domenica 1 settembre 2024

Italiani ancora - 01 settembre 2024

Un’altra trama tutta italiana, non proprio esaltante, ma di sicura lettura estiva. Con un De Cataldo di buona sufficienza con la prima avventura del sostituto procuratore Manrico Spinori. Due prove discrete, una del neofita Bastonini ed una della coppia ben affiatata Perissinotto & D’Ettorre. Poi cominciamo a scendere, purtroppo, con due autori che mi avevano convinto in altre prove. Qui, invece, Ilaria Tuti è di poco passabile, mentre Morchio, abbandonato Bacci Pagano, non trova la verve di un tempo.

Giancarlo De Cataldo “Io sono il castigo” Repubblica Noir 16 euro 8,90

[A: 09/10/2021 – I: 27/02/2024 – T: 28/02/2024] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 237; anno: 2020]

Sebbene siano passati tre anni dall’ultima lettura di uno scritto di De Cataldo, la sua scrittura, il suo modo di portare avanti le trame continuano a non coinvolgermi. Certo, ha un buon punto a suo favore il fatto che anche questo scritto ha per teatro Roma. Tuttavia, ci sono punti in cui, volendo usare il dialetto locale, il testo scade di tono, come se avesse preso una stecca.

Non a caso parlo di musica perché qui il nostro scrittore introduce un nuovo personaggio, e lo costruisce in maniera simpatica, almeno per quanto si capisce fino ad ora. È un sostituto procuratore, Manrico Spinori (anche se ad essere precisi, il nome completo è Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda), ed oltre a seguire le indagini è un melomane convinto, in particolare addicted delle opere liriche. Ora, io, sempre pronto a sentire musica, non ho mai capito la passione della gente per la lirica, ma rispetto chi ha questa passione e che ha un abbonamento fisso al Teatro Costanzi (che per chi non lo sapesse è il Teatro dell’Opera di Roma, grazie Nicu).

Manrico, detto Ricky da alcuni amici, ha una madre contessa ludopatica che si è giocata il patrimonio di famiglia, un maggiordomo “alla Jeeves” che si chiama Camillo (e che chiama il nostro “signor contino”). Più importante è la sua squadra investigativa, composta da tre donne: Gavina Orru, Marta Vitale e la nuova entrata Deborah Cianchetti. Le prime due storiche ed in piena sintonia con il capo, la nuova un po’ “in rottura”: pluritatuata, molto Tufello, un po’ troppo disposta alle maniere forti, ma con un passato in varie forze dell’ordine, per cui ha contatti ed anche una buona dose di intuito e fortuna.

Per finire con Manrico, è separato da Adelaide (sembra di capire per qualche scappatella di troppo), ha un figlio, Alex, musicista, che si sorprende quando Ricky gli dice di aver visto un concerto di Frank Zappa dal vivo. Non ha relazioni, al momento, anche se, da alcuni accenni, sembra aver bisogno di compagnie femminili, anche solo per una notte. Tuttavia, nel giro del teatro, conosce tal Maria Giulia, melomane anch’essa, con cui sembra iniziare un possibile rapporto un po’ meno instabile di quelli momentanei che intrattiene.

Detto del contorno, veniamo allora alla prima indagine di Manrico. Si tratta della morte in un incidente stradale di tal Stefano Diotallevi in arte Mario Brans detto Ciuffo d’Oro. Un cantante in auge negli anni ’60, poi ritiratosi a fare il discografico, sempre rimanendo nello spettacolo. Ha un figlio di primo letto, Mattia, che vive a Londra, ed una seconda moglie, Alina, albanese, con cui ha avuto una figlia. A completare il quadro c’è Gilberto Mangili, autista e tuttofare, che guidava l’auto al momento dell’incidente, da cui si salva per miracolo.

Mangili è un essere triste, che non si è ripreso dalla morte della figlia, già tossica, investita da un’auto mentre scappava da una comunità di recupero. Droga sempre presente nel mondo dello spettacolo, che Brans ne è stato a lungo schiavo, anche se, forse, ne è uscito (ma solo forse perché facile è ricadere). Fatta anche mente locale, che negli studi frequentati da Brans si aggira un pusher di vecchia conoscenza di Deborah, che sembra avere improvvisamente soldi, ma anche problemi con un losco rapper, la situazione si infittisce.

