lidia è un eponimo di alcune banchiste del Mercato, che ben conosco visto che ho cominciato a frequentarlo nel 1978, e lo faccio tuttora, che entra di traverso nella vita del nostro, ma che continuerà ad esserci.

Il solo elemento che non ho pienamente decifrato è il forno di Ponte Milvio dove Mario compra la sua pizza untissima e buonissima. Potrebbe essere il Gianfornaio (ma ce n’è uno più vicino a Prati). Oppure un trasferimento dell’ottima pizza di Bonci in via Trionfale, la migliore di Roma (ma anche la più cara).

Comunque il nostro Mario sta bel bello ad aspettare che il tempo passi, nel Commissariato di Monte Mario (che si trova poco distante dall’Hilton che domina il monte, e subito dietro la casa di famiglia del mio amico Massimo), quando viene coinvolto nelle indagini per quella che sembra una routine sulla morte di un amministratore di condominio. E qui abbiamo l’ultimo colpo d’ironia della nostra, che l’azione si sposta appunto nel condominio di via Minimi, dove è facile riconoscere il comprensorio fatto di abitazioni ben frequentate di via Massimi: notai, generali in pensione, nonché il professore emerito nonché mio amico Luciano.

Il morto è appunto l’amministratore, Michele Noci (notate i riferimenti culinari tra Noci e Fagioli), apparentemente scivolato per le scale. Ma il nostro, che potrebbe chiuderla lì con una morte accidentale, sente puzza di bruciato, in particolare dopo aver interrogato le donne del condominio. Donne che, chi come amica, chi come moglie, chi come amante, ronzavano intorno a Michele.

Così, tra una pizza unta da solo ed un pranzetto (con strascichi che immaginate) insieme a Lidia, il nostro ispettore riesce a scardinare i silenzi del condominio. Ma sarà vera gloria? Si troverà, se c’è, un colpevole? E trovatolo, potrà essere punito?

Giuseppina si muove con la consueta ironia tra questi dilemmi, portando per mano noi lettori ad interrogarci, anche, sull’infinta potenza del potere. Come detto, lettura gradevole, anche solo per i miei personali rimandi (e quindi per le citazioni che sotto riporto).

“Talvolta lo strappavano al torpore … certi intingoli speziati che la sora Maria cucinava per lui in una trattoria di via Tunisi.” (11)

“L’appartamento, due camere e una cucina all’ultimo piano di un edificio popolare di via Pomponazzi, si trovava vicino al Mercato Trionfale.” (37)

Giuseppina Torregrossa “Chiedi al portiere” Marsilio s.p. (inserito nel regalo di Natale di Mario&Ines)

[A: 25/12/2023 – I: 13/01/2024 – T: 14/01/2024] && 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 165; anno: 2022]

Inserito nelle cabale natalizie, questa volta mi capita di leggere subito il secondo episodio delle storie quasi gialle dell’ispettore Mario Fagioli imbastite dalla siculo-romana Giuseppina Torregrossa. Da un lato, un bene che non si perde il filo dei personaggi, dall’altro qualche punto in meno, sia perché, se non si è letto il primo, si perde un po’ propria la natura dei personaggi, sia perché la storia in sé è leggermente più debole della precedente.

Abbiamo sempre il nostro Mario, ma che ora condivide una routine familiare con la bella Lidia. Ed abbiamo il coinvolgimento del nostro in una serie di indagini cui entra “obtorto collo”.

Da un lato c’è l’inchiesta così detta ufficiale, cui è spinto dal commissario, per indagare i motivi e gli autori di una aggressione ad una diva dei talk show televisivi, Albina Santalmassi. La quale subisce l’aggressione andando a trovare la madre che, guarda caso, abita nel famoso condominio di via Minimi di cui abbiamo notizie dal precedente romanzo. Certo che se non lo hai letto, capisci poco delle interazioni tra il portiere rumeno, l’ispettore e le signore del palazzo.

Dall’altro, c’è l’inchiesta privata, che un’amica di Lidia, Eleonora, è convinta che la morte della madre non sia dovuta a cause naturali. Anzi, è fortemente convinta che sia stato il padre, in qualche maniera, a provocarne anzitempo la dipartita. L’intreccio si intreccia (voluto gioco di parole) con le differenti vite dei protagonisti, che la madre di Eleonora abitava nel condominio di fronte a quello dell’aggressione. Ed anche qui, c’è un portiere, ma questa volta italiano e ruspante, che forse sa, forse dice, forse fa capire.

