domenica 3 novembre 2024

Analisi di Murakami - 03 novembre 2024

Non è un mistero da un lato la mia passione per Haruki Murakami, dall’altro il dispiacere che non abbia ancora vinto il premio Nobel. Per consolarmi è da lungo tempo che leggo con attenzione e passione i libri dello scrittore. Tanto che non solo cerco di immedesimarmi nel suo mondo, ma anche di tirar fuori un elemento che mi è sempre gradito. Cioè la musica che sempre pervade i suoi scritti. Così questa settimana, avrete le trame disponibili e, laddove siano presenti, un elenco della musica principale che è risuonata in alcuni scritti. All’interno di queste trame segnalo una punta abbastanza alta raggiunta da “La ragazza dello Sputnik”. Per il resto, sempre buone letture che spero piacciano anche a voi.

Haruki Murakami “After Dark” Corriere – Murakami 13 euro 8,90

[A: 12/09/2020 – I: 19/03/2023 – T: 20/03/2023] - &&&    

[tit. or.: アフターダーク Afutā dāku; ling. or.: giapponese; pagine: 164; anno 2004]

Uno dei libri più strani tra quelli che ho finora letto dell’autore giapponese. Non strano in quanto pieno di realismo magico come le sue opere più ponderose, precedenti o successive (penso, tra quelle che ho letto, a “Kafka sulla spiaggia” o “1Q84”), ma per le prospettive che usa, un atteggiamento quasi “post-moderno” nell’affrontare la materia, nonché un modo di descrivere la vicenda estremamente particolare.

Non torno, ovviamente, sull’autore, di cui saprete o avrete letto altre mie note. Quanto sul testo, che viene scritto nel 2004, ma che solo tre anni dopo ottiene la licenza di essere tradotto in inglese, e da lì in altre lingue. Un testo che, come molte opere di Murakami, è anche pieno di citazioni musicali, non a caso avendo l’autore gestito per alcuni anni un jazz-bar a Tokyo. Anche qui sarebbe interessante che, in qualche momento delle nostre ricerche, ci si fermasse magari a compilare un compendio esaustivo della musica del nostro autore.

Che intanto si lega al titolo, per un doppio filo. Da un lato, la storia si svolge dopo il tramonto, nello scuro della notte, e, come per una volta ci indica l’autore, esattamente dalle 23:56 alle 6:52 del mattino successivo. Spesso Murakami lega le sue vicende al tempo, ma solo qui c’è un esplicito nodo, simboleggiato da un orologio che scandisce il tempo ad ogni inizio capitolo, e che poi, andandosi infittendo la notte, anche più volte nello stesso capitolo.

Il secondo filo è il motivo che uno dei protagonisti ama e suona ad un certo punto. Si tratta di “Five Spot After Dark” interpretato dal trombone di Curtis Fuller e contenuto nel suo album “Blues-Ette”. Termino l’inciso ricordando che, oltre ad altri brani di jazz, nel testo si fa menzione di Hall & Oates e dei Pet Shop Boys.

La trama, di cui appunto seguiamo l’intreccio scandito dagli orologi, ci fa fare un salto nella Tokyo notturna. Il personaggio principale che seguiamo è Mari Asai, una studentessa di 19 anni, che inizia la notte leggendo un libro da Denny’s, uno dei tanti locali fast food in Giappone (io ne ricordo uno di fronte alla porta d’ingresso del quartiere di Asakusa a Tokyo). Qui viene abbordata da Takahashi Tetsuya, uno studente universitario con la passione del trombone (qui c’è l’aggancio con Fuller). Takahashi conosce la sorella di Mari, Eri, e tutti e tre si erano incontrati anni prima in una piscina. Lo studente, pur con la passione musicale, sa che quella non è la sua strada e questa notte parteciperà ad un’ultima jazz sessions, per poi dedicarsi allo studio ed alla giurisprudenza.

Dall’incontro dei due nasce una sarabanda di avventure nella prospettiva di Mari. Lei si sposta di locale in locale, sempre leggendo. Poi incrocia Kaoru, una wrestler in pensione che gestisce un love hotel denominato “Alphaville” (con chiaro collegamento al film di Godard). Le viene indirizzata da Takahashi che sa Mari conoscere il cinese, in modo che possa parlare con una prostituta piccata dal sadico impiegato Shirakawa. Nel Love hotel (inciso: sono alberghi in cui c’è molta privacy, ci si può andare per qualche ora, peccaminosa, o tutta la notte; spesso sono usate da genitori di famiglie numerose per avere momenti intimi) Mari ascolta molte storie e si pacifica, mentalmente, con Eri, sua sorella, da cui torna.

Qui vediamo l’altra parte della storia, quella onirica e magica. Eri, bella e modella, è stanca del suo mondo inconcludente, e decide di entrare in letargo. La vediamo stesa sul letto, dormire in pose quasi da “morta”, in una stanza spoglia, con solo un televisore. Da dove la guarda una persona che potrebbe essere Shirakawa. Nel sogno o nel sonno, Eri entra nel televisore, ha esperienze di forte paura, poi torna nel letto, dove la raggiunge Mari.

Questa è un po’ la descrizione epidermica dei fatti, laddove non si percepisce, non si può percepire il modo di raccontare di Murakami, non essendo io Haruki. L’autore ci fa seguire le scene, in particolare quelle di Eri, come se fossimo in un film. Ne descrive i particolari minuti, quasi come una sceneggiatura sovrabbondante. L’effetto, alienante come tutta la tematica del testo, è quella strana sensazione in cui noi guardiamo tutto ma non possiamo intervenire. Siamo come dei droni, che veleggiano nel mondo creato da Murakami, ne percepiamo suoni, colori e odori, ma l’autore ci avverte: voi non fate parte della trama, voi siete lì, non potete far altro, eventualmente, che empatizzare con qualcosa, avendo però tutti i propri ruoli. Io, Murakami, scrivo, loro (Mari, Takahashi, Eri e gli altri) agiscono, voi, lettori, state al di là della pagina, e leggete, leggete, leggete.

