Un titolo che forse non attiene al contenuto della trama in sé e per sé, ma che ha altre valenze. La prima riguarda la numerologia della trama, che è la ventiquattresima del ventiquattresimo anno del secolo. Già un bell’incrocio. Poi ricorre (ma certo è poco noto ai più) la mia partenza per il servizio militare avvenuta, per l’appunto, in un giorno “superfortunato”, il 7 luglio 1977, cioè 07/07/77. E non dico altro, ma vengo ai testi.
Italiani, di buon livello seriale con
Emilio Martini, Barbara Bellomo e Gianrico Carofiglio. Di interesse sempre
presente con il ritorno del commissario Ricciardi e dei Bastardi di
Pizzofalcone, anche se, da De Giovanni mi aspetto sempre qualche cosa in più.
Emilio Martini “Il ritorno del marinero” TEA euro 10 (in realtà,
scontato a 9 euro)
[A: 18/11/2020 – I: 28/12/2023 – T: 29/12/2023] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 234;
anno: 2018]
La cronologia delle opere di
Emilio Martini è un tantino confusa dal fatto che le pubblicazioni hanno avuto
diverse case editrici, nonché ristampe ed altro, ma, per quanto riguarda le mie
conoscenze ed i miei libri, questa risulterebbe la settima inchiesta del
commissario Berté. Il secondo elemento di confusione è stato anche che per i
primi romanzi l’autore si nascondeva, e solo col tempo si è rivelato essere … due,
e per meglio dire, come per Diabolik, due sorelle, Elena e Michela Martignoni.
Non entreremo nei loro perché, rimandoci legati a Martini ed alle sue storie.
Dove seguiamo le avventure del
commissario Luigi (Gigi) Berté, trasferito da Milano in Liguria per dissapori
vari (è assai burbero, invero). Ma lì, nel luogo inventato di Lungariva ha
trovato (o ritrovato) una sua strada. Non è rimasto ancorato al passato, alla
Rocco Schiavone, ma si è man mano costruito un presente. Con una bella squadra
di indagini, ma soprattutto con il rapporto con la dolce ed innamoratissima
Marzia.
Visto che sono passati due anni
dall’ultima lettura ricordiamo anche altre caratteristiche del corpulento
protagonista: una buona dose di intelligenza, deduttiva e pronta all’ascolto,
una puntualità lombarda che spesso lo mette in difficoltà nei rapporti
(soprattutto con la sua squadra) controbilanciata, sul piano personale, da una
gelosia da profondo sud. Ha smesso di fumare, ma non smette, neanche qui, di
mangiare, addicted ad esempio dell’untuosa pizza del forno Bernasconi. Anche se
adora Marzia, non manca di farle notare le sue insofferenze verso i locali
affollati e verso lo shopping in generale. In ultimo, la sua pianta preferita è
la paulonia (andatela a vedere) ed il suo aperitivo immancabile è il … Martini
(banalotto, eh!).
A parte l’indagine del romanzo,
il libro è innervato da alcune storie di secondo piano, ma che incidono su
Berté. Il questore di Milano lo rivuole in sede, e questo innesta una crisi di
coscienza: voglia di tornare e voglia di restare a Lungariva con Marzia.
Marzia, incinta, perde il bambino, ma i due, si capisce tra le righe, forse
pensano di riprovarci. Infine, viene rubato il suo portatile, laddove scrive i
suoi racconti. Piccole storie che innervano anche gli altri romanzi, e che
servono a volte da contraltare alle inchieste. Un colpo pesante, che verrà
risolto in modo positivo da Marzia, così che, alla fine, c’è un racconto che
distende in Berté l’animo triste di un inchiesta abbastanza complicata.
Perché gira tutto intorno a
Sebastian Scettro, detto il Marinero, che dopo nove anni torna a Lungariva,
dove vivono la nonna, i fratelli, gli amici e le amiche di sempre. Era fuggito
con la sua barca dopo essere stato accusato di violenza dalla sua ex Nathalie,
ed anche perché invischiato in qualche losco traffico. Torna e non trova di
meglio che prendersi tre pallottole nel cuore, partite da una rivoltella
d’epoca, forse addirittura della Seconda guerra mondiale.
E tutti, chi più chi meno, hanno
motivi e mezzi per farlo fuori: fratelli in lite, innamorate deluse, amici
scontenti, frequentazioni al limite della legge. La rivoltella era del nonno,
che l’aveva venduta a qualcuno, ma non sappiamo chi. E poi vediamo che, alla
rinfusa.