Il nostro Fagioli è dibattuto, che la prima inchiesta sempre di facile soluzione, anche se la brava Albina sembra avere poco interesse a risolvere il caso, visto che può sfruttarlo per tenere alta l’audience del suo spettacolo. Inoltre, allungando il brodo dell’indagine, Mario ha modo di frequentare la giovane segretaria di Albina, la bella e tatuata Samantha che sembra fargli la corte in ogni occasione. E si sa, l’uomo (in genere) non è di legno.

L’altra indagine invece non decolla, che Eleonora è restia a denunciare il padre, anche se spinta da Lidia e dalla sua compagna. Tra l’altro, il comportamento privato delle due era mel visto in quel di via Minimi, in particolare dal padre. Che Fagioli incontra, e che gli fa una pessima impressione a pelle. Una persona di aspetto sgradevole, ma non per questo necessariamente un assassino.

Certo che ci sono zone oscure, ricoveri fantasma, spostamenti di clinica, nonché tracce di elleboro, una pianta molto velenosa, sia per ingestione che per uso esterno, nella casa della morta. Una pianta le cui proprietà allucinogene (in modica quantità) erano già state descritte da Petronio Arbitro nel “Satyricon”. Tutto converge nella morte non accidentale, ma senza prove si può andare poco avanti.

Mentre nell’altro caso le prove ci sono, tuttavia acquisite senza mandato del procuratore, quindi inutilizzabili ai fini processuali. Soprattutto, in questa parte, la descrizione degli ambienti alto borghesi, in crescita o in disgrazia, non avvicina molto il lettore al testo. Comunque, come al solito, Fagioli, anche con una discreta dose di piccoli errori che commette nel suo percorso d’indagine, trova le soluzioni. Ma Giuseppina continua a farci sapere che c’è una bella differenza tra legge e giustizia.

Inoltre, sfrutta, con la sua scrittura che ci accompagna senza traumi, l’andamento del romanzo per lanciare alcuni (giusti) strali. Contro la malasanità, derivante ovviamente dai lunghi anni in ginecologia della scrittrice. Contro le sette religiose che irretiscono le persone di debole carattere. Ma anche e soprattutto, sugli abusi psicologici verso le donne, altro argomenti di cocente e ben nota attualità. In questo contesto, viene usato, per definire l’abuso, il termine “Gaslighting”, di derivazione dal film “Gaslight” di George Cuckor con Ingrid Bergman, Charles Boyer e Joseph Cotten. Un film eponimo nel trattare la manipolazione che un uomo malintenzionato può indurre su una donna. Per inciso, il film in Italia fu distribuito con il titolo “Angoscia”.

Prima di concludere, non posso che ribadire, con le citazioni finali, la vicinanza del romanzo con il mio quotidiano di molti anni. Un unico appunto: alla Fiorentina non bisogna mangiare le sfogliatelle, ma il danese, una pasta che ritengo di superlativa lavorazione presso di loro.

Un ultimo accenno ad un punto che mi ha portato ad alcuni approfondimenti. Dato che la nostra scrittrice, ad un certo punto, fa rivolgere al buon Mario una preghiera a San Luigi Scrosoppi, definito patrono dei calciatori. Poiché mi era oscuro, sono andato alla ricerca, ed ho scoperto, per l’appunto che il prelato Luigi Scrosoppi (1804-1884) e santificato nel 2001, nel 2010 è stato insignito della qualifica di “patrono dei calciatori”. Non perché si occupasse di calcio (era ancora presto), ma per il suo lavoro con i giovani e lo sviluppo dei valori che dovrebbero caratterizzare lo sport: la correttezza, la perseveranza, l'impegno e la determinazione.

Un plauso alla diocesi di Udine per lo sforzo ed a Giuseppina per avercene dato notizia.

“Le madri sanno sempre cosa è meglio per i loro figli, però che fastidio doverlo ammettere!” (8)

“Fumò un paio di sigarette nel cortile di via Pomponazzi.” (39)

“In via Andrea Doria, si fermò davanti alla Fiorentina; si sbafò due sfogliatelle una dietro l’altra.” (119)

Gianni Farinetti “Prima di morire” Repubblica Brivido Noir 38 euro 8,90

[A: 21/02/2021 – I: 01/03/2024 – T: 02/03/2024] &&&---   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno: 2014]

Avevo commentato, agli altri due libri letti di Farinetti, che è una scrittura godibile, ma non accattivante, per cui “se capita si legge, ma non si cerca”. Così è capitato anche per questo libro, che mantiene alcuni caposaldi della scrittura del nostro, riuscendo ad eliminarne altri, e riducendo il testo ad una lunghezza più che accettabile.

