domenica 28 luglio 2024

Pluralismo letterario - 28 luglio 2024

Una settimana con cinque lingue diverse, quattro con una solida sufficienza ed una subito sotto. Abbiamo l’inglese Winspear con la sua Maisie Dobbs, la danese Engberg con l’ispettore Jeppe Kørner, il greco Maris con il commissario Ghiorghos Bekas ed il drammone storico dello svedese Niklas Natt och Dag. Rimane indietro, forse troppo preoccupato dagli intrecci politici, lo spagnolo Cercas con il suo poliziotto Melchor Marín, qui alla seconda puntata di una che dovrebbe essere una trilogia.

Un giro d’Europa di moderato interesse, al fine di entrare nelle varie epopee nazionali, laddove, in effetti, la nazione meglio dipinta nei testi è per l’appunto la Grecia di Maris, per cui ringrazio chi me lo ha fatto conoscere.

Jacqueline Winspear “Un semplice caso di infedeltà” Repubblica Essenza Noir 39 euro 8,90 (in realtà, scontato a 8 euro)

[A: 27/03/2023– I: 27/10/2023 – T: 28/10/2023] - &&&  

[tit. or.: Maisie Dobbs; ling. or.: inglese; pagine: 313; anno 2003]

Non conoscevo Jacqueline Winspear, quasi mia coetanea, cresciuta nell’ambiente dell’editoria scolastica in Inghilterra, poi emigrata in America dove vive in California con il marito. Da sempre colpita dagli avvenimenti della Prima Guerra Mondiale, nei primi anni 2000, in seguito anche ad un incidente che la costringe al riposo, si costruisce un possibile mondo di personaggi che agiscono nel periodo che è sempre stato base dei suoi studi.

Nasce così Maisie Dobbs, di cui stiamo parlando, primo volume di una serie che vede la signorina in questione come protagonista, e che dopo questo libro, ne vede uscire altri sedici (l’ultimo lo scorso anno). Fortunatamente, per la mia mania dell’ordine, leggo questo primo episodio, che serve anche a costruire il mondo “Dobbs”.

Lasciando al fine le mie solite rimostranze sui titoli, per costruire il suo personaggio, invece di farne una cronologia, usa, e questa volta non dispiace, un flashback a intarsio. C’è una prima parte che serve ad introdurre Maisie del 1929, anno dell’azione del libro, ed il suo stato attuale. Una possibile carriera di investigatrice, ma capiamo anche che è qualcosa in più. Introduce un codice etico, da condividere con i clienti, e non si accontenta di arrivare alla risoluzione del caso, ma mette le basi affinché la soluzione sia anche il trampolino di lancio per la ricostruzione. In fondo, un caso è sempre sintomo della rottura di qualcosa.

Nel flashback, veniamo alla costruzione della storia di Maisie. Di umile famiglia, madre morta, vive con il padre che porta verdura e altri viveri a clienti vari con il suo carro tirato dalla fedele cavalla Penelope. In base a circostanze fortuite, su richiesta del padre, Maisie entra a servizio nella casa di Lady Rowan, aristocratica illuminata, con una forte amicizia con lo strano dottor Maurice Blanche. Strano non come personaggio, ma per le sue iniziative a tutto campo non solo nel campo medico, ma anche nell’aiuto verso le classi lavoratrici, inusuale per l’epoca.

Maisie si fa benvolere per la sua attenzione, ma anche, ad un certo punto, per la sua propensione alla lettura ed all’accrescimento personale. Sfruttando di nascosto la biblioteca di casa, dalle tre alle cinque del mattino legge di tutto, dai filosofi ai letterati, cercando anche di studiare il latino. Scoperta, non viene licenziata, ma incoraggiata nella sua indole, avendo lady Rowan e Maurice come mentori. Maisie dovrebbe essere nata nel 1897, visto che ha tredici anni nel 1910, ed a 18 passa brillantemente per entrare a Cambridge. Non al college maggiore, che solo nel 1920 venne concesso alle donne di laurearsi ad Oxford, ma al Girton College, il primo istituto universitario femminile inglese.