Tanto che alla fine (o anche durante) stiamo lì a chiedere: sogno o realtà? Tornando sempre all’apologo citato da Queneau ne “I fiori blu” (è Zhangzui che sogna di essere una farfalla o è la farfalla che sogna di essere un uomo?)

Quello delle prospettive è uno dei punti forti del testo, insieme ad una descrizione, reale e non epidermica, delle notti giapponesi. Una prospettiva (ricordate di quanto detto sui droni) che ci porta agli ambienti giapponesi: locali aperti sino a tarda notte, alberghi per fare l’amore anche senza prostituzione, stazione di treni, giapponesi che studiano il cinese, la mafia cinese che gestisce la prostituzione, giovani che suonano la notte che di giorno fanno altro.

Pur non essendo in sintonia con gli elementi onirici, è un buon libro (e dell’ottima musica).

La musica di questo libro:

Autore

Titolo

Percy Faith Orchestra

Go Away Little Girl

Curtis Fuller

Spot After Dark

Burt Bacharach

The April Fools

Martin Denny’s

More

Ben Webster

My Ideal

Duke Ellington

Sophisticated Lady

Pet Shop Boys

Jealousy

Hall and Oates

I Can’t Go for That

Sonny Rollins

Sonnymoon for Two

Shikao Suga

Bomb Juice

Haruki Murakami “La ragazza dello Sputnik” Corriere – Murakami 12 euro 8,90

[A: 27/07/2020 – I: 26/02/2024 – T: 27/02/2024] - &&&&      

[tit. or.: スプートニクの恋人 Supūtoniku no koibito; ling. or.: giapponese; pagine: 216; anno 1999]

Dopo alcune prove altalenanti, torniamo finalmente ad un Murakami di livello. Un romanzo complesso, pieno di spunti, che, attraverso una trama in apparenza lineare, ci porta già (siamo ancora nell’altro secolo) alle tematiche che negli ultimi anni più appassionano la scrittura del maestro giapponese. L’identità, l’incomunicabilità, la dimensione dell’esistenza, dove si percepisce sempre l’esistenza di altro, che, laddove non riesce ad essere definito, Haruki trasfigura in dimensioni diverse, oniriche, a volte quasi troppo fantastiche o fantasiose.

Dicevo, una storia lineare, ben distinta in due diverse parti. Nella prima conosciamo i personaggi, nella seconda Haruki cerca di mostrarcene l’essenza intima, usando quelle costruzioni iperboliche da cui dobbiamo lasciarci cullare senza fare domande.

Tre sono i personaggi che si muovono nel testo. C’è l’io narrante, di cui non viene mai detto il nome, è la voce che racconta, la penna che scrive, colui che, a volte inconsciamente, muove i fili delle trame dei personaggi. C’è Sumire, una giovane amante della letteratura che per scrivere abbandona tutto e tutti, anche se non riesce a produrre nulla. Il narratore è il suo confidente, quello a cui fare tutte le domande che ti vengono in mente, anche le più assurde, anche nel cuore della notte. E lui, innamorato senza riuscire mai a dichiararsi, non si tira indietro. Perché non può recidere il filo che lo lega alla violetta.

Non è un iperbole, Sumire in giapponese vuol dire violetta, ed a lei è stato dato quel nome dalla madre appassionata dell’opera lirica. Un basso continuo che, come in molti testi di Haruki, accompagna l’agire dei personaggi, come dalla piccola nota che riporto in finale.

E poi c’è Myu, una donna adulta, incidentalmente sposata, che accoglie sotto la sua ala Sumire, che la fa crescere, che la coinvolge nelle sue attività, e di cui Sumire perdutamente si innamora. Ma Myu ha un segreto, che poi scopriremo, che la rende totalmente anaffettiva, incapace di rapportarsi agli altri se non in modo formale.

Dopo aver visto i nostri agire in terra giapponese, l’azione si sposta in un’isola greca, dove Myu e Sumire si erano concessi alcuni giorni di relax. Lì Myu svela il mistero dei suoi capelli bianchi. In un soggiorno viennese, si trova in maniera rocambolesca a dormire in un vagoncino della ruota del Prater inavvertitamente fermatosi. Da lì vede una scena che si svolge nella sua casa. Un losco figuro la circuisce e la violenta. Cioè ha questo sdoppiamento (siamo entrati nel livello onirico di Haruki) che la colpisce e la spaura, tanto, appunto da imbiancarle per sempre i capelli.

Lì, dopo queste rivelazioni, Sumire si fa coraggio e confessa a Myu di essersene innamorata, ma Myu non riesce ad aprirsi a nessun sentimento e la sua freddezza gela Sumire. Lì Sumire sparisce senza lasciare tracce. Lì viene invitato a raggiungerle (o a raggiungere Myu) per capire dove sia finita Sumire. Lì anche il narratore conosce la storia di Myu, ma non trova neanche lui traccia della giovane scomparsa, non potendo alla fine che tornare solitario a casa.

Tutta questa seconda parte è soffusa da un’aura di irrealtà, di alterità, quasi esistessero dimensioni altre in cui concretizzarsi (siamo quasi a “1Q84”), fino a che Sumire telefona al narratore, in modi che volutamente sono da Haruki posti tra il reale ed il sogno. Così che ognuno (ed in rete ho letto diversi testi che interpretano questo finale in modi a volte opposti) costruisce il proprio finale.

Il narratore sogna la telefonata perché vuole tornare in contatto con Sumire, ma è un sogno. Oppure non è un sogno, ma un modo di essere di Sumire che gli dice esisto, ma in un mondo in cui non potrò tornare al vecchio mondo. Oppure è un segnale di apertura, dove Sumire, dopo aver fatto il suo giro del mondo mentale, tornerà per essere l’inconcludente stimolo della vita sua e del narratore. Dovete leggerne per avere la vostra opinione.

