domenica 24 novembre 2024

Italiani del Corriere - 24 novembre 2024

Una settimana dedicata, a titolo vario, ad alcune collane uscite con il Corriere della Sera per l’editore RCS. Una è quella che riprende un elevato numero di titoli apparsi in prima battuta per i meritori Fratelli Frilli di Genova. Con due dignitose prove di Roberta Castelli e Maria Masella, insieme ad una scarsamente riuscita di Antonio Caron. L’altra è una collana espressamente dedicata al noir, con un’alternanza di titoli, tra il normale e l’interessante. Dove qui abbiamo, anche un po’ sotto il normale Andrea Cotti, ed un po’ sopra un buon titolo del purtroppo scomparso Roberto Perrone.

Comunque, e per inciso, nessuno ha cercato di interpretare il titolo delle scorse trame. Va bene così.

Roberta Castelli “Il delitto di via Etnea” Corriere Noir Italia 51 euro 7,99

[A: 27/05/2024 – I: 24/06/2024 – T: 25/06/2024] && +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 201; anno: 2023]

Un’altra opera della meritoria ditta Fratelli Frilli e riproposta dalla collana del Corriere, a firma di un’onesta scrittrice siciliana, Roberta Castelli, che anche vivendo in Toscana, sempre della sua terra natia ci parla. Questo è sempre un elemento distintivo e positivo dei libri dei Frilli: si parla di luoghi, e le vicende, bene o male, ne sono intrise.

Come intrisa di Catania è questa vicenda dove il delitto avviene in via Etnea, ma questo serve solo ad ambientare la vicenda nella cittadina con vista vulcano. Poi la vicenda si amplia e si sviluppa, verso il porto, ma anche verso le zone interne più o meno degradate (come San Berillo, cui la scrittrice dedica un’appendice interessante e partecipata).

Purtroppo, alla fine, mentre Catania ci avvince e ci piace, la storia, i personaggi, gli intrecci, ed alcune scelte narrative non riescono a reggerne il confronto, confezionando in finale un prodotto solo sufficiente, costellato da alcune punte di “vorrei ma non posso”, declinate in varie tonalità.

Vediamo quali sono i bei pezzi di carne messi a rosolare nel barbecue di Roberta. La storia di base, più o meno noir, costruita intorno alla morte di un immigrato clandestino, Momar Faye, venditore senegalese di CD contraffatti in quella bellissima via del titolo del romanzo, dritta come un fuso, nascente dalla piazza dove far omaggio a Sant’Agata la bella e scivolando in su verso il mai spento vulcano.

Poi ci sono le storie dei personaggi di contorno. Lasciando per ultimi i due protagonisti, c’è Nicola, poliziotto ed amico di Manfredi, rimasto nell’arma ma scosso dalla mancanza dell’amico nelle indagini, che non sa decidersi tra la bella Adele, medico legale innamorato, e la bella di notte Luisella, pedina di scorta delle indagini, momento di libertà per la mente di Nicola. E c’è Lucia, l’amica sempre pronta di Mariolina, unica ad esserle stata sempre vicino, anche se si deve barcamenare tra l’affetto per l’amica e l’amore per il marito questore, che ha sovente Mariolina involontariamente tra i piedi delle sue indagini.

Ma soprattutto ci sono loro. Manfredi, poliziotto acuto, da sempre in coppia con Nicola, che per una sbadataggine della moglie, vede il figlio annegare ed il matrimonio andare a rotoli. Ma anche la carriera, che decide di dimettersi. E nella sua vita sbandata, ormai riempita solo dall’alcool, e da cose di cui si narra poi, incontra un’altra sbandata dalla vita. Mariolina innamoratasi senza motivo dell’infingardo Giovanni (non sono io), viene da questi lasciata al momento delle nozze, per scappare con una damigella. Peccato che nella fuga l’auto sbanda e Giovanni muore. Mariolina esce di senno, cui la riporta a casa e sulla retta via prima l’amica Lucia e poi l’incontro con Manfredi.

L’altra cosa, ed è uno dei punti “bassi” del romanzo, è che i nostri due non solo vedono i loro morti (e già questo è duro da sostenere), ma soprattutto sono in contatto con tal padre Virgilio ed il suo cane Omero, che, dalla lontananza del suo eremo, li guida nel percorso di frequentare e tenere a bada le ombre. Peccato che ad un certo punto scopriamo che Virgilio è morto da un centinaio di anni, passando anche lui tra le ombre visibili ai nostri. Un tentativo di rinverdire un meccanismo alla De Giovanni, ma senza la forza inventiva del maestro napoletano.

Rimane la storia noir da seguire nel suo prevedibile sviluppo. Momar, senegalese, si ritrova in Italia solo e senza permessi. Si arrangia, fa un sodalizio con un altro senegalese, Ahmed, con l’idea che, aiutati dal barista Damiano, prima o poi riusciranno ad avere permesso di soggiorno e ad aprire un ristorante etnico. Momar che ad un certo punto si incontra con Antonella, commessa di via Etnea, laddove nasce un amore improvviso, nonché una gravidanza forse poco voluta ma ben accetta. Antonella che deve fare i conti con Filippo, il fratello violento, che non sopporta i “colorati” e che le fa la guardia stretta per non farla incontrare con Momar. E che non esita ad avere alterchi a ripetizione con lui. E Ahmed, che vediamo, sconvolto dalla conseguenze della vicenda, e per lunghi tratti, sequestrato da un banda di piccoli malviventi.

Un bel calderone, in cui Manfredi e Mariolina dapprima sguazzano impotenti, poi, con i suggerimenti di Luisella e qualche dritta di Virgilio (ahi, ahi), mettono i loro puntini in fila, anche prima di Nicola e della questura. Arrivando ad un finale, almeno per il noir, che poco ci sorprende. Mentre il resto rimane un po’ troppo sospeso, anche se poi non posso che ringraziare l’a scrittrice per l’appendice finale sulla storia del quartiere di San Berillo.

Come detto in alto, prodotto sufficiente, con la punta di diamante di una città che va senz’altro conosciuta e visitata. Se non lo avete fatto ancora, fatelo.

“Il passato può essere stato bello oppure brutto e non abbiamo il potere di cambiarlo, ma il futuro siamo noi a deciderlo, in base a come affrontiamo il presente.” (69)

Roberto Perrone “La seconda vita di Annibale Canessa” Corriere Profondo Nero 24 euro 7,90

[A: 21/12/2019 – I: 04/07/2024 – T: 06/07/2024] &&& + 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 416; anno: 2017]

Perrone è stato un ottimo giornalista sportivo dalle pagine del Corriere della Sera, dove, quando capitava, ne leggevo con piacere le cronache. So che era anche appassionato di enogastronomia, ma su questo versante poco ne conosco. Sapevo, infine, che aveva scritto alcuni libri gialli, che nel tempo si erano accumulati nelle mie scansie. Poiché l’ordine delle mie letture segue criteri di difficile interpretazione, ecco che, ad un anno e mezzo della scomparsa di Roberto mi ritrovo a leggere il suo primo giallo.

Una scrittura decentemente coinvolgente, come si addice ad una persona abituata a maneggiare le parole. Una trama con qualche sbavatura, ma ben costruita, anche se con qualche personaggio un po’ troppo “tipico” e poco, quindi, approfondito. Delle materie che, da giornalista e da uomo che sa e legge, può gestire con sufficiente abilità. Per confezionare, alla fine, un librone ben leggibile, anche se non ai miei personali più alti livelli. Ma che si merita un più per maggiorare il voto, proprio perché lo si ricordi, in tutte le sue attività, da giornalista e da scrittore. Chiosando il libro con le parole di un direttore del Corriere, Ferruccio de Bartoli, “Io so, ma non ho le prove”.