Mattia vuole i soldi del padre, magari alleandosi con Alina. Alina aveva chiesto aiuto ad un suo parente albanese magari per simulare un incidente e godersi l’eredità del cantante. Il rapper, che aveva ripreso con successo una vecchia canzone di Brans, aveva più volte minacciato il cantante per delle vecchie ruggini. Minacce legate ad incidenti da provocare e filmate dal pusher. Insomma una situazione in cui tutti possono aver commesso il delitto.

Che delitto è, in quanto da breve analisi, risulta segato il tubo che porta olio ai freni, così che, alla prima frenata, la macchina sarebbe stata incontrollabile. Cosa che puntualmente succede all’uscita degli studi dove si era esibito Brans, vicino a Villa Sciarra, ed appena imboccata la discesa di via delle Fornaci (sempre un plauso per collocare le vicende nei miei luoghi romani).

Manrico e la sua squadra, dopo vari giri a vuoto, riescono a trovare il vero bandolo della matassa intricata, risolvendo non brillantemente, ma abbastanza velocemente, il quesito giallo di chi sia l’autore ed i motivi del suo gesto.

Alla fine, comunque, si è rivelata una buona lettura, un intreccio semplice ma che può funzionare (anche se facilmente decifrabile). Rimangono le perplessità sulla scrittura di De Cataldo, ma anche il senso di vicinanza al teatro complessivo dell’azione, sugellato da una cena di Manrico al “Colibrì”, un ristorante che mi vedrà di nuovo tra i commensali ai primi di marzo.

Bruno Morchio “La fine è ignota” Repubblica Profondo Noir 27 euro 8,90

[A: 08/01/2024 – I: 31/03/2024 – T: 01/04/2024] &&--   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno: 2023]

Forse la cosa migliore del libro è il titolo. Dove tutti gli amanti del giallo (ma anche quelli che amano solo Sellerio e Sciascia) non possono non pensare subito a Geoffrey Holiday Hall ed al suo “La fine è nota”. Un giallo magistrale, riscoperto da Sciascia dopo essere caduto nell’oblio. Che invece ha sempre avvolto l’autore. Tanto che anche Morchio lo cita in un mini-prologo, dicendo che di GHH non si sa nulla. Ora, dai siti francesi, gli unici che ne parlano, si evince che fu un giornalista americano nato nel New Mexico nel 1913 e morto da qualche parte nel 1981. Nel mezzo, oltre a due libri, nulla. Quindi se ne sa poco, ma non un vuoto assoluto.

Morchio ci aveva abituato a ben altre scritture, con tutte le avventure, che ho seguito con indubbio gusto, del “detective dei carrugi” Bacci Pagano (almeno per le prime nove puntate, che tuttavia sono ora salite a quindici). Una scrittura seriale accattivante, incentrata inoltre in quel di Genova e nei suoi meandri, cosa che certo non dispiace.

Qui, pur rimanendo a Genova che fa da sfondo immancabile alle sue trame, introduce un nuovo investigatore, Mariolino Migliaccio. Un trentenne un po’ sfigato ed un po’ volutamente autolesionista, mai ripresosi dall’uccisione della madre Wanda, un’allegra prostituta il cui delitto è ancora, dopo quindici anni, ancora impunito. Così che il nostro, e qui mi sembra che Morchio ripercorra binari troppo scontati, decide che il suo futuro è fare l’investigatore privato, pur senza ufficio e senza licenza. Tanto che i suoi clienti li gestisce dal tavolino di un bar.

E non è neanche un granché fortunato, che, per penuria ed incuria, vive solo in una pensione certo poco attraente, gestita da una signora come dire d’antan (o da pre-Merlin) e dove l’unico punto positivo è la presenza di Fatima, bella escort cui Mariolino fa il filo senza successo. A dispetto di tutto ciò, il nostro ha comunque fiuto, sia nel risolvere i piccoli casi che gli vengono affidati, sia nel capire presto che il grande caso a cui ora lavoro ha più fumo che arrosto.

Infatti, viene ingaggiato da un boss della parte al di là della legge, Luigi il Vecchio, in tanti affari coinvolto, ma in particolare gestore, tramite donne di paglia di un Centro Benessere che in realtà è un centro di incontri galanti e non solo. Che per una clientela selezionata ci sono anche giovani albanesi pronte (ma forse solo obbligate) a prestazioni molto al limite, tra bondage a snuff movie (sperando che capiate cosa siano).