Quanti sono i temi che solleva Murakami! Gli effetti di un amore non corrisposto che inducono a riflettere su quali siano le barriere che sperano l’amicizia dall’amore e questo dal desiderio sessuale. Che ha come corollario, i diversi modi che ognuno ha (può avere) nel prefigurarsi una vita di coppia. Il conflitto tra seguire i propri sogni e reprimerli, passando per la comprensione, spesso mancante, di quale sia il percorso da seguire per realizzare i sogni, e la forza interiore che bisogna avere nel momento in cui ci accorgiamo che questi stessi sogni si stanno dissolvendo. L’inconoscibilità della propria essenza, del proprio io, che spesso viviamo sentiamo come fosse diviso in entità separate (una, due, molteplici). Sensazione che si fa dirompente sino a provocare una scissione anche fisica di quanto pensiamo di rappresentare. Perché la verità è sfuggente, gli eventi reali oscurano le percezioni del singolo. Perché, dice Haruki, la comprensione non è altro che un insieme di fraintendimenti.

Sumire, con la sua inconcludente curiosità di vivere, quando decide di essere sincera verso sé stessa, non può che perdersi, non può che scindersi e sparire (o riapparire al telefono, una delle metafore più volte usate da Haruki). Come si scisse Myu in quel di Vienna. Come l’io narrante che tornerà dalla Grecia mutato, non potendo più essere l’io di prima ma non avendo compreso cosa sia il suo io di adesso.

Come in tutti i migliori testi di Haruki ci sono sia una serie di rimandi esterni, di citazioni più o meno palesi: c’è Keruac (su cui torneremo), ma ci sono Gregory Peck, Godard e Hitchcock, c’è Astrud Gilberto che canta brasiliano ed un soprano che canta Puccini.

Poi, quasi in un ripasso delle sue scritture, ci sono rimando di Haruki alla proprie opere. La frase sulla comprensione ed i malintesi è ripresa da “Ranocchio salva Tokyo”. Sumire legge un articolo di giornale su una vecchia che è stata mangiata dal suo gatto domestico, scena presente nel racconto “Il gatto mangiatore di uomini”. Anche qui, come in altre opere, ci sono dentisti, come il personaggio principale nel racconto “Sonno” o come il padre di Izumi in “A sud del confine, a ovest del sole”.

C’è infine (e qui mi fermo) una citazione in cascata. Sumire si ubriaca dopo aver bevuto cinque daiquiri alla banana, che rimanda al racconto “Affari di famiglia” dove il personaggio narratore racconta di una scena relativa ad una ragazza che beve un daiquiri alla banana, ma che alla fine fa riferimento a Fredo Corleone che ne “Il Padrino Parte II” per esprimere la sua tristezza ordina un daiquiri alla banana.

Infine, una delle cose più belle è la genesi del titolo all’interno del romanzo. Sumire è intensamente presa da Jack Keruac di cui porta sempre un libro con sé. Myu, vedendola, le chiede se fa parte degli Sputnik, chiarendo che si riferisce ad una corrente letteraria di cui ha sentito vagamente parlare, così che Sumire capisce che si riferisce ai Beatnik, una derivazione interessante della corrente beat di Keruac. Comunque, da quel punto in poi, Sumire sarà “la ragazza dello Sputnik”.

Dotto chiarimento: il termine Beatnik venne coniato da un giornalista americano (Herb Caen) nel ’58, per ironizzare sulle tendenze sinistrose dei beat. Per lui i beat alla Keruac erano dei comunisti in pectore, che preferivano seguire i lanci russi nello spazio (gli Sputnik) invece di quello americani. Quindi Beat + Sputnik = Beatnik.

La musica di questo libro:

Autore

Titolo

Capitolo

Debussy

 Preludi

  1

Chopin

 Scherzo

  1

Beethoven

 Sonata no. 32

  1

Edvard Grieg

 General Mention

  1

Prokofiev

 General Mention

  1

Mozart

 Sonate (varie)

  1

Marc Bolan

 General Mention

  4

Bobby Darin

 The Greatest Hits of Bobby Darin

  5

Liszt

 Piano Concerto no. 1

  6

Ten Years After

 General Mention

  6

Brahms

 Ballate

  9

Haruki Murakami “I salici ciechi e la donna addormentata” Corriere – Murakami 21 euro 8,90

[A: 28/08/2020 – I: 20/07/2024 – T: 23/07/2024] - &&      

[tit. or.: めくらやなぎと眠る女, Mekurayanagi to, nemuru onna; ling. or.: giapponese; pagine: 400; anno 2006]

Una nuova raccolta di racconti di Murakami, con la (mia) grossa difficoltà nell’entrare nello spirito dei testi, unito ed aggravato dalla rarefazione dei testi stessi. Avevo già detto, in altre trame sui racconti del grande giapponese, che nei suoi testi quello che conta è il percorso delle parole, piuttosto che una trama in senso stretto. Così che in quasi tutti i testi si rimane sospesi, si arriva alla fine un po’ sconcertati, si apprezzano alcuni momenti, ma alla fine non rimane molto nella testa e nel cuore.

Tra l’altro è un’antologia ibrida, che i 24 racconti sono scritti in un ampio spazio temporale (dal 1980 al 2005), pubblicati, anche in forme diverse, su riviste giapponesi, e solo nel 2006 riuniti antologicamente per una pubblicazione in lingua inglese. Solo l’anno seguente ne uscirà la versione originale in lingua giapponese. Con un primo piccolo particolare: il titolo della raccolta riporta “Salici ciechi, donna addormentata”, mentre il titolo del testo che dà il nome alla raccolta inserisce una congiunzione ed elimina la virgola.

In un certo senso, il legame di questi racconti slegati è forse proprio l’incoerenza, sia nel metterli insieme, sia all’interno di ogni storia. Storie banali che raccontano vite banali, ma che servono a Murakami per entrare a gamba tesa nella critica di una società che sta perdendo la propria identità e la propria storia. Anche se svariano nello spazio e nel tempo, è l’affresco sociologico che ci propone l’autore. Laddove nulla cambia realmente, se qualcosa cambia i protagonisti non lo capiscono, anche se il cambiamento porta a rivoluzioni epocali. Come quelle che vive il Giappone, amato e odiato da Murakami, che dipende molto dalle sue tradizioni, dove tuttavia il loro senso profondo viene spesso dimenticato.

Qui, se mi consentite, faccio un’opera lunga a forse un po’ filologica, ma mi piace entrare nei piccoli spunti del ventiquattro testi, magari chiosandone dei passi. È un po’ lungo, ma, anche se non mi piace il libro, continuo a ritenere Murakami degno di essere letto.

