domenica 2 giugno 2024

Donne di livello - 02 giugno 2024

Dopo avervi lasciato due settimane a bocca asciutta, causa bella trasferta americana, questa settimana vi compenso con una cinquina femminile, come dice il titolo, di livello. Certo “inquinata” da una piccola presenza maschile, ma ne capirete leggendone.

Abbiamo tutte sopra media, dall’argentina Claudia Piñeiro alle statunitensi Kathryn Stockett e Lisa Taddeo, che ha ovvi ascendenti italiani. Dove torniamo, nella mescolanza proficua di razze con le punte anglo-siciliane di Simonetta Agnello Hornby e tedesco-romane di mia nipote Charlotte (con quell’aggiunta di cui leggerete).

Simonetta Agnello Hornby “Punto pieno” Feltrinelli euro 13 (in realtà, scontato a 11,05 euro)

[A: 08/01/2023 – I: 06/12/2023 – T: 08/12/2023] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 323; anno: 2021]

Sarà forse per questioni amicali, ma a me, in genere, la scrittura di Simonetta Agnello Hornby piace, sia quando parla delle sue storie personali, sia, come in questo caso, quando porta probabilmente a compimento la storia della famiglia Sorci. Usa un suo modo di esporre, fatto a volta di salti, di incisi, di rimandi, ma alla fine ne viene fuori la trama, e, in controluce, tutto un mondo, la Sicilia, che mi è sempre stato vicino.

Con questo terzo romanzo seguiamo i Sorci dal 1955 al 23 maggio 1992, data epocale e di svolta, data della strage di Capaci, con l’uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Storia che ci fa toccare di sfuggita un'altra morte di mafia, quella di Mauro Rostagno nel settembre del 1988, e che parte anch’essa da una morte, quella del barone Andrea Sorci, morto dopo aver ucciso, in un impeto d’ira, la sua domestica Ersilia.

Morti e mafia che si legano ad uno dei personaggi principali e maieutici della trama, cioè Peppe Vallo, figlio adulterino del capostipite, il barone Enrico, e quindi fratellastro di Andrea. Ma soprattutto, dopo aver vissuto anni in America, un avvocato che fa fortuna legandosi alla mafia, di qua e di là dell’Oceano. E che serve a raddrizzare le dirazzature della stirpe.

Mette a tacere le malefatte di Andrea, risana, con l’aiuto di Enrico, parte delle fortune familiari, è da sempre legato a Mariolina, figlia di Luigi a sua volta figlio di una altro fratellastro di Peppe, Filippo. Una donna con cui coronerà anche se per pochi anni i suoi sogni di pace familiare e sociale. E con cui avrà un figlio, Harry, che non avrà mai vita né facile né fortunata.

Come capite, è un romanzo di personaggi, che si mescolano tra Storia e storia, e che sono la colonna portante del libro. Tanto che basterebbe leggere le ultime tre pagine del libro, con la genealogia dei Sorci, dal capostipite Enrico, giù giù sino all’ultimo nato nell’ambito regolare della famiglia, Cola, detto Colapì, per ricostruire il libro e la storia.

Oltre ai già nominati c’è Nicola detto Cola, il più buono dei dodici figli di Enrico, uno che non diventa mai astioso, che riesce sempre a perdonare lo scapestrato figlio Rico, affezionandosi sempre più alla nuora Rita. Che Rico, pur amando Rita, la tradisce ad ogni piè sospinto, ma lei, con la sua semplicità e schiettezza, riuscirà a ricucire tutte le ferite. Ed a far crescere con amore i suoi due figli Colapì e Amelia.

Poi c’è Carlino, nominalmente figlio di Antonio, ma in realtà generato da Laura, moglie di Antonio, e Cola. Uno che troverà la sua strada, a dispetto di tutti, nella moda. Gay dichiarato porterà, o riporterà, nell’area familiare il respiro dell’America, con il suo costante sodalizio con la Mariolina di cui sopra. Mariolina che verrà prima costretta ad un matrimonio di facciata con l’altro gay Alfio, per poi, alla morte di questo, come detto, convolare felicemente con Peppe.

Ma soprattutto ci sono loro, le tre zie, o le tre sagge come le chiamano, Beatrice, Sara e Rachele. La prima una cugina mai sposata, le altre due figlie di Enrico e ben presto vedove. Saranno loro a fondare il “Circolo del Punto Pieno” un luogo di incontro tra donne che trovano nel cucire un momento di pensieri altri, un modo di curare i diversi dolori. Un Circolo che accoglie tante vite diverse, prostitute che stanno cambiando, donne che hanno bisogno di sostegni economici, signore e signorine che, per motivi vari, hanno bisogno di rammendare la loro esistenza. E sarà proprio attraverso le continue visite al Circolo stesso che noi si procede nella trama, quasi fosse una boa cui aggrapparsi per resistere alle avversità.