Il suo sodale lo cercava che
aveva nascosto una refurtiva nella custodia della chitarra del Marinero, che
però era partito senza dirgli dove fosse. Nathalie, che si era pentita delle
accuse (tra l’altro false), era sempre innamorata e forse combattuta tra amore
e gelosia. Di certo geloso era il titolare del negozio dove lavora Samantha,
che da nove anni cerca di convincere la giovane a sposarlo, ed ora non vede
certo un aiuto nel ritorno del girovago. Anche gli amici “fraterni” forse non
lo erano tanto, che Seba aveva avuto una storia nascosta con Vera, senza che
Antonio il marito sospettasse. Fatto sta che Simona ora ha nove anni…
Anche senza l’aiuto della sua
coscienza Bastarda che qui sembra averlo abbandonato, e che lo fa sbandare un
po’, alla fine il nostro Gigi troverà il bandolo che consegnerà alla nonna di
Seba, unica a rimanere candida e pura in mezzo a tutta la confusione. Rimane
solo un dubbio, dopo che la Bastarda torna a farsi sentire e noi ci dobbiamo
sorbire anche un raccontino: il commissario Berté rimarrà in Liguria o tornerà
in Lombardia?
Non so se è uscito l’ottavo
volume, ma staremo in guardia, restando anche sulle parole di Emilio Martini,
magari non capolavori, ma capaci di cullare riposi estivi (o invernali).
Barbara Bellomo “Il terzo relitto” TEA euro 10
[A: 04/10/2019 – I: 26/01/2024 – T: 27/01/2024] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 380;
anno: 2017]
Avevo letto anni fa con discreto
interesse il primo libro di Barbara Bellomo, “La ladri di ricordi”, imperniato
sulle prime mosse dell’archeologa investigatrice Isabella De Clio. Una discreta
lettura, con un misto di indagini, suspense, momenti personali e storia romana.
D’altra parte, l’autrice ha lavorato per diversi anni presso la cattedra di
Storia romana all’Università di Catania. Ho quindi iniziato con un po’ di
attesa ed un po’ di apprensione questo secondo episodio della serie di
Isabella.
Poteva cadere di tono, perdersi
in modi manieristici sul piccolo successo del primo. Invece, pur avendo alti e
bassi, e con qualche deviazione qua e là dalla trama principale, il romanzo si
mantiene gradevole, anche nelle parti storiche che, anche se con qualche
invenzione, risultano ben fatte e coerenti.
Dicevo, forse, la cosa migliore è
la ricostruzione inventata della storia romana intorno alla prima guerra
punica. La guerra con i Cartaginesi inizia intorno al 264 a.C., con la
preminenza navale dei fenici. Per questo Roma si impegna alla costruzione di
una flotta, che nel 261 a.C. sbarca a Lipari al fine di impegnare i nemici tra
Milazzo e Palermo. Qui parte la fantasy. Vero è il comandante romano, il
console Gneo Cornelio Scipione Asina, di fantasia la quinquereme che cerca di
fuggire con a capo Lucio Calvinio. Le cronache, infatti, riportano la sconfitta
romana e la prigionia di Asina per anni in quel di Tunisi.
Detto così sembra il romano un
codardo. Visto nella prospettiva di Barbara che racconta si lasci prendere per
permettere alla nave di Lucio di fuggire, si capisce meglio che, quando Asina
fu liberato dopo cinque anni, gli fu ridato il comando della flotta, sconfisse
i Cartaginesi, conquisto Palermo e gli fu decretato il trionfo in Roma. Cosa
impensabile se fosse stato sconfitto con disonore.
Per imbastire questo “pastiche”
storico, la nostra storica scrittrice utilizza di nuovo la simpatica Isabella.
Sono passati tre anni dal libro precedente (e siamo nel 2017 come dimostrerò
più avanti e non perché così dicono i diritti d’autore), Isabella è
ricercatrice presso il Museo di Avola (poco a sud di Siracusa), ma, invitata ad
un convegno a Genova scopre un papiro che parla della flotta di Asina e di come
tre navi cercarono la fuga.
Qui ci imbattiamo nel ricorrente
problema di Isabella: abbandonata dal padre a sette anni, cerca sempre di
trovare sicurezze rubando piccole cose a destra e manca. Così come ruba il
microfilm che parla di Asina, e poi, una volta cercatone riscontro nei libri di
storia, si domanda come portare avanti la sua ricerca.
Qui, la sua vicenda si incrocia
per la parte tecnica con il Museo di Archeologia Subacquea di Luca Tridente e
Paul Anderson, che venti anni prima aveva trovato due barche romane vicino alle
coste delle isole Eolie, e per la parte personale con i trasporti di Isabella
verso l’altro sesso. È attratta da Ottavio, anche se non sa che questi è il
nipote di Tridente, ma anche da Paul, che purtroppo per lei è sposato. Come
sposato è il commissario Caccia che la aiutò nella prima inchiesta e che le
rimane sempre nel cuore.