Luigi vuole ritrovare la scomparsa Liveta, una di queste albanesi. E la ricompensa è esageratamente elevata così che Mariolino sin dall’inizio subodora qualcosa. Proseguendo le sue ricerche tra carrugi e bar da malaffare da un lato e ristoranti di lusso dall’altro, il nostro investigatore comincia a ricostruire tutta una storia che comprende la scomparsa, ma che forse è più grande di lei.

C’è un conte in vacanza alle Maldive con frequentazioni poco limpide di fornitori di coca, che viene usato da insospettabili, ma anche da avvocati di grido, e forse più sospettabili. C’è il ricco Bibi che sembra avere più complessi del Robertino di Troisi (e di sicuro più soldi). C’è Liveta che per la coca si presta a giochi erotici molto al limite. C’è Milca, l’amica di Liveta, che non accetta il ruolo passivo e tenta un ribellione (giusta ed aiutata da Mariolino). C’è una morta ritrovata in acqua che forse sappiamo chi è o forse è ignota. C’è un filmato compromettente scaricato su di una chiavetta USB che appare e scompare.

Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per mettere in difficoltà Mariolino, ma che il nostro dribbla con intuito e fortuna, riuscendo alla fine a risolvere per Luigi quello che Luigi voleva, e a concedere ad una giovane un futuro che non si aspettava. Avendo inoltre il piccolo dono di una soffiata che potrebbe metterlo sulle tracce dell’assassino della madre. Così che non ci meraviglieremo se prima o poi uscisse fuori una seconda puntata.

Come sottoprodotto, in una storia laterale ma importante, soprattutto per l’autore, vediamo sventato un tentativo di violenza domestica, con una bella mossa del nostro ed un ringraziamento all’esistenza dei Centri Antiviolenza. È bene che qualcuno ogni tanto se ne ricordi.

Insomma, seppur non dispiace il nostro ex-psicologo Morchio, senza Bacci le prove che ho letto perdono di mordente. Anche se, pure le ultime non erano proprio esaltanti. E seppur continuo ad apprezzare la presenza di Genova, devo sottolineare il fastidio dei discorsi in dialetto, che, seppur poi tradotti, spezzano il ritmo. Unico punto piacevole è il soprannome che nel mondo della mala viene dato al nostro investigatore: fottignin scotizzoso, ficcanaso sporcaccione.

Aspettiamo comunque altro per un giudizio complessivo.

Giorgio Bastonini “L’incertezza della rana” Repubblica Profondo Noir 40 euro 8,90

[A: 02/04/2024 – I: 05/06/2024 – T: 07/06/2024] && e ½    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 252; anno: 2023]

Un’altra prova interessante, anche se non completamente riuscita, di un autore italiano, commercialista per vivere, che, dopo alcune prove di scrittura, nel 2021 si lancia nel giallo seriale con protagonista il pubblico ministero Paolo Santarelli. Dopo la prima uscita di discreto successo, questa è la seconda avventura del PM, di stanza a Latina, città in cui l’autore vive gran parte del suo tempo, e si vede dalla cura dei dettagli cittadini che inserisce nel testo.

Dettagli non solo di luogo, ma anche di “ambiente cittadino”, laddove sia Santarelli che Bastonini non possono negare che il pontino non è un luogo salubre (e non solo per le vecchie paludi, ricordando Pennacchi). Luoghi quindi di mafie, di droghe, di malaffare a diversi ed intrecciati livelli. Che l’autore riesce a riportarci con discreta mano.

Unico punto che mi ha lasciato dubbi, non sul fatto in sé ma sul suo inserimento in questo contesto, è un inciso dibattimentale in cui il PM Santarelli deve sostituire un collega per un intervento conclusivo di accusa in un processo. Che, ovviamente con nomi cambiati, non è che la ricostruzione della morte del povero Willy Montero, ucciso barbaramente dai fratelli Bianchi. Non entro nel merito, che i quei colpevoli andrebbero tenuti in carcere per tutto il tempo detentivo necessario. Ho solo trovato poco congeniale alla trama, quasi una fetta d’ananas su di una pizza napoletana. Certo, non va scordato Willy, ma forse qui non è funzionale alla storia.