La narrazione avviene per capitoli in cui i vari personaggi diventano i narratori, ed attraverso questo espediente complesso seguiamo tutte le vicende. Di cui non vi parlo per esteso, che troppo lunga sarebbe questa trama. Succede molto, ma, come direbbe Tomasi di Lampedusa, nulla cambia. Con la sola speranza che ci lascia Colapì, dicendo alla fine del libro “Io torno”. Così che anche noi si spera che Simonetta torni con qualche altro anno della famiglia Sorci.

Anche se altri suoi libri mi hanno scaldato di più il cuore, anche questo è stato letto con gusto, trasporto, e voglia di seguire ancora la vita dei siciliani, in patria e fuori.

“Questa è la tragedia della sinistra … le idee sono bellissime, ma completamente slegate dalla realtà.” (109)

“Non ha voluto diventare vecchio. Lo era, forse, ma non lo è mai diventato.” (192)

Claudia Piñeiro “Elena lo sa” Repubblica Profondo Noir euro 8,90

[A: 09/10/2023 – I: 04/01/2024 – T: 05/01/2024] - &&&  e ½     

[tit. or.: Elena sabe; ling. or.: spagnolo; pagine: 156; anno 2007]

Ritorno ogni quattro anni su di un libro dell’interessante scrittrice argentina, leggendone come capita, cioè andando su e giù nella sua scrittura senza un ordine preciso. Unica costante è la critica che mi permetto di fare alla collocazione dei suoi libri in un’etichetta di genere. Ci sono nei suoi libri dei morti, ed a volte delle indagini, ma non c’è nessun noir.

Così anche questo, lo trovo assolutamente fuori posto in questa collana, laddove potrebbe inserirsi in qualsiasi collana di letteratura. Ma poi andremo anche a disquisire su cos’è letteratura (nel senso fiction) e cos’è “di genere”. Non ora, non qui. Per chiudere il discorso, su di un interessante rivista sudamericana (“Linguistica y Literatura”) uscì un articolo che etichetta la scrittura di Claudia, e questo romanzo in particolare, nel genere “poliziesco anti detective/metafisico”. Il primo termine si riferisce al fatto che, in genere, non ci sono veri e propri detective. Il secondo sul fatto che il romanzo si focalizza su quesiti esistenziali fondanti nel nostro pensiero (che cos’è l’identità, o l’impossibile ricerca della verità, o, per finire, la vecchiaia e la malattia).

Io, personalmente, toglierei tutti gli orpelli polizieschi, ed inviterei il lettore a leggere questo libro come uno dei più intensi trattati sulla malattia che mi sia capitato di leggere.

Il personaggio centrale, infatti, è Elena che, pur non anziana (ha 63 anni), sta sempre più avvitando la sua vecchiaia intorno alla malattia che chiama “puttana malattia infame”. Elena è affetta dal morbo di Parkinson, che sappiamo bene impedisce, limita, tarpa i movimenti, ma non il cervello che rimane lucido, vigile e doloroso per non riuscire a contrastare il progredire della malattia.

Il cruccio di Elena è la tragica scomparsa di Rita, la figlia che la accudiva. Figlia che, in una notte di tempeste e temporali, lei che aveva paura dei tuoni, si sarebbe recata nella chiesa parrocchiale di zona, da lei sempre frequentata in quanto molto cattolica e devota, e si sarebbe impiccata. Elena non crede alla versione ufficiale, cerca di avere solidarietà da un poliziotto, che per un po’ segue le sue divagazioni ma poi si allontana. Elena sa che la figlia, ed anche lei, non sono amanti dei temporali, e dubita che una cattolica abbia l’ardire di appendersi ad una trave in chiesa.

Non ha molto da indagare, solo la speranza di un aiuto da parte di Isabel, una donna che molti anni prima, lei e Rita hanno convinto a non abortire, e che Elena pensa abbia un debito nei suoi confronti. Così si mette in moto attraversando tutta Buenos Aires, trova Isabel, ma trova anche una diversa versione dei fatti precedenti. Isabel non ha mai perdonato l’intrusione di Elena e Rita nelle sue scelte, non ha mai amato il figlio che poi nacque. Ma ha anche continuato, nel tempo, a seguire e sentire saltuariamente Rita, così che può rappresentare ad Elena la sua versione dei fatti e della vita.

