Un giro d’Europa di moderato interesse, al
fine di entrare nelle varie epopee nazionali, laddove, in effetti, la nazione
meglio dipinta nei testi è per l’appunto la Grecia di Maris, per cui ringrazio
chi me lo ha fatto conoscere.
Jacqueline Winspear “Un semplice caso di
infedeltà” Repubblica Essenza Noir 39 euro 8,90 (in realtà, scontato a 8 euro)
[A: 27/03/2023– I: 27/10/2023 – T:
28/10/2023] - &&&
[tit. or.: Maisie Dobbs; ling. or.: inglese; pagine: 313; anno 2003]
Non conoscevo Jacqueline Winspear,
quasi mia coetanea, cresciuta nell’ambiente dell’editoria scolastica in
Inghilterra, poi emigrata in America dove vive in California con il marito. Da
sempre colpita dagli avvenimenti della Prima Guerra Mondiale, nei primi anni
2000, in seguito anche ad un incidente che la costringe al riposo, si
costruisce un possibile mondo di personaggi che agiscono nel periodo che è
sempre stato base dei suoi studi.
Nasce
così Maisie Dobbs, di cui stiamo parlando, primo volume di una serie che vede
la signorina in questione come protagonista, e che dopo questo libro, ne vede
uscire altri sedici (l’ultimo lo scorso anno). Fortunatamente, per la mia mania
dell’ordine, leggo questo primo episodio, che serve anche a costruire il mondo
“Dobbs”.
Lasciando
al fine le mie solite rimostranze sui titoli, per costruire il suo personaggio,
invece di farne una cronologia, usa, e questa volta non dispiace, un flashback
a intarsio. C’è una prima parte che serve ad introdurre Maisie del 1929, anno
dell’azione del libro, ed il suo stato attuale. Una possibile carriera di
investigatrice, ma capiamo anche che è qualcosa in più. Introduce un codice
etico, da condividere con i clienti, e non si accontenta di arrivare alla
risoluzione del caso, ma mette le basi affinché la soluzione sia anche il
trampolino di lancio per la ricostruzione. In fondo, un caso è sempre sintomo
della rottura di qualcosa.
Nel
flashback, veniamo alla costruzione della storia di Maisie. Di umile famiglia,
madre morta, vive con il padre che porta verdura e altri viveri a clienti vari
con il suo carro tirato dalla fedele cavalla Penelope. In base a circostanze
fortuite, su richiesta del padre, Maisie entra a servizio nella casa di Lady
Rowan, aristocratica illuminata, con una forte amicizia con lo strano dottor
Maurice Blanche. Strano non come personaggio, ma per le sue iniziative a tutto
campo non solo nel campo medico, ma anche nell’aiuto verso le classi
lavoratrici, inusuale per l’epoca.
Maisie
si fa benvolere per la sua attenzione, ma anche, ad un certo punto, per la sua
propensione alla lettura ed all’accrescimento personale. Sfruttando di nascosto
la biblioteca di casa, dalle tre alle cinque del mattino legge di tutto, dai
filosofi ai letterati, cercando anche di studiare il latino. Scoperta, non
viene licenziata, ma incoraggiata nella sua indole, avendo lady Rowan e Maurice
come mentori. Maisie dovrebbe essere nata nel 1897, visto che ha tredici anni
nel 1910, ed a 18 passa brillantemente per entrare a Cambridge. Non al college
maggiore, che solo nel 1920 venne concesso alle donne di laurearsi ad Oxford,
ma al Girton College, il primo istituto universitario femminile inglese.
Purtroppo,
la guerra irrompe nello scenario, e Maisie decide, come molte ragazze della sua
età, di studiare da infermiera, e di arruolarsi nel corpo medico. Vedremo
quindi le sue peripezie in Francia per aiutare i malati, ed assistiamo alla
nascita del suo amore verso il dottor Simon. Amore interrotto da una granata
che colpisce alla testa Simon, togliendoli il contatto con il mondo esterno.