Purtroppo, la guerra irrompe nello scenario, e Maisie decide, come molte ragazze della sua età, di studiare da infermiera, e di arruolarsi nel corpo medico. Vedremo quindi le sue peripezie in Francia per aiutare i malati, ed assistiamo alla nascita del suo amore verso il dottor Simon. Amore interrotto da una granata che colpisce alla testa Simon, togliendoli il contatto con il mondo esterno. Alla fine della guerra, intuiamo che Maisie si laurea e comincia a fare da assistente alle iniziative di Maurice.

Nell’anno dell’inizio del romanzo, Maurice è andato in pensione e Maisie inizia a volare con le sue gambe. Imbattendosi nella storia di una donna che il marito sospetta lo tradisca, ma che lei scopre usare le ore di “fuga” dal quotidiano per visitare la tomba di un soldato. Morto, ma non in guerra. Ferito gravemente, sfigurato, Victor (il morto) si rifugia in una struttura gestita da un ex soldato, Adam Jenkins, chiamata “La Ritirata”, dove si rifugiano soldati feriti che non riescono a reinserirsi nella società. La cosa che fa subodorare problemi è il fatto che, per entrare, debbano lasciare tutti i loro beni a Jenkins.

La storia di Victor si mescola con quella del figlio di Lady Rowan, che vuole entrare nella casa di Adam, e con la ricerca di Maisie per trovare i motivi di una serie di morti sospette legate alla casa. Non vi dico certo come, Maisie, con l’aiuto di Billy, un tuttofare al suo servizio, e la supervisione di Maurice, riesce a trovare il bandolo dell’intricata matassa.

Ora, il lato giallo della storia non è molto avvincente, ed un po’ scontato. Buone invece sono sia le ambientazioni nell’Inghilterra dei primi trenta anni del secolo scorso, nonché la figura stessa di Maisie. Sostenute da una scrittura partecipe e mai troppo fuori linea. I personaggi principali vengono fuori con decisione, così come i guasti derivanti dalla guerra.

Come detto all’inizio, invece, poco ho gradito le scelte editoriali. Incentrare il titolo su un caso di infedeltà è una forzatura. Non solo, nella quarta da infedeltà si passa a divorzio, forzando di molto il testo. Certo capisco, ma non approvo, che lasciare il solo nome della protagonista non avrebbe invogliato molto il lettore. Pur tuttavia è il primo di 17 volumi che trattano le azioni di Maisie Dobbs dal ’29 in avanti. Quindi, la signorina avrebbe diritto al suo spazio.

Javier Cercas “Indipendenza” Repubblica Essenza Noir 13 euro 8,90 (in realtà, scontato a 8,50 euro)

[A: 04/10/2022 – I: 30/04/2024 – T: 03/05/2024] - && e ½     

[tit. or.: Independencia; ling. or.: spagnolo; pagine: 2394; anno 2021]

Spesso indicato come “Terra Alta 2”, in effetti, questo secondo libro nel solco del giallo di Javier Cercas riprende temi e personaggi del primo libro, per costruire una trama un po’ meno poliziesca ed un po’ più politica, così come meglio si addice alle sue corde.

Certo, abbiamo indagini, anche intrecciate, ed abbiamo il protagonista che attraversa le vicende ed un po’ come mr. Wolf di Tarantino, risolve problemi. Ritroviamo cioè il poliziotto amante dei libri Melchor Marín, quello che ha chiamato la figlia Cosette in onore dei Miserabili. Nel primo libro, in quel di Terra Alta, risolve il mistero della morte di due persone, subisce la morte di Olga, e non riesce ancora a risolvere il mistero della morte della madre prostituta.

In questo secondo episodio, c’è una trama nera legata ad un ricatto perpetrato attraverso dei video hard che colpisce la sindaca di Barcellona. Una trama cui, come un serpente, se ne attorcigliano due. Una sempre legata alla madre di Melchor. L’altra legata alle vicende politiche della Catalogna negli ultimi quindici – venti anni. Forse, poi, a Cercas interessa dire qualcosa in questa direzione, più che farci seguire le vicende nere. Tanto che, soprattutto il ricatto, è di così facile comprensione, che non si capisce appunto se sia stato messo lì solo per fare da filo conduttore ad altro. A quello che più interessa l’autore.