Una storia che comincia con l’omicidio di un malavitoso in ascesa, Gianluca Romano detto “Spaghetto”. Sembra un regolamento di conti, ma Santarelli, PM incaricato delle indagini, subodora qualcosa di diverso. Tant’è che viene avvicinato da un giovane evidentemente alterato, Raffaele Locatelli detto Lele, che gli confessa di essere lui l’assassino. Ma mentre prova a spiegare i motivi del suo gesto, viene falciato a colpi di fucile da una macchina che fugge.

Qui si apre il grande tetro delle indagini. Lele risulta essere un chimico una tempo di belle speranze, con possibili carriere universitarie e di ricerca. Poi sparisce dai radar della buona gioventù. Risalendo alle varie situazioni, il nostro scopre che Lele ha uno strano casale in campagna, dove si allevano rane amazzoniche in un ambiente tropicale rifatto, e custodite da uno strano indios che non parla una parola di nessuna lingua conosciuta.

Trova anche la casa dove viveva Lele, con una strana coinquilina, che si occupa di tarocchi e letture astrali, che, guarda un po’, si chiama Cassandra. Dimenticavo, Lele era entrato in affari con Spaghetto che questi gli finanziava il casale e l’allevamento. Ma Spaghetto era anche un mafioso rampante, quindi non era certo un’opera di beneficenza.

Risalendo la china delle informazioni, spesso ricevute in modo informale, ma Santarelli è un PM informale, che gira per Latina o in bici o su un Malaguti 50 prestato, scopre i collegamenti di Lele con esimi professori, in particolare con Vittorio Erspamer (questi realmente esistito, scopritore della serotonina, studioso degli anfibi, più volte candidato senza successo al Nobel). E scopre i molti viaggi di Lele in Amazzonia. Finendo alla fine per risalire tutta la catena degli avvenimenti che hanno portato Lele a conoscere la “rana bicolore”, quella che fornisce per secrezione una droga chiamata “Kambo”, che però non si riesce a sintetizzare fuori dell’habitat naturale dell’anfibio.

Le scoperte di Lele, i guai con i mafiosi Romano, nonché l’intervento di una multinazionale svizzera dedita alla produzione farmaceutica, alla fine mettono noi ed il PM sulla strada giusta della pur ovvia soluzione. Che poi rende il tutto più che un giallo in sé, un poliziesco di denuncia e di scoperta, non brutto, ma neanche, alla fine particolarmente riuscito. Direi sufficiente.

Rimane da dire del lato privato, che, come tutte le storie seriali, ha un suo peso ed un suo fascino. Che Santarelli, come detto, è atipico, PM quarantenne con felpa e converse. Che ha per miglior amico Livio, gestore del bar “Il Piccolino”, dove arrivano tutte le notizie del mondo pontino, prima che in Questura o sui giornali. Che ha un rapporto di vicinanza e lontananza con Barbara, quasi avesse problemi di rapporti e di affettività. Ma credo che alcuni di questi misteri vengano dalla prima puntata che non ho letto e si risolvano nelle puntate successive che vedremo se sia il caso di leggere. Anche se, a pelle, il Santarelli mi sta simpatico.

Alcuni punti finali: primo, tutta la parte sulla rana, che è reale, come il professor Erspamer (sembrava un nome inventato, ma se andate in rete potete leggerne). Anche se, più che la rana bicolore o dow-kiet, la parte tossica degli anfibi mi sembrava potesse derivare dalla rana freccia o Phyllobates terribilis che ha le stesse caratteristiche delle rane descritte dall’autore e che è ritenuto il più velenoso animale al mondo.

Secondo, ed ultimo, per alcuni approfondimenti, Santarelli deve rintracciare un professore italiano che lavora all’estero. Così lo seguiamo in una breve trasferta a … Miami. Di certo è strano leggerne a poca distanza da averla visitata. Una città che, in altre epoche, avrei bellamente ignorato. Ma che, nella descrizione della Florida dell’interno, ed in quello che ho visto io dell‘Everglades Park, mi ha fatto fare una breve ricognizione mentale, ed un ringraziamento alle cose che sono riuscito a fare in tutti questi anni.