Farinetti, ricordo, è un cultore della piemontesità, e dopo i primi testi legati strettamente a Torino, sposta la sua azione nelle Langhe, magari imbastando tutta una serie di storie che si intrecciano sul territorio e rimandano echi da un libro all’altro. Intanto, notiamo subito, e con piacere, che ci viene risparmiato il lungo elenco dei personaggi, dove poi nella fattispecie sono di numero contenuto e quindi ricordabile.

L’altro elemento è un rimando al territorio, che una villa teatro dell’azione viene indicata come un possedimento dei de Salmour, nome presente anche in altri romanzi. Ed un rimando, ma di sfuggita da un personaggio, che fa capolino da dietro le quinte Sebastiano Guarienti, personaggio centrale e ben presente negli altri due libri da me letti. C’è anche qualche altro nome sparso, pur se di poca rilevanza, mentre non è ancora presente il maresciallo Bonanno, che buona impressione mi fece nell’altro testo letto di Farinetti.

Il testo bellamente si divide in due parti ben caratterizzate, dai titoli significanti: “Nel giugno di ventitré anni prima” e “Nel settembre di ventitré anni dopo”. Con un poco di salti mentali da fare: il prima si riferisce ai fatti avvenuti appunto ventitré anni prima di ora, il dopo, invece, si riferisce all’adesso per mettere in luce quanto è accaduto nel prima. Certo, titoli ad effetto, che se invece si metteva in testa da un lato “giugno 1990” e dall’altro “settembre 2013” ci sarebbe stata meno confusione, almeno nella mia testa.

Comunque siamo nelle Langhe, dove si è trasferita Donna Costanza, con al seguito la dama di compagnia ed infermiera Adele, e dove è accudita dai mezzadri: Rosa, la tuttofare, con il manesco marito Oreste ed il figlio ritardato Livio. Nella tenuta c’è la nipote Elisabetta, reduce o forse no, da problemi di droga. E lì bazzica Emanuele, uno delle tenute vicine, studente poco incline allo studio, e, come spesso in Farinetti, gay più o meno esplicito. Di sicuro con una propensione verso Carlo, il fratello di Elisabetta.

Tutta la prima parte serve a portarci al nucleo centrale del racconto: Rosa scopre altre turpitudini di Oreste, Elisabetta fa di tutto per isolarsi e farsi quanto prima una bella dose di eroina, Carlo passa di sfuggita, forse preso da pensieri femminili per ora ignoti, Emanuele bivacca ospite, un po’ per tirar su il morale ad Elisabetta, un po’ nella speranza di vedere Carlo, e Donna Costanza persa nei suoi pensieri sul tempo andato, sulla dirittura morale dei comportamenti, sulla pena di dover accudire ai due nipoti, essendo i loro genitori morti in un incidente.

Nella notte tragica, vediamo Oreste fulminato da due colpi di fucile giù nella valle, mentre in villa, un’urlante Adele fa scoprire il corpo straziato di Donna Costanza, pugnalata a più riprese, nella cui stanza è presente una Elisabetta, ebete di droga, con un coltello sanguinante in mano. Una scena con cui Farinetti aveva scelto di aprire il testo, e che ha impiegato cento pagine per farci tornare lì dove aveva descritto.

Con un salto di ventitré anni, vediamo Emanuele che ha comprato la villa, trasformandola aiutato da Rosa, in una sorta di agriturismo di lusso. Non vediamo Elisabetta che, dopo essere stata ricoverata in una struttura di disintossicazione, è scomparsa. Non vediamo Carlo, ma ne sapremo qualcosa che inaspettatamente si presenta in villa Giulio, il figlio di Carlo, tornato appositamente dall’America dove si era trasferito con i genitori. Tornato per parlare con Emanuele, avendo aggiornamenti sui fatti dell’epoca.

Ci viene quindi narrato, anche se per sommi capi, quanto è avvenuto nel frattempo. Rosa era stata prima incriminata e poi assolta per la morte di Oreste. Carlo si sposa con Giuliana, che però non ha lo stesso suo tenore sociale, e benché nasca Giulio, i due sono in perpetua lotta, nonché in perpetua crisi alcolica. Tanto che decidono di emigrare in America, dove non riescono comunque a trovare il bandolo della matassa. Anzi, la frattura aumenta, i due si lasciano, ed un brutto giorno di due anni prima, Carlo si spara alla testa.

