Un’altra trama tutta italiana, non proprio esaltante, ma di sicura lettura estiva. Con un De Cataldo di buona sufficienza con la prima avventura del sostituto procuratore Manrico Spinori. Due prove discrete, una del neofita Bastonini ed una della coppia ben affiatata Perissinotto & D’Ettorre. Poi cominciamo a scendere, purtroppo, con due autori che mi avevano convinto in altre prove. Qui, invece, Ilaria Tuti è di poco passabile, mentre Morchio, abbandonato Bacci Pagano, non trova la verve di un tempo.
Giancarlo De Cataldo “Io sono il castigo” Repubblica Noir 16 euro 8,90
[A: 09/10/2021 – I: 27/02/2024 – T:
28/02/2024] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 237; anno:
2020]
Sebbene siano passati tre anni dall’ultima
lettura di uno scritto di De Cataldo, la sua scrittura, il suo modo di portare
avanti le trame continuano a non coinvolgermi. Certo, ha un buon punto a suo
favore il fatto che anche questo scritto ha per teatro Roma. Tuttavia, ci sono
punti in cui, volendo usare il dialetto locale, il testo scade di tono, come se
avesse preso una stecca.
Non a caso parlo di musica perché qui il
nostro scrittore introduce un nuovo personaggio, e lo costruisce in maniera
simpatica, almeno per quanto si capisce fino ad ora. È un sostituto
procuratore, Manrico Spinori (anche se ad essere precisi, il nome completo è
Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di
Albis e Santa Gioconda), ed oltre a seguire le indagini è un melomane convinto,
in particolare addicted delle opere liriche. Ora, io, sempre pronto a sentire
musica, non ho mai capito la passione della gente per la lirica, ma rispetto
chi ha questa passione e che ha un abbonamento fisso al Teatro Costanzi (che
per chi non lo sapesse è il Teatro dell’Opera di Roma, grazie Nicu).
Manrico, detto Ricky da alcuni amici, ha una
madre contessa ludopatica che si è giocata il patrimonio di famiglia, un
maggiordomo “alla Jeeves” che si chiama Camillo (e che chiama il nostro “signor
contino”). Più importante è la sua squadra investigativa, composta da tre
donne: Gavina Orru, Marta Vitale e la nuova entrata Deborah Cianchetti. Le
prime due storiche ed in piena sintonia con il capo, la nuova un po’ “in
rottura”: pluritatuata, molto Tufello, un po’ troppo disposta alle maniere
forti, ma con un passato in varie forze dell’ordine, per cui ha contatti ed
anche una buona dose di intuito e fortuna.
Per finire con Manrico, è separato da
Adelaide (sembra di capire per qualche scappatella di troppo), ha un figlio,
Alex, musicista, che si sorprende quando Ricky gli dice di aver visto un
concerto di Frank Zappa dal vivo. Non ha relazioni, al momento, anche se, da
alcuni accenni, sembra aver bisogno di compagnie femminili, anche solo per una
notte. Tuttavia, nel giro del teatro, conosce tal Maria Giulia, melomane
anch’essa, con cui sembra iniziare un possibile rapporto un po’ meno instabile
di quelli momentanei che intrattiene.
Detto del contorno, veniamo allora alla
prima indagine di Manrico. Si tratta della morte in un incidente stradale di
tal Stefano Diotallevi in arte Mario Brans detto Ciuffo d’Oro. Un cantante in
auge negli anni ’60, poi ritiratosi a fare il discografico, sempre rimanendo
nello spettacolo. Ha un figlio di primo letto, Mattia, che vive a Londra, ed
una seconda moglie, Alina, albanese, con cui ha avuto una figlia. A completare
il quadro c’è Gilberto Mangili, autista e tuttofare, che guidava l’auto al
momento dell’incidente, da cui si salva per miracolo.
Mangili è un essere triste, che non si è
ripreso dalla morte della figlia, già tossica, investita da un’auto mentre
scappava da una comunità di recupero. Droga sempre presente nel mondo dello
spettacolo, che Brans ne è stato a lungo schiavo, anche se, forse, ne è uscito
(ma solo forse perché facile è ricadere). Fatta anche mente locale, che negli
studi frequentati da Brans si aggira un pusher di vecchia conoscenza di
Deborah, che sembra avere improvvisamente soldi, ma anche problemi con un losco
rapper, la situazione si infittisce.