I salici ciechi e la donna addormentata めくらやなぎと、眠る女 (Mekurayanagi to, nemuru onna, 1995)

È l’esempio tipico di tutta la raccolta. Uno studente accompagna il cugino ad una visita medica e ricorda un’altra visita ad una loro amica degente. Questa racconta una sua storia inventata: del polline di salici ciechi è trasportato nell’orecchio di una donna addormentata, da dove entrano e la divorano dall’interno. Dopo la visita i due tornano verso casa. Ecco, storia, avvenimenti, cose che non si incastrano, il racconto dei salici che è scollegato da tutto il resto. E qualcosa che c’entra solo perché la nostra mente è poliedrica. Pensando alla malattia del cugino, lo studente ricorda una battuta dal film “Fort Apache”: "Non preoccuparti. Se sei riuscito a individuare alcuni indiani, significa che non ce ne sono". Ovvio riferimento ai segnali di una malattia.

Ma noi che siamo curiosi e cinefili, siamo andati a fondo. Il film, in italiano, si intitola “Il massacro di Fort Apache” ed è del 1948, diretto da John Ford, con un impagabile John Wayne ed una deliziosa Shirley Temple. La battuta è detta da Wayne al suo comandante, Henry Fonda, che però non la capisce, attacca i pochi indiani, e viene massacrato. Un modo traslato per Ford di riproporre e criticare la vicenda del generale Custer.

Birthday Girl バースデイ・ガール (Bāsudei gāru, 2002)

Questo è un racconto scritto per un’antologia intitolata “Storie di compleanni”. Una cameriera di vent’anni, per motivi che sono irrilevanti, riceve la possibilità di esprimere un desiderio. Sappiamo che lo fa, ma non sapremo mai quale sia e se sia avverato.

La tragedia nella miniera di carbone di New York ニューヨーク炭鉱の悲劇 (Nyū Yōku tankō no higeki, 1990)

Apparso in origine in rivista in versione più lunga, narra di un uomo che per partecipare ai funerali di suoi amici si fa prestare l’abito scuro da un amico che ha la mania di visitare gli zoo durante i funerali. Alla fine dell’anno, in una festa a Rappongi, il nostro incontra una donna che gli dice di aver ucciso una persona che gli assomigliava. Al solito, c’è il finale estraniante: l’ultima parte del testo narra di minatori intrappolati in una miniera di carbone.

L'aeroplano – o come lui parlasse da solo con l'aria di recitare una poesia 飛行機あるいは彼はいかにして詩を読むようにひとりごとを言ったか (Hikōki – Arui wa kare wa ika ni shite shi o yomu yō ni hitorigoto o itta ka, 1987)

Come il precedente, riscritto da una precedente versione. Un uomo ha una relazione sessuale con una donna che ha sette anni più di lui. Lei piange a comando, lui recita poesie sottovoce senza accorgersene. Lei scrive il testo dei monologhi, e scoprono che lui parla di aeroplani. Perché? Il racconto finisce.

Lo specchio (Kagami, 1983)

Questo è invece il primo di alcuni racconti “di paura”. Un post-liceale accetta un lavoro di guardiano notturno in una scuola. Una notte vede una persona riflessa in uno specchio. È solo ma la figura non è la sua. Rompe lo specchio e fugge. Al mattino non ci sono specchi rotti da nessuna parte. Il ragazzo non metterà mai specchi in una sua casa.

Il folclore dei nostri tempi, preistoria del capitalismo avanzato 我らの時代のフォークロア高度資本主義前史 (Warera no jidai no fōkuroa: kōdo shihonshugi zenshi, 1989)

Murakami, essendo del ’49, ha ovviamente vissuto gli anni della contestazione, che bolla con l’epiteto del sottotitolo: preistoria del capitalismo avanzato. Qui narra una storia come fosse una metafora proprio di quegli anni. A Lucca incontro un suo vecchio amico, lo ricorda fidanzato con Yoshiko. Lui gli racconta che stavano bene insieme ma non fecero mai sesso, che Yoshiko voleva arrivare vergine al matrimonio. Stanno insieme per anni, poi, inevitabilmente si lasciano. Dopo essersi sposata, Yoshiko lo chiama dicendogli essere disposta, finalmente, a fare l’amore. Ma non è la stessa cosa, non è la stessa sensazione. I due si lascino e non si vedranno più. Quella sera va a letto con una prostituta prima di continuare con il resto della sua vita.

Coltello da caccia ハンティング・ナイフ (Hantingu naifu, 1984)

Un uomo è in vacanza insieme alla su un'isola del Pacifico, molto probabilmente Guam, dove incontrano un’anziana donna con il figlio su una sedia a rotelle. Dopo varie storie senza connessioni, la sera prima della partenza, l’uomo incontra di notte il paralizzato, che gli mostra un coltello da caccia, e gli racconta il suo sogno: il coltello è conficcato nella sua testa ma non è in grado di tirarlo fuori, per quanto ci provi.

La giornata giusta per vedere i canguri カンガルー日和 (Kangarū biyori, 1981)

Mentre tutti i testi hanno il titolo correttamente tradotto, questo è uno dei pochi leggermente diverso, visto che l’originale titola anodinamente: “Tempo da canguri”. Una coppia, saputo che dai canguri dello zoo è nato un piccolo, decidono di andarli a vedere. Ma è passato tempo, ed il canguro non è più nel marsupio, lasciandoli delusi a sorseggiare una birra.

Il tuffetto かいつぶり (Kaitsuburi, 1981)

Qui ci vorrebbe mio cugino, che a lungo ho cercato di capire il senso del testo, anche perché pensavo ad un tuffo nelle acque. Mentre il titolo si riferisce ad un piccolo volatile, che forse è chiamato svasso. Ma la storia straniante narra di un uomo che deve prendere servizio in un posto misterioso, dove non lo fanno entrare perché non sa la parola d’ordine. Lui inventa “tuffetto”, parola che viene riportata al capo del posto che in effetti è un “tuffetto”. Ecco i tanti misteri degli antropomorfismi di Murakami.