Alla fine della guerra, intuiamo che Maisie si laurea e comincia a fare da
assistente alle iniziative di Maurice.
Nell’anno
dell’inizio del romanzo, Maurice è andato in pensione e Maisie inizia a volare
con le sue gambe. Imbattendosi nella storia di una donna che il marito sospetta
lo tradisca, ma che lei scopre usare le ore di “fuga” dal quotidiano per
visitare la tomba di un soldato. Morto, ma non in guerra. Ferito gravemente,
sfigurato, Victor (il morto) si rifugia in una struttura gestita da un ex
soldato, Adam Jenkins, chiamata “La Ritirata”, dove si rifugiano soldati feriti
che non riescono a reinserirsi nella società. La cosa che fa subodorare
problemi è il fatto che, per entrare, debbano lasciare tutti i loro beni a
Jenkins.
La
storia di Victor si mescola con quella del figlio di Lady Rowan, che vuole
entrare nella casa di Adam, e con la ricerca di Maisie per trovare i motivi di
una serie di morti sospette legate alla casa. Non vi dico certo come, Maisie,
con l’aiuto di Billy, un tuttofare al suo servizio, e la supervisione di
Maurice, riesce a trovare il bandolo dell’intricata matassa.
Ora,
il lato giallo della storia non è molto avvincente, ed un po’ scontato. Buone
invece sono sia le ambientazioni nell’Inghilterra dei primi trenta anni del
secolo scorso, nonché la figura stessa di Maisie. Sostenute da una scrittura
partecipe e mai troppo fuori linea. I personaggi principali vengono fuori con
decisione, così come i guasti derivanti dalla guerra.
Come
detto all’inizio, invece, poco ho gradito le scelte editoriali. Incentrare il
titolo su un caso di infedeltà è una forzatura. Non solo, nella quarta da
infedeltà si passa a divorzio, forzando di molto il testo. Certo capisco, ma
non approvo, che lasciare il solo nome della protagonista non avrebbe
invogliato molto il lettore. Pur tuttavia è il primo di 17 volumi che trattano
le azioni di Maisie Dobbs dal ’29 in avanti. Quindi, la signorina avrebbe
diritto al suo spazio.
Javier Cercas “Indipendenza” Repubblica
Essenza Noir 13 euro 8,90 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 04/10/2022 – I: 30/04/2024 – T:
03/05/2024] - &&
e ½
[tit. or.: Independencia; ling. or.: spagnolo; pagine: 2394; anno 2021]
Spesso indicato come “Terra Alta 2”, in
effetti, questo secondo libro nel solco del giallo di Javier Cercas riprende
temi e personaggi del primo libro, per costruire una trama un po’ meno
poliziesca ed un po’ più politica, così come meglio si addice alle sue corde.
Certo, abbiamo indagini, anche intrecciate,
ed abbiamo il protagonista che attraversa le vicende ed un po’ come mr. Wolf di
Tarantino, risolve problemi. Ritroviamo cioè il poliziotto amante dei libri
Melchor Marín, quello che ha chiamato la figlia Cosette in onore dei
Miserabili. Nel primo libro, in quel di Terra Alta, risolve il mistero della
morte di due persone, subisce la morte di Olga, e non riesce ancora a risolvere
il mistero della morte della madre prostituta.
In questo secondo episodio, c’è una trama
nera legata ad un ricatto perpetrato attraverso dei video hard che colpisce la
sindaca di Barcellona. Una trama cui, come un serpente, se ne attorcigliano
due. Una sempre legata alla madre di Melchor. L’altra legata alle vicende
politiche della Catalogna negli ultimi quindici – venti anni. Forse, poi, a
Cercas interessa dire qualcosa in questa direzione, più che farci seguire le
vicende nere. Tanto che, soprattutto il ricatto, è di così facile comprensione,
che non si capisce appunto se sia stato messo lì solo per fare da filo
conduttore ad altro. A quello che più interessa l’autore.