Giulio sarebbe rimasto in America e nulla si sarebbe risolto, se lui non avesse ricevuto una lettera da sua nonna, la madre di Giuliana. Una lettera che leggiamo con lui e con Emanuele e dove, con un tocco alla Van Dine, si ricostruisce tutta la storia e se ne comprendono i come ed i perché.

Farinetti, innamorato delle Langhe, ben le descrive ed è forse la parte migliore. Non è un vero thriller, forse un discreto “noir”, anche se prende di più la descrizione dei personaggi, la loro vita, la ragnatela dei rapporti umani. Una scrittura onesta, dove dicevo fa capolino Sebastiano con un cammeo della sua amicizia con Emanuele.

Una lettura veloce, che ribadisce il mio assunto iniziale.

Enrico Franceschini “Bassa marea” Repubblica Brivido Noir 14 euro 8,90

[A: 02/09/2020 – I: 03/04/2024 – T: 05/04/2024] &&    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 348; anno: 2019]

Enrico Franceschini è sempre stato un giornalista di cui leggevo con partecipato interesse le corrispondenze in giro per il mondo sulle colonne di “Repubblica”. Or son qualche anno che, oltre alle cronache politiche, si dedica alla scrittura. Avevo letto il suo primo libro dedicato a gialli, thriller ed altro, ambientato nella mia amata Gerusalemme. Mi aveva convinto sino ad un certo punto, pur riconoscendo che muovendosi in Terrasanta qualche punto in più lo meritava.

Ora, sull’onda di alcune idee nate da quel romanzo, si sposta nei suoi luoghi natii, tra Bologna e la riviera romagnola, un po’ più a nord di Rimini ed un po’ a sud di Milano Marittima. Qui ambienta una storia che fa perno su di un suo alter ego (quasi fosse il giornalista presente nel suo primo romanzo andato in pensione): Andrea Muratori detto Mura, corrispondente estero andato in pensione con un po’ di anticipo, ma ancora in gamba per i suoi sessant’anni (ah, ah, ah!).

Intorno a Mura si muovono i suoi amici e sodali di sempre, corredati da donne più o meno fisse. C’è Danilo Baroncini detto Barone, primario ospedaliero con la sua girlfriend brasiliana Raffa. C’è Pietro Gabrielli detto Professore, bibliotecario con la sua eterna fidanzata Carla. C’è Sergio Baldazzi detto Ingegnere, di professione tuttologo con Mari, la sua morosa. E c’è Caterina detta Cate, giornalista corrispondente di guerra, nonché “scopamica” di Mura.

Otto personaggi non in cerca d’autore, ma forse di trama, anche se una trama, o forse anche due, ci sono. Purtroppo la trama poliziesca è un piccolo pretesto, un po’ laterale, per dire altro e sorreggere la trama principale. Una trama che si comprende sin dalle prime battute, che riserva poche sorprese, anzi forse solo una, abbastanza divertente. Ma dove alcuni spunti vengono qua e là dimenticati. Anche perché il grande affresco che Franceschini vuole dipingere è quello della riviera, di com’era, di com’è e forse di come sarà. Il tutto condito da ricordi personali e spunti sociologici (e forse politici).

La trama gialla è legata all’escort di lusso Sasha che Mura trova desnuda sul bagnasciuga, che fa rifugiare nel suo capanno, ex baracchino da pesca in cui vive da quando è in pensione. Sasha gli parla di chi la sfrutta, e della figlia che le hanno sequestrato. Vediamo allora Mura cercare di risalire la china delle informazioni, tra visite a luoghi di malaffare, tentativi di districarsi tra vecchi e nuovi vitelloni, ricerca dei modi di dribblare i neo-spacciatori cinesi, cercando di non coinvolgere carabinieri e polizia.

In questa ricerca è aiutato dai suoi tre amici, quasi fossero dei novelli moschettieri. Una ricerca ed un salvataggio che non potrà che andare a buon fine, pur con qualche ammaccatura. Ma Sasha e Svetlana non potranno che essere salvate. E non potranno che andare altrove, certo non vi dico con chi. Che anche se Mura aveva avuto delle idee verso la bella russa (nonostante i suoi due precedenti matrimoni ed il figlio studioso a Londra), Sasha non è per le sue corde. Mura farà bene a restare con la “sua” Cate.

