domenica 21 luglio 2024

Sempre meglio Libera - 21 luglio 2024

Come dicevo, sto cercando di smaltire alcuni accumuli di gialli, ed in particolare italiani (cui riservo un posto speciale nella mia libreria). Questa settimana, torniamo sul commissario Stefania Valenti della coppia Cocco & Magella di medio risultato. Un po’ meno la dialogia di Lorenza Ghinelli incentrata sulla piccola Sara. Sempre meglio, invece, la Miss Marple del Giambellino, la nostra Libera di Rosa Teruzzi, che mantiene alto lo standard ed il piccolo piacere della lettura.

Giovanni Cocco & Amneris Magella “La sposa nel lago” Feltrinelli – Marsilio euro 10 (in realtà, scontato a 9,50 euro)

[A: 03/05/2022 – I: 11/02/2024 – T: 12/02/2024] && e ½ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 205; anno: 2019]

Dopo solo un anno torniamo sulla coppia di scrittori del lago di Como per seguire la, credo, penultima avventura pubblicata delle inchieste del commissario Stefania Valenti.

Sempre una scrittura scorrevole che si lascia leggere senza intoppi particolari, ma non è più coinvolgente come nelle prime due avventure. Si incarta un po’, lasciando molto in ombra la parte “personale” delle vicende per cercare di sviluppare meglio la parte investigativa. Tentativo che però non riesce pienamente, che il “giallo” non prende mai una sua buona andatura, anzi ci sono momenti che lasciano perplessi.

Ad esempio, c’è un piccolo mistero da affrontare, ed a Stefania viene fornito un numero di telefono che potrebbe svelarlo. Bene, passano più di cinquanta pagine prima che venga fatta la telefonata, con risvolti che avrebbero di certo accelerato nella giusta direzione le indagini.

Comunque, come in ogni buon giallo seriale, c’è appunto il doppio binario che gli autori portano avanti. Tuttavia, la parte privata non è molto avvincente. La protagonista sta sempre con il più giovane Luca, anche se affiorano degli screzi. Sua figlia Camilla fa una piccola e poco interessante comparsa. È tornato da Milano il commissario capo Guido che aveva avuto una piccola storia con Stefania all’inizio, ma ora pare accompagnarsi da una non ben identificata Eva. Anche i due aiutanti, Piras e Lucchesi, fanno la loro brava presenza, senza brillare particolarmente. Aiuti di routine e poco altro. Forse solo la scoperta di una foto che qualcosa svela, ma poco altro.

La storia ruota intorno a due morti: un clochard rinvenuto lungo una strada ma non morto lì e Ginevra, una ragazza ritrovata nel lago, ma dove era stata gettata già morta. Le complicazioni sono da una parte la misteriosa identità del primo morto (senza documenti e senza nessuno che ne conoscesse il nome), dall’altra la mancanza immediata di moventi per la donna, anche se, stranamente, molti alti papaveri si muovono per indagare insieme alla nostra.

Ginevra era andata via di casa, vivendo nell’abitazione di Stefano, un pilota gay, e si era da poco lasciata con il suo fidanzato storico, Alessio. Perché era incinta? Perché stava con un’altra persona più grande e insospettabile? Perché aveva abortito? Perché non aveva abortito e dato il figlio alle suore?

Nel frattempo, grazie anche a quella telefonata di cui sopra, la nostra poliziotta scopre che il clochard si chiama Valerio Bassi, bancario in pensione, maneggione di soldi, distrutto dalla morte del figlio, motivo per cui si ritirò dal mondo, anche se mantiene rapporti più che civili, anzi di aiuto e collaborazione con Don Antonio, simpatico prete, anche perché a lui è indirizzata la citazione in fondo.

Ma soprattutto Valerio è il nonno di Ginevra. Ci sarà un collegamento tra le due morti? Perché Valerio andava in giro elegante il giorno prima di morire? Perché si confida con don Antonio, come sapesse di essere in pericolo? E forse sapeva qualcosa delle storie della nipote?

Insomma, tanti sarebbero gli spunti per creare un giallo avvincente, anche all’interno di un numero contenuto di pagine. Cosa che ultimamente i gialli classici tendono a dimenticare esondando spesso oltre le 400 pagine. Qui il romanzo si fa leggere, ci si appassiona un po’ anche alla vita privata di Stefania, anche se, come detto, qui un po’ in disparte. Ma rimangono alcuni spunti che a me non dispiacciono: passeggiate, scorci del lago, gite a Bellano sull’altra sponda, un cornetto al bar, magari con un caffè che a me il cappuccino non piace tanto.