Allora, la vicenda “privata” comincia nel
passato dove tre barcellonesi bene ed un quarto loro compagno di studi, ma un
po’ scapestrato (anche se sempre di buon ambiente) organizzano festini hard con
molto sesso e molte riprese video. Attività che ad un certo punto si ferma (ed
alla fine scopriremo il perché, ma non ve lo dico né ora né mai), con i tre che
veleggiano verso i vertici della politica e dell’imprenditoria catalana, e
Ricky, il quarto, anche in seguito a tracolli privati, più verso i bassifondi:
commerci strani, falsificazioni di bitcoin, spaccio ed altre turperie.
Quando Ricky ritrova casualmente i video di
cui sopra, pensa di organizzare qualche ricatto, che alla fine sfocia nel
ricatto principe verso la sindaca. Anche se, almeno ufficialmente, Ricky muore
d’infarto e viene seppellito. Alla fine, seguendo fili labili ma di grande
intuito, Melchor capisce meglio come possono essere andate le cose, ed in un
finale leggibile ma spezzettato in maniera letterariamente, per me, poco
intellegibile, Melchor risolve i casi che gli stanno a cuore: salva Barcellona
dal ricatto, trova gli assassini della madre, e, un po’ alla Maigret, decide
lui chi sia da perseguire e chi sia da scordare, nella massa degli interpreti
di contorno della vicenda.
Ma non è questo, o non è solo questo, che
interessa a Cercas. Perché, non volendo fare un pamphlet di difficile
sostenibilità (rispetto, ad esempio, al documentatissimo “Anatomia di un
istante”), preferisce giocare con la fiction, dandoci la sua versione degli
avvenimenti catalani tra il 2014 ed il 2019. Riesce così a dire delle cose che
forse sono vere ma di cui prove nulle.
Sostiene Javier, che tutta la mobilitazione
di quegli anni sia stata messa in atto non tanto e non solo come momento di
rivendicazione da parte della Catalogna, motore pulsante della Spagna, ma come
tentativo di una parte imprenditoriale di ristabilire equilibri economici che
si stavano deteriorando. Così, uno dei personaggi, ci parla dell’ascesa di
Carles Puigdemont messo alla presidenza della Regione dai “poteri forti”, a cui
però sfugge essendo in realtà “un talebano della politica”, che vuole realmente
l’indipendenza della Catalogna. I manovratori nell’ombra, i “grandi vecchi”,
pensavano di poter muovere i fili senza spezzarli. Così come si riusciva a fare
le grandi manifestazioni, non come proteste ma, come dice un personaggio,
“erano sfilate”.
Ed allo stesso modo, sono sempre loro, quelli
che “si muovono dietro le tende del potere”, che decidono di far precipitare il
tutto verso una resa dei conti. Arrivando così a quello che in Spagna viene
chiamato “juicio del procés”, cioè il giudizio intentato al processo di
indipendenza. Una battaglia legale che vedrà trionfare il potere di Madrid,
condannare molti imputati, fuggire all’estero Puigdemont. Fino a che, tra il
2021 ed il 2022 (in pieno finale di Covid) il governo Sanchez, nel processo di
pacificazione del paese, decide la grazia per tutti gli imputati, onde riaprire
un processo di unificazione reale del paese e delle sue esigenze.
Cercas si ferma prima, che scrive il libro
prima della grazia (inciso: poi con un altro gioco da prestigiatore, decide che
la vicenda si svolga nel 2025, lontano dal turpe oggi e dalla pandemia), ma fa
capire che, sotto, ci sono più cose di quante ne sappiamo. Insomma, la trama
gialla è esile e scoperta, la trama politica è pesante, e soprattutto, a volte,
non sempre decifrabile da chi non sia spagnolo.
Ci sono altre due cose che vorrei riportare
prima di chiudere. Una di fondo, che nella felicità della scrittura, Cercas si
inventa un gioco metaletterario, dove si narra di un libro, scritto da un certo
Javier Cercas, che si intitola “Terra Alta” e che descrive le azioni di Melchor
come le conosciamo. Un libro che viene citato a più riprese, sottolineando,
soprattutto da parte del nostro, che la verità è diversa da quanto viene
scritto in quel libro. Un bel gioco di rimandi.