Mattia vuole i soldi del padre, magari
alleandosi con Alina. Alina aveva chiesto aiuto ad un suo parente albanese
magari per simulare un incidente e godersi l’eredità del cantante. Il rapper,
che aveva ripreso con successo una vecchia canzone di Brans, aveva più volte
minacciato il cantante per delle vecchie ruggini. Minacce legate ad incidenti
da provocare e filmate dal pusher. Insomma una situazione in cui tutti possono
aver commesso il delitto.
Che delitto è, in quanto da breve analisi,
risulta segato il tubo che porta olio ai freni, così che, alla prima frenata,
la macchina sarebbe stata incontrollabile. Cosa che puntualmente succede
all’uscita degli studi dove si era esibito Brans, vicino a Villa Sciarra, ed
appena imboccata la discesa di via delle Fornaci (sempre un plauso per
collocare le vicende nei miei luoghi romani).
Manrico e la sua squadra, dopo vari giri a
vuoto, riescono a trovare il vero bandolo della matassa intricata, risolvendo
non brillantemente, ma abbastanza velocemente, il quesito giallo di chi sia
l’autore ed i motivi del suo gesto.
Alla fine, comunque, si è rivelata una buona
lettura, un intreccio semplice ma che può funzionare (anche se facilmente
decifrabile). Rimangono le perplessità sulla scrittura di De Cataldo, ma anche
il senso di vicinanza al teatro complessivo dell’azione, sugellato da una cena
di Manrico al “Colibrì”, un ristorante che mi vedrà di nuovo tra i commensali
ai primi di marzo.
Bruno Morchio “La fine è ignota” Repubblica
Profondo Noir 27 euro 8,90
[A: 08/01/2024 – I: 31/03/2024 – T: 01/04/2024]
&&--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno:
2023]
Forse la cosa migliore del libro è il
titolo. Dove tutti gli amanti del giallo (ma anche quelli che amano solo
Sellerio e Sciascia) non possono non pensare subito a Geoffrey Holiday Hall ed
al suo “La fine è nota”. Un giallo magistrale, riscoperto da Sciascia dopo
essere caduto nell’oblio. Che invece ha sempre avvolto l’autore. Tanto che
anche Morchio lo cita in un mini-prologo, dicendo che di GHH non si sa nulla.
Ora, dai siti francesi, gli unici che ne parlano, si evince che fu un
giornalista americano nato nel New Mexico nel 1913 e morto da qualche parte nel
1981. Nel mezzo, oltre a due libri, nulla. Quindi se ne sa poco, ma non un
vuoto assoluto.
Morchio ci aveva abituato a ben altre
scritture, con tutte le avventure, che ho seguito con indubbio gusto, del
“detective dei carrugi” Bacci Pagano (almeno per le prime nove puntate, che
tuttavia sono ora salite a quindici). Una scrittura seriale accattivante,
incentrata inoltre in quel di Genova e nei suoi meandri, cosa che certo non
dispiace.
Qui, pur rimanendo a Genova che fa da sfondo
immancabile alle sue trame, introduce un nuovo investigatore, Mariolino
Migliaccio. Un trentenne un po’ sfigato ed un po’ volutamente autolesionista,
mai ripresosi dall’uccisione della madre Wanda, un’allegra prostituta il cui
delitto è ancora, dopo quindici anni, ancora impunito. Così che il nostro, e
qui mi sembra che Morchio ripercorra binari troppo scontati, decide che il suo
futuro è fare l’investigatore privato, pur senza ufficio e senza licenza. Tanto
che i suoi clienti li gestisce dal tavolino di un bar.
E non è neanche un granché fortunato, che,
per penuria ed incuria, vive solo in una pensione certo poco attraente, gestita
da una signora come dire d’antan (o da pre-Merlin) e dove l’unico punto
positivo è la presenza di Fatima, bella escort cui Mariolino fa il filo senza
successo. A dispetto di tutto ciò, il nostro ha comunque fiuto, sia nel
risolvere i piccoli casi che gli vengono affidati, sia nel capire presto che il
grande caso a cui ora lavoro ha più fumo che arrosto.
Infatti, viene ingaggiato da un boss della
parte al di là della legge, Luigi il Vecchio, in tanti affari coinvolto, ma in
particolare gestore, tramite donne di paglia di un Centro Benessere che in
realtà è un centro di incontri galanti e non solo. Che per una clientela
selezionata ci sono anche giovani albanesi pronte (ma forse solo obbligate) a
prestazioni molto al limite, tra bondage a snuff movie (sperando che capiate
cosa siano).