Insomma, una lettura quasi da riposo estivo e non da tempi di carnevale. Con altri punti in sospeso che mi son venuti a mente ora che termino la trama. Del tipo che c’è il prete che trova il cadavere di Ginevra. Sembra uno spunto promettente, ma viene lasciato lì: perché il prete si mostra impaurito dal ritrovamento del cadavere? Cioè ci sono spunti, qua e là, che vengono posti all’attenzione del lettore attento (scusate la ripetizione rafforzativa) e poi fatti morire.

Anche il finale è un po’ troppo rapido per essere soddisfacente. Certo, viene detto quasi tutto il come ed il perché, ma lascia un po’ di amaro non avere delucidazioni più approfondite. Vedremo se in un futuro ci saranno prove più convincenti.

“Accanto ai testi religiosi, trovavano posto numerosi romanzi. L’intera collezione dei romanzi di Simenon.” (53)

“Dimenticare, a volte, è l’unico modo per riuscire a sopravvivere.” (178)

Lorenza Ghinelli “Tracce dal silenzio” Feltrinelli euro 12,50 (in realtà, scontato a 4,95 euro)

[A: 18/03/2021 – I: 29/03/2024 – T: 31/03/2024] &&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 263; anno: 2019]

È la mia prima lettura di un libro di Lorenza Ghinelli che invece pare scrittrice già ben avviata, sia sul versante noir o giallo, sia in ambienti di letteratura adolescenziale. Elementi che compaiono potentemente in questo romanzo, che, tuttavia, per una piccola serie di motivi, non mi ha convinto completamente. Comunque, e si sente da alcune tipiche scelte stilistiche, la buona base le è derivata dallo studio con la Scuola Holden di Baricco, dove ora è anche docente.

Molto sinteticamente, non sono convinto del modo in cui tratta i giovani, che hanno modi a volte troppo adulti di essere. Poi, la presenza di elementi che non possono mancare in un politcally correct. Ci sono giovani, quindi scuola, quindi immigrati che hanno problemi e sono problematici. Nonché, e qui ne finisco, l’uso di quel corsivo per sottolineare i flashback che, qui come altrove, mi ha sempre dato una certa dose di fastidio.

Dati i suoi trascorsi letterari, non ci meravigliamo che Lorenza riesca ad imbastire una trama che partendo da acque quasi calme, si vada intorbidendo e tinteggiando di nero e di giallo. Infatti, iniziamo conoscendo una famiglia normale: Marco, Sara, Alfredo e Nina. Due genitori impegnati, lui professore lei affarista in carriera, con due figli abbastanza solidali, il grande liceale e la piccola dieci anni di pronta intelligenza. Poi cominciamo a vedere le crepe.

Nina, a causa di un incidente, è sorda e riesce a sentire solo innestandosi nell’osso dietro l’orecchio un impianto cocleare (un piccolo dispositivo elettronico, tecnologicamente molto complesso, che permette alle persone sorde di sentire nuovamente i suoni). Quindi la notte, senza impianto è decisamente sorda. Peccato che sembra sentire musiche degli anni Trenta, vedere accendersi citofoni ed avere strane premonizioni.

Così Nina “sente” un omicidio, che è di un compagno di classe del fratello, a suo tempo coinvolto in uno stupro ai danni di una coetanea. Entriamo così anche nel mondo di Alfredo, e soprattutto nel suo sentimento verso l’immigrata Nur (per ora non corrisposto) che coinvolge nel tentativo di far colpo, la di lei amica Rasha. Due profughe che hanno visto orrori profondi che segnano l’anima, e da cui, per ora, non riescono ad uscire, né a farsi capire da qualche ottuso insegnante.

L’incidente di Nina aveva (ha) anche messo a dura prova l’equilibrio familiare. Che Sara ne incolpa il marito per disattenzione, e cerca consolazioni altrove. Ma sono momenti effimeri, e quando si stringe verso l’essenziale, la famiglia non può che ricompattarsi. Anche se a me, Marco non fa mai una grande impressione, lungo tutto il romanzo.