Tra un furto ed una (o più) notti
d’amore, viene anche alla luce la storia delle prime scoperte archeologiche, e
della tragica morte di una ricercatrice subacquea, Carla. Questa era la
fidanzata di Paul, ma soprattutto una donna corretta e rispettosa delle leggi.
Mentre Paul e Luca, probabilmente, avevano qualcosa di losco da nascondere, che
cercavano di nascondere il più possibile i traffici intorno ai relitti. In
questo aiutati dal giovane avvocato Ottavio. Carla era anche bersaglio della
gelosia di Giulia. Questa era sposata con Antonio, ed i due avevano per primi
trovati i relitti che poi erano oggetto della ricerca di Paul e Carla.
Ma Giulia era anche innamorata di
Ferdinando, e non vedeva bene l’aggirarsi di Carla, single, tra tutti questi
uomini. Giulia e Antonio, però, se ne vanno dall’isola poco dopo i tragici
fatti e non tornano più. Solo ora Giulia, rimasta vedova, torna per cercare di
riallacciare il rapporto con Ferdinando.
Insomma un guazzabuglio che un
romanzo rosa sembra un componimento scolastico delle medie. Anche perché, sul
lato ricerche, Isabella fa scoperte insieme a Paul, all’insaputa di tutti,
trovando, lì dove il microfilm lo indicava, tracce della terza nave (quella del
titolo) ed un coltello che, da brava cleptomane, fa subito sparire. Un furto
che le salverà la vita quando verrà messa in situazioni difficili nel corso dei
finali dell’opera.
Finali che la vedono riflettere
su Ottavio, su Paul, sulla morte di Carla, sulla fortuna museale di Luca.
Insomma su tutto l’universo del libro. Che finisce con note positive sulla vita
lavorativa della nostra, e meno su quella privata. Chissà se la lettura, per
ora non prevista, del terzo libro porterà a dei chiarimenti.
Alcune cose finali. Intano il
soprannome di Gneo Cornelio, laddove Asina che tutti indicavano come per uno
che avesse paura dell’acqua, come appunto le femmine della specie, alla fine
(così come riportato dai testi in particolare di Valerio Massimo, che nel suo
“Fatti e Detti memorabili” cita Asina come esempio della fortuna che cambia la
vita) viene appunto riferito alle vicende sociale del nostro, che pare dovesse
portare un asino carico d’oro in Senato per pagare le spese del matrimonio di
una sua figlia, come dice Macrobio.
L’altro è l’anno. Ad un certo
punto si parla di una domenica 2 aprile, e nel decennio passato l’unico anno
con tale data è appunto il 2017. Meno chiaro è l’accenno nel capitolo
precedente, che si svolge il 29 marzo, laddove Ottavio chiede a Isabella se deve
lavorare il giorno dopo, e poi ripete “Ma tu lavori anche la domenica?”. Sarà
un refuso o una mia poca agilità nella comprensione del testo?
In ogni caso, come dicevo
all’inizio, una lettura facile e godibile.
Gianrico Carofiglio “L’orizzonte della notte” Einaudi s.p. (Regalo
della sig.ra Laura)
[A: 02/04/2024 – I: 18/04/2024 – T: 19/04/2024] &&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 280;
anno: 2024]
Non
mi aspettavo un regalo pasquale, ma non solo è gradito, ma l’ho anche messo subito
in lettura tra le novità. Tra l’altro, è il ventesimo testo di Carofiglio che
entra nella mia biblioteca, segno di un discreto amore per la sua scrittura.
Certo, con alti e bassi, che i sei volumi già letti dell’avvocato Guido Guerrieri
si collocano ben sopra le altre letture poliziesche dell’autore. Lasciando a
parte gli altri romanzi, i libri di cucina e memoir, ma soprattutto quello a me
più gradito sulla città di Bari (“Né qui né altrove”).
Con
questo siamo alla settima avventura del nostro avvocato, e ne seguiamo
l’andamento cronologico, che anche lui “invecchia”, anche se forse non arriva
ancora ai sessanta dell’autore. Non solo, ma i tormenti esistenziali che
manifesta sono anche quelli di Carofiglio, o almeno così me li immagino, che
quindi danno all’impianto generale del romanzo, una valenza non solo “thriller”,
ma anche e soprattutto personale ed intima.
Dicevo,
c’è l’impianto giallo anche senza non c’è suspense, e molta della trama “quasi
noir” si aggira intorno alla parte legale della trama. Spesso non facile da
seguire, anche se Carofiglio ci mette molta buona volontà, sia per spiegarla
sia per non farla pesare troppo al lettore poco aduso a questi dibattimenti.
Anche perché, magari, noi siamo più ferrati sulla giurisprudenza americana alla
Grisham, più che su quella italiana.