Infine, una sottigliezza editoriale: a pagina
119 si parla di poliziotti presenti in una stanza, dicendo: “nell’Ufficio … si
trovano sei persone”. Poi si vanno elencando: “oltre a Gonzalez ed allo stesso
Vazquez, ci sono Torrent, Ricart, Roig e Cortabarrìa; e anche Melchor”. Ora, se
non vado errando coi numeri, a me le persone sembrano sette. Un po’ di
attenzione, poffarbacco.
“Keynes: quando i fatti cambiano, io cambio
opinione … Io sono cambiata perché il mondo è cambiato. La gente che pensa
sempre la stessa cosa non pensa.” (104)
“Tutti i buoni romanzi parlano di noi.” (388)
“I romanzi non servono a niente, tranne che a
salvare le vite.” (389)
Katrine Engberg “Il guardiano dei
coccodrilli” Feltrinelli euro 12,50 (in realtà, scontato a 4,95 euro)
[A: 18/04/2021 – I: 07/02/2021 – T:
09/02/2021] - &&&---
[tit. or.: Krokodillevogteren; ling.
or.: danese; pagine: 376; anno 2016]
L’ormai cinquantenne Katrine inizia la sua carriera
artistica come coreografa e la prosegue, sin che possibile, nell’ambito del
ballo. Una decina di anni fa, dopo alcuni tentativi non particolarmente
riusciti, si impegna in una serie di gialli ambientati nella sua città
Copenaghen. Sarà per alcune conoscenze cittadine che ci rendono vivida la città
stessa, sarà per alcuni spunti narrativi, la serie, di cui questo è il primo
dei cinque libri usciti, ha un discreto successo, locale e internazionale.
Intanto, come primo appunto, non si capisce
perché in italiano venga indicata come “La serie di Copenaghen”, mentre in
patria si identifica con il protagonista, Jeppe Kørner. Probabilmente, il
disguido viene dal fatto che la prima pubblicazione non danese fu il tedesco, e
lì venne sottotitolata come “Kopenhagen-Thriller”.
A parte questo interrogativo, ed alcuni punti
deboli che vedremo più avanti, il testo si mantiene ad un buon livello di
scrittura e di tensione, anche se, talvolta, la tensione stessa scema, in
particolare quando ci si allontana dal fulcro della vicenda. Fulcro dove
orbitano quelli che dovrebbero essere i protagonisti (e che in effetti hanno il
compito finale di spiegare l’intricata vicenda). Sono l’investigatore Jeppe
Kørner, e la sua aiutante Anette Werner. Un duo un po’ troppo stereotipato. Lui
viene da un divorzio doloroso, continua a pensare alla ex-moglie, entrando in
spirali di deficienza di stima. Lei invece è ben maritata, ed è anche sempre
allegra, nonché dedita ad un culto immotivato per il cibo spazzatura.
L’intrigo,
soprattutto all’inizio, prende abbastanza. Si trova il corpo martoriato della
bella Julie che abita nel palazzo di proprietà di Esther de Laurenti, un
passato nella pubblica amministrazione, ed ora, pensionata, con velleità
artistiche. Non solo, ma, proprietaria del palazzo, non si tira indietro né ad
organizzare feste molto alcoliche, né ad affittare appartamenti dello stesso a
svariati personaggi. Come Julie, la morta, o come Gregers, un anziano vedovo
verso cui alla fine si dirigeranno i pensieri di Esther.
Qui,
nasce anche un accenno di trama metaletteraria, che Esther, tra le altre cose,
tenta di diventare un scrittrice di gialli, sia frequentando scuole di
scrittura, sia scrivendo essa stessa un giallo. Non sapendo come iniziarlo,
prende a prestito alcuni aspetti di Julie, per poi svilupparlo in una direzione
propria. Peccato che l’assassino di Julie sembra proprio uscire da quelle
pagine, ponendo Esther, immotivatamente, in testa alla lista dei sospettati.