Allora, la vicenda “privata” comincia nel passato dove tre barcellonesi bene ed un quarto loro compagno di studi, ma un po’ scapestrato (anche se sempre di buon ambiente) organizzano festini hard con molto sesso e molte riprese video. Attività che ad un certo punto si ferma (ed alla fine scopriremo il perché, ma non ve lo dico né ora né mai), con i tre che veleggiano verso i vertici della politica e dell’imprenditoria catalana, e Ricky, il quarto, anche in seguito a tracolli privati, più verso i bassifondi: commerci strani, falsificazioni di bitcoin, spaccio ed altre turperie.

Quando Ricky ritrova casualmente i video di cui sopra, pensa di organizzare qualche ricatto, che alla fine sfocia nel ricatto principe verso la sindaca. Anche se, almeno ufficialmente, Ricky muore d’infarto e viene seppellito. Alla fine, seguendo fili labili ma di grande intuito, Melchor capisce meglio come possono essere andate le cose, ed in un finale leggibile ma spezzettato in maniera letterariamente, per me, poco intellegibile, Melchor risolve i casi che gli stanno a cuore: salva Barcellona dal ricatto, trova gli assassini della madre, e, un po’ alla Maigret, decide lui chi sia da perseguire e chi sia da scordare, nella massa degli interpreti di contorno della vicenda.

Ma non è questo, o non è solo questo, che interessa a Cercas. Perché, non volendo fare un pamphlet di difficile sostenibilità (rispetto, ad esempio, al documentatissimo “Anatomia di un istante”), preferisce giocare con la fiction, dandoci la sua versione degli avvenimenti catalani tra il 2014 ed il 2019. Riesce così a dire delle cose che forse sono vere ma di cui prove nulle.

Sostiene Javier, che tutta la mobilitazione di quegli anni sia stata messa in atto non tanto e non solo come momento di rivendicazione da parte della Catalogna, motore pulsante della Spagna, ma come tentativo di una parte imprenditoriale di ristabilire equilibri economici che si stavano deteriorando. Così, uno dei personaggi, ci parla dell’ascesa di Carles Puigdemont messo alla presidenza della Regione dai “poteri forti”, a cui però sfugge essendo in realtà “un talebano della politica”, che vuole realmente l’indipendenza della Catalogna. I manovratori nell’ombra, i “grandi vecchi”, pensavano di poter muovere i fili senza spezzarli. Così come si riusciva a fare le grandi manifestazioni, non come proteste ma, come dice un personaggio, “erano sfilate”.

Ed allo stesso modo, sono sempre loro, quelli che “si muovono dietro le tende del potere”, che decidono di far precipitare il tutto verso una resa dei conti. Arrivando così a quello che in Spagna viene chiamato “juicio del procés”, cioè il giudizio intentato al processo di indipendenza. Una battaglia legale che vedrà trionfare il potere di Madrid, condannare molti imputati, fuggire all’estero Puigdemont. Fino a che, tra il 2021 ed il 2022 (in pieno finale di Covid) il governo Sanchez, nel processo di pacificazione del paese, decide la grazia per tutti gli imputati, onde riaprire un processo di unificazione reale del paese e delle sue esigenze.

Cercas si ferma prima, che scrive il libro prima della grazia (inciso: poi con un altro gioco da prestigiatore, decide che la vicenda si svolga nel 2025, lontano dal turpe oggi e dalla pandemia), ma fa capire che, sotto, ci sono più cose di quante ne sappiamo. Insomma, la trama gialla è esile e scoperta, la trama politica è pesante, e soprattutto, a volte, non sempre decifrabile da chi non sia spagnolo.