Il
filo rosso che lega il testo si coniuga con la vendetta. Quella attiva, ma
forse involontaria, di Elvira Castell, quella passiva che Guerrieri subisce dal
tempo che passa. Tutto comincia con un bel tocco di personale umanità, che
incontriamo di nuovo uno dei sodali dell’avvocato, Ottavio, il libraio notturno
dell’”Osteria del Caffelatte”, che coinvolge Guido nelle vicende di Elvira. In
lutto per il suicidio della gemella, da lei attribuita a Giovanni, compagno
della sorella nonché suo persecutore. Per cui Elvira lo affronta e lo uccide. E
poi chiede aiuto, prima a Ottavio e poi all’avvocato. Guido ne accetta la
difesa, impostandola sulla legittima difesa, sostenendo Elvira essere stata
aggredita da Ottavio, prima dello sparo. Peccato che lei la pistola la portava
da casa. Per difendersi, sostiene Elvira. Per vendicarsi, sostiene l’accusa.
E
mentre i tempi della legge scorrono paralleli al tempo normale, con interesse
(maggiore direi) seguiamo le vicende di Guido-Gianrico. È stata da poco
lasciato da Annapaola, più o meno sua fidanzata, e lasciata per una giovane
spagnola. riceve un messaggio post-mortem della sua storica amica e sodale
Margherita, stroncata da un cancro. Tutto ciò non lo aiuta ad affrontare i
dubbi del processo ad Elvira, tanto che intensifica una pratica da poco
iniziata, seppur con convinzione limitata: le sedute periodiche con uno
psicanalista.
Così
entriamo meglio nel suo mondo, con gli interessanti dialoghi tra i due, che
oltre a spaziare nei ricordi di una vita di Guerrieri (e su una cosa torneremo
più avanti), evidenzia alcune forti contraddizioni nel suo stato attuale
professionale ed etico. Perché c’è un forte contrasto tra l’atteggiamento che,
come avvocato, deve seguire, ed il suo convincimento che forse Elvira è proprio
colpevole. E quindi come decidete se perseguire la giustizia o la propria
serenità personale? Arrivando al dilemma che dà origine al titolo: se di notte
l’orizzonte non si vede, possiamo dire che esiste? Se facciamo assolvere un
colpevole, è ancora giustizia?
Sia
nella professione che con lo psicologo si evidenzia il timore (anche dello
scrittore) legato allo scorrere del tempo, tanto che adombriamo la possibile
fine delle avventure di Guido, soprattutto per tutta la parte finale, dedicata
alla conclusione del processo (dove vi dico poco, che per me è solo
incidentale) e dalle riflessioni di Guido, che porta anche il lettore a
riflettere sulla propria vita, sulla base, anche, delle parole della poesia che
cito in finale. Per chi non lo ricorda è una poesia senza titolo, che
posteriormente venne intitolata “Invictus”, e che era il mantra che Nelson
Mandela si ripeteva in carcere, con quel grido potente a cui ci associamo: “io
sono il padrone della mia vita”.
In
questo andamento indolente e dolente di scrittura, come detto sopra, ci sono
momenti, tra Guido e lo psicologo, da prendere e meditare a lungo: le
esperienze infantili, i turbamenti adolescenziali, i sempre difficili rapporti
con i genitori, racchiusi in un lungo monologo verso pagina 200, che non poteva
che suscitare in me ricordi assonanti.
In
ogni caso, Carofiglio mi garba nella scrittura, e ve ne parlerò ancora a lungo.
“Un
tipico segno dell’età che avanza è pensare sempre più spesso ai presunti,
tipici segni dell’età che avanza.” (61)
“Perché
si deve morire? … Perché è proprio questo che rende la vita bellissima e
preziosa.” (125-126)
“Tutti
siamo chiamati a portare a compimento la nostra vita meglio che possiamo.”
(148)
“Non
importa quanto sia stretta la porta / quanto pieno di castighi il destino / Io
sono il padrone della mia sorte [poesia di William Ernest Henley]” (254)
Maurizio de Giovanni “Soledad (Un dicembre del commissario Ricciardi)” Einaudi
s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 25/12/2023 – I: 20/01/2024 – T: 22/01/2024] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 279;
anno: 2023]
CR15
Nuovo episodi del mio amatissimo
commissario Ricciardi, che tuttavia, anche lui, un po’ si sta incartando.
Certo, la capacità di de Giovanni è di mantenere in piedi il circo dei
personaggi, senza lasciarne cadere alcuno e portandone avanti le storie. Tutto
ciò, però, a scapito della parte giallo-poliziesca che, almeno nei primi
episodi, aveva un suo spazio di interesse.