Perché in questa sua prima prova letteraria, usando abilmente il paravento giallo, Perrone tenta di stuzzicare quelle pulci nelle orecchie della gente riguarda ad un momento della storia italiana che chissà quando e se verrà chiarito. Parliamo del terrorismo, degli Anni di Piombo, dei Servizi Segreti (deviati o meno), della politica italiana dagli anni Settanta al nuovo Millennio.

Entriamo così nella vita di Annibale Canessa. Anzi, come dal titolo, nella sua seconda vita. Nella prima era un colonnello dei Carabinieri, che con liuto del fido maresciallo Ivan Repetto aveva per anni combattuto il terrorismo. Aveva partecipato, se non guidato, l’assalto nella tana delle BR a Genova, dove il vero nome (via Fracchia) viene coperto con un fantasioso via Gaeta ed in seguito collaborato a sgominare la brigata XXVIII marzo (giorno dell’assalto e nome reale del gruppo vicino alle BR responsabile dell’omicidio del giornalista Walter Tobagi). Ma nonostante tutti i suoi successi, per una serie di motivi ovviamente politici, Annibale si sente tradito, e sia lui che Ivan si dimettono. Il nostro decide allora di ritirarsi in Liguria, dove affianca una zia nella conduzione di un ristorante.

Venendo all’oggi, si inizia con l’omicidio di un BR mai pentito, Pino Petri, ucciso a Milano insieme a Napoleone, il fratello di Annibale. Subito si capisce che Pino aveva cercato Napoleone per ritrovare Annibale, da cui, pur scontrandosi negli anni duri del terrorismo, era rimasto colpito per la dirittura morale mostrata. Ovvio che qualcuno non gradisce ed ordisce una lunga trama di depistaggi.

Annibale e Ivan, comunque, si rimettono in pista, aiutati nell’ombra da qualche Servizio Segreto interessato alla materia. Vanno sempre a sbattere con dei muri, anche se fanno passi avanti. Come se qualcuno tenesse da conto le loro mosse a loro insaputa.

Un aiuto insperato viene al nostro dalla giornalista Carla che gli permette l’accesso agli storici del Corriere della Sera (e qui si vede bene la provenienza di Perrone), e di ricostruire tutti gli attentati orditi da Pino. Ma qualcosa non torna. C’è un omicidio in più, tra l’altro di un magistrato che sembra poco essere in linea con gli attentati canonici. Ci sono momenti della giornata di Pino prima della morte che sembrano inspiegabili. Come lo sono le sue visite a diversi cimiteri. Ma Annibale è come il suo omonimo generale: una volta in marcia non si ferma più.

Quasi novello James Bond di Quarto Oggiaro, sventa gli attentati contro di lui, trova la talpa, va a letto sia con la giornalista Carla che con Caterina, la figlia di uno dei morti di terrorismo, trova il diario di Pino e sgomina finalmente tutta la matassa intrigata delle attività criminose. Che, come sembra dirci Perrone, hanno ramificazioni molto più estese di quelle che immaginiamo, hanno protezioni molto più forti di quelle che ipotizziamo. Tanto che la verità potrà avvenire solo attraverso romanzi, che non hanno bisogno di tutte le prove per emettere sentenze. Sono romanzi, non aule giudiziarie.

La vicenda globale, se non vera, è di sicuro verosimile. Molti personaggi (in particolare quelli del covo di via Fracchia ed i magistrati sull’orlo della corruzione) sono ben descritti. Anche, ed è ovvio pe dove lavorava Perrone, l’ambiente giornalistico, con i suoi odi ed i suoi amori. Rimangono un po’ oscuri alcuni passaggi delle attività di qualche personaggio, nonché (non oscuro ma troppo esaltato) le capacità analitiche e reattive del nostro eroe.

Dopo di questo, Perrone scrisse un paio di altri romanzi su Canessa, che forse si leggerà. Come detto, ringraziandolo per lo sforzo espositivo e dispiacendosi al massimo per la sua prematura scomparsa.

Andrea Cotti “Il cinese” Corriere Profondo Nero 26 euro 7,90

[A: 13/03/2020 – I: 03/08/2024 – T: 05/08/2024] &&-- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 528; anno: 2018]

Andrea Cotti è un discreto sceneggiatore di varie serie televisive di ambito poliziesco (Squadra Antimafia o L’ispettore Coliandro tanto per citarne due) ed è sicuramente un conoscitore ed un cultore di arti marziali. Due elementi che riesce a riunire in questo interessante seppur non riuscitissimo romanzo.

Sulla parte di interesse torneremo, mentre sulle debolezze interveniamo subito. È vero che è ben documentato su quanto succede (o può succedere) nelle nostre città multietniche. Tuttavia, alcuni scorci descrittivi rientrano più in ambiti sociologici (di interesse, ovvio), ma che appesantiscono una trama già di per sé non agile. Nello specifico, poi, il personaggio centrale è di certo interessante, ma volendo troppo dualizzarlo, alla fine una parte di lui rimane insondabilmente misteriosa. Chi è veramente Luca Wu? Infine, ma questo sapete è sempre un mio pallino, ci sono tutte le parti in corsivo che non agevolano la scorrevolezza totale del libro.

Come dice il titolo, e come dice il nome, al centro del romanzo c’è lui Luca Wu, italiano e cinese. Cioè di seconda generazione, con i genitori immigrati e lui nato in Italia. Quindi porta in sé la forte contraddizione di essere cinese per gli italiani ed italiano per i cinesi. Per soprammercato, invece di entrare nel ristorante paterno in quel di Bologna o diventare un professore di mandarino all’Orientale di Napoli, decide ad un certo punto della sua vita, di entrare in polizia. E qui, all’inizio del romanzo, lo troviamo vicequestore assegnato alla stazione di polizia di Torpignattara. Trasferito dietro precisa richiesta sia del questore (per motivi che vedremo) sia sua personale. Visto che sebbene abbia moglie e figlio a Bologna, la sua natura di marito perennemente infedele hanno portato la moglie a chiedergli di allontanarsi da loro. Mostrando così la seconda dualità di Luca. In prima linea, italiano e cinese. Ma subito dopo, fedele e infedele.

Il questore lo vuole a Roma che “Torpigna” è un punto nevralgico della presenza, nel bene e nel male, dei cinesi nella capitale. E subito Luca viene impiegato in una indagine molto delicata. Durante una rapina ad un commerciante cinese, vengono uccisi sia lui che la figlia di quattro anni, mentre viene lasciata illesa la moglie. Luca indaga, interroga, parla con la donna, assistita da un’avvocatessa anch’essa cinese, Sofia Sun.

Ci vorrà del bello e del buono, per arrivare a trovare qualche piccolo filo, con problemi che si accumulano. Gli autori della rapina, di origine slava, vengono trovati morti ad uno ad uno. L’attività del morto e della moglie sembra nascondere qualcosa, forse un traffico di belle donnine. Ma che a sua volta sembra nascondere elementi torbidi, di cui verremmo a conoscenza con molta lentezza durante tutto il romanzo.

Luca, tra l’altro, oltre ad indagare, per motivi vari si trova a dover combattere in prima persona con qualche malavitoso cinese, sfruttando, e facendoci conoscere, un’arte marziale, il Ving Tsun, poco nota e su cui torneremo. Inoltre, pur essendosi allontanato da Bologna per i problemi familiari, da un lato è sempre innamorato della moglie che non lo rivuole ma gli manda incipit musicali interessanti. Dall’altro, e ce lo aspettavamo, ha una piccola storia di sesso e consolazione con la cinese Sofia.

Ad intorbidire le acque, ovvio, entra a piè pari tutta la potenza della mafia cinese, dove appunto Cotti imbastisce interessanti ma un po’ lunghi inserti sulla Triade e sulle ramificazioni commerciali, tra lecito e illecito, dei non comunitari in Italia (incluse le banche illegali ed altre amenità).