Tuttavia, non è questo il fulcro, il punto centrale, bello e dolente. Per me è stato il seguire tutti i ragionamenti di Elena per alzarsi, mangiare, prendere l’autobus, arrivare da Isabel ed avviarne il confronto verbale, tutto attraverso un corpo che progressivamente si sta arrendendo al Parkinson. Sempre meno autonomia, difficoltà nel mangiare, nel provvedere al proprio corpo, nel camminare, anche nel guardare verso l’alto, dato che il muscolo sternocleidomastoideo, situato nella regione anterolaterale del collo, è rigido e blocca il suo sguardo.

Come può, allora, questa donna avere la sua giustizia, se fatica a fare un passo, ad infilarsi la manica, anche a prendere la levodopa (farmaco che serve a bloccare temporaneamente il Parkinson). Ma Elena sa che la sua unica speranza è il colloquio con Isabel, e così si avvia, triste e solitaria, in una città che conosce a memoria, ma che ora attraversa con tempi biblici. Tempi che le consentono di affrontare tutte le sue pensate di vita.

Comincia con pensieri quotidiani (ha senso per una malata andare dal parrucchiere? Per farsi bella per chi? Ed altre attività di ogni giorno. Per poi passare al suo rapporto con la figlia, da cui lei ormai dipendeva al 100%, e sempre di più, visto il progredire della malattia. Si domanda, metafisicamente come si diceva all’inizio, che si è orfani se si perde un genitori, vedovi se muore il coniuge, ma come ci si chiama se si perde un figlio? Non c’è nominalismo, perché non è previsto che i figli muoiano prima dei genitori.

Inoltre, nella sua forza ostinata e contraria, la scrittrice fa balenare un risvolto forte per l’Argentina, quello di tutte le madri che rifiutano la perdita dei figli, si mettono un fazzoletto bianco in testa, e sono lì, da anni, a simboleggiare un dolore infinto, lì in Plaza de Mayo.

Ma tutta la forza, la bellezza, la paura che suscita il testo non è solo nel rapporto madre – figlia, nella scomparsa di una persona che ti doveva accudire per sempre, ma in quel rapporto con una malattia che, a poco a poco, prende il sopravvento, ruba un presente dignitoso sino a negare una qualsiasi possibilità di futuro. Il viaggio di Elena attraverso la città diventa quindi un viaggio attraverso la malattia, attraverso la disamina di tutta la propria vita, verso un porto di speranza, un porto dove capire finalmente cosa è successo, e come affrontarlo, ancora e sempre.

Ed Elena lo sa che non avrà pace, mai, in ogni caso, che non potrà neanche farsi consolare dai gatti, che avrebbero bisogno di un aiuto che lei non riesce neanche a dare a sé stessa. Elena si chiede quindi chi sia, quale sia ora e quale sia stato per tutta la sua vita, il suo ruolo.

Un romanzo sull’identità, sulla perdita, sulla malattia, sulle ossessioni. Un bel romanzo ben tradotto da Pino Cacucci ma collocato in un contesto sbagliato. Se volete, leggetelo nella confezione proposta da Feltrinelli.

Un romanzo che ci invita a riportare il nostro sguardo su situazioni che ci sono davanti, ma che, a volte, evitiamo di guardare.

Kathryn Stockett “The Help – L’aiuto” Mondadori euro 13

[A: 21/11/2020 – I: 22/01/2024 – T: 24/01/2024] - &&& e ½ 

[tit. or.: The Help; ling. or.: inglese; pagine: 524; anno 2009]

Pur se datato nella scrittura e nell’ambientazione, e con qualche buonismo un po’ accentuato, un libro che si fa leggere e che è bene leggere e tenere a mente. Non conoscevo la scrittrice e non credo abbia avuto altre grosse uscite, ma in questa prova Kathryn Stockett si rivela una buona penna, attenta e discretamente coinvolgente. Che ci riporta ad un paio d’anni che per l’America (ed in parte per tutti) furono fondamentali.

Pieno di buone intenzioni, e scritto con coinvolgimento reale, tuttavia rimane molto tiepido sui sanguinosi rapporti che descrive. Ben sappiamo che non furono anni di rose e fiori, e l’occidentale ottimismo del libro stesso si scontra con quello che ancora vediamo in America.