Certo anche qui c’è il morto,
anzi la morta, ma l’intreccio si capisce già dalle prime battute, e tutte le
altre 250 pagine, pur tornando sull’argomento, si occupano di altro.
Vediamo tornare, oltre al
commissario, tutti i personaggi delle storie di de Giovanni: la figlia Marta,
la famiglia Colombo (soprattutto il suocero), la domestica Nelide, il dottor
Modo, la contessa Bianca, il brigadiere Maione e famiglia, il questore Garzo ed
anche, con alcuni interventi inutili alla trama attuale ma forse forieri di
sorprese nei prossimi (probabili) episodi, la cantante Livia.
Marta ha molto meno spazio del
precedente episodio. Capiamo solo, da un breve stacco nel parco, che lei non
sente i morti come il padre, ma i vivi che hanno problemi di fonia, siano essi
il piccolo Federico (qui assente) che il cattivo guidatore di caprette.
La famiglia Colombo è associata
idealmente ai problemi del questore Garzo. Che i Colombo sono ebrei, come
Rachele, la moglie di Garzo, nonché Sara e Rebecca, le due figlie. Dato che non
solo ci sono stati l’anno precedente le leggi razziali (la storia si svolge nel
dicembre del ’39), ma c’è stata l’invasione della Polonia da parte dei nazisti
in settembre, i venti di guerra che si avvicinano, nonché l’inasprirsi delle
persecuzioni verso gli ebrei. Motivo per cui Garzo ipotizza di fuggire con la
famiglia in Francia, ed il nostro pensa di rifugiarsi, insieme a Marta ed ai
Colombo nella tenuta avita in campagna.
Nelide è sempre presente, con i
suoi proverbi in cilentano stretto, ma anche con una piccola storia di
possibile amore con il verduraio. Storia che qui non ha seguito, ma chissà.
Seguiamo il dottor Modo nelle sue
piccole (dis)avventure legate a possibili dissidenze con il regime. Ed anche
alla maniera in cui, inaspettatamente, si salva da una retata e forse inizierà
a lavorare clandestinamente verso possibili resistenze, per ora solo
ipotizzate.
La contessa Bianca è sempre
tormentata dal suo affetto nascosto verso Ricciardi, che non si palesa mai, e
dall’amore verso Marta, cui la lega le promesse con la defunta Enrica. Ma dovrà
fare i conti con la realtà, e forse troverà altre strade.
Il simpatico brigadiere, invece,
oltre ad essere di supporto nelle indagini, è assillato dal problema del figlio
minore, troppo imbevuto di retorica fascista, tanto da commettere qualche atto
poco raccomandabile. C’è un pippone natalizio di Maione sugli eroi e sulle loro
gesta, di cui si capisce il destinatario, ma non se abbia successo.
Ricciardi si muove sempre con
circospezione, intorno alla morta, alla di lei madre con problemi deambulatori
e molta necessità di cure ad attenzione, financo agli amanti e protettori della
morta. L’anziano Catello che le fornisce di che vivere ed il giovane fascista
rampante di cui si è invaghita, ricambiata, e con il quale sembra aver avuto
rapporti molto intimi. Ma come detto è una storia flebile, che, se seguiamo i
vari passi formali, si potrebbe sciogliere in poche battute ma viene tirata per
le lunghe, fino alle pagine finali.
Dicevo, ci sono anche le puntate
in Argentina, dove si è rifugiata Livia per superare il dolore della morte del
figlioletto. Ma da dove vuole tornare in Italia, incurante dei possibili
pericoli guerreschi. La parentesi sudamericana serve anche all’autore per
inzepparci con uno dei più belli e tristi tanghi di Carlos Gardel, “Soledad”
che serve anche a titolare il romanzo. Un tango che parla della solitudine
seguente un abbandono, solitudine che, chi più chi meno, tutti nel libro
patiscono. Perché, e lo sappiamo bene anche noi, la solitudine si sente anche
in grande compagnia. Ed è ben diversa dall’essere “solo”, come nessuno in
questo libro è.
Una solitudine che tuttavia va in
parallelo con l’altro sentimento che innerva il testo: l’amore. Quello di
Ricciardi per la sua Enrica ed ora per Marta. Quello di Maione per la sua
famiglia. Quello di Bianca verso destinatari cui non arriverà. Quello di Nelide
che per amore rinuncia all’amore. Quello di Livia che lascia cantando l’ultimo
quadro dall’Argentina; ovviamente cantando “Volver”, un tango sempre
dell’immenso Gardel.