Alessandro Perissinotto & Pietro d’Ettorre “Il figliol prodigo” Repubblica Profondo Noir 43 euro 8,90

[A: 18/04/2024 – I: 08/07/2024 – T: 09/07/2024] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 283; anno: 2023]

Devo dire che di Alessandro Perissinotto ho diversi libri, e di questi in particolare ho apprezzato molto i gialli storici usciti a suo tempo da Sellerio. Mentre non conosco Pietro d’Ettorre ed ho solo letto che è un avvocato, cosa di cui si sente molto la bravura in questo romanzo. Che, purtroppo per le mie letture, è il secondo di una serie dedicata dalla coppia torinese alle avventure dell’avvocato Giacomo Moroni.

Quindi, quando entriamo nella lettura, dobbiamo ricostruire un po’ il mondo in cui si muovono i personaggi, anche se i due fanno in modo che questa ricostruzione possa avvenire abbastanza facilmente. Giacomo era carabiniere figlio di carabinieri, sposato con la appena nominata professoressa Rossana Actis, figlia dell’Avvocato Actis (lui sì con l’A maiuscola come Gianni). L’11 settembre 2001, un’auto, forse dei carabinieri, investe e non soccorre Rossana, lasciandola paraplegica a vita. Giacomo decide allora di abbandonare l’arma (non si sa quale carabiniere possa essere stato ma di certo non è facile convivere con quel peso), si laurea ed entra nello studio del suocero.

Ora, una ventina di anni dopo, Giacomo è il nucleo centrale dello studio, rimanendo al vecchio Actis il ruolo di, appunto, “Grande Vecchio” e tester delle procedure legali dello studio. Ha un’ottima vita con Rossana, punteggiata da gite in handbike ed altre amenità da para-sportivi. Nello studio c’è anche Giulia, tirocinante con un buon piglio, ed una linga storia con Marcella, una pare maga dell’informatica.

Non sappiamo cosa sia successo nel primo libro uscito per Mondadori (“Cena di classe. Il primo casi dell’avvocato Moroni”), mentre seguiamo con il giusto grado di interesse questo secondo episodio, il cui titolo completo, non riportato in questa edizione di Repubblica, recava l’aggiunta: “Una difesa impossibile per l’avvocato Moroni”.

Ed è proprio su di una difesa che si incentra questo legal thriller italiano, laddove i nostri hanno ben appreso la lezione dei Grisham e dei Turow, applicandola diligentemente alla legge italiana. E questo è un plus non da poco, che, per i non giurisperiti, i meandri delle leggi italiche hanno un che di cabalistico.

Comunque, per fare un piacere ad un amico, Giacomo accetta la difesa di Mauro, un ragazzo che, scomparso nel nulla circa due anni prima, riappare a Torino e pare proprio, ci sono quasi tutte le prove in quel senso, uccida tal Attilio. Il problema è che Mauro non dice una parola, quasi che fosse muto (e non lo è), ma che di sicuro è in pieno disturbo post-traumatico da stress. Tutto il percorso dello studio Moroni, allora, è capire una serie di piccoli fatti per arrivare, quando ci sarà il processo, ad imbastire una difesa sensata.

Ed i punti sono tanti: Mauro e Attilio si conoscevano? Nel caso affermativo, come e dove erano entrati in contatto? E perché, se si conoscevano, Mauro cerca Attilio, diventato il mago-squalo di una start-up tecnologica, solo due anni dopo? Perché non c’è l’arma del delitto nel luogo dell’omicidio? Che cosa ha fatto Mauro in questi due anni? Questi e molti altri sono gli elementi che Giacomo cerca di portare alle luce durante tutti i mesi di attesa.

Sapremo presto che il tutto è collegato ad un omicidio avvenuto durante un rave a Liegi proprio il giorno della scomparsa di Mauro. Ma di Mauro sapremo, al momento poco altro, mentre Attilio è subito visto ed inquadrato come violento e arrivista (ruba il software della start-up, è un violento tifoso ultras colpito da DASPO, ed altre piccole non brillanti caratteristiche).

Unica cosa, Giacomo, con intelligenza legale, riesce a penetrare nella corazza di Mauro, in modo da presentarsi ben ferrato al dibattimento. Lì dove meglio appare la mano di D’Ettorre, per condurre noi ed Alessandro attraverso i meandri di una difesa non impossibile come dice il titolo, ma di certo ardua. Una doppia mano che tuttavia felicemente ci porta all’ultima pagina del libro. Che non è un capolavoro di suspense, ma ha buone dosi di coinvolgimento.