La fine sarà senza esclusione di colpi, laddove anche persone che parevano non coinvolte, risultano partecipi di azioni ai limiti del lecito. D’altro canto, è inutile entrare in queste descrizioni. Luca Wu troverà tutte le risposte ed i riscontri per la soluzione del caso (che se sia positiva o meno lascio agli attenti lettori la risposta), che nelle sue linee essenziali è decifrabile molto presto. Inoltre, Cotti aggiunge un ultimo capitolo che ci fa capire la possibilità che ci possano essere successivi episodi del nostro.

Per essere concisi, comunque, la trama ha spunti di interesse, per la descrizione dei cinesi a Roma, e per l’accento posto alla problematica degli immigrati di seconda generazione, che sono ancora immigrati e non integrati.

Qualche parola in più merita l’arte marziale Ving Tsun, definita anche in termini cinesi come Wing Chun Quan (永春拳, Pugilato dell'Eterna Primavera). È una tecnica di combattimento e di difesa caratterizzata da una maggior attenzione al combattimento corpo a corpo ravvicinato, ai pugni rapidi e all'efficienza diretta, sfruttando in modo estensivo la forza dell’avversario per ritorcergliela contro. Vi invito, se di interesse, a leggerne in rete, dove sono presenti descrizioni interessanti. In particolare, sulla vita e le opere di Ip Man, uno dei teorici del Ving, nonché mastro di Bruce Lee.

Ancora più brevemente, per me romano, sono interessanti scorci e descrizioni delle zone “cinesizzate” di Roma, dall’Esquilino a Tor Tre Teste. Inclusa la menzione con un’osteria storica, la Trattoria Bonelli, un classico della cucina romana con tavoli in legno e lavagna con menu, situata, per chi fosse interessato, dalle parti dell’Acquedotto Alessandrino. Buon appetito se non buona lettura.

Antonio Caron “Signorina Regina” Corriere Gazzetta 31 euro 7,99

[A: 08/01/2024 – I: 18/08/2024 – T: 20/08/2024] & +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 249; anno: 2012]

Torniamo ad occuparci della grande massa di autori italiani sfornata dalla premiata ditta dei Fratelli Frilli. Che nella loro opera di ricerca di noir ambientati in varie parti d’Italia, ci presentano qui un romanzo tra Piemonte e Lombardia (su cui torneremo).

Dispiace solo aver scoperto che l’autore ci ha lasciato sei anni fa dopo aver prodotto una quindicina, credo, di libri incentrati sulla figura del carabiniere Sebastiano Vitale. Libri che non sono entrati se non casualmente nella mia libreria, dove, altrettanto casualmente, leggo questo che credo sia l’ottavo o il nono da lui scritto. Dispiace anche perché, nonostante la simpatia per alcune uscite che ho trovato in rete su vecchie interviste dello scrittore (torinese d’origine ma ligure d’adozione) questo libro mi ha convinto molto poco.

In particolare, mi ha lasciato perplesso il modo di scrivere e di presentare lo svolgimento degli avvenimenti. Un modo che avevo già stigmatizzato una decina di anni fa, leggendo un altro libro delle avventure di Vitale, scritta alcuni anni prima di questa. Lì, con protervia, all’inizio di ogni capitolo faceva una specie di riassunto delle puntate precedenti. Con il tempo, questo vezzo si è affinato, ora ha un tono più amichevole nei confronti del lettore, mette ogni tanto qualche piccola ricapitolazione. Purtroppo, vi aggiunge la possibile anticipazione di quanto potrà avvenire nel resto della trama.

È un atteggiamento che si vuole ironico, ma che crea molti problemi al lettore. Intanto, ci si deve confrontare con lo scrittore narratore onnisciente, fatto poco simpatico che lui sa come andrà a finire e può giocare con il lettore. Inoltre, tende a rompere il ritmo della trama stessa, rischiando (e qui avviene varie volte) di far perdere il filo a chi sta, con faticosità, ricostruendo la successione degli avvenimenti, cercando, da lettore ignorante, di scoprire il colpevole.

Altro punto di sicura inutilità è la presentazione dei personaggi ad inizio libro. È vero, nei Gialli Mondadori è sempre così, ma qui Caron non solo elenca i personaggi, ma ne fornisce alcune qualifiche che consentono, a chi legge con attenzione, di capire con largo anticipo, chi fa cosa anche se a volte non il perché.

Comunque, il protagonista di tutte le storie di Caron è un carabiniere, come detto. Sebastiano Vitale, che negli anni procede nella carriera, fintanto che, all’inizio di questa, l’ormai maresciallo non vede l’ora di andare in pensione, e godersi la casetta in campagna nelle Langhe, insieme all’amata moglie Marisa. Ma prima di lasciare l’arma, il colonello Molisani gli chiede un ultimo fare. Di fare il facente funzioni in un distaccamento di soli quattro carabinieri che verrà presto accorpato ad altre sezioni dell’Arma. Per senso del dovere accetta, e diventa anche luogotenente reggente, trasferendosi momentaneamente in quel di Borgo Briantino, località appunto in Brianza, non lontana dalla Svizzera.

Sembra un incarico da svolgere con la mano sinistra, se non che, nel poco tempo che si trova lassù, ne succedono di tutti i colori. Nel filone principale c’è appunto Regina Messeri, segretaria comunale, nonché fervente attivista umanitaria, viene trovata morta vicino ad un campo Rom. Indagini difficili, senza molti appigli, all’inizio. Ma le capacità informatiche di un carabiniere permettono di scoprire i segreti nascosti nello smartphone della vittima. La foto della carta d’identità della vittima ed una serie di foto osé permettono però di sviluppare le indagini.

La prima porta alle attività poco chiare che circondano il ristorante con camere “Il Gufo Martufo”, con annessi ricatti di natura sessuale. Potrebbero anche essere collegate alla morte di Regina che transitò nel ristorante con il suo amante Flavio. Non sarà così, ma porterà ad arresti di laterale storia.

Le foto invece portano appunto a Flavio, che però non si vedeva con Regina, limitandosi a scambi erotici via telefono. Comunque, Vitali e la sua squadra, tassello dopo tassello, mettono a posto il ritrovamento del cadavere lontano dal posto dell’omicidio, la scoperta delle mutandine della vittima nella macchina di Regina abbandonata nei campi, i ricatti subiti dalla stessa, la scomparsa e poi ricomparsa di un ingente somma di denaro da spedire in Africa ed altre piccole pietre che porteranno alla scoperta del macigno da legare alle braccia del colpevole.

Poi c’è quel campo Rom, che sparisce all’improvviso, quando viene intercettato un TIR bulgaro carico di droga, con conseguenti contatti tra Vitale ed il controspionaggio svizzero. Nonché tutta una sottotrama legata alla passione di Vitale per l’opera, ed in particolare alla Carmen di Bizet, che funge quasi da contrappunto con la trama reale.

Peccato che il finale sia veloce e poco esaustivo, non spiegando tutti gli avvenimenti, anzi lasciando alcuni vuoti palesi. In particolare, c’è una affermazione di carattere probatorio che ad un certo punto fa Vitale, ma che, smentita dalla vicenda stessa, non ne viene spiegato il motivo della falsità. Forse un po’ troppa approssimazione o qualche mancanza di rilettura.

Per finire, c’è il nome del ristorante, “Martufo”, che non viene spiegato ai più che, nella lingua italiana, è sinonimo di “persona ottusa”. Magari avrebbe spiegato anche il comportamento di qualcuno che intorno al ristorante si aggira. Ed a me suona male anche il titolo, che rimanda invece ad un romanzo di alta cultura, “Signorina Rosina”, dalla facile assonanza, anche perché scritto da un poliziotto in pensione, Antonio Pizzuto (grazie Pietro).