Con
una scena che a poco a poco si complica. C’è uno strano agente della
scientifica che sembra più propenso ad ingarbugliare le prove che a portarne
alla luce quelle significative. C’è il padre di Julie, che non ha mai digerito
i comportamenti della figlia, soprattutto quando lei rimane incinta. C’è il
tutto fare del teatro, nonché cuoco speciale per Esther, che ha visto qualcosa,
e che farà una fine dubbiosa (omicidio ben perpetrato o suicidio per pesi
morali non sopportabili). C’è il circolo di aspiranti scrittori, gli unici che
hanno letto i capitoli del romanzo di Esther in anteprima, da dove potevano
prendere gli spunti omicidi. In particolare, uno di loro Klingo, iperprotettivo
nei confronti del figlio e della sua prole adottiva.
Il
bello è che, pur negando tutto all’inizio, man mano scopriamo che tutti si
conoscono. Un sasso lanciato nell’acqua dei sospetti, che allarga molto il
cerchio dei probabili assassini. Ma che, se letto con attenzione, in effetti,
lo restringe ad un elemento solo di possibilità.
Come
detto, un giallo interessante, una serie che promette dei seguiti probabilmente
leggibili, anche se Katrine deve rinforzare il profilo di Jeppe ed Anette. In
effetti, di tutti i personaggi del libro, sono quelli più omologati al mondo
del giallo classico, mentre altri co-protagonisti vengono descritti ed
affrontati con maggior acume.
Un
appunto finale sulle forze-debolezze del testo viene dal titolo e dal suo
significato. Ad un certo punto Jeppe spiega l’agire del guardiano dei
coccodrilli, un uccello che si nutre degli avanzi di cibo in bocca agli
alligatori. Finché lavora bene, tutto procede. Se sbaglia, “Addio guardiano”.
La
leggenda viene da lontano, laddove Erodoto narra dell’esistenza di un uccello,
il “Trochilo spazzolino”, che opererebbe come descritto da Jeppe. Leggenda
ripresa poi da Aristotele, da Plinio, fino ai tempi moderni, dove il figlio del
grande organizzatore di viaggi, Thomas Cook, ne attesterebbe la presenza vicino
ai coccodrilli del Nilo. Tanto che, per descrizione ed assemblaggio di
informazioni, il trochilo viene individuato come il “Piviere egiziano” o come
il “Pavoncello dello sperone”.
Peccato
che quella di Erodoto sia, appunto, una leggenda, e che mai nessuno ha mostrato
una fotografia di queste descrizioni. Tuttavia, Jeppe ben descrive con quella
metafora il comportamento di alcuni personaggi. Comunque, aspettiamo altre
avventure di Jeppe e Anette.
Ghiannis Maris “Il tredicesimo passeggero”
Feltrinelli s.p. (prestito di Fako)
[A: 29/05/2024– I: 31/05/2024 – T:
01/06/2024] - &&&
[tit. or.: Ο 13ος επιβάτης; ling. or.: greco; pagine: 179; anno 1956]
Con questa lettura, ed anche grazie alle
parole stesse di Markaris, facciamo un salto all’indietro di quarant’anni,
passando dagli anni ’90 di Petros agli anni ’50 di Yannis Maris (in greco
Γιάννης Μαρής) pseudonimo letterario del giornalista Ioannis Tsirimokos. Che
appunto nell’anno mirabile 1953 fa il suo esordio con il primo libro “Delitto a
Kolonaki”, in cui compare il suo personaggio cardine, il commissario Ghiorghos
Bekas, anche solo dal secondo libro comincerà ad avere una sua fisionomia.
Un commissario pingue e lento, formalmente
corretto, sempre in giacca e cravatta, anche sotto i 39° dell’estate ateniese.
Una persona che cerca di capire l’ambito del crimine, riprendendo alla lontana
alcuni modi del Maigret di Simenon. Un investigatore ostinato, con il vizio
(ahi, che cosa grave) di leggere i giornali al mattino (che ormai faccio solo
io e pochi altri miei epigoni). Una fissa che Markaris riprenderà, mutando gli
obsolescenti giornali con l’intramontabile dizionario della lingua greca.