Finisco con un ultima citazione
musicale. La contessa Bianca, nei suoi momenti solitari, continua ad ascoltare
il jazz del suo amante morto. Ed in particolare più volte ritorna ad “As time
goes by”. Ora, è pur vero che la canzone è del ’31, ma la sua fama imperitura
avverrà solo diventando la colonna sonora di “Casablanca” che è del ’42, tre
anni dopo le avventure del libro. Sembra, quindi, strano che Bianca rimugini su
“You must remember this /a kiss a just a kiss”, il refrain mitico di Bogart che
guarda Ingrid. Anche perché nel ’39 la canzone era ancora completa e non tronca
come nel film, ed eseguita magistralmente da Rudy Vallée, il cantante
canadese-americano che aprì la strada a quel genere musicale poi dilagante: il
crooner, dalla voce sussurrata, ben udibile grazie all’avvento dei microfoni
negli anni Trenta.
Per cui chiudo con un rimando al
testo originale che riporto in chiusura di trama, con quell’introduzione che
blandisce i tempi presenti (c’è anche Einstein) per poi dedicarsi ai
fondamentali: ci sarà sempre posto per gli innamorati. Spero che anche de
Giovanni lo sappia.
Maurizio de Giovanni “Pioggia (per i Bastardi di Pizzofalcone)” Einaudi
s.p. (regalo della sig.ra Laura)
[A: 07/05/2024 – I: 13/05/2024 – T: 14/05/2024] &&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 230;
anno: 2024]
BP13
Dopo due anni e mezzo, il nostro
bravo scrittore seriale, decide di riprendere anche la serie dei Bastardi, con
un nuovo episodio, che, pur con la solita eccellente scrittura, lascia un po’
di delusione in fondo ai pensieri. Ci sono alcuni salti delle storie che poco
si spiegano (se non ricorrendo alla serie televisiva, ma questo sarebbe una
misticanza un po’ ardita) e c’è la solita liricità, legata all’idea del titolo
che questa volta poco prende nell’economia del testo.
Forse sarà anche perché, a me, la
pioggia, non è che piaccia gran che. Certo, in questo romanzo, è una costante.
Piove per lavare i peccati. Piove per bagnare i protagonisti che magari con la
scusa della pioggia, possono trovarsi o ritrovarsi. Che, al solito, in questo
“procedural thriller” all’italiana (che deve molto alla memoria di Ed McBain ed
all’87° Distretto) ci sono i due filoni che vanno in parallelo. Il thriller, il
morto, la ricerca dei motivi e di chi ha perpetrato il crimine. Ma c’è anche tutta
la storia privata dei Bastardi, ognuno che prosegue la sua storia, ognuno,
omaggiato da De Giovanni, con una pioggia speciale (o forse è l’editor di
Einaudi che ha fatto lo sforzo?).
C’è il vicequestore Luigi Palma
(pioggia incalzante) che non riesce a staccarsi da Ottavia ma che si trova
sempre di fronte il dilemma (reciproco) del figlio di lei autistico. Ed
ovviamente c’è Ottavia, vice sovrintendente, e pioggia insistente, con i
sentimenti reciproci e opposti al questore. C’è il sostituto commissario in
quiescenza Giorgio Pisanelli (pioggia persistente) che non riesce a smettere di
lavorare, anche perché si è preso pure l’onere di custodire il Serpico del
gruppo. Che ovviamente è l’agente scelto Marco Aragona (pioggia fastidiosa),
diviso tra le sparate alla grande agente americano e la realtà di un
innamoramento con l’infermiera Nadia che promette interessanti sviluppi di
intreccio (o di scioglimento se Maurizio sarà molto cattivo). C’è l’agente
assistente Alex Di Nardo (pioggia improvvisa) con il suo rapporto lesbico con
la dottoressa e la difficoltà di farlo accettare alla sua famiglia. C’è
l’assistente capo Francesco Romano (pioggia fortissima) anche lui nel pieno
dilemma tra il rapporto con la piccola che ha salvato da morte certa qualche
libro fa, il nuovo amore con la dottoressa pediatra e l’impossibilità di andare
sia avanti che indietro con la moglie. C’è la vicecommissaria Elsa Martini
(pioggia incessante) trasferitasi a Napoli alla ricerca del padre della sua
bambina, e coinvolta nella complessa vicenda tra l’averlo trovato e
l’intelligente Vittoria (detta Vicky) che ha sgamato tutto. Ed infine c’è
l’ispettore Giuseppe Lojacono (pioggia battente) quello che tanti anni fa diede
il via alla serie in solitario, per poi costruirsi una bella identità con il
gruppo, e soprattutto con la figlia Marinella (che qui seguiamo in un periodo
di turbe adolescenziali) e forse con qualche speranza futura di nuove
avventure, visto che la precedente con il magistrato Laura Piras non è finita
bene.