Luigi vuole ritrovare la scomparsa Liveta,
una di queste albanesi. E la ricompensa è esageratamente elevata così che
Mariolino sin dall’inizio subodora qualcosa. Proseguendo le sue ricerche tra
carrugi e bar da malaffare da un lato e ristoranti di lusso dall’altro, il
nostro investigatore comincia a ricostruire tutta una storia che comprende la
scomparsa, ma che forse è più grande di lei.
C’è un conte in vacanza alle Maldive con
frequentazioni poco limpide di fornitori di coca, che viene usato da
insospettabili, ma anche da avvocati di grido, e forse più sospettabili. C’è il
ricco Bibi che sembra avere più complessi del Robertino di Troisi (e di sicuro
più soldi). C’è Liveta che per la coca si presta a giochi erotici molto al
limite. C’è Milca, l’amica di Liveta, che non accetta il ruolo passivo e tenta
un ribellione (giusta ed aiutata da Mariolino). C’è una morta ritrovata in
acqua che forse sappiamo chi è o forse è ignota. C’è un filmato compromettente
scaricato su di una chiavetta USB che appare e scompare.
Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per
mettere in difficoltà Mariolino, ma che il nostro dribbla con intuito e
fortuna, riuscendo alla fine a risolvere per Luigi quello che Luigi voleva, e a
concedere ad una giovane un futuro che non si aspettava. Avendo inoltre il
piccolo dono di una soffiata che potrebbe metterlo sulle tracce dell’assassino
della madre. Così che non ci meraviglieremo se prima o poi uscisse fuori una
seconda puntata.
Come sottoprodotto, in una storia laterale
ma importante, soprattutto per l’autore, vediamo sventato un tentativo di
violenza domestica, con una bella mossa del nostro ed un ringraziamento
all’esistenza dei Centri Antiviolenza. È bene che qualcuno ogni tanto se ne
ricordi.
Insomma, seppur non dispiace il nostro
ex-psicologo Morchio, senza Bacci le prove che ho letto perdono di mordente.
Anche se, pure le ultime non erano proprio esaltanti. E seppur continuo ad
apprezzare la presenza di Genova, devo sottolineare il fastidio dei discorsi in
dialetto, che, seppur poi tradotti, spezzano il ritmo. Unico punto piacevole è
il soprannome che nel mondo della mala viene dato al nostro investigatore: fottignin
scotizzoso, ficcanaso sporcaccione.
Aspettiamo comunque altro per un giudizio
complessivo.
Giorgio Bastonini “L’incertezza della rana”
Repubblica Profondo Noir 40 euro 8,90
[A: 02/04/2024 – I: 05/06/2024 – T: 07/06/2024]
&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 252; anno:
2023]
Un’altra prova interessante, anche se non
completamente riuscita, di un autore italiano, commercialista per vivere, che,
dopo alcune prove di scrittura, nel 2021 si lancia nel giallo seriale con
protagonista il pubblico ministero Paolo Santarelli. Dopo la prima uscita di
discreto successo, questa è la seconda avventura del PM, di stanza a Latina,
città in cui l’autore vive gran parte del suo tempo, e si vede dalla cura dei
dettagli cittadini che inserisce nel testo.
Dettagli non solo di luogo, ma anche di
“ambiente cittadino”, laddove sia Santarelli che Bastonini non possono negare
che il pontino non è un luogo salubre (e non solo per le vecchie paludi,
ricordando Pennacchi). Luoghi quindi di mafie, di droghe, di malaffare a
diversi ed intrecciati livelli. Che l’autore riesce a riportarci con discreta
mano.
Unico punto che mi ha lasciato dubbi, non
sul fatto in sé ma sul suo inserimento in questo contesto, è un inciso
dibattimentale in cui il PM Santarelli deve sostituire un collega per un
intervento conclusivo di accusa in un processo. Che, ovviamente con nomi
cambiati, non è che la ricostruzione della morte del povero Willy Montero,
ucciso barbaramente dai fratelli Bianchi. Non entro nel merito, che i quei
colpevoli andrebbero tenuti in carcere per tutto il tempo detentivo necessario.
Ho solo trovato poco congeniale alla trama, quasi una fetta d’ananas su di una
pizza napoletana. Certo, non va scordato Willy, ma forse qui non è funzionale
alla storia.