A questo punto dobbiamo anche inserire l’ultimo personaggio, l’arcigna ed anziana vicina di casa, Rebecca. Che gentilmente intrattiene Nina, e di cui leggiamo i miei poco amati flashback in cui si risale alla sua infanzia durante la guerra, allo stupro ed all’uccisione della sua sorellona Maria Sole ed a tutti gli anni della ricerca di una vendetta da parte sua e del fidanzato della sorella, Francesco.

Dopo tutta la prima parte che ci consente la conoscenza di tutta questa tribù, nella seconda Lorenza effettua un crescendo di tensione: Nina sente altre voci, un altro ragazzo viene quasi ucciso, Alfredo potrebbe essere coinvolto, un misterioso barbone si aggira nel quartiere, Rebecca si comporta in modo assai strano. Ma Marco e Sara fanno una pace armata, Alfredo salva Rasha da una sicura bocciatura guadagnando la riconoscenza di Nur. E Nina viene salvata all’ultimo istante da un'altra pericolosa avventura.

Purtroppo, il meccanismo giallo è fin troppo palese. Restando qualcosa di noir, che la scrittrice sembra domandarci: forse Nina è paranormale? Ma noi siamo troppo razionali per cadere nel tranello, ed anche se qui, una volta risolti i misteri, non si va molto oltre, ci si aspetta nel secondo episodio un chiarimento su molti fronti.

La scrittura è molto “Holden”, chiara e senza intoppi. Ed ha il pregio di affrontare, in un romanzo multiforme, tra horror (nullo), thriller (poco) e romanzo di formazione una serie di temi di grande importanza ed impatto nel mondo moderno: bullismo, integrazione, tradimento, vendetta, giovani verso e contro il sistema scolastico retrogrado, fino ai passi dedicati alla memoria, un tema che non si dovrebbe mai dimenticare.

Alla fine, tuttavia, non è né un romanzo pienamente adulto né un testo fortemente adolescenziale. Rimane a metà strada, un po’ incompiuto. E così rimane anche il mio giudizio.

Lorenza Ghinelli “Bunny Boy” Feltrinelli s.p. (Regalo della sig.ra Laura)

[A: 08/04/2024 – I: 14/04/2024 – T: 15/04/2024] &&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 249; anno: 2021]

Approfittando del regalo pasquale della signora Laura, ho completato la dialogia di Nina scritta da Lorenza Ghinelli. Purtroppo, questa seconda uscita non alza molto il livello della scrittura, anzi, soprattutto la trama, rimane un po’ semplicistica e poco coinvolgente.

Gli unici elementi che rimangono dopo la lettura sono i rapporti interpersonali tra i principali protagonisti. Ricordo che al centro della trama dei due romanzi è la famiglia composta dai genitori, Marco e Sara, e dai due figli, l’adolescente Alfredo e l’undicenne Nina, il motore del testo. Imperniato sul suo impianto cocleare per ripristinare l’udito, perso durante un incidente di macchina. Ed è il passaggio tra il brusio del mondo quando mette l’impianto ed il silenzio quando lo toglie che si compone il nodo centrale della trama.

Che, a mo’ di avvisaglia di sensazioni al di là del comprensibile, quando toglie l’apparecchio, Nina è capace di sentire avvenimenti dolorosi, in genere morti, uccisioni e catastrofi varie. Ma se nel primo c’era un intreccio interessante con la storia di Rebecca, qui la storia di Graziano non riesce a muovere sentimenti positivi.

Il “cattivo”, come al solito incastonato nella trama da lunghi intarsi in corsivo, ha una lunga storia di angherie alle spalle. È bruttino, con i denti all’infuori, e spesso preso di mira dai compagni di classe. In particolare, dalla banda capeggiata da Federico. Il padre di Graziano se ne andò presto di casa, e la madre trova modo di sbarcare il lunario accompagnandosi proprio con il padre di Federico. Non stupisce che Graziano sviluppi un forte astio verso tutta la generazione dei padri. Non solo, morta la madre, vorrebbe vendicarsi del padre, che però, coinvolto in loschi giri, viene ucciso prima che lo faccia lui.

Così, il nostro bruttone, si riprende su due fronti: uno è l’affezione verso tal Kenshiro, un super eroe dei manga giapponesi (di cui ignoro quasi tutto) e l’altro il travestimento da coniglio, visto che fin da piccolo veniva chiamato Bunny Boy. Con questo travestimento è protagonista di efferati delitti, con incluse orrende mutilazioni di cadaveri, rivolti a padri che trattano male i loro figli. Un giustiziere della notte in formato coniglietto.