Soprattutto in molti contorni: Torino, in primo luogo, ben descritta e ben rappresentata, la Borgogna francese dove Giacomo e Rossana girano in handbike, la figura stessa di Rossana, che affronta di petto la sua menomazione, esorcizzandola perché si contorna di modalità che le consentono una vita “normale”. Financo (e questo e di sicuro un aggancio con altri possibili futuri episodi) la ricerca del colpevole dell’incidente di Rossana.

Ripeto, Perissinotto lo avevo apprezzato nei primi libri, e comunque mantiene una sua mano elegante nell’esposizione della trama. D’Ettorre mostra ovvie competenze legali. Tuttavia, la confezione complessiva ha solo un buon livello di sufficienza, e non molto di più.

Ilaria Tuti “Luce della notte” Repubblica Anima Noir 3 euro 8,90

[A: 09/07/2021 – I: 11/07/2024 – T: 13/07/2024] && +   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 206; anno: 2021]

Dopo aver visto la serie TV, con una buona interpretazione di Elena Sofia Ricci, ho lasciato i romanzi di Ilaria a decantare ed aspettare il loro turno. Così eccoci, a tre anni dall’acquisto, e ad uno dalla fine della serie, entrati di nuovo nel mondo del commissario Teresa Battaglia e della sua squadra.

Purtroppo ci entriamo in un modo poco consono al gradimento sia dei primi libri che della serie televisiva. Perché, e qui dobbiamo fare una grande tirata d’orecchi sia alla prima casa editrice, Longanesi, sia a questa collana, il libro, terzo nella scrittura, in realtà si colloca tra i primi due libri scritti. Così che noi, che li abbiamo letti, ci siamo trovati un po’ spaesati, fino a che non abbiamo chiarito l’arcano.

Infatti, dal secondo libro sappiamo che Marini viene raggiunto in quel di Udine dalla fidanzata che aveva lasciato al Sud, e sappiamo che, ad aiutare nelle indagini, sono intervenuti una non vedente ed un cane. Tutti personaggi che qui non compaiono. Me ne domandai il motivo, fino appunto alla scoperta che questa luce viene prima della ninfa che dorme.

Così molto si spiega, anche se, fino al disvelamento, tutto rimane un po’ sospeso, quasi si stesse leggendo altro. Certo, e questo poi lo spiega meglio Ilaria in alcune righe finali, c’è stato anche altro. Un racconto scritto in tempi non sospetti, la morte della sua piccola amica Sarah per un sarcoma di Ewing (ed i conseguenti proventi del libro devoluti ad una clinica oncologica), la decisione quindi di allungare il racconto verso un romanzo breve.

Dove l’unico elemento che poi sarà di raccordo con il resto della serie, è la consapevolezza che l’ispettore Marini entri a pieno titolo a far parte della squadra. Oltre al fatto che, pur con dei sintomi ancora lievi, Teresa ha piccoli momenti di sbandamento, che non sono dovuti (solo) ad un diabete che non si decide a curare.

Un elemento, invece, che serve solo ad allungare le pagine è il rapporto tra Teresa e Andreas, che ha senso solo per chi si ricorda del primo libro, ma che qui (oltre alle citazioni del bellissimo “La strada” di Cormac McCarthy) non è che porta molta acqua al mulino del testo.

Un testo che parte sempre con qualcosa di onirico e di infantile. Laddove conosciamo Chiara, affetta da Xeroderma pigmentoso, una rara malattia che impedisce alla bimba di potersi esporre ai raggi solari. Sensibile come molti bimbi malati, Chiara sogna, o immagina, scene spaventose, con urla, alberi maligni con tombe occultate, e bambini che scompaiono. Non è certo una materia d’indagine, ma la madre di Chiara, visto che da poco (cronologicamente) Teresa ha risolto il caso dei quattro bambini dei “Fiori sopra l’inferno”, non esita a chiamarla per rasserenare la figlia.

Teresa e Massimo ascoltano, provano a capire se dietro il sogno c’è qualcosa, ma solo quando incontrano il vecchio Pietro cominciano ad intravedere una luce nella notte. E qui, come anche nel secondo libro di Ilaria, l’oggi si mescola con un qualche ieri. Qui, lo ieri non è molto lontano, solo venti o venticinque anni, quando nella vicina ex-Jugoslavia imperversavano massacri etnici e fughe disperate per i sentieri montani. Dove Pietro era uno “spallone” di anima (uno che aiutava i fuggitivi), ma anche uno sul filo della legge, che si approfittava di situazioni disperate, magari facendo sparire bambini solitari lunghe quelle tratte.