Ci sono altre due cose che vorrei riportare prima di chiudere. Una di fondo, che nella felicità della scrittura, Cercas si inventa un gioco metaletterario, dove si narra di un libro, scritto da un certo Javier Cercas, che si intitola “Terra Alta” e che descrive le azioni di Melchor come le conosciamo. Un libro che viene citato a più riprese, sottolineando, soprattutto da parte del nostro, che la verità è diversa da quanto viene scritto in quel libro. Un bel gioco di rimandi.

Infine, una sottigliezza editoriale: a pagina 119 si parla di poliziotti presenti in una stanza, dicendo: “nell’Ufficio … si trovano sei persone”. Poi si vanno elencando: “oltre a Gonzalez ed allo stesso Vazquez, ci sono Torrent, Ricart, Roig e Cortabarrìa; e anche Melchor”. Ora, se non vado errando coi numeri, a me le persone sembrano sette. Un po’ di attenzione, poffarbacco.

“Keynes: quando i fatti cambiano, io cambio opinione … Io sono cambiata perché il mondo è cambiato. La gente che pensa sempre la stessa cosa non pensa.” (104)

“Tutti i buoni romanzi parlano di noi.” (388)

“I romanzi non servono a niente, tranne che a salvare le vite.” (389)

Katrine Engberg “Il guardiano dei coccodrilli” Feltrinelli euro 12,50 (in realtà, scontato a 4,95 euro)

[A: 18/04/2021 – I: 07/02/2021 – T: 09/02/2021] - &&&---

[tit. or.: Krokodillevogteren; ling. or.: danese; pagine: 376; anno 2016]

L’ormai cinquantenne Katrine inizia la sua carriera artistica come coreografa e la prosegue, sin che possibile, nell’ambito del ballo. Una decina di anni fa, dopo alcuni tentativi non particolarmente riusciti, si impegna in una serie di gialli ambientati nella sua città Copenaghen. Sarà per alcune conoscenze cittadine che ci rendono vivida la città stessa, sarà per alcuni spunti narrativi, la serie, di cui questo è il primo dei cinque libri usciti, ha un discreto successo, locale e internazionale.

Intanto, come primo appunto, non si capisce perché in italiano venga indicata come “La serie di Copenaghen”, mentre in patria si identifica con il protagonista, Jeppe Kørner. Probabilmente, il disguido viene dal fatto che la prima pubblicazione non danese fu il tedesco, e lì venne sottotitolata come “Kopenhagen-Thriller”.

A parte questo interrogativo, ed alcuni punti deboli che vedremo più avanti, il testo si mantiene ad un buon livello di scrittura e di tensione, anche se, talvolta, la tensione stessa scema, in particolare quando ci si allontana dal fulcro della vicenda. Fulcro dove orbitano quelli che dovrebbero essere i protagonisti (e che in effetti hanno il compito finale di spiegare l’intricata vicenda). Sono l’investigatore Jeppe Kørner, e la sua aiutante Anette Werner. Un duo un po’ troppo stereotipato. Lui viene da un divorzio doloroso, continua a pensare alla ex-moglie, entrando in spirali di deficienza di stima. Lei invece è ben maritata, ed è anche sempre allegra, nonché dedita ad un culto immotivato per il cibo spazzatura.

L’intrigo, soprattutto all’inizio, prende abbastanza. Si trova il corpo martoriato della bella Julie che abita nel palazzo di proprietà di Esther de Laurenti, un passato nella pubblica amministrazione, ed ora, pensionata, con velleità artistiche. Non solo, ma, proprietaria del palazzo, non si tira indietro né ad organizzare feste molto alcoliche, né ad affittare appartamenti dello stesso a svariati personaggi. Come Julie, la morta, o come Gregers, un anziano vedovo verso cui alla fine si dirigeranno i pensieri di Esther.

Qui, nasce anche un accenno di trama metaletteraria, che Esther, tra le altre cose, tenta di diventare un scrittrice di gialli, sia frequentando scuole di scrittura, sia scrivendo essa stessa un giallo. Non sapendo come iniziarlo, prende a prestito alcuni aspetti di Julie, per poi svilupparlo in una direzione propria. Peccato che l’assassino di Julie sembra proprio uscire da quelle pagine, ponendo Esther, immotivatamente, in testa alla lista dei sospettati.