Per contrastarlo e debellarlo, la nostra famiglia tipo si impegna alla grande. Non i genitori, che, mentre nel primo romanzo avevano sprazzi di azione a loro carico, qui sono un po’ da sfondo, senza molto incidere sulla trama stessa.

Allora, ai nostri due la Ghinelli affianca le diciannovenni extracomunitarie, Nur e Rasha, anche loro, tuttavia, vittime di un’evoluzione. Se prima il povero Alfredo cercava di capire quale delle due gli piaceva di più, qui rimane con il cerino in mano dopo che scopre che le due sono innamoratissime tra di loro. Ma qui non possono che prevalere i buoni sentimenti, e quindi Alfredo incassa e cerca comunque di aiutarle.

Unico elemento nuovo, e positivo, è l’entrata in scena di un ragazzino, Giaime, coevo di Nina, con fratello sordo, che introduce Nina al linguaggio dei non udenti, la LIS (Lingua Italiana dei Segni). Ed è proprio Giaime che convince Nina a fare una sessione profonda senza impianto per scoprire segreti e luoghi del coniglio assassino.

Non ci si meraviglia quindi che ci sarà un momento finale in cui tutti convergono in un unico luogo (tutti cioè Nina, Alfredo, Nur, Rasha, Bunny Boy ed un padre morente), dove assistiamo all’incontro scontro tra i due protagonisti, e dove la dialettica di Nina avrà la meglio sulla negatività di Graziano. Purtroppo, poi, poco altro rimane, oltre ad alcuni elementi sospesi che non si capisce se lo siano per dimenticanza o per eventuali riprese in nuovi romanzi.

Di certo, ci si aspettava un qualche ritorno vendicativo verso il bullo Federico, che invece rimane nelle brume del corsivo. Così come, le azioni di Luca, gestore della casa famiglia di Nur e Rasha, e di suo fratello Ricky rimangono sospese. Ed altrettanto dicasi dell’incerto futuro delle nostre due bellezze. In positivo, abbiamo solo, e ce lo aspettavamo, il primo timido bacio tra Nina e Giaime.

Altro e finale elemento di positività è il tentativo dell’autrice di far emergere le interazioni tra i ragazzi, ma soprattutto tra questi e gli adulti. Ribadendo, come ben sappiamo, che gli adulti raramente sentono veramente cosa dicono i ragazzi, essendo sempre convinti che loro, adulti appunti, sanno sempre come si sentono, cosa pensano i ragazzi. Che invece, a volte, sono molto più attenti dei genitori alla realtà che li circonda. E di sicuro molto più simpatici.

Rosa Teruzzi “Il valzer dei traditori” Feltrinelli s.p. (Regalo di Alessandra)

[A: 02/04/2024 – I: 07/04/2024 – T: 08/04/2024] &&&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 156; anno: 2023]

Quasi un anno fa completai la prima grande infornata dei volumetti giallo-ironici di Rosa Teruzzi incentrati sulle vicende della “Miss Marple del Giambellino”, Libera Cairati, e della sua coorte familiare, mamma Iole e figlia Vittoria. Più alcuni comprimari su cui torneremo. Pur essendo quel settimo volume abbastanza concluso, lasciava qualche spiraglio per una prosecuzione delle vicende seriali. Cosa che puntualmente è avvenuta. Con questo ottavo, e con l’annuncio che, a breve, ne uscirà anche un nono.

Ricordo intanto che, a dispetto del sottotitolo fuorviante messo dagli editori, io ho ribattezzato gli episodi con “Le detective del casello”, che mi sembra più calzante e meno fuorviante sia da “I delitti del casello”, laddove nel casello non sono mai avvenuti delitti, sia da quell’accenno ad Agatha Christie, buono solo per lanci giornalistici.

Anche in questo episodio, comunque, la scrittura di Rosa si mantiene agile, ci porta lungo la trama senza troppi scossoni, e con il solito piglio ironico. Manca solo un po’ di slancio in più nel personaggio di Libera, che risulta più ingessato del solito, anche se capiamo le montagne di dilemmi che le si parano incontro. Dai rapporti mai troppo sereni con mamma e figlia, al dilemma amoroso: meglio il sereno ménage con Gabriele o gli stimolanti incontri con Furio?