Mi dispiace per tutta la buona volontà che ci mise Caron nello scrivere, ma il risultato è molto inferiore alle aspettative. Una trama risibile, passaggi poco chiari, e personaggi di piccolo spessore, poco approfonditi e mai in empatia con il lettore.

Maria Masella “Morte a domicilio” Corriere Noir Italia 6 euro 7,99

[A: 10/07/2023 – I: 04/09/2024 – T: 07/09/2024] && ½ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno: 2002]

Maria Masella ha scritto ben 75 romanzi, di cui 26 con protagonista il commissario Antonio Martini, di cui questo “Morte a domicilio” è il primo episodio. Strano che, nonostante la sostanziosa messe di pubblicazioni, questo è il primo libro che leggo della scrittrice. Che oltre al fatto di essere genovese e pubblicare per le edizioni dei Fratelli Frilli, ha il merito di essere laureata in Matematica, e che, oltre alla scrittura, ha esercitato la docenza nella nostra comune materia, in un liceo scientifico fino alla pensione.

Ma qui trattiamo di scrittura, e quindi veniamo a questa prima avventura del commissario Martini (prima per pubblicazione che successivamente verrà pubblicato un prequel che spiega alcuni passi di queste prime mosse dei nostri protagonisti), corredata dalla presenza della moglie Francesca e della figlia (sei anni) Manu. Un ambiente familiare un po’ sgangherato, o meglio, di quelli che, a pelle, mi convincono poco.

La piccola Manu sembra essere molto più matura dei suoi sei anni, tanto che riesce con un pezzo di lego a deviare una cannula da dove fuoriusciva dell’acqua. Tentativo ingegnoso, che non sarebbe venuto in mente a gente molto più grande di lei, magari con uno zero dopo il numero. La seconda descrizione poco coinvolgente è proprio la moglie Francesca. Donna in carriera, una bella laurea, un lavoro di prestigio nel campo informatico. Peccato che non si capisce come faccia a stare insieme al commissario. Che lui l’ha tradita e la tradisce ad ogni piè sospinto. Un motivo che persone più sagge della buona Francesca avrebbero condotto verso quanto meno un divorzio. Magari con affidamento congiunto, visto che entrambi di sicuro vogliono bene a Manu. Ma in queste condizioni, l’ambiente familiare ne risente assai.

Infine, il commissario. Un uomo che non sa resistere ad una gonna (e questo ci può anche stare, soprattutto se anche la gonna non sa resistere al fascino di Antonio), ma che vada in giro anche per donne a pagamento, a me lascia molti pochi dubbi: una persona da non frequentare molto. Inoltre, queste sue attività intersecano la vita lavorativa del nostro, e questo crea confusione e danni.

Infatti, Martini viene coinvolto in una serie di omicidi, apparentemente slegati tra loro e senza motivi apparenti. Unico indizio sempre presente, un fiore di camelia che viene recapitato in un pacco insieme ad altri indizi da decrittare come in un rebus. Non ci vuole un genio della lampada per indovinare che prima o poi salterà fuori una prostituta di nome Margherita. Non se ne sa il ruolo, al momento, ma è una scommessa che si può fare fin dalle prima pagine.

Ovvio che ci riferiamo a Marguerite Gautier ed al famosissimo “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio. sarà una ricerca complicata quella che Martini dovrà intraprendere per arrivare ad una qualche Margherita, anche se (altro elemento spurio) proprio da Francesca verrà aiutato. Il fatto è che i pacchi recapitati con i rebus da decifrare sono sempre più vicini a tutta la famiglia Martini, mettendone in pericolo i vari membri, inclusa la madre di Antonio.

In questo modo, Antonio stesso, indagando sulle motivazioni che spingono il (o la) serial killer ad agire, dovrà fare un tuffo enorme nel suo passato, e soltanto alla fine a) troverà il bandolo e b) forse troverà anche il bandolo della sua vita privata. Insomma, alla fine, un libro dalle diverse facce. Fino a circa metà si fa seguire bene ed in un certo senso coinvolge. Ci si domanda il motivo dei pacchi ed il loro significato. Poi c’è come un calo di tono, quasi una stanchezza (comprensibile per chi è al primo libro, ed ancora non maneggia tutti i ferri del mestiere). Non si capisce infatti perché il commissario ed i suoi non seguano linee standard nelle indagini. Perché non cercano nelle farmacie tracce delle siringhe che hanno un ruolo nell’indagine o perché non vadano a parlare con una signora che ben più del professore conosce i misteri dei fiori o perché, infine, impieghino tanto a capire che l’infermiera dell’ospedale può fornire dati interessanti. Un esperto di noir non avrebbe lasciato cadere tutti questi indizi.

Pur nel complesso di alcune parti con la stampella, è comunque una lettura gradevole seppur datata, con alcuni spunti descrittivi sulla città di Genova che fanno sempre piacere, anche se poi, visto che son passati più di venti anni, molto è cambiato. Mi dicono amici frequentatori della Liguria che il bruco verso Corte Lambertini non c’è più (ricordo chiamasi bruco un sovrappasso pedonale con archi di sostegno a mo’ di animale strisciante) o che la libreria di cui si parla è stata sostituita da un negozio di intimo. Ma tant’è, Masella a prescindere mi è rimasta simpatica. Consiglierei soltanto di periodare meglio la divisione in capitoli che cinque per più di duecento pagine, non agevolano il ritmo di lettura.

Per contraltare ai gialli italiani, ecco allora pensieri ripresi da due scrittori anglosassoni, l’inglese Jonathan Coe e l’americano Don DeLillo.

Il primo in “Donna per caso” fa pensare prima sulla felicità e poi sull’amicizia: “Non c’è nulla di più deprimente del ricordo della felicità … non c’è nulla di più piacevole dell’attesa della felicità” (36) e “Non voglio che tu sia educata. Voglio che tu sia mia amica” (125).

Il secondo in “Rumore bianco” invece ci dà un’immagine folgorante dei “self-addicted”: “Fotografano il fotografare.” (19) e finisce con un’immagine dei pensieri che prima o poi ci vengono in mente: “Si passa la vita a dire addio agli altri. Come si fa a dirlo a sé stessi?” (316).

Ciò detto, sarà la stagione, sarà l’età, viaggi pochi e quasi azzerati. Speriamo tutti che la tendenza cambi, per ora accontentiamoci del poco che abbiamo. Altro dirvi non vo’, ma mandarvi son soliti i miei più caldi abbracci (ci vuole date il tempo).

domenica 17 novembre 2024

Voglio correre cercando gialle pietre - 17 novembre 2024

Un titolo “misterioso” che coprirà di lauree fronde coloro che avranno voglia e pazienza di interpretarlo. Intanto, come dicevo, è un periodo molto “noir”, per cui abbiamo un altro campionario di libri, principalmente americani. Al fondo del gradimento piombano un libro un po’ anodino della scrittura di John Grisham e l’ultimo e mal riuscito libro di Fred Vargas. Si sale un po’ con due classici americani: Alex Cross di James Patterson e Jack Reacher di Lee Child. Corona il tutto un autore che raramente mi delude, Michael Connelly, con il suo personaggio migliore, Hieronymus “Harry” Bosch.

Fred Vargas “Sulla pietra” Einaudi euro 20 (in realtà, scontato a 18 euro)

[A: 12/06/2024 – I: 19/06/2024 – T: 22/06/2024] - && --

[tit. or.: Sur la dalle; ling. or.: francese; pagine: 466; anno 2023]

Un basso gradimento per un libro della Vargas? Sembra quasi una lesa maestà! In realtà sono realmente rimasto abbastanza deluso, pur con tutto l’amore per lei. Di cui ho letto tutti i romanzi, dal primo giallo un po’ atipico, alla serie delle investigazioni dei “tre evangelisti” ed ovviamente a tutte le avventure del commissario Jean-Baptiste Adamsberg.