Una storia che comincia con l’omicidio di un
malavitoso in ascesa, Gianluca Romano detto “Spaghetto”. Sembra un regolamento
di conti, ma Santarelli, PM incaricato delle indagini, subodora qualcosa di
diverso. Tant’è che viene avvicinato da un giovane evidentemente alterato, Raffaele
Locatelli detto Lele, che gli confessa di essere lui l’assassino. Ma mentre
prova a spiegare i motivi del suo gesto, viene falciato a colpi di fucile da
una macchina che fugge.
Qui si apre il grande tetro delle indagini.
Lele risulta essere un chimico una tempo di belle speranze, con possibili
carriere universitarie e di ricerca. Poi sparisce dai radar della buona
gioventù. Risalendo alle varie situazioni, il nostro scopre che Lele ha uno
strano casale in campagna, dove si allevano rane amazzoniche in un ambiente
tropicale rifatto, e custodite da uno strano indios che non parla una parola di
nessuna lingua conosciuta.
Trova anche la casa dove viveva Lele, con
una strana coinquilina, che si occupa di tarocchi e letture astrali, che,
guarda un po’, si chiama Cassandra. Dimenticavo, Lele era entrato in affari con
Spaghetto che questi gli finanziava il casale e l’allevamento. Ma Spaghetto era
anche un mafioso rampante, quindi non era certo un’opera di beneficenza.
Risalendo la china delle informazioni,
spesso ricevute in modo informale, ma Santarelli è un PM informale, che gira
per Latina o in bici o su un Malaguti 50 prestato, scopre i collegamenti di
Lele con esimi professori, in particolare con Vittorio Erspamer (questi
realmente esistito, scopritore della serotonina, studioso degli anfibi, più
volte candidato senza successo al Nobel). E scopre i molti viaggi di Lele in
Amazzonia. Finendo alla fine per risalire tutta la catena degli avvenimenti che
hanno portato Lele a conoscere la “rana bicolore”, quella che fornisce per
secrezione una droga chiamata “Kambo”, che però non si riesce a sintetizzare
fuori dell’habitat naturale dell’anfibio.
Le scoperte di Lele, i guai con i mafiosi
Romano, nonché l’intervento di una multinazionale svizzera dedita alla
produzione farmaceutica, alla fine mettono noi ed il PM sulla strada giusta
della pur ovvia soluzione. Che poi rende il tutto più che un giallo in sé, un
poliziesco di denuncia e di scoperta, non brutto, ma neanche, alla fine
particolarmente riuscito. Direi sufficiente.
Rimane da dire del lato privato, che, come
tutte le storie seriali, ha un suo peso ed un suo fascino. Che Santarelli, come
detto, è atipico, PM quarantenne con felpa e converse. Che ha per miglior amico
Livio, gestore del bar “Il Piccolino”, dove arrivano tutte le notizie del mondo
pontino, prima che in Questura o sui giornali. Che ha un rapporto di vicinanza
e lontananza con Barbara, quasi avesse problemi di rapporti e di affettività.
Ma credo che alcuni di questi misteri vengano dalla prima puntata che non ho
letto e si risolvano nelle puntate successive che vedremo se sia il caso di
leggere. Anche se, a pelle, il Santarelli mi sta simpatico.
Alcuni punti finali: primo, tutta la parte
sulla rana, che è reale, come il professor Erspamer (sembrava un nome
inventato, ma se andate in rete potete leggerne). Anche se, più che la rana
bicolore o dow-kiet, la parte tossica degli anfibi mi sembrava potesse derivare
dalla rana freccia o Phyllobates terribilis che ha le stesse caratteristiche
delle rane descritte dall’autore e che è ritenuto il più velenoso animale al
mondo.
Secondo, ed ultimo, per alcuni
approfondimenti, Santarelli deve rintracciare un professore italiano che lavora
all’estero. Così lo seguiamo in una breve trasferta a … Miami. Di certo è
strano leggerne a poca distanza da averla visitata. Una città che, in altre
epoche, avrei bellamente ignorato. Ma che, nella descrizione della Florida
dell’interno, ed in quello che ho visto io dell‘Everglades Park, mi ha fatto
fare una breve ricognizione mentale, ed un ringraziamento alle cose che sono
riuscito a fare in tutti questi anni.