Con una scena che a poco a poco si complica. C’è uno strano agente della scientifica che sembra più propenso ad ingarbugliare le prove che a portarne alla luce quelle significative. C’è il padre di Julie, che non ha mai digerito i comportamenti della figlia, soprattutto quando lei rimane incinta. C’è il tutto fare del teatro, nonché cuoco speciale per Esther, che ha visto qualcosa, e che farà una fine dubbiosa (omicidio ben perpetrato o suicidio per pesi morali non sopportabili). C’è il circolo di aspiranti scrittori, gli unici che hanno letto i capitoli del romanzo di Esther in anteprima, da dove potevano prendere gli spunti omicidi. In particolare, uno di loro Klingo, iperprotettivo nei confronti del figlio e della sua prole adottiva.

Il bello è che, pur negando tutto all’inizio, man mano scopriamo che tutti si conoscono. Un sasso lanciato nell’acqua dei sospetti, che allarga molto il cerchio dei probabili assassini. Ma che, se letto con attenzione, in effetti, lo restringe ad un elemento solo di possibilità.

Come detto, un giallo interessante, una serie che promette dei seguiti probabilmente leggibili, anche se Katrine deve rinforzare il profilo di Jeppe ed Anette. In effetti, di tutti i personaggi del libro, sono quelli più omologati al mondo del giallo classico, mentre altri co-protagonisti vengono descritti ed affrontati con maggior acume.

Un appunto finale sulle forze-debolezze del testo viene dal titolo e dal suo significato. Ad un certo punto Jeppe spiega l’agire del guardiano dei coccodrilli, un uccello che si nutre degli avanzi di cibo in bocca agli alligatori. Finché lavora bene, tutto procede. Se sbaglia, “Addio guardiano”.

La leggenda viene da lontano, laddove Erodoto narra dell’esistenza di un uccello, il “Trochilo spazzolino”, che opererebbe come descritto da Jeppe. Leggenda ripresa poi da Aristotele, da Plinio, fino ai tempi moderni, dove il figlio del grande organizzatore di viaggi, Thomas Cook, ne attesterebbe la presenza vicino ai coccodrilli del Nilo. Tanto che, per descrizione ed assemblaggio di informazioni, il trochilo viene individuato come il “Piviere egiziano” o come il “Pavoncello dello sperone”.

Peccato che quella di Erodoto sia, appunto, una leggenda, e che mai nessuno ha mostrato una fotografia di queste descrizioni. Tuttavia, Jeppe ben descrive con quella metafora il comportamento di alcuni personaggi. Comunque, aspettiamo altre avventure di Jeppe e Anette.

Ghiannis Maris “Il tredicesimo passeggero” Feltrinelli s.p. (prestito di Fako)

[A: 29/05/2024– I: 31/05/2024 – T: 01/06/2024] - &&& 

[tit. or.: Ο 13ος επιβάτης; ling. or.: greco; pagine: 179; anno 1956]

Una lettura filologica ed interessante, cui devo ringraziare il mio amico Fako per avermela sottoposta. Da sempre, ipotizzavo che l’asse portante della letteratura gialla greca fossero le costruzioni, tra noir e politica di Petros Markaris e del suo commissario Charitos. Così come Sjöwall e Wahlöö sono gli iniziatori del giallo svedese, o come, per venire ai nostri lidi, le scritture precise e ben argomentate del padre del giallo italiano, Augusto De Angelis.

Con questa lettura, ed anche grazie alle parole stesse di Markaris, facciamo un salto all’indietro di quarant’anni, passando dagli anni ’90 di Petros agli anni ’50 di Yannis Maris (in greco Γιάννης Μαρής) pseudonimo letterario del giornalista Ioannis Tsirimokos. Che appunto nell’anno mirabile 1953 fa il suo esordio con il primo libro “Delitto a Kolonaki”, in cui compare il suo personaggio cardine, il commissario Ghiorghos Bekas, anche solo dal secondo libro comincerà ad avere una sua fisionomia.