L’azione parte nell’agosto del 1962, e si svolge tutta nel profondo Sud americano, a Jackson, Mississippi, uno dei posti più bui ma tipici all’ennesima potenza dello strisciante razzismo americano. Seppur siano passati solo sette anni dall’eponima vicenda di Rosa Parks e della prima sconfitta dei segregazionisti (penso sia nota a tutti la vicenda dell’autobus dei bianchi e delle conseguenze che portarono il Governo Federale a condannare le leggi razziste dell’Alabama), il profondo Sud è sempre alle prese con lo stesso problema di rapporti.

Ci sono le famiglie bianche, con i mariti che lavorano fuori casa tutto il giorno e si distraggono nei Country Club, tra tennis e golf, e le mogliettine (ne parlo al diminutivo che sembra sempre siano giovani ed inesperte) che mettono al mondo figli che non sanno allevare, non sanno cucinare, e vanno in giro con il datato filo di perle sopra il maglioncino, pensando solo al tè con le amiche ed alle partite di bridge. Non solo, ma laddove si organizzano party per raccogliere fondi per i bambini neri africani per poi costruire bagni separati nei garage per le proprie domestiche di colore. Perché certo ci sono le governanti negre che pensano a tutto: cucinare, tenere in ordine la casa, allevare i figli altrui.

Per darci conto di questo mondo, la scrittrice imbastisce un racconto a tre voci, che si alternano con differenti toni e prospettive, anche se, come ci si aspetta dalle prime battute, troveranno il modo di convergere verso un progetto comune e scardinante.

Abbiamo Aibileen, da poco superata la cinquantina, tutto fare della casa di Elizabeth, una di quelle mogliettine tipiche, dove oltre alla casa, alleva Mae Mobley, la sua diciassettesima bambina bianca. La situazione casalinga non è delle più disastrose, pur se vediamo le barriere che sorgono subito tra bianchi e neri. Ma Aibileen è anche un punto fermo della comunità nera, una che dice le preghiere per le sue colleghe meno fortunate, una che la sera scrive sui suoi quaderni pensieri e parole di quelle che ha vissuto (personalmente o tramite le sue amiche di colore) nelle tribolanti giornate di lavoro.

Contraltare di Aibileen, è l’esuberante Minny, che invece è pronta a farsi saltare la mosca al naso, che risponde per le rime se ritiene che i rimproveri delle sue datrici di lavoro bianche oltrepassino i limiti del rispetto comune. Motivo per cui è spesso licenziata, anche se poi deve fare i conti con una famiglia numerosa ed un marito manesco.

In questo contesto, torna a casa, dopo la laurea, Eugenia Phelan detta "Skeeter", che in americano colloquiale vuol dire “zanzara”, soprannome affibbiatogli da piccola per la sua fastidiosa tendenza a “dare fastidio”, cioè a porsi e porre domande. Al contrario delle sue amiche, e con grande dispetto della madre, Skeeter non cerca un marito, ma vuole seguire la sua strada, fare la scrittrice. Trovando inaspettatamente un credito da parte di una rivista di New York, si mette in testa di scrivere un libro “dalla parte delle domestiche”.

Con fatica, ma perseveranza, coinvolge nella sua idea prima Aibileen, poi anche Minny, così che nel corso di una anno riesce a confezionare un libro con la visione della vita domestica di Jackson, osservata dall’altra parte della barricata.

In tutto questo percorso, le nostre affrontano diversi ostacoli, ostracismi ben orchestrati, in particolare dalla capetta della mogliettine, Hilly, un personaggio odioso ai limiti del ridicolo (e quando leggerete il libro ne capirete i motivi). Non mi interessa entrare nei dettagli del percorso che le nostre fanno per arrivare alla fine della storia. Una fine dolceamara, che le domestiche rimarranno sempre tali, pur se si aprono alcuni spiragli di comprensione. Mentre Skeeter volerà a New York per seguire il suo sogno di scrittura, dopo la fortunata riuscita del libro.

Un utile memento che mi esce fuori dalla lettura, oltre alla sottolineatura delle violenze contro gli attivisti negri da parte del Ku Klux Klan e dei suoi epigoni, è l’analisi delle cosiddette “leggi Jim Crow” che dal 1876 sancivano la segregazione razziale: scuole pubbliche separate, luoghi pubblici con entrate diverse per i bianchi e per i neri, differenziazione dei bagni, dei ristoranti, ospedali, supermercati, e la comparsa dei cartelli “White Only” sulle porte di ogni attività pubblica e privata di ogni città d’America.