Alessandro Perissinotto & Pietro
d’Ettorre “Il figliol prodigo” Repubblica Profondo Noir 43 euro 8,90
[A: 18/04/2024 – I: 08/07/2024 – T: 09/07/2024]
&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 283; anno:
2023]
Quindi,
quando entriamo nella lettura, dobbiamo ricostruire un po’ il mondo in cui si
muovono i personaggi, anche se i due fanno in modo che questa ricostruzione
possa avvenire abbastanza facilmente. Giacomo era carabiniere figlio di
carabinieri, sposato con la appena nominata professoressa Rossana Actis, figlia
dell’Avvocato Actis (lui sì con l’A maiuscola come Gianni). L’11 settembre
2001, un’auto, forse dei carabinieri, investe e non soccorre Rossana,
lasciandola paraplegica a vita. Giacomo decide allora di abbandonare l’arma
(non si sa quale carabiniere possa essere stato ma di certo non è facile
convivere con quel peso), si laurea ed entra nello studio del suocero.
Ora, una ventina di anni dopo, Giacomo è il
nucleo centrale dello studio, rimanendo al vecchio Actis il ruolo di, appunto,
“Grande Vecchio” e tester delle procedure legali dello studio. Ha un’ottima
vita con Rossana, punteggiata da gite in handbike ed altre amenità da
para-sportivi. Nello studio c’è anche Giulia, tirocinante con un buon piglio,
ed una linga storia con Marcella, una pare maga dell’informatica.
Non sappiamo cosa sia successo nel primo
libro uscito per Mondadori (“Cena di classe. Il primo casi dell’avvocato
Moroni”), mentre seguiamo con il giusto grado di interesse questo secondo
episodio, il cui titolo completo, non riportato in questa edizione di
Repubblica, recava l’aggiunta: “Una difesa impossibile per l’avvocato Moroni”.
Ed è proprio su di una difesa che si
incentra questo legal thriller italiano, laddove i nostri hanno ben appreso la
lezione dei Grisham e dei Turow, applicandola diligentemente alla legge
italiana. E questo è un plus non da poco, che, per i non giurisperiti, i
meandri delle leggi italiche hanno un che di cabalistico.
Comunque, per fare un piacere ad un amico,
Giacomo accetta la difesa di Mauro, un ragazzo che, scomparso nel nulla circa
due anni prima, riappare a Torino e pare proprio, ci sono quasi tutte le prove
in quel senso, uccida tal Attilio. Il problema è che Mauro non dice una parola,
quasi che fosse muto (e non lo è), ma che di sicuro è in pieno disturbo
post-traumatico da stress. Tutto il percorso dello studio Moroni, allora, è
capire una serie di piccoli fatti per arrivare, quando ci sarà il processo, ad
imbastire una difesa sensata.
Ed i punti sono tanti: Mauro e Attilio si
conoscevano? Nel caso affermativo, come e dove erano entrati in contatto? E
perché, se si conoscevano, Mauro cerca Attilio, diventato il mago-squalo di una
start-up tecnologica, solo due anni dopo? Perché non c’è l’arma del delitto nel
luogo dell’omicidio? Che cosa ha fatto Mauro in questi due anni? Questi e molti
altri sono gli elementi che Giacomo cerca di portare alle luce durante tutti i
mesi di attesa.
Sapremo presto che il tutto è collegato ad
un omicidio avvenuto durante un rave a Liegi proprio il giorno della scomparsa
di Mauro. Ma di Mauro sapremo, al momento poco altro, mentre Attilio è subito
visto ed inquadrato come violento e arrivista (ruba il software della start-up,
è un violento tifoso ultras colpito da DASPO, ed altre piccole non brillanti
caratteristiche).
Unica cosa, Giacomo, con intelligenza
legale, riesce a penetrare nella corazza di Mauro, in modo da presentarsi ben
ferrato al dibattimento. Lì dove meglio appare la mano di D’Ettorre, per
condurre noi ed Alessandro attraverso i meandri di una difesa non impossibile
come dice il titolo, ma di certo ardua. Una doppia mano che tuttavia
felicemente ci porta all’ultima pagina del libro. Che non è un capolavoro di
suspense, ma ha buone dosi di coinvolgimento.
Soprattutto in molti contorni: Torino, in
primo luogo, ben descritta e ben rappresentata, la Borgogna francese dove
Giacomo e Rossana girano in handbike, la figura stessa di Rossana, che affronta
di petto la sua menomazione, esorcizzandola perché si contorna di modalità che
le consentono una vita “normale”. Financo (e questo e di sicuro un aggancio con
altri possibili futuri episodi) la ricerca del colpevole dell’incidente di
Rossana.