Un commissario pingue e lento, formalmente corretto, sempre in giacca e cravatta, anche sotto i 39° dell’estate ateniese. Una persona che cerca di capire l’ambito del crimine, riprendendo alla lontana alcuni modi del Maigret di Simenon. Un investigatore ostinato, con il vizio (ahi, che cosa grave) di leggere i giornali al mattino (che ormai faccio solo io e pochi altri miei epigoni). Una fissa che Markaris riprenderà, mutando gli obsolescenti giornali con l’intramontabile dizionario della lingua greca.

Bekas è intimamente deduttivo, non arrischia ipotesi di nessun tipo: si esaminano i fatti, si parla con le persone, ed alla fine se ne deduce uno schema. Da qui in poi, si tratta solo di trovare le prove per incastrare il colpevole. Un modus operandi che ho letto nei commenti degli altri suoi libri, e che ritrovo in questo, considerato se non uno dei suoi migliori, senza dubbio uno di quelli più tradotti all’estero.

Un libro che, ad onor del vero, incomincia molto in sordina, con una serie, piccola ma significativa, di persone che muoiono. Alcune vediamo che vengono uccise, quindi sicuramente sono omicidi. Altri potrebbero anche essere suicidi o morti accidentali. Certo è che quando le informative giungono a Bekas, il nostro commissario comincia a farsi delle domande. E quando non trova risposte alle sue domande, di certo non riesce a staccare il pensiero.

Dopo una serie di capitoli ben scritti, e che ci conducono nell’atmosfera greca degli anni Cinquanta, finalmente si riesce a trovare un paio di svolte significative al romanzo. La prima è la presenza, misteriosa, di una persona vestita con un abito bianco, sempre presente nelle vicinanze delle persone che muoiono. Potrebbe essere un caso, ma costringe Bekas a tirare qualche filo, arrivando al nodo del problema.

Anni prima, nel 1942, al fine di sfuggire alla guerra, il greco Ambàzoglu cerca di rifugiarsi in America. Ma si trova di fronte ad un naufragio, insieme ad altre persone, e si salvano tutte miracolosamente, e con una buona dose di solidarietà reciproca. Il nostro poi riesce nel suo intento, fa una barca di soldi, e quando muore lascia tutte le sue fortune ai sodali del naufragio, o ai loro discendenti.

Ecco trovato il filo rosso della trama, che si unisce ad altri due elementi “da basso continuo”, direbbe un musicista. Cioè che martellano in sottofondo, per mantenere il ritmo. La storia d’amore di una coppia, lei erede del naufragio, lui sodale in America del morto, con frequenti assenze ed abbigliamenti stravaganti. La storia di miseria e riscatto di un ladro (anch’egli erede) e della sua donna, proveniente dall’ambiente delle signorine di facili costumi.

La trama si sviluppa forse un po’ troppo sulla falsariga di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, anche se Ambàzoglu è sicuramente morto. La novità, ed abilità di Bekas attraverso la penna di Maris è trovare gli elementi probanti che lo portano alla soluzione del mistero. Con un paio di pecche finali: lo scioglimento avviene un po’ troppo in fretta, senza dar modo a Bekas, ed al lettore, di ricapitolare gli avvenimenti alla luce della soluzione. Secondariamente, qualche personaggio ad un certo punto si eclissa, senza che il lettore venga reso edotto della sua fine o della sua evoluzione o dei motivi di tale eclissi.

Un punto invece a favore del testo è la presenza di un “Watson” per il nostro “Bekas-Holmes”. Cioè il giornalista Makris quasi a rappresentare un alter-ego dello scrittore giornalista, ed utile nella risoluzione della trama verso il suo epigono felice.

Sicuramente un buon libro, e sicuramente un libro che ci rappresenta la Grecia dal suo interno, senza troppe colorazioni posticce. Potrebbe avere qualche altra freccia al suo arco, anche se l’età si senta sia passata. Quasi settant’anni, ed al contrario di altro, un po’ sono notati.