Una lettura che fatta oggi ci deve far pensare anche al nostro presente, al modo urtante di vedere la convivenza con l’altro, per sesso, colore, religione od altro. Un modo per ribadire con Schiller che contro la stupidità, padrona ormai dei nostri anni, neanche gli dèi possono nulla.

Concludo ricordando che pochi anni dopo l’uscita del libro, ne fu tratto anche un film, dallo stesso titolo, con alcune candidature all’Oscar di cui una vincente, miglior attrice non protagonista a Ottavia Spencer per la sua interpretazione dell’esuberante Minny Jackson.

Lisa Taddeo “Tre donne” Corriere Americana euro 8,90

[A: 10/01/2024 – I: 04/02/2024 – T: 06/02/2024] - &&& e ½ 

[tit. or.: Three Women; ling. or.: inglese; pagine: 350; anno 2019]

Un’altra buona prova della collana diretta da Veronesi, che, pur alternando situazioni non omogenee, si dimostra per ora una collana foriera di scelte interessanti. Anche quando, come in questo caso, ci presenta un romanzo che non è un romanzo scritto da una scrittrice italiana che non è italiana.

Partiamo dall’ultima affermazione: Lisa è figlia di Peter, un dottore italo-americano che, durante la specializzazione a Bologna, conosce Pia, che diventerà madre di Lisa e moglie sua. Una bellissima cassiera, che seguirà il marito in America. Quindi Lisa è pienamente americana pur avendo ben ¾ di sangue italiano.

Per la prima ci affidiamo alle prime parole che Lisa scrive iniziando il romanzo: “Questa non è un’opera di narrativa”. In realtà è un mix di reality ed interpolazione di fatti e di dialoghi fatta dalla scrittrice sulla base di otto anni di ricerca attraverso gli Stati Uniti, che durante la scrittura ha attraversato da Est a Ovest per ben sei volte. Ha così intervistato un considerevole numero di donne, condensandone le storie nelle tre tipologie che presenta.

Un libro che per la sua capacità rappresentativa, fu subito nella lista dei Best Sellers americani e che nel 2020 vinse il British Book Award nella categoria “Non-fiction - Narrative”, una categoria mista che rappresenta assai bene il carattere del libro (ad esempio, l’anno precedente il premio fu vinto dall’autobiografia di Michelle Obama).

L’anima del libro è incentrata sull’analisi del desiderio femminile, desiderio che spesso si intreccia con i problemi dei rapporti uomo – donna, lasciando dovuti spazi all’analisi delle sensazioni di prevaricazione maschile, laddove uso un termine un po’ generico perché abusi può a volte essere interpretato in modo non corretto. Anche se poi il confine è di una labilità estrema.

La scelta di Lisa è di alternare i capitoli relativi alle tre donne, una scelta che da una parte allenta alcune tensioni, dall’altra consente una lettura trasversale e progressiva delle diverse vicende. Vediamo allora in sintesi che le sue analisi si concentrano su: Maggie, una studentessa che rimane invischiata in una relazione poco corretta con un suo insegnante; Lina, adolescente stuprata ed ora madre insoddisfatta, e ne vedremo i risvolti; Sloane, gestore di una ristorante il cui marito ama guardarla far sesso con altri uomini e donne. E non rivelo nulla che questo è già quanto dice l’autrice nel prologo al testo.

Maggie viene da una famiglia problematica, genitori alcolisti, padre disoccupato e poi suicida, sempre in grosse difficoltà economiche. Trova comprensione di Aaron, il suo insegnante di inglese, e ne vediamo il progressivo abuso sessuale, senza mai passare alla penetrazione sessuale. Parole, messaggi, masturbazioni, tutto sempre di nascosto che Aaron è sposato. Tutto finisce, per una serie di motivi vari. Alcuni anni dopo, Maggie saputo che Aaron è indicato come “insegnante dell’anno”, vuole giustizia e lo denuncia. Assistiamo così anche a tutto il processo, ed alle difficili prove che Maggie deve sopportare. Che seguiamo dalla parte di Maggie, ma dobbiamo aspettare la fine del libro per conoscere il verdetto.

Lina, ormai adulta, in gioventù, mentre era la ragazza di Aidan viene stuprata. Ora è sposata, ma il marito, pur facendo sesso con lei, non l’ha mai baciata, né vuole farlo. Questo genera uno stato di insoddisfazione che porta Lina a ricercare Aidan. Anche lui è sposato, ma non si dispiace nel fare di nuovo sesso con Lina. Tanto che Lina cadrà in una dipendenza affettiva nei confronti di Aidan. Lina sa che lui la usa solo per appagare il suo desiderio, ma le briciole di affetto che riesce a racimolare sembrano poterle riempire la vita.