I gatti antropofagi 人喰い猫 (Hito-kui neko, 1991)

Altra storia straniante, che fa risuonare altri testi di Murakami. Un uomo e una donna, sposati con altri, hanno una relazione. Scoperti, decidono di andare via e riparano in Grecia (luogo spesso frequentato da Murakami), dove leggono la storia di una donna che muore in casa, e viene divorata dai suoi gatti che non hanno nulla da mangiare. La notte, la donna si allontana e scompare. Ricorda molto le atmosfere della ragazza dello Sputnik, dove il romanzo riesce a darci una dimensione completa e comprensibile di tutto il contesto. Qui, è monco.

Storia di una zia povera 貧乏な叔母さんの話 (Binbō na obasan no hanashi, 1980)

Metafora di qualcosa di cui ci si vergogna, il protagonista si trova qualcosa attaccato alla schiena. Ognuno ci vede qualcosa di diverso, ma sempre qualcosa di cui non andare fieri. Così come è venuta “la zia povera” attaccata alla schiena ad un certo punto e senza motivo scompare.

Nausea 1979 嘔吐1979 (Ōto 1979, 1984)

Un amico dell’autore, molto attivo con le donne, gli racconta che ha sofferto per 40 giorni di nausea, dal 4 giugno al 14 luglio 1979. Ogni volta riceva una misteriosa telefonata. L’ultimo giorno il misterioso telefonista gli chiede “Sai chi sono?”, e le nausee terminano. I due sono sicuri che tutto ciò abbia un significato, ma non sanno quale.

Il settimo uomo 七番目の男 (Nanabanme no otoko, 1996)

Un uomo (e ci si domanda il valore del numero sette) racconta una grande paura avuta quarant’anni prima. Durante un tifone, mentre era in spiaggia con un suo amico, una grande onda porta via il suo compagno mentre lui viene risparmiato. Da quel momento e fino ai suoi cinquanta non ritorna mai al mare. Quando lo fa ritrova i bellissimi dipinti del suo amico, e fa la pace con la sua coscienza, pronunciando la farse sulla paura che vi riporto in fondo.

Nell'anno degli spaghetti スパゲティーの年に (Supagetī no toshi ni, 1981)

Gli spaghetti come simbolo della solitudine, dove il protagonista, per un anno, nel 1971, non incontra nessuno, rimane in casa e cucina solo spaghetti. Quando qualcuno lo cerca, si nega e torna ai suoi spaghetti. Che tra l’altro, essendo Murakami stato spesso in Italia, sono proprio spaghetti, tant’è che parla di “carbonara”.

Tony Takitani トニー滝谷 (Tonī Takitani, 1990)

Strano il destino di questo testo, che essendo più articolato di altri, consente una maggiore elaborazione, tanto che nel 2004 un regista giapponese (per chi ne vuole sapere si tratta di Ichikawa Jun) be trae un film.

La storia parte da Shozaburo Takani, trombonista jazz, che vive in Cina negli anni ’30, tornato poi in patri dopo la guerra, si sposa, ed al figlio mette un nome “da jazz”, Tony. Morta la moglie, lui in tournée, Tony cresce da solo diventando un buon illustratore. A 37 anni sposa una donna di quindici anni più giovane, che si dimostra ben presto una “addicted” dello shopping, comprando quantità esorbitanti di vestiti e di scarpe. Quando Tony la rimprovera, lei esce furiosa di casa e muore in un incidente. Tony si intristisce, paga una modella perché indossi gli abiti, nuovi, della moglie. Poi si pente, manda tutto all’aria. Poco dopo muore anche il padre, lasciandogli una valentissima collezione di vinili. Tony vende tutto, ed alla fine si accorge di essere veramente solo.

Come vedete, anche qui una metafora della solitudine, condita da due delle passioni di Murakami: fumetti e jazz.

Splendore e decadenza delle ciambelle a cono とんがり焼の盛衰 (Tongari-yaki no seisui, 1983)

Altro testo che inizia “normale” poi vira in metafora. Un giovane si trova coinvolto in una gara per una nuova ricetta di un dolce denominato “ciambelle a cono”, che prima di allora non aveva mai sentito nominare. Ne produce una nuova, per avere il premio di due milioni di yen. Sottoposto al giudizio dell’azienda produttrice, sembra favorito, ma deve superare la prova finale. Ed ecco il salto: vincerà se le ciambelle a cono saranno graditi dai Corvi delle Ciambelle, enormi uccelli obesi che mangiano solo quello. Vincerà?

L'uomo di ghiaccio 氷男 (Kōri otoko, 1991)

Metafore su metafore. Una donna si innamora di un uomo, indicato come “Uomo di Ghiaccio”. Imperturbabile, empatico con gli altri, ma assolutamente incapace di programmare e prevedere un futuro. Contro tutti i pareri i due si sposano, ma lei è infelice per la freddezza del marito e la mancanza di figli. Decidono una vacanza al Polo Sud (mettiamoci una caterva di punti interrogativi qui). Dove l’uomo si trova nel suo elemento, ed è felice, finalmente concepiscono un figlio, un bambino di ghiaccio, ma la nostra protagonista capisce che non riusciranno mai ad andare via di lì.

Granchi (Kani, 2003)

Venti anni prima, Murakami scrive un testo intitolato 野球場 (Kani, Il campo da baseball), e qui decide di rielaborarne una parte, spostando l’zione a Singapore dove una coppia entrando a caso in un ristorante, fa enormi scorpacciate di granchi. Tutto sembra andar bene, i due ci tornano ogni sera. Ma l’ultima notte, lui si sente male, vomita granchi a tutto spiano, e ne scopre una famiglia enorme di vermi. Poi, davanti alla finestra giura che non mangerà più granchi e che la storia con la ragazza non potrà avere molto seguito.

La lucciola (Hotaru, 1983)

Qui invece abbiamo una premonizione, laddove l’idea base del racconto (l’amico suicida, l’incontro ed il rapporto con l’ex del suo amico a Tokyo, ed altre piccole parti del rapporto a tre monco) sarà parte di quello che per me è da sempre il miglior testo di Murakami: “Norwegian Wood/Tokyo Blues”.