Bekas è intimamente deduttivo, non arrischia
ipotesi di nessun tipo: si esaminano i fatti, si parla con le persone, ed alla
fine se ne deduce uno schema. Da qui in poi, si tratta solo di trovare le prove
per incastrare il colpevole. Un modus operandi che ho letto nei commenti degli
altri suoi libri, e che ritrovo in questo, considerato se non uno dei suoi
migliori, senza dubbio uno di quelli più tradotti all’estero.
Un libro che, ad onor del vero, incomincia
molto in sordina, con una serie, piccola ma significativa, di persone che
muoiono. Alcune vediamo che vengono uccise, quindi sicuramente sono omicidi.
Altri potrebbero anche essere suicidi o morti accidentali. Certo è che quando
le informative giungono a Bekas, il nostro commissario comincia a farsi delle
domande. E quando non trova risposte alle sue domande, di certo non riesce a
staccare il pensiero.
Dopo una serie di capitoli ben scritti, e
che ci conducono nell’atmosfera greca degli anni Cinquanta, finalmente si
riesce a trovare un paio di svolte significative al romanzo. La prima è la
presenza, misteriosa, di una persona vestita con un abito bianco, sempre
presente nelle vicinanze delle persone che muoiono. Potrebbe essere un caso, ma
costringe Bekas a tirare qualche filo, arrivando al nodo del problema.
Anni prima, nel 1942, al fine di sfuggire
alla guerra, il greco Ambàzoglu cerca di rifugiarsi in America. Ma si trova di
fronte ad un naufragio, insieme ad altre persone, e si salvano tutte
miracolosamente, e con una buona dose di solidarietà reciproca. Il nostro poi
riesce nel suo intento, fa una barca di soldi, e quando muore lascia tutte le
sue fortune ai sodali del naufragio, o ai loro discendenti.
Ecco trovato il filo rosso della trama, che
si unisce ad altri due elementi “da basso continuo”, direbbe un musicista. Cioè
che martellano in sottofondo, per mantenere il ritmo. La storia d’amore di una
coppia, lei erede del naufragio, lui sodale in America del morto, con frequenti
assenze ed abbigliamenti stravaganti. La storia di miseria e riscatto di un
ladro (anch’egli erede) e della sua donna, proveniente dall’ambiente delle
signorine di facili costumi.
La trama si sviluppa forse un po’ troppo
sulla falsariga di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, anche se
Ambàzoglu è sicuramente morto. La novità, ed abilità di Bekas attraverso la
penna di Maris è trovare gli elementi probanti che lo portano alla soluzione
del mistero. Con un paio di pecche finali: lo scioglimento avviene un po’
troppo in fretta, senza dar modo a Bekas, ed al lettore, di ricapitolare gli
avvenimenti alla luce della soluzione. Secondariamente, qualche personaggio ad
un certo punto si eclissa, senza che il lettore venga reso edotto della sua
fine o della sua evoluzione o dei motivi di tale eclissi.
Un punto invece a favore del testo è la
presenza di un “Watson” per il nostro “Bekas-Holmes”. Cioè il giornalista
Makris quasi a rappresentare un alter-ego dello scrittore giornalista, ed utile
nella risoluzione della trama verso il suo epigono felice.
Sicuramente un buon libro, e sicuramente un
libro che ci rappresenta la Grecia dal suo interno, senza troppe colorazioni
posticce. Potrebbe avere qualche altra freccia al suo arco, anche se l’età si
senta sia passata. Quasi settant’anni, ed al contrario di altro, un po’ sono
notati.
Niklas Natt och Dag
“1793” Repubblica Brivido Noir 16 euro 8,90
[A:
17/09/2020 – I: 28/06/2024 – T: 29/06/2024] - &&&
[tit.
or.: 1793; ling. or.: svedese; pagine: 492; anno 2017]
Niklas Natt och Dag è uno degli ultimi
epigoni di una delle famiglie di più alta nobiltà della Svezia, i “Natt och
Dag”, cioè “Notte e giorno”, nome derivante dal contrasto dei colori della
bandiera della casata, uno stemma diviso in due, con gialla la parte superiore
e blu quella inferiore (colori che sono da sempre associati alla Svezia, come
denota l’attuale bandiera).