La storia di Sloane è leggermente più complessa. Bella, ricca e di successo, trova una forte intesa con il marito Richard. Sloane è sempre stata fluida, ma l’apporto di Richard la spinge oltre. Così che lei apre le porte della camera da letto a uomini e donne, insieme a Richard o da sola, ma sempre collegata a lui tramite video. Finché un rapporto con un altro uomo sposato non mette in crisi la coscienza di Sloane. La sua “leggerezza” mette in crisi l’altro rapporto e lei si comincia a domandare dove sia il confine del suo desiderio. Dove vada ad avere un impatto in situazioni che non può controllare.

Possiamo essere imbarazzati a volte da alcuni passi, o almeno io ne ho avuto la sensazione quasi voyeuristica, soprattutto leggendo, da uomo, pagine femminili. Certo, emergono immagini del desiderio femminile, che magari io, maschio, lettore, confronto con i miei personali desideri. Ma è anche un libro che scava sui pregiudizi, che mette in luce le disuguaglianze che una società, maschile, introduce laddove non comprende, desideri, scelte, magari accettate nell’uomo ma non tollerate nella donna. O tollerate solo se non espresse.

Bello è personale, poi, nel prologo e nell’epilogo, il punto scatenante è un episodio che riguarda sua madre Pia. Quando stava a Rimini, da giovane era seguita di nascosto da un uomo che, di lontano, mentre lei camminava, ne era eccitato e si masturbava. Pia se ne accorgeva, ma non ha mai fatto nulla. Lisa si è sempre domandata i motivi, senza riuscirne ad avere dalla madre, neanche nella scena, forte e dolorosa, della morte di lei in ospedale.

Charlotte & Stefano Ossicini “Il cristallo e la balena” Giovane Holden Edizioni s.p. (regalo degli autori)

[A: 28/02/2024 – I: 29/02/2024 – T: 01/03/2024] &&& +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 166; anno: 2021]

Pur essendo arrivato a fine febbraio, lo considero il regalo di Natale degli autori, che nella fattispecie, ed è qui al solito una delle difficoltà dell’analisi, sono mio cugino e sua figlia. Come certo sapete sono molto legato alla mia tribù, ed in particolare a Stefano data la conatalità, pur con un anno di differenza, ed un percorso liceale e universitario molto parallelo. Poi i destini del mondo portano a scelte diverse, soprattutto di città, ma tant’è.

Anche se, ad onor del vero, ho iscritto il libro nell’ambito delle scritture femminili, dove vedo la mano guidante di Charlotte lungo i percorsi del testo, supportata in molti punti dalle solide conoscenze scientifiche del mio emerito parente. Anche se, nelle loro storie letterarie, è Stefano ad aver prodotto più libri, divulgativi, oltre a quelli scientifici puri. E qui, in molte parti divulgative, la mano dello scienziato e del divulgatore si sente.

La storia ripercorre un classico delle divulgazioni scientifiche del tempo antico: c’è un mistero, ci si unisce per risolverlo, ognuno portando una brano di scoperta che, passo dopo passo, porta alla soluzione del mistero. È un viaggio, nel tempo e nello spazio, che insiste molto su un elemento che spesso viene sottovalutato, ma che è fondamentale nelle scoperte scientifiche: un’impresa collettiva senza l’egoismo di certe avventure di scoperta.

Il mistero è contenuto in un “mattoncino sghembo” rinvenuto negli alloggi degli ufficiali di una baleniera del quindicesimo secolo, affondata di fronte all’Irlanda, nella baia di Galway. Ad affrontarlo in prima persona è un giovane archeologo scozzese Eunan Maxwell che, non trovando il bandolo della matassa, chiede aiuto ai personaggi che vivono con lui in una comune in quel di Berlino.

Così, per gradi ma in maniera decisamente efficace, veniamo a conoscere gli altri interpreti della ricerca: Inar Goigoechea, basca, appassionata di filosofia, Marcella Borelli, ricercatrice italiana in fisica, Minoru Sasaki, un giapponese studioso di moda, e Walther Lieffert un bavarese con il talento di saper aggiustare qualunque cosa.