Qui, oltre alla parte poi ripresa nel romanzo, c’è l’amicizia del protagonista con un suo compagno di Università, che da sempre vuole fare il cartografo, e che, dopo le storie del nostro con la ragazza, gli regala un barattolo con una lucciola. Il racconto termina osservando il ragazzo che sul tetto della scuola, libera la lucciola.

Percorsi del caso 偶然の旅人 (Gūzen no tabibito, 2005)

Qui Murakami ci parla in prima persona, portando esempi di casualità della vita. Due lo riguardano da vicino. Nel primo, in un Jazz club, si trova ad ascoltare uno dei suoi pianisti preferiti, Tommy Flanagan, sperando che questi possa suonare due pezzi che adora: “Barbados” di Charlie Parker e “Star-Crossed Lovers” di Duke Ellington. Ovviamente, per caso, Tommy chiude il concerto con questi due pezzi. Nel secondo, entra in un negozio di dischi, il 5-Spot (che p anche il nome di una jazz hall americana) dove acquista un raro disco del sassofonista Pepper Adams, intitolato “10 to 4 at 5-Spot”. Mentre esce dal 5-Spot, un ragazzo gli chiede l’ora, lui guarda l’orologio e gli dice “10 to 4” (l’azione di svolge nel Massachusetts).

Racconta le storie ad un suo amico, che gli rimbalza con la sua. Lui, accordatore di pianoforte gay, quando fece coming out ruppe con la sorella. Ora sono dieci anni che non sente la famiglia, ha un solido rapporto, ma frequenta un centro commerciale nelle ora di pause. Lì legge libri ed incontra una donna sposata che legge il suo stesso libro, “Casa desolata” di Charles Dickens. I due diventano amici, senza che lui le dica di esser gay. Molto amici, tanto che la donna, dopo mesi di frequentazioni, gli chiede di andare a letto con lei. A questo punto deve dirgli la verità e lei gli dice che, benché sposata, si era risolta a questa avances perché il giorno dopo deve subire un’operazione al seno. Il nostro, solo e pensoso, decide di chiamare la sorella che, appunto, non sentiva da dieci anni. E questa gli dice che aspettava questa telefonata, perché il giorno dopo avrebbe avuto un’operazione al seno per un possibile tumore.

Eccoli, i percorsi del caso…

Hanalei Bay ハナレイ・ベイ (Hanarei Bei, 2005)

Questo per me è il migliore testo del libro.

Sachi è una pianista di jazz, vedova, che perde il suo unico figlio che, in vacanza alle Hawaii per fare surf nella baia di Hanalei, viene attaccato da uno squalo e muore. Lei va nella baia, e rimane incantata dal posto, dove ritorna ogni anno per tre settimane pensando al figlio, ed impiegandosi saltuariamente come pianista in un bar locale. Ci sono altre storie, legate in vario modo a questa principale, per cui è l’unico che invito a leggere. A me rimane la figura di Sachi, ed il suo stare seduta in una sdraio di fronte alla baia di Hanalei (e se dovessi musicarlo ci metterei “En el Muelle de San Blas” dei Manà).

Inoltre, la baia non solo è reale, ma è realmente un paradiso per surfisti.

In un posto dove potrei trovarlo どこであれそれが見つかりそうな場所で (Doko de are sore ga mitsukarisō na basho de, 2005)

Una donna contatta un investigatore, che cerca senza compenso persone scomparse, perché il di lei marito è scomparso tra il 24º e il 26º piano del grattacielo in cui abitano. Scomparso per le scale, visto che il marito non prendeva mai l’ascensore. L'investigatore si trasferisce nel grattacielo, incontra varie persone anche loro per le scale, che conoscevano di vista lo scomparso. Il nostro ritiene che lì ci sia una porta segreta (prodromo dei passaggi segreti tra varie dimensioni mentali e temporali delle sue opere migliori). Quando venti giorni dopo il marito viene ritrovato senza memoria in una stazione ferroviaria periferica, l’investigatore decide comunque di continuare a cercare la “porta”.

La pietra a forma di rene che si spostava ogni giorno 日々移動する腎臓のかたちをした石 (Hibi idō suru jinzō no katachi o shita ishi, 2005)

Qui abbiamo una storia che potrebbe essere un prequel di “Torta di miele” pubblicato cinque anni prima in “Tutti i figli di Dio danzano”. Ritorna infatti Junpei, qui non ancora scrittore come nell’altro racconto (che vi invito a ricercare nelle mie trame). Ha come un blocco che non riesce a portare avanti un racconto, finché non incontra Kirie, donna bella e misteriosa. È lei che gli suggerisce la storia di una pietra a forma di rene che una dottoressa, con una storia con un dottore sposato, trova in riva al mare. Junpei prende l’inizio e lo sviluppo con la pietra che, benché usata come fermacarte, si sposta nello studio della dottoressa. E quando questa la getta nel mare, la pietra poi torna al suo posto.

Scritto il testo lo vuole condividere con Kirie, ma lei è scomparsa. Solo mesi dopo, in una casuale trasmissione radiofonica, scopre che Kirie è una lavavetri acrobatica di grattacieli. A questo punto, Junpei può chiudere il racconto, e la pietra scompare.

La scimmia di Shinagawa 品川猿 (Shinagawa saru, 2005)

Qui ci si incarta in uno strano rapporto psicologico-fantastico. Mizuki dimentica spesso il suo nome, chiede aiuto ad un centro psicologico di Shinagawa, dove trova una dottoressa molto accudente. Scopriamo che il trauma di Mizuki è legato ad una sua compagna che, durante il collage, le consegna la targhetta con il suo nome, dicendole “Attenta a non fartele rubare da una scimmia”. Poi l’amica nella notte si suicida. Dopo la confessione, Mizuki cerca le targhette, ma non le trova. È invece la dottoressa, con il marito, che trova una scimmia parlante (ecco il fantastico di Murakami che entra), che ruba le targhette pere entrare nella psiche delle persone. Mizuki si fa raccontare dei suoi problemi, si fa riconsegnare le targhette, ed ottiene che la scimmia venga liberata lontano dalla città e non torni a disturbare gli umani.

Ed ora aspettiamo la prossima lettura.