La seconda particolarità del libro, è che è il primo romanzo di una delle mie autrici icone che leggo in italiano. Non credo sia colpa della traduzione, ma è subito precipitato tra i meno belli di lei che ho letto. Di sicuro, comunque, un’altra parte di colpe vanno attribuite all’editore Einaudi, che confeziona una quarta di copertina da far rabbrividire.

Riporto solo due “chicche”. Dice la quarta: “in Normandia le sciagure non si contano più” e “grazie … all’energia ancestrale dei menhir”. Ora, peccato che tutto il romanzo di svolga in Bretagna e che la pietra del titolo non sia un menhir (che sono quelle grandi pietre verticali che Obelix trasporta nelle sue vicende) ma dolmen (tombe megalitiche sovrastate da una lastra). Inoltre, appunto, il titolo francese riporta “dalle” che significa “lastra” e non pietra.

Ora, ripulita la piazza da errori altrui, veniamo alla confezione che la scrittrice, dopo sei anni di silenzio, ci propina. Una storia sconclusionata, che cerca di mettersi di traverso con idee brillanti, ma che non ripropone molto della verve dei suoi scritti. Adamsberg è stanco, svogliato ed un po’ confuso. Inoltre, la sua squadra, pur sempre efficace e moderatamente presente, ha dei colpi a vuoto. Soprattutto nel suo vice, Danglard, che sembra quasi proporsi di sostituire il capo se questo decidesse (come potrebbe) di proseguire la sua vita altrove.

Certo, i nostri lavorano alacremente, e noi, avendo a mente il loro passato, anche se poco agiscono, ne riconosciamo la presenza e l’apporto: il tenente Noël, il sempre puntuale Veyrenc, il narcolettico informatico Mercadet, e l’invincibile Violette Retancourt, che sarà protagonista di una grande impresa anche in questo libro, ma non vi dico quale.

Il testo si avvia lentamente, con Adamsberg che viene chiamato in aiuto dal commissario Mathieu, dovrà ripartire per Louviec (paesino inventato ma non lontano da Combourg, come vedremo). C’è un morto e, data l’amicizia di Mathieu con il nostro, e la bravura degli sbirri del XIII arrondissement, il Ministro stesso richiede una task force all’altezza del problema.

Anche perché, una delle figure di spicco locali è il visconte Josselin de Chateaubriand, discendente, probabilmente, del famoso François-Renè, che appunto a Combourg aveva un suo castello. Una figura interessante, Josselin, con la quale Adamsberg si accompagna intuendo subito, a scapito tutta una serie di prove contrarie, che non poteva essere lui l’assassino.

Comunque, c’è il primo morto Gaël Leuven, un mastodontico guardiacaccia, ucciso con colpi di coltello da macellaio marca Ferrand (un tipo di coltello non molto usuale). Unica cosa che salta agli occhi di Adamsberg è che l’assassino ha cercato una facile simulazione: far finta che l’omicida sia mancino, mentre potrebbe essere destro. Oppure un mancino debole (come ad esempio una donna).

Bazzicando per Louviec, andiamo conoscendo gli altri personaggi del posto, oltre Josselin. C’è lo Zoppo, uno spettro che da secoli ossessiona la gente della cittadina, c’è un Gobbo, Maël Yvisc, un uomo tormentato dalla sua deformità, c’è la Vipera, Marie Serpentin, a capo delle comari pettegole che temono chi calpesta le ombre, perché credono che calpestando l’ombra di una persona si attenti all'integrità dell’anima e si possa causare la morte.

E poi tanti morti, dopo Gaël: il sindaco, una dottoressa, un medico, un finto possidente dai soldi di provenienza poco chiara. Tutta una serie di avvenimenti, che si susseguono con colpi di scena improbabili, e senza che noi si ritrovi lo spirito del vecchio Adamsberg. Che ritorna, per poco, ad essere sé stesso quando, per riflettere, si stende sul dolmen assorbendone le forze ancestrali. Arrivando alla conclusione della vicenda, con un lungo spiegone che darà ragione dei morti, dei morsi delle pulci, delle uova fecondate, dei coltelli da macellaio, e di tutte le incongruenze disseminate nelle quasi cinquecento pagine del testo.

Come Adamsberg, anche la scrittura della Vargas è svogliata e priva dei piccoli spunti che facevano venir voglia di girare le pagine per scoprirne il seguito. Qui, si arriva alla fine, stancamente e decisamente delusi.

“Non è facile chiedere scusa e non sono in molti a trovare il fegato di farlo.” (161)

Michael Connelly “La notte più lunga” Pickwick euro 10,90

[A: 02/09/2021– I: 30/07/2024 – T: 01/08/2024] - &&& +

[tit. or.: Dark Sacred Night; ling. or.: inglese; pagine: 379; anno 2018]

HB24; RB2

In effetti, pur avendo sempre amato la scrittura di Michael Connelly, per i misteri delle mie letture casuali, sono circa tre anni che non prendo in mano un suo libro. Il bello è che, dopo tre anni, pur con qualche punto non proprio centrato, la lettura procede spedita e gradevole. Tra l’altro, e lo vedremo entrando poi nei dettagli, da libri incentrati su Bosch, e che sicuramente restano i migliori, si va sempre più spostando sul “procedural thriller”, riuscendo a reggere benissimo il confronto con il mago del genere, Ed McBain.

Ma andiamo con ordine, cominciando dal titolo. Primo, per ribadire che, al solito, comprendo poco il bisogno italiano di titolare in altro modo. Così da un’esclamazione forte relativa alla notte ed all’oscurità, si passa ad una notte, sì, ma perché “più lunga”? Inoltre, facendo così, si perde il rimando musicale, spesso presente in Connelly, alla musica. Che il titolo riprende il verso di una bellissima canzone di Louis Armstrong (“What a wondeful world”), dove si accenna alle piccole grandi cose che rendono bella e degna di essere vissuta la nostra vita.

Per dovere di chiarezza, poi, esplicito l’ultima riga delle note in alto. Questo è il ventiquattresimo romanzo in cui compare il personaggio principale di Connelly, cioè Harry Bosch, ed il secondo invece di René Ballard. Di cui, ne “L’ultimo spettacolo” avevamo assistito alla sua introduzione nel mondo della polizia di Los Angeles, mentre qui vediamo la sua convergenza con Harry, da cui, come intuiamo dal finale del romanzo, dovrebbero nascere altre indagini in coppia.

Ballard è di sicuro un valente poliziotto, che, per aver denunciato il suo capo per molestie sessuali, invece di essere premiata, viene isolata nel turno di notte, quello appunto che nel gergo poliziesco viene chiamato ultimo spettacolo. Bosch, invece, sappiamo ormai essere in pensione, ma con un contratto di consulenza investigativa con il nucleo poliziesco di San Ferdinando, dove si occupa generalmente di casi irrisolti.

Il fatto che seguiamo molto di Ballard, porta appunto a far svolgere molte piccole micro-indagini (quella da “procedural thriller”) che sono di contorno all’indagine principali. Omicidi e rapine che si risolvono in poche battute, ma che servono a dare il tocco ed il senso del lavoro oscuro della polizia. Tra l’altro anche Bosch è coinvolto in altre indagini, in particolare una legata ad un cartello di spacciatori che lo vuole morto, non esitando a mettere in pericolo anche Maddie, la figlia di Bosch. Ma come detto sono contorni, interessanti ma contorni.

E parlando di contorni, mentre di Bosch sappiamo già quasi tutto, qui entriamo meglio nel personaggio Ballard. Che quando non fa il turno di notte, dorme dentro una tenda in riva all’oceano, guardando spesso il mare nel ricordo del padre, travolto da un’onda quando surfava e mai più ritrovato. È osservatrice attenta, e capace di collegamenti tra vari punti delle indagini non disdegnando tuttavia di passare all’azione.