Inciso: secondo report ufficiali ancora nel 2016 in Ungheria, la percentuale di minori migranti non accompagnati, scomparsi nel nulla dopo la registrazione è del 95%.

C’è tutta una storia che lega Pietro, i migranti, le luci nella notte di quest’ultimi che attraversano i confini, i giocattoli che Pietro intaglia per Chiara, nonché il padre di Chiara bancario fallito dopo speculazioni sbagliate e finito sotto l’usura dello stesso Pietro, che, dagli anni 2000, ha avuto insospettate entrate finanziarie.

L’unica cosa felice è che Teresa riesce a rasserenare Chiara, a farle capire che non è fuori di testa, e, secondo elemento importante, riesce ad instaurare un rapporto più disteso con l’ispettore Marini. Il resto non vale molto la lettura. Anche il finale avviene velocemente, quasi si volessero spiegare tutte le cose del libro con un epilogo che, saltando molti passaggi, risulta poco congruente con tutto il libro stesso.

Rimane la simpatia per la testarda e battagliera Teresa, rimane la sempre cara ambientazione friulana, rimane il tentativo, riuscito, di rasserenare i bambini e proteggerli da orchi spesso esistenti solo nelle parole. Con il tacito consiglio che i bambini bisogna saperli ascoltare.

Peccato, complessivamente, che Ilaria scrive bene, e spero torni ad una dimensione più consona alle sue indubbie capacità.

Inizio di un nuovo mese con il ricordo delle diciassette letture di giugno, con in testa l’ottima prova del giapponese Seicho ed in coda l’inguardabile giallo del franco-armeno Ian Manook.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Ghiannis Maris

Il tredicesimo passeggero

Feltrinelli

s.p.

3

2

Jean Failler

Le ombre del collegio

Repubblica Brivido Noir

8,90

3

3

Georges Simenon

Cargo

Repubblica

9,90

3

4

Giorgio Bastonini

L’incertezza della rana

Repubblica Profondo Noir

8,90

2,5

5

Takagi Akimitsu

Il mistero della donna tatuata

Corriere

8,90

4

6

Abir Mukherjee

Un male necessario

Repubblica Brivido Noir

8,90

3

7

Christian Jacq

Cleopatra

Tea

s.p.

2

8

Valerio Varesi

A mani vuote

Mondadori

6,90

2,5

9

Guillaume Musso

Qualcun altro

La Nave di Teseo

20

4

10

Ian Manook

Mato Grosso

Repubblica Emozione Noir

7,90

1

11

Sosuke Natsukawa

Il gatto che voleva salvare i libri

Corriere Giappone

8,90

3

12

Fred Vargas

Sulla pietra

Einaudi

20

2

13

Marco Malvaldi

La misura dell’uomo

Giunti

8,90

2,5

14

Roberta Castelli

Il delitto di via Etnea

Corriere Gazzetta

7,99

2

15

Christian Jacq

Nefertiti

Tea

s.p.

3

16

Matsumoto Seicho

La ragazza del Kyushu

Corriere Giappone

8,90

4,5

17

Niklas Natt och Dag

1793

Repubblica Brivido Noir

8,90

3

Per le solite citazioni d’antan, riprendo un autore che non sempre mi ha convinto, Joe R. Lansdale, che tuttavia mi ha lasciato alcune tracce di riflessione nel suo “La sottile linea scura”:

“Devi amare prima te stesso prima di poter amare tutto il resto.” (60)

“La vita ha delle risposte precise, e poi ha anche delle situazioni in cui non sono chiare nemmeno le domande.” (97)

“Quel che ti voglio far notare è che la vita non è mica giusta. Non basta volere qualcosa, per averlo automaticamente.” (204)

Spero non vi dispiaccia, poi, se in questo mese di settembre la mia voce tacerà per almeno un paio di settimane, che anche io ho deciso di prendermi una piccola vacanza, con un altro piccolo grande giro. Aumento allora la dose di abbracci per non farvi sentire soli.

Nessun commento:

Posta un commento