Niklas Natt och Dag “1793” Repubblica Brivido Noir 16 euro 8,90

[A: 17/09/2020 – I: 28/06/2024 – T: 29/06/2024] - &&& 

[tit. or.: 1793; ling. or.: svedese; pagine: 492; anno 2017]

Niklas Natt och Dag è uno degli ultimi epigoni di una delle famiglie di più alta nobiltà della Svezia, i “Natt och Dag”, cioè “Notte e giorno”, nome derivante dal contrasto dei colori della bandiera della casata, uno stemma diviso in due, con gialla la parte superiore e blu quella inferiore (colori che sono da sempre associati alla Svezia, come denota l’attuale bandiera).

Dopo lauree e varie attività, prova a dedicarsi alla scrittura, sfornando, dopo altre prove poco note questo potente dramma ambientato in un periodo cruciale, sia della Svezia che dell’Europa intera. Un romanzo con delle potenzialità (tanto che l’autore ne ha scritto altri libri, intitolati “1794” e “1795”, andando a formare quella che in Svezia è nota come “Bellman trilogy”), ma anche con dei punti bassi, o di poca presa.

In realtà, a parte il romanzo storico e le sue implicazioni su cui torneremo, Niklas scrive tre romanzi, che poi intreccia, per fornire una traccia più o meno unitaria. E due dei tre romanzi sono “fuori dal tempo”, cioè potrebbero essere letti e vissuti a prescindere dall’identità temporale del 1793.

Sono le due parti centrali quelle che a me sono sempre lunghe ed un po’ posticce. C’è la vicenda del giovane Kristofer Blix, giovane diciassettenne, venuto dalle campagne in quel di Stoccolma con un piccolo bagaglio medico e molta voglia di fare fortuna. Che però non gli arride, cadendo in un giro di truffatori e malandrini. Per finire nelle grinfie di qualcuno che utilizza le sue (poche) conoscenze mediche per scopi che turpi è dir poco.

La seconda coinvolge la ragazza Anna Stina Knapp, tipico esempio di donna sfruttata dalle aberranti condizioni femminili dell’epoca. Avendo rifiutato la corte di un ragazzo, si vede accusata di meretricio, condannata senza prove e rinchiusa in un correttorio femminile. Utile per l’immagine dell’epoca la descrizione della prigionia, da dove, sfruttando la sua intelligenza e qualche inaspettato aggancio, riesce a fuggire ed a tornare nella capitale.

Ma queste sono le storie di contorno, che il filone principale si avvolge intorno al ritrovamento di un corpo orrendamente mutilato. Ritrovamento che avviene per mano di Jean Michel (Mickel) Cardell, un ex-soldato che ha perso un braccio in una battaglia navale, e che passa i suoi giorni come guardia civica e buttafuori occasionale. Le indagini sulla morte vengono affidate dal capo della polizia Norlin (su cui torneremo) ad un ex-brillante avvocato trentenne, Cecil Winge, sull’orlo della morte per via di una tubercolosi quasi fulminante (ma non ancora definitiva). E Cecil non trova di meglio che farsi aiutare da Mickel nella sua indagine.

Abbiamo così una coppia classica di investigatori mal assortiti: il cerebrale Winge ed il brutale Mickel. Il primo è sempre stato una punta di diamante dei tribunali, unico a concedere i benefici della discussione pubblica agli accusati (dove in quei tempi, ti accusavano, ti torturavano, confessavi anche non volente, e venivi condannato, a prescindere dalla colpevolezza), ed in quell’epoca illuminata, unico ad avere sempre fede nella ragione. Il secondo sempre pronto a menare il suo braccio di faggio per convincere i più reticenti a parlare di quello che sanno.

I due, a partire dal lino che avvolge il corpo del morto, risalgono ad una portantina che potrebbe averlo scaricato nel lago, e da questa ad una casa di piacere estremo, piena di sesso ma anche di sadomasochismo terminale, con quelle sequenze che, in termini attuali, verrebbero chiamate di “snuff movie” (e se non ne conoscete il significato, cercatelo).