Come detto, è anche abile nell’uso della lezione dei feuilleton ottocenteschi, che alcuni filoni di racconto serpeggiano di episodio in episodio, quasi, anche qui, a rilanciare il lettore verso l’attesa di nuovi sviluppi. Abbiamo patito sei libri per arrivare a risolvere l’assassinio del marito di Libera, ed ora, questo creda sia il terzo in cui striscia latente la ricerca del padre mai conosciuto. Un tarlo che si scontra con il mutismo, al riguardo, di Iole e con l’ipotesi che il fantomatico ladro “Gatto con gli Stivali” in qualche modo possa entrarci.

Qui, inoltre, la saga familiare si allarga quasi a rendere onnicomprensivo il mondo delle nostre detective, inglobando anche Vittoria ed il suo semi-nascosto ragazzo. Infatti, scopriamo ben presto che una serie di misteri di Vittoria derivano dalla ricerca di prove per la non-colpevolezza di Armando il padre di Achille, il suo ragazzo tatuato. Armando è infatti in carcere da undici anni giudicato colpevole dell’omicidio di tal Fiorella, usuraia e ricattatrice.

Tutte le prove sono contro di lui, che comunque era stato sempre un po’ al di là della legge (in genere furti, rapine e riciclaggio). Ma Achille è convinto della sua innocenza, e coinvolge prima Vittoria e poi anche Libera e Iole. Ovvio che a questo punto non può che venire in soccorso anche Irene la Smilza, la reporter super informata su tutto, agli ordini esclusivi e tassativi del capo del giornale del pomeriggio, il famigerato Dog.

Muovendosi per una Milano fuori dai terreni battuti, le nostre indagatrici non possono che scavare nel passato dei protagonisti della vicenda. Risalendo sino alla giovinezza dei bulli della Binda (una zona con le vie dedicate ai personaggi dei Promessi Sposi): Armando il bello, Lilly da sempre innamorata di lui, Lina, che invece è innamorata di Lilly, e Bernardo, quello messo sempre in secondo piano. Tanto che nel giro il gruppo era chiamato i Belardinelli’s ed i due maschi erano A e B, per sottolineare il capo ed il gregario.

Armando sposerà Lilly, ma, da puro maschio alfa, continuerà a far cadere tutte le donne ai suoi piedi, ingenerando girandole di fraintendimenti e di situazioni pericolose. Non può certo confessare che al momento del delitto stava intavolando una tresca con Lady Eroina (ed il nome dice tutto). E contemporaneamente, Pablito, il pappagallo di Fiorella, sembra incastrarlo continuando a cantare la canzone di Jannacci “L’Armando”.

Tuttavia, le nostre detective della “Premiata Ditta Fiori e Delitti”, come le battezza Vittoria, riusciranno, con il decisivo aiuto di Irene, a srotolare il filo della memoria, ed a riportare tutto alla sua giusta risoluzione. Aspettando che nella prossima puntata anche il Gatto si risolva.

Altro elemento che ha un po’ limitato il plauso al romanzo è la mancanza di rimandi forti, anche se qualcosa c’è. Ci sono canzoni degli anni ’70 ed anche prima (da Jannacci a De André a Battisti). E ci sono dei libri, il solito immancabile Scerbanenco, i romanzi per giovani di Giana Anguissola. Il solo pezzo forte è la citazione della cronaca nera redatta da Dino Buzzati per i delitti commessi da Rina Fort, la Belva di San Gregorio. Se non ne conoscete la storia, vi consiglio di leggerla nel libro “Cronache Nere” di Buzzati, un capolavoro giornalistico.

Ultimo punto che denota un po’ di stanchezza è la mancanza di un finale alla preparazione del doppio bouquet da sposa con cui si apre il libro, ma che cade ben presto nel dimenticatoio, travolto dagli eventi. Come poco sfruttato è anche il lato vivaistico delle vicende, pur presente con lo studio di un bouquet per un addio (e non vi dico per chi né come) ed anche con un altro elemento foriero di sviluppi. Anche Achille ha il pollice verde, e per ora aiuta un amica di Libera, anch’essa fioraia. Chissà che in futuro…

Tanto già so che presto tornerò a parlare delle donne del Giambellino.