Dopo lauree e varie attività, prova a
dedicarsi alla scrittura, sfornando, dopo altre prove poco note questo potente
dramma ambientato in un periodo cruciale, sia della Svezia che dell’Europa
intera. Un romanzo con delle potenzialità (tanto che l’autore ne ha scritto
altri libri, intitolati “1794” e “1795”, andando a formare quella che in Svezia
è nota come “Bellman trilogy”), ma anche con dei punti bassi, o di poca presa.
In realtà, a parte il romanzo storico e le
sue implicazioni su cui torneremo, Niklas scrive tre romanzi, che poi
intreccia, per fornire una traccia più o meno unitaria. E due dei tre romanzi
sono “fuori dal tempo”, cioè potrebbero essere letti e vissuti a prescindere
dall’identità temporale del 1793.
Sono le due parti centrali quelle che a me
sono sempre lunghe ed un po’ posticce. C’è la vicenda del giovane Kristofer
Blix, giovane diciassettenne, venuto dalle campagne in quel di Stoccolma con un
piccolo bagaglio medico e molta voglia di fare fortuna. Che però non gli
arride, cadendo in un giro di truffatori e malandrini. Per finire nelle grinfie
di qualcuno che utilizza le sue (poche) conoscenze mediche per scopi che turpi
è dir poco.
La seconda coinvolge la ragazza Anna Stina
Knapp, tipico esempio di donna sfruttata dalle aberranti condizioni femminili
dell’epoca. Avendo rifiutato la corte di un ragazzo, si vede accusata di
meretricio, condannata senza prove e rinchiusa in un correttorio femminile.
Utile per l’immagine dell’epoca la descrizione della prigionia, da dove,
sfruttando la sua intelligenza e qualche inaspettato aggancio, riesce a fuggire
ed a tornare nella capitale.
Ma queste sono le storie di contorno, che il
filone principale si avvolge intorno al ritrovamento di un corpo orrendamente
mutilato. Ritrovamento che avviene per mano di Jean Michel (Mickel) Cardell, un
ex-soldato che ha perso un braccio in una battaglia navale, e che passa i suoi
giorni come guardia civica e buttafuori occasionale. Le indagini sulla morte
vengono affidate dal capo della polizia Norlin (su cui torneremo) ad un
ex-brillante avvocato trentenne, Cecil Winge, sull’orlo della morte per via di
una tubercolosi quasi fulminante (ma non ancora definitiva). E Cecil non trova
di meglio che farsi aiutare da Mickel nella sua indagine.
Abbiamo così una coppia classica di
investigatori mal assortiti: il cerebrale Winge ed il brutale Mickel. Il primo
è sempre stato una punta di diamante dei tribunali, unico a concedere i
benefici della discussione pubblica agli accusati (dove in quei tempi, ti
accusavano, ti torturavano, confessavi anche non volente, e venivi condannato,
a prescindere dalla colpevolezza), ed in quell’epoca illuminata, unico ad avere
sempre fede nella ragione. Il secondo sempre pronto a menare il suo braccio di
faggio per convincere i più reticenti a parlare di quello che sanno.
I due, a partire dal lino che avvolge il
corpo del morto, risalgono ad una portantina che potrebbe averlo scaricato nel
lago, e da questa ad una casa di piacere estremo, piena di sesso ma anche di
sadomasochismo terminale, con quelle sequenze che, in termini attuali,
verrebbero chiamate di “snuff movie” (e se non ne conoscete il significato,
cercatelo).