I nostri due convergono quando, durante il suo turno, Ballard scopre che Bosch cerca documenti vari relativi alla morte, avvenuta nove anni prima, della quindicenne Daisy Clayton. Un caso mai risolto, ma che Bosch riprende per una promessa che fa ad Elizabeth Clayton, la madre della giovane. Madre che Bosch aveva incontrato quando lavorava sotto copertura in “Doppia verità”, che aveva aiutato a disintossicarsi, e che, per i tempi di recupero, sta ospitando nella sua bellissima casa (per me), quella su Woodrow Wilson Drive, nelle colline di Hollywood, con una vista mozzafiato.

Ballard e Bosch, dopo qualche scaramuccia, cominciano a lavorare insieme, con Bosch che indaga sul campo, mentre Ballard, durante i turni di notte, si fissa sulle note di carico di tutte le indagini che erano state svolte all’epoca, cercando somiglianze ed indizi che potrebbero portare ad individuare un possibile serial killer.

Alla fine, e non entro nel merito, B & B trovano il colpevole, estorcono fraudolentemente una confessione, ma riescono anche a trovare possibili prove. Certo, Bosch lavora sempre ai limiti della legge, anche perché nel frattempo Elizabeth non resistendo alla pressione si suicida con una overdose. Ed è molto probabile che Bosch preferisca un periodo di sospensione, piuttosto che lasciare andare liberi i veri colpevoli.

Un buon libro, che riporta qualche punto in più nei mei giudizi su Connelly, anche se, pur presenti, questa volta non sono molto rilevanti gli interventi musicali. Mentre noto di passaggio un solita citazione trasversale. A pagina 46, il giudice che firma un’ordinanza di perquisizione richiesta da Bosch si chiama Atticus Finch Landry. Come non collegarlo immediatamente al protagonista de “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee? Comunque, non posso che finire con una menzione ad Alfredo Colitto, anche qui presente con una degnissima opera di traduzione.

Lee Child “Zona pericolosa” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 9,60 euro)

[A: 24/07/2024– I: 01/08/2024 – T: 03/08/2024] - &&&   

[tit. or.: Killing Floor; ling. or.: inglese; pagine: 479; anno 1997]

Durante le mie ricerche in rete mi sono imbattuto in una delle tante liste ufficiali o meno che parlano di libri gialli. Ovviamente disattendendo i consigli di Umberto Eco, l’ho scorso scoprendo di averne letto il 60%. Per cui ho deciso che nei ritagli di tempo, avrei cercato di colmare il restante 40. Eccoci, quindi, ad un libro che in principio non avrei comperato, e ad un autore che, a meno di altre cause, non credo che seguirò molto.

Certo Lee Child scrive bene e questa sua “Zona pericolosa” è un buon libro, pur se datato a causa dei suoi quasi trenta anni. Come anche ben caratterizzato è il personaggio eponimo di Child, questo Jack Reacher, qui alla sua prima uscita, ma che Child continuerà a serializzare, tanto che quest’anno è uscito il ventinovesimo romanzo della serie.

Come è facile intuire, Lee Child è solo uno pseudonimo dell’inglese James Dover Grant, nome con il quale lavora più di venti anni come autore televisivo. Trovatosi senza lavoro per una ristrutturazione aziendale, decide di usare le sue capacità letteraria con la scrittura di thriller. Trovandosi questo strano pseudonimo. Il nome deriva da una passione infantile di Grant, laddove in una pubblicità, la Renault 5 viene indicata come “Le Car”. Una storpiatura eufonica nella sua testa lo porta a pronunciarla come “Li Car”, che scritto in anglosassone diventa “Lee”. Così che la sorella Ruth comincia a chiamarlo “Lee Child” (cioè bambino). Quando deve decidere il suo nome d’arte, questo gli sembra promettente, in quanto, negli scaffali delle librerie si sarebbe trovato in mezzo a due grandi ed affermati scrittori: Raymond Chandler e Agatha Christie.

Capace costruttore di trame per il suo passato televisivo, decide di puntare tutto sulla costruzione di un personaggio, che risulta subito intrigante e vicino al lettore. Nasce così Jack Reacher. Figlio di militari, militare a lungo lui stesso, nella squadra investigativa militare, dopo una quindicina d’anni di servizio, decide di mollare tutto (e penso che nel corso dei quasi trenta volumi questa parte della sua vita verrà indagata a lungo) e di dedicare il suo tempo a vagabondare lungo gli Stati Uniti, senza mete particolari, fino a che non troverà qualche cosa che deciderà essere più appassionante di girare a vuoto. Ma non sarà né ora né in questo libro.

Dopo un viaggio di otto ore da Tampa, Reacher arriva a Margrave in Georgia, dove si ferma e qui cominciano le (dis-)avventure. Viene arrestato dall’agente Finlay accusato di omicidio. Qualcuno l’ha visto vicino a dei magazzini (i magazzini della ricca famiglia Kliner) dove viene trovato uno sconosciuto morto. Il nostro ha un alibi, verificato da Roscoe, la giovane assistente di polizia, ma viene mantenuta l’accusa in base alle dichiarazioni del capo della polizia Morrison. Peccato che poco dopo viene fermato tal Hubble che si accusa dell’omicidio.

Per non saper né leggere né scrivere, i due vengono portati nel carcere della contea, ma non nella sezione d’attesa, bensì in quella dei detenuti, dove ovviamente rischiano la pelle per un programmato assalto di criminali prezzolati. Qui assistiamo alle capacità di Reacher nella lotta corpo a corpo, che permette ai due di salvarsi. Non solo ma anche rilasciati perché anche Hubble ha un alibi, e si scopre che il morto non è altro che il fratello di Reacher, un dipendente del Ministero del Tesoro che stava effettuando ricerche su riciclaggi di denari.

Le vicende, come prevedibile, si accumulano. Hubble scompare, il capo della polizia Morrison viene trovato seviziato e ucciso, Finlay decide di mettere sotto protezione la famiglia Hubble, facendo portare moglie e figlie in luogo protetto da Picard, un agente dell’FBI. Intanto Jack risale la catena degli avvenimenti, trovando la collega del fratello, Molly, disposta a parlare. Ma lei viene uccisa ed i documenti del caso spariscono.

Non può mancare una storia di pallida eroticità, visto che Jack e Roscoe hanno una forte simpatia, e non vi dico cosa succede tra loro. Fatto sta che Roscoe fornisce a Jack una pistola appartenente ad un suo capo forse suicidatosi. Ma nelle carte del morto, Jack trova le prove che anche lui stava indagando sui Kliner. Non solo, ma scopre che Hubble è un esperto di reperimento contanti, che i Kliner hanno una succursale in Venezuela, che da lì, via mare e poi via TIR arrivano vagonate di soldi falsi. Insomma, una ridda di avvenimenti che si accumulano.

Non certo della sicurezza degli Hubble, Jack manda anche Roscoe nella zona protetta gestita da Picard. Mentre lui si arrovella su di un biglietto lasciato dal fratello con la scritta “E unum pluribus”, motto che è il contrario di “E pluribus unum”, il motto presente sullo stemma statunitense. Jack arriva a comprendere il perché del motto, la necessità di usare le capacità di Hubble, e l’anomala presenza di biglietti da 100 dollari in alcuni zone americane.

Sembra tutto in dirittura d’arriva, ma Jack scopre che gli Hubble e Roscoe sono in pericolo, che la banda che usa i magazzini Kliner è ben avviata sia nel campo del crimine che in quello dei contatti a vari livelli. Insomma, tutto converge in un finale molto azione, dove il punto centrale è ritrovare Hubble scomparso. Cosa che Jack fa anche se la soluzione che propone Child mi sembra troppo fortunosa.