“Non che valesse gran che, quel cane. Era un fifone, abbaiava a tutto quello che vedeva … Non era di nessuna utilità, sapeva soltanto far rumore.” (151)

“Noi esseri umani non dobbiamo temere la paura in sé. La paura esiste … a volte opprime la nostra vita … la cosa più temibile, però è … chiudere gli occhi per non vederla.” (194)

“Il mio segno è la bilancia. Non riesco a sopportare le cose sbilanciate.” (346)

Haruki Murakami “L’arte di correre” Corriere – Murakami 19 euro 8,90

[A: 17/09/2020 – I: 07/09/2024 – T: 08/09/2024] - &&&      

[tit. or.: 走ることについて語るときに僕の語ること Hashiru koto ni tsuite kataru toki ni boku no kataru koto; ling. or.: giapponese; pagine: 146; anno 2007]

Era molto tempo che avevo in mente di leggere questo libro, per un motivo personale che forse vi dirò più avanti. Nel corso quindi della lettura analitica e didascalica dell’opera di Murakami sono ben contento che ora mi sia capitato tra le mani. Avevo anche immaginato che non fosse solo e soltanto un manuale del corridore, ma in particolare, conoscendo l’autore, fosse un modo per raccontare una parte di sé.

Comunque, al solito, cominciamo invece dal titolo. Che nella versione italiana è anodino e generico, mentre nell’originale aveva anche un rimando abbastanza esplicito ad altro. Infatti, la traduzione dal giapponese (che ho trovato in un sito ben ferrato nella lingua) è “Di cosa parliamo quando parliamo della corsa”, che penso a tutti faccia subito venir in mente il bel libro di Raymond Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore”. Tutta una diversa simbologia, tutto un grande rimando. Perché Murakami non parla solo di correre, anche se è il filo rosso del testo, ma parla della sua scrittura, e del parallelo tra le due attività.

Certo, si parla della corsa, e dell’approccio che Murakami ha avuto verso questa espressione corporea. Da quando nel 1982 decide che deve trovare uno sfogo fisico per mantenersi in (discreta) forma, iniziando quindi a correre ed a farlo impegnandosi, una costanza che gli servirà per imbastire più avanti i suoi percorsi paralleli.

Intanto, confessa di aver partecipato a più di trenta maratone, ed anche a qualche ultramaratona, come quella di cento chilometri che si svolge nel nord del Giappone, nell’isola di Hokkaido. Ma soprattutto, è interessante la descrizione che fa della sua prima, vera sgambata multi-chilometrica, sul percorso classico da Maratona ad Atene. Una corsa solitaria, che serviva a raccogliere i propri pensieri, a immaginarsi il passo di Filippide, ed a confessare che, comunque, i suoi tempi migliori si sono sempre aggirati sulle tre ore e mezza.

Cosa ci insegna la scrittura di Murakami sulla corsa e sul suo parallelo della scrittura. Innanzi tutto, che al nostro piace fare le cose da solo, sfidando sé stesso. Il corridore è orgoglioso di aver portato a termine la sua gara, non importa i quale posizione. Così come il pensiero principale dello scrittore lo porta alla ricerca di raggiungere il livello di scrittura e di messaggio che si era prefissato cominciando a scrivere. Senza aver cura di onori, premi, vendite. Scrivere è un atto solitario, non come tutte le corse, ma di certo come la maratona.

Ed è proprio lo star solo chino sulla scrittura, serve a Murakami per parlarci del lato fisico della scrittura; l’autodisciplina, la concentrazione, la resistenza. Almeno nella sua scrittura, che noi conosciamo altri che, invece, sono degli scattisti della penna. Pensiamo solo a Simenon che scriveva i suoi romanzi in media in una settimana, e non erano certo romanzi “a perdere”.

Quindi, se la corsa diventa uno strumento per superare (i propri) ostacoli, è attraverso la corsa che ci dice di trovare la forza interiore per praticare una strada che lo possa portare a realizzare i propri sogni. Ed ecco allora la sfida. Correre, continuare a correre, cercando, con il passar degli anni, di rimanere o migliorare le proprie prestazioni. Quindi, provare, ed ancora provare. Come nella scrittura, dove, analogamente alla corsa, spesso Murakami riprende brani, idee, anche situazioni che aveva utilizzato in qualche suo scritto, per scriverne ancora sopra, per alzare l’asticella, per sfidare sé stesso a migliorarsi, a piacersi di più.

Ma solo nella propria scrittura, perché sempre, ed anche qui, non cerca di sedurre, non cerca di indurre il lettore né a correre, né a scrivere, ma solo a lavorare su noi stessi, a provare, a non rimandare di fare quello che possiamo fare solo perché è inutile provarci, perché non si ha tempo. Noi sappiamo, e lo sa anche lui, che poi il tempo, per tutti finisce.

Non essendo io un gran corridore, anche essendo un corridore nullo, ho al contrario apprezzato molto tutti i rimandi letterari, le citazioni di tanti scrittori. Dostoevskij, Hemingway, Fitzgerald, Shakespeare, Balzac, Dickens. Ma soprattutto ho apprezzato il pensiero verso Osamu Dazai ed al suo scritto “Corri Melos!”. Uno scritto non sulla maratona, ma sul fatto che Melos solo stremandosi in una corsa folle può riuscire a salvare l’amico Selinuntius. Una “fabula” già ripresa da Schiller e basata su di una storia romana di Gaio Giulio Igino.

Murakami, inoltre, da buon conoscitore di oriente e occidente, mi delizia con alcune massime divergenti. Sempre con quel parallelo tra corsa e scrittura, poiché scrivere non è per tutti i “normali di mente”, ma c’è comunque bisogno di buona salute, prima parafrasa Giovenale con “Mens insana in corpore sano”, e poi Cartesio con “Corro, dunque sono”.

In finale, riprendo l’accenno fatto inizialmente. Uno dei motivi in più che mi ha fatto leggere questo libro, è il pensiero delle maratone di mio fratello. Non tante, ma significative, dalla maratona di New York all’ultramaratona dei cento chilometri del Passatore. Bravo Paolo.