Ma la casa è ben frequentata e l’indagine si potrebbe arrestare qui, se non ci fosse il primo tassello che mette una zeppa: ai nostri viene recapitato il diario di Kristofer che nel frattempo, per motivi vari, ha aiutato Anna nel nascondersi e si è ucciso nel mare ghiacciato. La lettura del diario porta Cecil a trovare il bandolo della matassa, a risalire all’identità del morto ed a trovare l’assassino. Il tutto ben inserito nel marasma di quegli anni (se non che senso avrebbe il 1793?), con un finale acconcio, in cui, forzando un po’ la mano sia Cecil che Mickel trovano i loro brandelli di giustizia.

Due considerazioni sui tempi e gli avvenimenti. Il 1793 è preso ad emblema di un momento di gran turbamento in Europa. Ci sono gli avvenimenti francesi, che, a partire dal 1789 turbano la quiete europea. E molti aristocratici, fuori la Francia, temono disordine e rivolte, così che si impegnano a soffocare molti piccoli fuochi, anche a costo di far di tutta l’erba un fascio. Ed in particolare in Svezia, dove, per chi non ne fosse a conoscenza, nel marzo del 1792 viene assassinato il re Gustavo III di Svezia. Un re-despota dallo strano destino. Molto duro, militaresco con le sue campagne contro la Norvegia prima e la Russia poi (che portarono morti e distruzioni), ma anche illuminato patrono delle arti, e fondatore dell’Accademia Svedese (quella che oggi assegna i Premi Nobel).

Ucciso da una congiura di nobili che vedevano intaccate le loro fortune (tra l’altro il re aveva liberalizzato la professione di tutte le religioni), e che porta ad un periodo di torbida reggenza (essendo l’erede Gustavo Adolfo minorenne) con a capo il perfido Gustaf Adolf Reuterholm.

Ma dove ci porta tutto ciò rispetto al libro? È che questa è la parte storica ben documentata e descritta da Niklas. Perché l’omicidio del re fu investigato dal capo della polizia Nils Henric Liljensparre. Dopo aver trovato i colpevoli materiali, questi fu allontanato per chiamare al suo posto Johan Gustav Norlin, giovane trentenne, che vediamo gire nel libro di Niklas in quanto amico carissimo di Cecil Winge, cui affida le indagini. Che si debbono comunque concludere al più presto, che l’ascesa di Reuterholm porta all’esilio di Norlin nel Norrland. In ogni caso, questa parte storica è senza dubbio molto interessante e stimolante.

Il nobile Niklas ha di certo confezionato un libro accattivante, anche se, oltre alla parte storica ed alle descrizioni ambientali, i personaggi e la trama sono un po’ sottotono. Niente che salti al cuore subito, che tutti rimangono un po’ piatti. Tanto che non si capisce perché il moribondo Cecil sia ancora in vita dopo tutto l’inverno. Né si empatizza molto con Mickel, a meno che non trovi qualche altra freccia al suo arco. Che potrebbe venire dall’unica persona forse positiva, Anna, che speriamo, qui e altrove, e per tutte le donne sfruttate, possa avere un destino migliore di quello descritto nel libro.

Non mi è dispiaciuto leggerne anche se non so, ad ora, se ne leggerò altro.

Abbiamo parlato di autori stranieri? Eccovi allora subito una citazione italiana, romana e personale, che la pasticceria menzionata mi ha visto più volte entrare dalle sue dolci porte in cerca prima di cioccolato, poi di scagliette d’arancio. Mi riferisco a Sandra Petrignani che nel suo “E in mezzo il fiume” ci racconta: “Luigina [della Pasticceria Valzani di vicolo del Moro] approva la nostra comune passione per le scagliette d’arancio rivestite di fondente, ne abbiamo acquistato una cartocciata” (36)

Ancora una settimana di transizione, alla ricerca da un lato di tregua dal caldo, dall’altro di mettere qualche paletto dove forse servirebbero palafitte. Ma queste sono vicende prive di interesse comune. Meglio pensare che abbiamo almeno un paio di viaggi cui porre mano e tanti amici da salutare con un abbraccio.

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