“Non succede mai che un libro, se è buono, non abbia una suggestione da darci.” (35)

“La verità, quando arriva, può essere crudele, ma è più crudele non conoscere la verità.” (82)

Rosa Teruzzi “La ballata dei padri infedeli” Sonzogno s.p. (Regalo di Francesco)

[A: 07/05/2024 – I: 09/05/2024 – T: 11/05/2024] &&& --- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 154; anno: 2024]

Come supponevo, eccoci al nono episodio della saga delle donne del Giambellino, imbastite dall’ottima Rosa Teruzzi. Non torno di nuovo sulla sua tipologia di scrittura, calma e rassicurante, con buone doti di rappresentazione delle situazioni, unita a conoscenze floreali di cui mi dichiaro colpevolmente ignorante.

Purtroppo, benché la scrittrice e la serie mi siano molto simpatiche, questo l’ho trovato l’episodio più debole scritto fino ad ora. Pochi rimandi esterni, poche o quasi assenti citazioni letterarie degne di essere ricordate. C’è solo questo tema di fondo, della ricerca delle radici, della mancanza di punti di riferimento paterni che tiene in piedi il testo. Ma non molto di più.

Ovvio che ci sono le nostre tre donne di riferimento, Iole, Libera e Vittoria, con la ruota di scorta della Smilza, la giornalista Irene, che appare poco ma quando appare è decisiva. Avevamo lasciato le nostre tre, nell’ultima puntata con alcuni dilemmi. Vittoria sembra ormai avviata ad un rapporto con il floreale Achille, anche se viene presa dalla routine poliziesca e qui compare solo in veste laterale. Iole è colpita dalla tristezza di Libera verso la mancanza di un padre certo, così che continua a cercare la soluzione del mistero. Intanto, provando a vedere se Diego, uno dei suoi amanti dell’epoca (e che noi conosciamo come Gatto con gli Stivali) possa ricoprire quel ruolo.

Libera invece continua a dibattersi su tanti fronti. La ricerca del padre, su cui questo testo è centrato. Ma anche la ricerca di un ruolo verso le persone cui vuole bene. C’è Gabriele, con cui ha passato una piacevole vacanza, che potrebbe assolvere al compito di futuro compagno stabile, dopo tanta attesa. Tuttavia, con due problemi seri: non gli fornisce stimoli per renderle la vita “sempre felice” e poi c’è quella donna da cui Gabriele aspetta un figlio, ed è un’altra ombra che non può sparire. C’è poi Furio, che la fa ridere, che è pieno di attenzioni, che le ha regalato un bouquet significativo, ma che è altalenante, cioè non sempre affidabile. E Libera ha bisogno di sorrisi e di fiducia.

Come dicevo, questo romanzo è centrato sulla figura dei padri. Perché se il motivo di fondo è capire se Diego è il padre di Libera, c’è un altro doppio rapporto padre – figlio che va seguito. Diego, in effetti, si è affezionato al piccolo Gianni, figlio di uno spacciatore di piccolo calibro. Ma quando il padre Alì scompare, Diego butta alle ortiche le sue remore e si mette alla ricerca del bandolo della matassa.

Sul fronte floreale, poi tutta la storia è collegata ad una pianta, per me ignota, la “Sansevieria” (così chiamata in onore di Raimondo di Sangro principe di San Severo, quello del “Cristo velato” per intenderci), che ha da un lato alcune proprietà velenose, dall’altro, per motivi che scoprirete, è al centro delle vicende di stupefacenti che portano alla scomparsa di Alì ed alla comparsa di uno dei tanti cartelli della droga milanese.

Come detto le vicende si intersecano, con devo dire abbastanza abilità da parte di Rosa di non dimenticare per strada neanche la Fata Turchina (che ricorderete dagli episodi precedenti) che ha una sua parte nella vicenda, anche se, appunto, da comprimaria.

Quello che emerge, è la figura di Diego, sempre scapestrato per tutta la sua vita, ma che, nel rapporto con il piccolo Gianni, capisce che qualcosa ha perso, qualcosa deve (può?) recuperare. Fino all’ultimo questo tasto sembra portare anche allo scioglimento delle radici di Libera, ma una sorpresa finale rimescolerà le carte, facendo in modo che ci sia spazio per altre puntate della saga delle nostre casellanti.