Ma la casa è ben frequentata e l’indagine si
potrebbe arrestare qui, se non ci fosse il primo tassello che mette una zeppa:
ai nostri viene recapitato il diario di Kristofer che nel frattempo, per motivi
vari, ha aiutato Anna nel nascondersi e si è ucciso nel mare ghiacciato. La
lettura del diario porta Cecil a trovare il bandolo della matassa, a risalire
all’identità del morto ed a trovare l’assassino. Il tutto ben inserito nel
marasma di quegli anni (se non che senso avrebbe il 1793?), con un finale acconcio,
in cui, forzando un po’ la mano sia Cecil che Mickel trovano i loro brandelli
di giustizia.
Due considerazioni sui tempi e gli
avvenimenti. Il 1793 è preso ad emblema di un momento di gran turbamento in
Europa. Ci sono gli avvenimenti francesi, che, a partire dal 1789 turbano la
quiete europea. E molti aristocratici, fuori la Francia, temono disordine e
rivolte, così che si impegnano a soffocare molti piccoli fuochi, anche a costo
di far di tutta l’erba un fascio. Ed in particolare in Svezia, dove, per chi
non ne fosse a conoscenza, nel marzo del 1792 viene assassinato il re Gustavo
III di Svezia. Un re-despota dallo strano destino. Molto duro, militaresco con
le sue campagne contro la Norvegia prima e la Russia poi (che portarono morti e
distruzioni), ma anche illuminato patrono delle arti, e fondatore
dell’Accademia Svedese (quella che oggi assegna i Premi Nobel).
Ucciso da una congiura di nobili che
vedevano intaccate le loro fortune (tra l’altro il re aveva liberalizzato la
professione di tutte le religioni), e che porta ad un periodo di torbida
reggenza (essendo l’erede Gustavo Adolfo minorenne) con a capo il perfido
Gustaf Adolf Reuterholm.
Ma dove ci porta tutto ciò rispetto al
libro? È che questa è la parte storica ben documentata e descritta da Niklas.
Perché l’omicidio del re fu investigato dal capo della polizia Nils Henric
Liljensparre. Dopo aver trovato i colpevoli materiali, questi fu allontanato
per chiamare al suo posto Johan Gustav Norlin, giovane trentenne, che vediamo
gire nel libro di Niklas in quanto amico carissimo di Cecil Winge, cui affida
le indagini. Che si debbono comunque concludere al più presto, che l’ascesa di
Reuterholm porta all’esilio di Norlin nel Norrland. In ogni caso, questa parte
storica è senza dubbio molto interessante e stimolante.
Il nobile Niklas ha di certo confezionato un
libro accattivante, anche se, oltre alla parte storica ed alle descrizioni
ambientali, i personaggi e la trama sono un po’ sottotono. Niente che salti al
cuore subito, che tutti rimangono un po’ piatti. Tanto che non si capisce
perché il moribondo Cecil sia ancora in vita dopo tutto l’inverno. Né si
empatizza molto con Mickel, a meno che non trovi qualche altra freccia al suo
arco. Che potrebbe venire dall’unica persona forse positiva, Anna, che
speriamo, qui e altrove, e per tutte le donne sfruttate, possa avere un destino
migliore di quello descritto nel libro.
Non mi è dispiaciuto leggerne anche se non
so, ad ora, se ne leggerò altro.
Abbiamo parlato di autori stranieri? Eccovi
allora subito una citazione italiana, romana e personale, che la pasticceria
menzionata mi ha visto più volte entrare dalle sue dolci porte in cerca prima
di cioccolato, poi di scagliette d’arancio. Mi riferisco a Sandra Petrignani che nel suo “E in mezzo il fiume” ci
racconta: “Luigina [della Pasticceria Valzani di vicolo del Moro] approva la
nostra comune passione per le scagliette d’arancio rivestite di
fondente, ne abbiamo acquistato una cartocciata” (36)
Ancora una settimana di transizione, alla ricerca da un lato di tregua dal caldo, dall’altro di mettere qualche paletto dove forse servirebbero palafitte. Ma queste sono vicende prive di interesse comune. Meglio pensare che abbiamo almeno un paio di viaggi cui porre mano e tanti amici da salutare con un abbraccio.
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