Come detto però, almeno in questo primo episodio (ho ben scoperto che ci sono altre avventure di Mura già nella mia biblioteca), altri sono gli interessi di Franceschini. Quello che vuole, che ben ci presenta, è il mondo della riviera romagnola. Sia con i tuffi nel passato, rinvangando elementi giovanili dei nostri quattro eroi, sia concionando sull’evoluzione del territorio e della fauna balneare. Il tutto condito da citazioni filmiche che ho ben apprezzato (e da sfidare i miei cugini, la cui più facile è “Nessuno è perfetto”; facile, eh!). Mura si destreggia in questa vita da solitario tra colazione al bar “Dolce&Salato”, una piada per pranzo ed una pizza per cena. E noi con lui vediamo l’evoluzione del territorio, un tempo contadino e pescatore, ed ora tristemente albergatore. Tuttavia questo non è un trattato sociologico, ma un romanzo commedia gialla, ed alcune di queste parti potevano essere ridotte.

Certo i ricordi di Enrico sono similari a quelli miei (e dei miei cugini) pur essendo noi di poco più grandi, ma soprattutto di poco a più a sud (noi si era nel teramano). Ma alcune cose sono immutabili, come la pista per le biglie sulla sabbia, dove io, ai grandi dell’epoca, avevo sempre contrapposto il mio amato lussemburghese Charly Gaul.

La cosa migliore del libro, comunque, è la playlist che il Professore compila per Mura, che spazia dagli anni Cinquanta ad oggi, e che mi ha spinto a risentire alcuni pezzi che ho sempre amato ma che da tempo non tornavano all’orecchio. In particolare, “Samba Pa Ti” di Santana e “A Night in Tunisia” di Miles Davis. Unico appunto qui: il complesso The Velvelettes non interpretò mai “Please Mr. Postman”, che invece fu un grande successo delle Marvelettes.                            

Tra l’altro, una tirata d’orecchie gigante agli estensori della quarta di copertina che vogliono farci credere che il tutto si muove dal ritrovamento di una donna morta. Cosa che sappiamo essere palesemente falsa, fin dalla seconda pagina del romanzo.

“Le domande che vorremmo fare ai nostri genitori spesso arrivano troppo tardi.” (258)

Se parliamo di gialli, citiamo gialli, non solo italiani. Ed anche in buon numero.

Abbiamo Maurizio de Giovanni con una delle prime uscite del commissario Ricciardi, “Il giorno dei morti” che ci ammonisce: “Perché sentiva di essere soltanto un debole e di avere, per debolezza, lasciato che accadesse qualcosa di profondamente sbagliato?” (363)

Un sentimento che accomuna molti. Abbiamo poi il compianto Lorenzo Arruga che in “Suite Algérienne” ci parla di un pensiero che porta di sicuro fuori strada, in quei momenti: “Anche nel fare l’amore … quel vizio di esclamare alla fine ‘anche questa è fatta’ … ancora adesso al pensiero gli pesava un poco.” (92)

Abbiamo poi due campione del giallo. L’americano Michael Connelly con alcune considerazioni tratte da “Ghiaccio nero”: “Chandler: non c’è trappola più mortale di quella che ci prepariamo da soli” (47); “La mente di Bosch sfiorò il ricordo dell’unico breve incontro che lui aveva avuto con suo padre. Un uomo vecchio e malato sul letto di morte. Bosch lo aveva perdonato di ogni secondo di cui era stato derubato. Sapeva che doveva farlo, altrimenti per il resto della sua vita avrebbe dovuto fronteggiare quel dolore inutile” (313).

E soprattutto: “Le cose che non vuoi sapere o ricordare continuano a tormentarti” (391).

Finiamo con l’altra americana Elizabeth George che ambiente i suoi gialli in Gran Bretagna. Nel suo “Corsa verso il baratro” parla in modi diversi di responsabilità:

“– Quella donna le ha dato la vita. – Non sono stata io a chiederlo. – No. Ma ci si sente sempre responsabili verso chi ci ha dato qualcosa. Qual è la scelta migliore da fare? … E la scelta migliore è anche quella giusta oppure si tratta solo di una comoda fuga?” (41)

“Era la classica situazione che si veniva a creare dopo un divorzio … Una situazione del genere richiede un abile equilibrio fra esigenze disparate, di modo che, anche se un matrimonio finisce, gli ex partner possano costruirsi una vita più produttiva e i figli non subire danni irreparabili” (190).

Ora, comunque, ci si avvia alla costruzione di un’estate possibilmente di riposo e di rilancio, tra mare e campagna, tra sole e penombra, da dove si spera ripartire per un autunno intenso. Dandoci appuntamento alla prossima domenica, confidando in un voto clemente per l’Europa, vi abbraccio. 

Nessun commento:

Posta un commento