Ripeto, Perissinotto lo avevo apprezzato nei
primi libri, e comunque mantiene una sua mano elegante nell’esposizione della
trama. D’Ettorre mostra ovvie competenze legali. Tuttavia, la confezione
complessiva ha solo un buon livello di sufficienza, e non molto di più.
Ilaria Tuti “Luce della notte” Repubblica
Anima Noir 3 euro 8,90
[A: 09/07/2021 – I: 11/07/2024 – T: 13/07/2024]
&&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 206; anno:
2021]
Dopo aver visto la serie TV, con una buona
interpretazione di Elena Sofia Ricci, ho lasciato i romanzi di Ilaria a
decantare ed aspettare il loro turno. Così eccoci, a tre anni dall’acquisto, e
ad uno dalla fine della serie, entrati di nuovo nel mondo del commissario
Teresa Battaglia e della sua squadra.
Purtroppo ci entriamo in un modo poco
consono al gradimento sia dei primi libri che della serie televisiva. Perché, e
qui dobbiamo fare una grande tirata d’orecchi sia alla prima casa editrice,
Longanesi, sia a questa collana, il libro, terzo nella scrittura, in realtà si
colloca tra i primi due libri scritti. Così che noi, che li abbiamo letti, ci
siamo trovati un po’ spaesati, fino a che non abbiamo chiarito l’arcano.
Infatti, dal secondo libro sappiamo che
Marini viene raggiunto in quel di Udine dalla fidanzata che aveva lasciato al
Sud, e sappiamo che, ad aiutare nelle indagini, sono intervenuti una non
vedente ed un cane. Tutti personaggi che qui non compaiono. Me ne domandai il
motivo, fino appunto alla scoperta che questa luce viene prima della ninfa che
dorme.
Così molto si spiega, anche se, fino al
disvelamento, tutto rimane un po’ sospeso, quasi si stesse leggendo altro.
Certo, e questo poi lo spiega meglio Ilaria in alcune righe finali, c’è stato
anche altro. Un racconto scritto in tempi non sospetti, la morte della sua
piccola amica Sarah per un sarcoma di Ewing (ed i conseguenti proventi del
libro devoluti ad una clinica oncologica), la decisione quindi di allungare il
racconto verso un romanzo breve.
Dove l’unico elemento che poi sarà di
raccordo con il resto della serie, è la consapevolezza che l’ispettore Marini
entri a pieno titolo a far parte della squadra. Oltre al fatto che, pur con dei
sintomi ancora lievi, Teresa ha piccoli momenti di sbandamento, che non sono
dovuti (solo) ad un diabete che non si decide a curare.
Un elemento, invece, che serve solo ad
allungare le pagine è il rapporto tra Teresa e Andreas, che ha senso solo per
chi si ricorda del primo libro, ma che qui (oltre alle citazioni del bellissimo
“La strada” di Cormac McCarthy) non è che porta molta acqua al mulino del
testo.
Un testo che parte sempre con qualcosa di
onirico e di infantile. Laddove conosciamo Chiara, affetta da Xeroderma
pigmentoso, una rara malattia che impedisce alla bimba di potersi esporre ai
raggi solari. Sensibile come molti bimbi malati, Chiara sogna, o immagina,
scene spaventose, con urla, alberi maligni con tombe occultate, e bambini che
scompaiono. Non è certo una materia d’indagine, ma la madre di Chiara, visto
che da poco (cronologicamente) Teresa ha risolto il caso dei quattro bambini
dei “Fiori sopra l’inferno”, non esita a chiamarla per rasserenare la figlia.
Teresa e Massimo ascoltano, provano a capire
se dietro il sogno c’è qualcosa, ma solo quando incontrano il vecchio Pietro
cominciano ad intravedere una luce nella notte. E qui, come anche nel secondo
libro di Ilaria, l’oggi si mescola con un qualche ieri. Qui, lo ieri non è
molto lontano, solo venti o venticinque anni, quando nella vicina ex-Jugoslavia
imperversavano massacri etnici e fughe disperate per i sentieri montani. Dove
Pietro era uno “spallone” di anima (uno che aiutava i fuggitivi), ma anche uno sul
filo della legge, che si approfittava di situazioni disperate, magari facendo
sparire bambini solitari lunghe quelle tratte.