Tutto si risolve senza troppi danni, ma Jack non riesce ancora a fermarsi, e la prima puntata di schiude con il nostro che sale su un Greyhound per la California.

Una bella confezione, una scrittura che tiene, qualche sbavatura qua e là, ma che ci presenta un’America com’era ma come, per chi ogni tanto la frequenta, è ancora. Con buona pace di chi pensa che là sia tutto New York e San Francisco. Child riesce anche ad incuriosirci con un personaggio misterioso (ancora) e con qualche sbavatura, ma con un gran cuore, un senso della giustizia profondo ed una forte empatia con le altre persone.

Non mi ha entusiasmato, ma ritengo che, per gli amanti del thriller, sia una lettura obbligata.

John Grisham “I fantasmi dell’isola” Mondadori s.p. (regalo della sig.ra Laura)

[A: 15/08/2024– I: 15/08/2024 – T: 16/08/2024] - & e ½     

[tit. or.: Camino Ghosts; ling. or.: inglese; pagine: 281; anno 2024]

John Grisham è sempre stato un autore che leggo con piacere, e qui a maggior ragione grazie ad un regalo ferragostano inaspettato unito al clima rilassante dell’interludio campagnolo. Ma pur con tutte le premesse positive questo “I fantasmi dell’isola” non mi ha soddisfatto.

È discretamente lento, senza particolari scatti né di momenti “thriller”, e ci potevano stare, né di particolari emozioni nelle parti “procedural thriller”, anch’esse con thrilling tendente a zero. Non c’è un personaggio cui realmente affezionarsi (come accadeva, ad esempio, in un altro “thriller ambientale” come “Il rapporto Pelican”), anzi siamo pieni di personaggi, anche abbastanza diversificati, ma senza un vero centro emozionale. La storia poi corre sui binari di una regolarità disarmante, c’è una piccola curva poco prima della fine, poi si procede diritti e senza intoppi sino all’inevitabile conclusione.

Non essendo da tempo lettore delle grandi storie di Grisham (e forse ogni tanto farei bene a tornarci), non avevo colto che, in effetti, questo è un libro seriale, dedicato a questa isola immaginaria, Camino, posta in Florida quasi al confine con la Georgia. Non esiste realmente (l’unica Camino Island si trova nel Pacifico vicino a Seattle) e si potrebbe individuare come una delle isole che contornano Cumberland Island. In ogni caso, Grisham ha appunto pubblicato nel ’17 “Camino Island” e nel ’20 “Camino Wind”. Ovvio che non è facile seguire una serie se i traduttori italiani, ogni volta fanno sparire il nome dell’isola (in italiano sono usciti come “Il caso Fitzgerald” e “L’ultima scelta”).

Questa mancanza di informazioni fa sì che i due personaggi principali del testo vengano dati per scontati, mentre conoscendone la storia, forse sarebbero risultati meno appiattiti. Si tratta di Bruce Cable, gestore dell’unica libreria dell’isola dal nome di “Bay Books” e di Mercer Mann, che qui troviamo scrittrice abbastanza affermata (mentre credo che nelle prime opere non lo fosse ancora).

La storia, in ogni caso, non può che toccare alcuni punti classici di Grisham, soprattutto nell’ultimo periodo: il razzismo, la cementificazione delle risorse naturali, l’ingiustizia e la corruzione. Purtroppo, però manca l’elemento avvincente. Non è un puro legal thriller, anche se è presente una battaglia legale. Anzi di thriller ce n’è abbastanza poco. Inoltre, mancano realmente i cattivi. La società immobiliare di cui parleremo è sì spietata, e tenta qualche corruzione latente, ma in realtà non minaccia direttamente nessuno, non uccide nessun testimone, si limita ad una agguerrita battaglia legale che, così com’è impostata, non potrà che perdere.

Il nucleo della storia riguarda un’isoletta vicino a Camino, dove nella seconda metà del 1700 si rifugiavano schiavi fuggiti dalla Georgia. Essendo la Florida a quei tempi spagnola, questi proteggevano i fuggiaschi. Nel 1760, una nave negriera proveniente dall’Africa e diretta a Savannah incappa in una tempesta e fa naufragio su quell’isola (tempesta molto forte, visto che Savannah si trova 200 km a Nord). I pochi superstiti vengono accolti dai fuggiaschi. E tra i superstiti c’è Nalla, una sacerdotessa voodoo, stuprata durante la traversata, che per vendetta e protezione lancia una maledizione: nessun bianco uscirà vivo dall’isola.

Ai giorni nostri rimane un’unica discendente Lovely Jackson che scrive un libro con la storia dell’isola, battezzata dai locali “Dark Isle”, e, quando scopre che un’immobiliare della Florida intende costruire un parco gioco con casinò e campi da golf, insorge che ritiene lei di essere l’unica ad aver diritti sull’isola.

Da qui partono le piccole storie dei nostri due maggiori protagonisti. Mercer, la scrittrice, si innamora della storia dell’isola, e convince Lovely a farle scrivere un libro romanzato che narri la storia dei neri dell’isola. Bruce, invece, sempre pronta a battaglie ambientaliste, convince il suo amico avvocato Steven Mahon a lanciarsi nella battaglia legale. Dimostrando che l’isola è di proprietà di Lovely verrebbero sventati i tentativi immobiliaristi dei cattivi.

Le due storie sono scontate e prevedibili, unico elemento di frizzante novità è l’arrivo a metà libro di una stagista, Diane Krug, che affianca Steven nell’azione legale, e che con la sua verve ed alcune idee interessanti, riesce a portare molta acqua al mulino di Lovely. Con tutta una parte dedicata ai nativi africani deportati, ed alle loro radici, molto interessante per gli americani, assai poco per noi europei.

Insomma, in finale, buoni gli spunti sociali, ma la confezione risulta lenta, prevedibile ed i personaggi non molto ben delineati. Alcuni momenti ironico coinvolgenti (la festa “beach chic” dove ognuno può vestirsi come vuole ma deve essere rigorosamente a piedi nudi), ma niente di più. Qualche ora rilassante ad un’ombra estiva, ma mi aspettavo meglio da Grisham.

James Patterson “Il collezionista” TEA euro 8 (in realtà, scontato a 5,20 euro)

[A: 19/06/2020– I: 20/08/2024 – T: 21/08/2024] - &&& ---  

[tit. or.: Kiss the Girls; ling. or.: inglese; pagine: 388; anno 1995]

James Patterson è sicuramente un autore degno di nota per la costanza e la velocità di produzione delle sue opere. Credo che negli ultimi trent’anni abbia pubblicato quasi un centinaio di libri, laddove, per aumentare la produzione, spesso usa scrivere in collaborazione. A volte lui pensa più allo scenario (come nei libri con Maxine Paetro) a volte più alla scrittura (come con i libri con l’ex-presidente Clinton).

A me incuriosì sentendo parlare positivamente della lunga serie del suo personaggio centrale, Alex Cross, per cui ne lessi qualche anno fa il primo episodio. Poi, senza fretta, ogni tanto, succede trovare altri capitoli, così ora passo alla lettura del secondo episodio di Cross.

Alex Cross è un afroamericano, laureato in psicologia, che, per una serie di ragioni, decide di diventare detective, come si legge in “Ricorda Maggie Rose”. Associandosi al detective John Sampson, con cui fa coppia fissa, con Sampson anche lui di colore, massiccio, ma anche capace di buone letture. Cross ha perso la moglie alcuni anni prima dei fatti, e deve crescere i suoi due figli, Damon e Jannie, vivendo con loro a Washington insieme a Nana Mama, sua nonna.