Poi, sempre bagnato dalla
pioggia, c’è la storia del morto. Viene trovato, ucciso e brutalizzato, il
temutissimo avvocato Leonida Brancato, ormai pensionato. Un uomo dai mille
segreti, e dalle mille vittorie in Tribunale, capace di far assolvere o condannare
a pene lievi anche i peggiori delinquenti. Che quello che importa è la corsa,
non se chi corre non è leale.
Ma Leonida, appunto, si è
ritirato da anni, dopo la morte dell’amata moglie. Non mancando certo di
mantenere le redini del suo studio, che, per non farlo fallire, invece che al
figlio, volenteroso ma senza attributi, decide di affidare alla nipote, una vera
donna in carriera.
I nostri brancolano nel buoi, che
non c’è stata effrazione, che la portinaia non ha visto né sentito nulla, che
il figlio ha un alibi sicuro, che anche la ditta di ristrutturazioni
dell’appartamento affianco si comporta peggio delle tre scimmiette (forse due,
non vedo e non sento, che a parlare, interrogati) si deve.
La forza del nostro scrittore,
tanto amato in alcune scritture, quanto non troppo benvisto nei panni di tifoso
di calcio (che ho in astio tutte le sovraesposizione pedatorie, attività in cui
sono abilissimi i tifosi del Napoli e di Maradona), è nel costruire un puzzle
che alla fine ci restituisce la storia condita, come ovvio, non da errori
giudiziari, ma da precorsi al limite della giurisprudenza. E dico un puzzle,
che alla ricostruzione della storia, che metteva ancora una volta in pericolo
l’onorabilità dei nostri Bastardi, ognuno di loro porta un pezzo, che alla fine
Lojacono e Martini riusciranno ad incollare tutti insieme.
Non ci sorprende che in passato
l’avvocato Brancato abbia fatto assolvere, attraverso cavilli, un imputato di
droga responsabile della morte di un giovane. Imputato che, anni dopo, sarà
ancora a processo per lo stesso reato. Qualcuno (e non vi dico se uomo o donna)
coinvolto nel primo e qualcuno nel secondo hanno l’idea di ergersi a
giustizieri laddove giustizia non c’è.
In fondo, a parte appunto
l’evolversi della storia e delle storie, è questo che rimane nei meandri del
cervello: esiste una giustizia giusta? Dove possono arrivare elementi che
mitigano il giudizio complessivo? E dove e quando questi elementi, di giustizia
per gli uni, saranno ingiustizia per gli altri? Un bel dilemma filosofica, che
non verrà risolto qui. Anche se speriamo e ci auguriamo di ritrovare presto i
nostri Bastardi (magari all’asciutto, Maurizio, eh?).
Prima trama del mese di luglio,
quindi con i rimandi alle letture di aprile, che, complici strascichi pasquali
e ponti di fine aprile, è ben più densa della solita media. Anche se l’unico libro
che si eleva sopra la media è l’ottimo testi di Dario Ferrari (da leggere). E l’unico
che si inabissa è il purtroppo inutile breve saggio della generalmente da me
amata, Banana Yoshimoto.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Bruno Morchio |
La fine è ignota |
Repubblica Profondo Noir |
8,90 |
2 |
2 |
Italo Calvino |
Ultimo viene il corvo |
Repubblica |
9,90 |
2,5 |
3 |
Augusto De Angelis |
La barchetta di cristallo |
Mondadori |
6,50 |
2,5 |
4 |
Enrico Franceschini |
Bassa marea |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
2 |
5 |
Dario Ferrari |
La ricreazione è finita |
Sellerio |
s.p. |
4 |
6 |
Rosa Teruzzi |
Il valzer dei traditori |
Feltrinelli |
s.p. |
3 |
7 |
Louise Penny |
Natura morta |
Repubblica Profondo Noir |
8,90 |
3 |
8 |
Banana Yoshimoto |
Che significa diventare adulti? |
Feltrinelli |
12 |
1 |
9 |
Gillian Flynn |
Sharp Objects |
Corriere Profondo Nero |
7,90 |
2 |
10 |
Lorenza Ghinelli |
Bunny Boy |
Feltrinelli |
s.p. |
2 |
11 |
Isabel Allende |
Eva Luna racconta |
Repubblica |
9,90 |
2 |
12 |
Roberta De Falco |
Sangue del mio sangue |
Repubblica Emozione Noir |
7,90 |
3 |
13 |
Gianrico Carofiglio |
L’orizzonte della notte |
Einaudi |
s.p. |
3,5 |
14 |
Enzo Bianchi |
La vita e i giorni |
Corriere |
8,90 |
3,5 |
15 |
Augusto De Angelis |
Il canotto insanguinato |
Mondadori |
6,50 |
2,5 |
16 |
Antonio Paolacci & Paola Ronco |
Nuvole barocche |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
2,5 |
17 |
Jorge Amado |
Alte uniformi e camicie da
notte |
Repubblica Latino-americana |
9,90 |
2 |
18 |
Michael Hjorth & Hans
Rosenfeldt |
Oscuri segreti |
Corriere Profondo Nero |
7,90 |
3 |
Mentre per la mia solita citazioni di passaggio
vi riporto ad un autore italiano che spesso passa per il poliziesco con un
simpatico investigatore. Qui porgo Gian Mauro Costa nel suo “Il libro di legno”, con delle frasi che di sicuro avrebbe pensato
entrando nella mia biblioteca:
“Quando raramente … si convinceva
a prestare uno dei volumi della sua biblioteca … lo sostituiva con uno di
legno. Si era fatto costruire da un falegname dei volumi perfettamente
sagomati, lisci, di due o tre misure. Quando prestava un libro, lo sostituiva
subito con una copia di legno.” (19)
“Ma si era stufato davvero di
molte cose, anche di quel lato del suo carattere. Decise di smetterla con i
riepiloghi, con le messe a punto, con le cose tutte sistemate e in ordine. Non
avrebbe sentito la mancanza di tutto quello che stava eliminando.” (291)
Nonostante sollecitazioni e richieste, devo
confessare che gli ultimi viaggi mi hanno stancato più del previsto e del prevedibile.