Inciso: secondo report ufficiali ancora nel
2016 in Ungheria, la percentuale di minori migranti non accompagnati, scomparsi
nel nulla dopo la registrazione è del 95%.
C’è tutta una storia che lega Pietro, i
migranti, le luci nella notte di quest’ultimi che attraversano i confini, i
giocattoli che Pietro intaglia per Chiara, nonché il padre di Chiara bancario
fallito dopo speculazioni sbagliate e finito sotto l’usura dello stesso Pietro,
che, dagli anni 2000, ha avuto insospettate entrate finanziarie.
L’unica cosa felice è che Teresa riesce a
rasserenare Chiara, a farle capire che non è fuori di testa, e, secondo
elemento importante, riesce ad instaurare un rapporto più disteso con
l’ispettore Marini. Il resto non vale molto la lettura. Anche il finale avviene
velocemente, quasi si volessero spiegare tutte le cose del libro con un epilogo
che, saltando molti passaggi, risulta poco congruente con tutto il libro
stesso.
Rimane la simpatia per la testarda e
battagliera Teresa, rimane la sempre cara ambientazione friulana, rimane il
tentativo, riuscito, di rasserenare i bambini e proteggerli da orchi spesso
esistenti solo nelle parole. Con il tacito consiglio che i bambini bisogna
saperli ascoltare.
Peccato, complessivamente, che Ilaria scrive
bene, e spero torni ad una dimensione più consona alle sue indubbie capacità.
Inizio di un nuovo mese con il ricordo delle
diciassette letture di giugno, con in testa l’ottima prova del giapponese Seicho
ed in coda l’inguardabile giallo del franco-armeno Ian Manook.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Ghiannis Maris |
Il
tredicesimo passeggero |
Feltrinelli |
s.p. |
3 |
2 |
Jean
Failler |
Le
ombre del collegio |
Repubblica
Brivido Noir |
8,90 |
3 |
3 |
Georges
Simenon |
Cargo |
Repubblica |
9,90 |
3 |
4 |
Giorgio Bastonini |
L’incertezza
della rana |
Repubblica
Profondo Noir |
8,90 |
2,5 |
5 |
Takagi
Akimitsu |
Il
mistero della donna tatuata |
Corriere |
8,90 |
4 |
6 |
Abir Mukherjee |
Un male necessario |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
3 |
7 |
Christian Jacq |
Cleopatra |
Tea |
s.p. |
2 |
8 |
Valerio Varesi |
A mani vuote |
Mondadori |
6,90 |
2,5 |
9 |
Guillaume
Musso |
Qualcun
altro |
La
Nave di Teseo |
20 |
4 |
10 |
Ian
Manook |
Mato
Grosso |
Repubblica
Emozione Noir |
7,90 |
1 |
11 |
Sosuke
Natsukawa |
Il
gatto che voleva salvare i libri |
Corriere
Giappone |
8,90 |
3 |
12 |
Fred
Vargas |
Sulla
pietra |
Einaudi |
20 |
2 |
13 |
Marco
Malvaldi |
La
misura dell’uomo |
Giunti |
8,90 |
2,5 |
14 |
Roberta Castelli |
Il
delitto di via Etnea |
Corriere
Gazzetta |
7,99 |
2 |
15 |
Christian Jacq |
Nefertiti |
Tea |
s.p. |
3 |
16 |
Matsumoto
Seicho |
La
ragazza del Kyushu |
Corriere
Giappone |
8,90 |
4,5 |
17 |
Niklas
Natt och Dag |
1793 |
Repubblica
Brivido Noir |
8,90 |
3 |
Per le solite citazioni d’antan, riprendo un autore che non sempre mi ha convinto, Joe R. Lansdale, che tuttavia mi ha lasciato alcune tracce di riflessione nel suo “La sottile linea scura”:
“Devi amare prima te stesso prima di poter
amare tutto il resto.” (60)
“La vita ha delle risposte precise, e poi ha
anche delle situazioni in cui non sono chiare nemmeno le domande.” (97)
“Quel
che ti voglio far notare è che la vita non è mica giusta. Non basta volere
qualcosa, per averlo automaticamente.” (204)
Spero non vi dispiaccia, poi, se in questo mese di settembre la mia voce tacerà per almeno un paio di settimane, che anche io ho deciso di prendermi una piccola vacanza, con un altro piccolo grande giro. Aumento allora la dose di abbracci per non farvi sentire soli.
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