Una ricerca che attraverso sette indizi, che vi invito a scoprire (ma tenete a mente il numero), ed attraverso vari paesi, porterà i nostri in Islanda dove troveranno la soluzione del mistero del mattoncino. Soluzione che anche qui vi invito a leggere ed a cui arriverete anche voi con il gusto di scoprire cose nuove. O, se ne sapete già, modi nuovi di vedere la realtà.

Quello che mi interessa invece tirar fuori dal libro sono due filoni di ragionamento. Uno generale ed uno personale. Il primo deriva già da quanto accennato sopra, ma che si approfondisce capitolo dopo capitolo, entrando nei ragionamenti e nelle espressività dei giovani. Che sono loro la linfa del nostro futuro, e che i nostri autori ben sottolineano. Sono giovani diversi, che vengono da paesi diversi ed ognuno con una sua storia alle spalle.

Ma sono anche giovani emblemi delle sfide che, loro per primi, sono portati ad affrontare: il lavoro precario, la ricerca di vivere i propri sogni, inventandosi sempre nuove strade per realizzarli. Li seguiamo mentre ci manifestano i loro sogni, le loro speranze, i loro amori, e tutte le passioni che hanno e che non possono non portare aventi, pena la sterilizzazione del loro, ma anche del nostro futuro. Sempre, ed è un bene sottolinearlo, cercando di lavorare insieme, di condividere quel che ognuno sa. Che non tutti sanno tutto, ma ognuno di noi ha un pezzo della verità globale. Che non sempre si troverà, ma a cui sempre dobbiamo tendere.

Dicevo anche personale, che alcuni passi non potevano non smuovere i miei poveri neuroni affaticati. E ne cito solo i più stimolanti (e personali). La descrizione della macchina di Anticitera, un sofisticato meccanismo a ruote dentate forse il primo planetario costruito dall’uomo risalente a prima dell’era cristiana. A me, oltre alla curiosità, non poteva che rimandarmi ad una delle saghe cinematografiche da me più amate. È infatti il nodo centrale del quinto film di Indiana Jones. E poi la bellissima nave VASA che ebbi modo di vedere nella mia prima visita a Stoccolma, un improbabile vascello affondato il giorno stesso del suo varo.

Ma più ancora mi sono sentito parte del libro in tutta l’ultima parte islandese. Un paese che amo profondamente e dove non mi stanco di ritornare. Dove, in una delle mie prime visite, abitai a Egilsstaðir, nella parte est dell’isola. E visitai il Reyðarfjörður spingendomi sino alla miniera di Helgustadir, abbondantemente e doviziosamente citata nel libro, anche se non vi dirò perché. E da dove, saltando di palo in frasca, andai anche a visitare Borgarfjarðarhöfn, lo scoglio, per me incantato, patria dei puffin, le meravigliose pulcinella di mare. Un uccello che dovete assolutamente andare a vedere.

Vorrei anche sottolineare la capacità e proprietà delle descrizioni di Berlino, una città che solo chi vi ha vissuto a lungo come mio cugino può riportarci sulla carta facendocene vivere alcuni passaggi indimenticabili ed indimenticati.

Non ho certo dimenticato l’accenno che vi ho fatto sul numero sette. Che sette, come detto, sono gli indizi per arrivare alla soluzione. E sette sono i capitoli del libro. Niente di strano se si pensa, oltre al cabalismo intrinseco del numero sette, che il sette è il giorno natale di Stefano. E, visto che lui è fisico ma io matematico, mi consenta di sottolineare che se si sommano i numeri della data di nascita di Charlotte e si sottraggono quelli di Stefano, il risultato non può che essere … sette!

Poiché, infine, ci vuole anche un po’ di cattiveria, due cose non mi hanno convinto: la ricetta di pagina 59, dove viene descritta un’amatriciana senza guanciale, che per me non potrà mai essere chiamata così. Inoltre c’è una frase criptica sul calcio a pagina 109, che, come mi hanno poi spiegato gli autori, deriva dal fatto che in Germania il calcio si chiama “fussball”. E forse una piccola nota esplicativa sarebbe stata utile.

Comunque, un buon libro, con l’unica mia riserva personale che, in alcuni punti, le spiegazioni scientifiche sono leggermente più lunghe di quanto possa essere utile per una lettura agevole. Anche se mi rendo conto che bisogna fare una mediazione tra leggibilità e completezza.

Ma alla fine, è un libro che si legge bene, anche senza perdere troppo la testa nelle parti scientifiche. Non sarà un capolavoro degli anni duemila, ma, e questo è senz’altro un pregio, è di piacevole lettura.