Dovremmo capire il futuro di Vittoria, quello di Gabriele, quello di Furio nonché, di fondo, quello di Libera. Che a me è di certo simpatica, ma vorrei dirle: apri gli occhi e datti una mossa. Non dico di seguire le orme materne, “folleggiando di fiore in fior”, ma non è molto intelligente continuare ad arrovellarsi, e ad intorcinarsi su tutte le questioni. Un po’ di leggerezza, che diamine. E, secondo me, dovresti accettare quello di buono che può venire da Gabriele e da Furio, senza, per ora, legarti a nessuno dei due. Che nessuno dei due ha fatto finora quello scatto che consente di dire, alla Mina, “è l’uomo per me, fatto apposta per me”.

Finendo sul fronte del giallo in sé, direi, appunto, che tutti i nodi alla fine la nostra tessitrice di storie li tira a fondo, sciogliendoli. Certo Diego sparisce di nuovo, certo il piccolo Gianni non può che riparare con la madre da Franca, la facoltosa amica di famiglia. Certo si trova il motivo per cui compariva la benedetta sansevieria.

Ma soprattutto, mentre è in ospedale per l’ennesima botta in testa, presa a fin di bene, e senza conseguenze durevoli, Libera riceve rose con alcuni petali incisi con delle lettere “P E R A C”. Che nascondono un mistero che di certo si risolverà alla prossima puntata.

Questa settimana, senza metafore e con una legge del contrappasso, da autori gialli italiani vi sforno una serie di frasi di un autore non italiano e non di gialli che a me è molto caro, anche se, purtroppo, ci ha lasciato.

Vi parlo di Amos Oz e di alcuni suoi libri.

Dal primo, “Scene dalla vita di un villaggio”, alcuni pensieri sul rapporto di coppia e sull’amore: “Era perdutamente ma anche disperatamente innamorato, visto che lei aveva quasi il doppio dei suoi anni, oltre che un fidanzato, ed era chiaro che provava per lui solo una generosa pietà” (135)

“Magari avessi trovato il coraggio … di dirle diritto in faccia … che io e lei … siamo due anime gemelle … ma non si può rimediare al fatto che sono nato una quindicina d’anni dopo di te” (153)

“Intanto pensavo che se persino Bialik, il poeta nazionale, si domanda che cosa sia l’amore, allora noi che non siamo poeti come potremmo pretendere di conoscere la risposta a questa domanda?” (165)

Dal secondo, che è anche uno dei suoi primi ed interessanti libri, “Michele mio”, vi consiglio soprattutto quella sul dimenticare e ricordare: “Scrivo questa storia perché quando ero giovane avevo una grande capacità di amare, e ora questa capacità di amare sta morendo.” (7)

“Le sue parole mi davano quel senso di tranquillità che provo dopo una siesta, la tranquillità di un risveglio al crepuscolo, quando l’aria è più dolce e io sono calma e tutto è calmo intorno a me.” (19)

“Non ho dimenticato nulla. Dimenticare significa morire. E io non voglio morire.” (56)

“Non c’è tristezza al mondo che non possa trasformarsi in una grande gioia.” (89)

“Il tempo vola sapete… Il tempo vola. Voi due vivete la vostra vita come se il tempo stesse fermo ad aspettare voi. Lasciate che vi dica che il tempo non sta fermo. Il tempo non si ferma per nessuno.” (157)

“Non voleva provocare nuovi sogni. I sogni possono essere infranti. E come conseguenza rimane la bocca amara.” (221)

Infine, dal poco noto “Fima”, alcune perle, di cui sottolineo, per alcuni miei amici e parenti, quella sugli indiani cherokee: “Il suo tempo libero lo trascorreva in compagnia delle donne.” (67)

“I cherokee hanno una legge che proibisce di buttar via qualunque cosa. … Tutto quello che ti è servito una volta … non buttarlo, forse ora è lui ad avere bisogno di te.” (138)

“Fima … decise in cuor suo che non avrebbe fatto più lo scemo in sua presenza. O in presenza di altri. D’ora in poi si sarebbe concentrato.” (258)

Per il resto, come suggeriscono parenti e amici, sto pensando a dare anche altri scopi a queste mie note sparse. Vedremo, anche perché ci si deve concentrare soprattutto sui prossimi possibili viaggi. Sempre con il vento in poppa e la sabbia negli occhi, un abbraccio.

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