In questo secondo romanzo, Alex viene coinvolto direttamente dal punto di vista familiare, essendo stata rapita Nessie, sua nipote, che studiava nelle Carolina del Nord. Lì si precipitano Cross e Sampson per scoprire uno scenario inquietante. Non poche donne di bell’aspetto sono state rapite negli ultimi periodi, ed alcune di esse vengono trovate orrendamente uccise. Benché coadiuvati dall’FBI con il supervisore Kyle Craig e dalla polizia locale, con i detective Nick Ruskin e Davey Sikes, le indagini fanno pochi passi avanti.

Finché non escono degli articoli sul Los Angeles Times, che parlano di uno psicopatico, chiamato il Gentiluomo Visitatore, che racconta le gesta delle sue uccisioni. Ma che racconta anche di morti molto simili a quelle che i nostri vedono in Carolina. Facciamo ben presto a renderci conto che ci sono uno o due serial killer in azione, laddove quello sulla costa est si fa chiamare Casanova.

L’azione comincia ad avere una svolta quando Casanova rapisce la dottoressa Kate McTiernan, bella, intelligente, dedita al lavoro ed esperta di arti marziali. Kate riesce fortunosamente a fuggire da Casanova e si unisce a Cross nella caccia al killer. Alex, poi, studiando i modus operandi delle varie uccisioni si convince che i killer sono in realtà due. E li collega all’inizio della vicenda, che Patterson ci aveva narrato nel prologo, al 1981, dove il Gentiluomo uccide una coppia e viene contatto da Casanova che anni prima aveva fatto un piccolo massacro in Florida. Tutti e due studiano a Durham, in un collage dove è presente anche Craig, e dove le indagini sono seguite dai due giovani poliziotti, Ruskin e Sikes.

Ma tornando al presente, indagando in California, Cross e l’FBI trovano traccia di un dottore, William Rudoplh. Un chirurgo plastico che ben presto si rivela essere il Gentiluomo. Una caccia serrata non riesce a bloccarlo, e Rudolph fa in tempo a fuggire ed a riunirsi con Casanova, il suo gemello del crimine. Tra l’altro i due alterano delle prove, facendo in modo che possa venir incriminato come Casanova un altro medico di Durham. Che di sicuro ha un buon successo con le donne, ma che Cross ritiene estraneo. Non così l’FBI che lo arresta.

Peccato che contemporaneamente, Kate viene assalita e quasi uccisa dalla coppia di killer, cosa che rafforza le idee di Cross. Utilizzando i ricordi di Kate e le notizie di fattorie sotterranee che servivano da riparo a schiavi fuggiaschi, Cross e Sampson riescono a trovare il rifugio dove Casanova teneva in ostaggio le belle donne prima di ucciderle. Le liberano, mentre arrivano i due, che feriscono Sampson, ma che Alex riesce ad inseguire. Nella fuga che ne consegue, Cross fa due passi avanti: uccide Rudolph e capisce, dal modo di sparare, che Casanova è uno che sa usare le armi, un poliziotto o un militare.

L’ultima parte è forse la meno riuscita del thriller, che si arriva alla fine, si troverà anche Casanova, e tutto finisce abbastanza bene. Naomi torna a casa, Alex e Kate, dopo una breve storia capiscono che le loro strade non potranno unirsi, e nel finale Patterson inserisce un gancio per potersi dedicare al successivo episodio.

Benché con trent’anni alle spalle è tuttavia un libro gradevole, ben scritto (d’altra parte non può essere di meno visto il successo di Patterson negli anni), con Cross che sembra ancora un po’ acerbo. Intuitivo, costruttivo, forse irruento, si capisce il forte legame con i figli, meno la necessità di cercare qualcosa nell’altro sesso. Due libri, due donne, e poi? È comunque un altro punto a favore del testo che già allora si parlasse di stupro e di maltrattamenti verso le donne. Inoltre, il carattere liberale di Patterson non può che scagliarsi subito contro il razzismo sempre più imperante negli USA.

Parlando di thriller poi, Patterson ha la capacità di farci vedere come i serial killer possano anche essere persone (quasi) normali, che, spinti da impulsi magari presenti in molte persone, non hanno la capacità di frenarli ed oltrepassano il limite.

Patterson è anche uno scrittore “colto” che non si tira indietro in citazioni e rimandi che a me hanno fatto piacere. Kate, buona lettrice, entra in libreria e compra “Cavalli selvaggi” di Cormac McCarthy. Kate e Alex vanno al cinema a vedere un film di Benigni, “Johnny stecchino”. Alex suona il piano svariando dal jazz al blues. Intrigante passare dall’orrore del thriller a queste coccole personali.

C’è un altro elemento interessante anche qui, come nel primo episodio, riguardante il titolo. L’originale era “Kiss the girls”, che è anche il nome che Casanova dà al gioco che intraprende con il suo harem rapito, prima di uccidere una delle ragazze. Un titolo che deriva da un film del 1966, parodia dei film di James Bond in voga nel periodo, dal titolo “Kiss the girls and make them die”. Facile il collegamento, tanto che la prima edizione del testo era intitolata in italiano “Baciate le ragazze”. Poi, scoperto che la distribuzione italiana di De Laurentis del film lo aveva rititolato “Se tutte le donne del mondo... (Operazione Paradiso)” (orribile) e per sottolineare un aspetto del killer, viene ribattezzato “Il collezionista”. Certo, ha un senso, che capirete leggendo il romanzo, ma quanto si perde dei giochi dell’autore?

Meno di quarantacinque giorni alla fine di un anno bisestile che si è rivelato degno del suo nome. Onde farne un corto circuito, e per bilanciare il troppo noi di questa settimana, mi sono rivolto alle parole di un pensatore che ascolto sempre con grande attenzione. Dal suo libro, “La vita autentica”, mi sono rimaste impresse sia alcune frasi dell’autore, Vito Mancuso, sia alcune idee che lui stesso mi riporta. Tutte ve le dono come auspicio.

“Se la vita si presenta come contraddizione, rispettare la contraddizione consentendo a ciascuno l’esercizio della libertà è il modo migliore di rispettare la vita” (45)

“Da Cartesio: Chi cerca la verità deve una volta nella vita dubitare di tutto” (61)

“Posso anche sbagliare, lo so bene che posso sbagliare, per questo sottopongo a verifica ogni affermazione e ogni negazione” (65)

“L’uomo autentico è l’uomo libero, l’uomo che costruisce la sua vita su un fondamento interiore tutto suo, sulla sua consapevole e autonoma personalità” (76)

“da Baudelaire: A me pare che starei sempre bene là dove non sono …Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!” (93)

“da Shakespeare: sii sincero con te stesso, e ne seguirà come la notte al giorno che non potrai essere falso verso nessuno” (110)

“da Bonhoeffer: quando qualcuno dice la verità senza tener conto della persona a cui parla, c’è l’apparenza ma non la sostanza della verità” (117)

“da Marco Aurelio: ognuno vale tanto quanto le cose a cui si interessa” (126)

“Ogni uomo è definito dall’oggetto del suo sperare. La vita è paragonabile ad un viaggio, e l’oggetto della speranza è la meta verso la quale si viaggia” (131)

 “La vita autentica è all’insegna del viaggio, dell’uscita da sé verso la realtà, fino a farsi compenetrare totalmente dalla realtà e diventare un autentico frammento di realtà, che, come una pietra o come un pianta, esiste senza la minima traccia di menzogna” (170)

“da Dante (canto XXVI dell’Inferno): fatti non foste a viver come bruti / ma per seguire virtute (vita vissuta all’insegna del bene) e canoscneza (vita vissuta all’insegna dell’amore per la verità)” (171)

Spero sempre di poter seguire il consiglio di Dante, per una vita volta al bene ed all’amore per la verità. Per ora, ci si deve accontentare del nostro percorso quotidiano, sperando sempre di riuscire a continuare a viaggiare, magari insieme ai nostri amici più cari. Nel mentre non possano mancarvi i miei abbracci.