Grazie anche alla breve seppur intensa trasferta norvegese, il mese di marzo ha portato letture di numero mediano e di altrettanto gradimento. Fatta esclusione della me sempre cara Chiara Valerio, cui va la palma del mese, mentre la maglia nera la faccio indossare a James Ellroy, che, in fondo, non mi ha mai convinto del tutto.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Charlotte & Stefano Ossicini

Il cristallo e la balena

Giovane Holden Edizioni

s.p.

3

2

Gianni Farinetti

Prima di morire

Repubblica Brivido Noir

8,90

3

3

Gaetano Garofalo

Doveva essere un mondo migliore

Mondadori

6,50

2

4

Benjamin Labatut

Maniac

Adelphi

s.p.

3

5

Edogawa Ranpo

La lucertola nera

Corriere

8,90

3

6

Richard Brautigan

La pesca alla trota in America

Corriere Americana

8,90

3

7

Marco Di Tillo

Tutte le strade portano a Genova

Corriere Gazzetta

7,99

2

8

Yū Miri

Il paese dei suicidi

Corriere Giappone

8,90

2

9

Alessandro Reali

La morte scherza sul Ticino

Corriere Gazzetta

7,99

2

10

Alexander McCall Smith

L’accademia dei detective

Repubblica Emozione Noir

7,90

2

11

Chiara Valerio

Chi dice e chi tace

Sellerio

15

4

12

James Ellroy

Perfidia

Corriere Noir

8,90

1

13

Yoshida Shuichi

L’uomo che voleva uccidermi

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

14

Georges Simenon

L’uomo di Londra

Repubblica

9,90

3

15

Piergiorgio Odifreddi

A piccole dosi

Raffaello Cortina editore

s.p.

2

16

Lorenza Ghinelli

Tracce dal silenzio

Feltrinelli

12,5

2

 

E per continuare con l’omaggio al femminile, non potevano mancare alcune grandi frasi di Vicki Baum estratte dal suo libro “Grand Hotel” (che ricordo per l’eccellente film con Greta Garbo ed i fratelli Barrymore, nonché una giovane Joan Crawford).

Frasi che appaiono qua e là nel corso delle vicende del Grand Hotel berlinese:

“La vita … esiste davvero? Ciò che si vorrebbe si trova sempre da qualche altra parte. Quando si è giovani si pensa: verrà più avanti negli anni. quando si è più avanti negli anni, si pensa: la vera vita era quella di prima” (67)

“Cos’è un peccato? – Che si cominci sempre con la donna sbagliata. Che si rimanga stupidi e che per mille notti si creda che l’amore non possa che andare a quel modo, con quel retrogusto insipido e freddo, sgradevole come un’indigestione. Che la prima donna con cui lo si è fatto non sei stata tu” (177)

“Non si può non danzare, è un’ossessione … intossica quanto il lavoro e il successo. … Il giorno in cui il successo viene meno, il giorno in cui non si crede più alla propria importanza, quel giorno, per una di noi, finisce anche la vita” (184)

“Potrà obiettarmi che la vita non è fatta di caviale, champagne e robe simili. Ma di cos’è fatta la vita? … Io non sono più un giovanotto, sono anche un po’ sofferente; ed allora, ad un tratto, uno è preso dalla paura, una paura terribile, di lasciarsi sfuggire la propria vita. Ecco, io non vorrei lasciarmi sfuggire la vita.” (241)

 “Lungo o breve che sia, è il contenuto di una vita quel che le dà senso, e due giorni di esistenza intensa possono essere più lunghi di quarant’anni di vuotezza.” (408)

E dove finisco, citando la chiusa del film, che non compare nel libro: “Grand Hotel... always the same. People come; people go. Nothing ever happens.” Che nella versione italiana diventò “Grand Hotel … gente che va, gente che viene, tutto senza scopo”: Una metafora?

Come dicevo in apertura, in questo mese di maggio si è fatta una trasferta, breve seppur interessante, sul suolo americano. Visitando per la prima volta Miami e la Florida, e tornando, dopo quarant’anni, a New Orleans. A parte l’umidità di livelli astronomici, la visita è stata interessante. Buoni spaccati americani, grande visione dell’abisso tra normali e barboni (e ce ne sono tanti). Musica, tanta, non sempre di alto livello, ma coinvolgente nella Louisiana sudista.

Ora ci si ferma, che l’estate porta consiglio e riposo. Ne riparleremo a settembre, credo. Quindi, come promesso, eccoci qua nel 2 giugno dei ricordi, con il solito salutare abbraccio.

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