Per cui, mi prospetto due mesi di vario riposo prima di pensare a riprendere aerei
ed altre appendici di mobilità.
Si andrà nei riposi litoranei o pedemontani, cercando di mettere in ordine libri, case ed altro, senza mai farvi mancare i miei abbracci.
PS: Come accennato, vi riporto il testo integrale della versione originale di “As time goes by”, sperando apprezziate le prime due strofe, spesso dimenticate
This day and age
we’re living in gives cause for
apprehension, With speed and new
invention, and things like
third dimension. |
I giorni che viviamo oggi danno motivi di apprensione, Velocità e nuove invenzioni, e cose come la terza dimensione. |
|
|
Yet, we get a
trifle weary, with Mr. Einstein’s
theory, So, we must get
down to earth, at times, relax
relieve the tension. |
Eppure, ci affatichiamo un po', con la teoria di Mr. Einstein, Quindi dobbiamo scendere con i piedi per terra, A volte, rilassarsi allevia la tensione. |
|
|
No matter what the
progress, or what may yet be
proved, The simple facts of
life are such, they cannot be
removed… |
Non importa quale sia il progresso, o ciò che può ancora essere provato, I semplici fatti della vita sono tali Che non possono essere rimossi... |
|
|
You must remember
this: A kiss is still a
kiss, A sigh is just a
sigh. The fundamental
things apply, As time goes by |
Devi ricordarlo sempre Un bacio è solo un bacio, Un sospiro è solo un sospiro Valgono le cose fondamentali Con il passare del tempo |
|
|
And when two lovers
woo, They still say,
"I love you". On that you can
relay No matter what the
future brings, As time goes by |
E quando due amanti si corteggiano Dicono ancora: "Ti amo" Su questo puoi fare affidamento Non importa cosa ci riserverà il futuro Con il passare del tempo |
|
|
Moonlight and love
songs Never out of date Hearts full of
passion Jealousy and hate Woman needs man, And man must have
his mate. That no one can
deny |
Chiaro di luna e canzoni d'amore Mai fuori moda Cuori pieni di passione Gelosia e odio La donna ha bisogno dell'uomo E l'uomo deve avere la sua compagna Questo nessuno può negarlo. |
|
|
Well, it's still
the same old story, A fight for love
and glory A case of do or die. The world will always
welcome lovers As time goes by |
Beh, è sempre la stessa vecchia storia Una lotta tra amore e gloria Una situazione: agire o morire Il mondo accoglierà sempre gli innamorati Con il passare del tempo |
|
|
Oh, I'm singing it
to you right now, Cause we're talking
about Moonlight and love
songs Never out of date |
Oh, te lo canto ore Perché stiamo parlando di Chiaro di luna e canzoni d'amore Mai fuori moda |
|
|
Hearts full of
passion Jealousy and hate Woman needs man, And man must have
his mate. That no one can
deny |
Cuori pieni di passione Gelosia e odio La donna ha bisogno dell'uomo E l'uomo deve avere la sua compagna Questo nessuno può negarlo. |
|
|
Well, it's still
the same old story, A fight for love
and glory A case of do or die. The world will always
welcome lovers As time goes by As time goes by |
Beh, è sempre la stessa vecchia storia Una lotta tra amore e gloria Una situazione: agire o morire Il mondo accoglierà sempre gli innamorati Con il passare del tempo Con il passare del tempo |
|
|
Time goes by |
Il tempo passa |
Nessun commento:
Posta un commento