Devo dire, in conclusione, che ho apprezzato molto tutto l’impianto del libro, e tutte le analisi che Murakami fa su di sé, sapendo, come tutti sappiamo, che, leggendone, poi, ne ribaltiamo il significato su di noi. Apprezzando anche quello che, al fine, lui pensa sia corretto scrivere sulla sua tomba: “Haruki Murakami. Scrittore (e corridore). Almeno non se n'è mai andato”.

“Ci si accontenta di quello che c’è. … Raggiungere questa consapevolezza è uno dei vantaggi dell’età.” (74)

Haruki Murakami “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” Corriere – Murakami 14 euro 8,90

[A: 17/08/2020 – I: 19/10/2024 – T: 22/10/2024] - &&&& --      

[tit. or.: 色彩を持たない多崎つくると、彼の巡礼の年 Shikisai o motanai Tazaki Tsukuru to, kare no junrei no toshi; ling. or.: giapponese; pagine: 275; anno 2013]

Ed eccoci ancora, dopo che per un ennesimo anno non ha vinto il Nobel (che secondo me invece merita, e quindi puntiamo al prossimo anno) a leggere un libro di Haruki Murakami. In realtà, per altri motivi, stavo per iniziare il ponderoso librone del Commendatore, ma, cedendo alla mia filologica voglia di seguire il percorso creativo del meno giapponese degli scrittori giapponesi, ho ripiegato su questo Tazaki che si inquadra nell’ordine di scrittura del nostro scrittore.

Intanto, preliminarmente, devo dire che finalmente il titolo viene riproposto così come era stato pensato dall’autore. Anche perché ha un suo forte senso simbolico, come molto spesso in Murakami. La prima parte (“L’incolore Tazaki Tsukuru”) fa riferimento ai colori contenuti nei nomi o nei cognomi dei personaggi del romanzo, e su cui torneremo presto. La seconda parte (“i suoi anni di pellegrinaggio”) è in effetti un doppio richiamo. Da una parte, sotterraneamente, c’è Goethe che nel libro a suo tempo erroneamente tradotto come “Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister” (e che solo recentemente è stato corretto in “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister”) ci parla della terza fase della crescita della persone, che ad un certo punto

deve assumere la sua maturità e accettare sacrifici. Dall’altra, invece, c’è Franz Liszt di cui il protagonista ascolta il brano “Le mal du pays (Nostalgia di casa)” che fa parte del ciclo pianistico “Années de pèlerinage che il pianista ungherese aveva composto pensando a Goethe.

Quindi, lasciando perdere troppi voli onirici e molti passaggi inspiegabili di altre sue creazioni letterarie, qui torniamo ad un discorso abbastanza lineare: un libro di formazione, che segue la crescita del nostro Tazaki, fornendoci i motivi delle sue insicurezze e le armi per superarle. Certo, e questo è un suo limite, ma anche una sua cifra stilistica, poi lascia a noi lettori il compito di completare l’opera secondo le nostre sensibilità.

Cominciamo allora dalla prima parte del titolo, immergendoci in un mondo che solo grazie alla mirabile traduzione di Antonietta Pastore, ci rimane un po’ meno oscuro. Infatti, quasi tutti i personaggi del libro hanno nella loro onomastica un riferimento ad un colore, eccetto appunto il protagonista, Tazaki Tsukuru, che ha solo un’omofonia in giapponese con il verbo “costruire”, ma per il resto è del tutto “incolore”.

Come non lo sono i suoi quattro amici di gioventù: Eri Kurono e soprannominata Kuro o "Nera" dato che il suo cognome significa "Prato Nero", Yuzuki Shirane soprannominata Shiro o "Bianca" poiché il suo cognome significa "Radice Bianca", Kei Akamatsu soprannominato Aka o "Rosso" dove il suo cognome significa "Pino Rosso") e Yoshio Oumi soprannominato Ao o "Blu" che il suo cognome significa "Mare Blu". Ma ci sono anche il suo amico dei tempi universitari Fumiaki Haida il cui cognome significa "Risaia grigia" ed il protagonista di una strana storia inseritasi ad un certo punto, Midorikawa, dove il cognome significa "Fiume Verde". L’unico altro non-colore è la sua (probabile) fidanzata Sara Kimoto che nel cognome porta il significato di "base dell'albero", un albero cui il nostro dovrà appoggiarsi per crescere.

La storia, con qualche deviazione di tanto in tanto, è abbastanza lineare. Tazaki ed i suoi quattro amici sono molto legati durante gli anni del liceo. Poi, mentre gli altri rimangono nella natia Nagoya (a poco più di due ore di treno veloce dalla capitale), Tazaki segue la sua vocazione (quella di diventare ingegnere ferroviario per costruire stazioni) e si trasferisce a Tokyo.

Ovvio che i legami si sfilacciano, ma niente prepara Tazaki a subire un duro colpo: i quattro amici, senza nessuna spiegazione gli chiedono di non mettersi più in contatto con loro. Colpo mortale, che Tazaki medita per sei mesi di suicidarsi, mentre noi ci domandiamo: perché non hai chiesto spiegazioni? La risposta è insita nel carattere giapponese, che Tazaki non può commettere la scortesia di insistere. Quindi si isola nella capitale, seguendo e raggiungendo la sua vocazione.

C’è un primo inciso, negli anni universitari, con l’avvicinamento a Haida, che serve a Murakami per un duplice scopo. La vicinanza dei due induce sogni erotici in cui Tazaki fa l’amore con Kuro e Shira, ma poi si trova a penetrare Haida, interrogandosi sul fatto possibile di essere gay. L’altro è presentare la storia di Midorikawa, un geniale pianista jazz, che, non avendo sbocchi alla sua vita ed alla sua arte, decide di accettare un patto con la morte, venendo a conoscenza dei due mesi che gli restano da vivere.

Murakami, visto che Tazaki è appunto incolore, ha bisogna di qualcuno che lo spinga a fare, ad agire, e Haida è il primo. Certo, veniamo spiazzati che dopo un’intensa vicinanza tra i due, Haida sparisce e nulla sappiamo più di lui. Ma le due storie servono a rafforzare il carattere di Tazaki, farlo uscire dal guscio, laurearsi e seguire la sua passione ferroviaria. Ma anche a fornire una chiave: Haida lascia in dono a Tazaki un cofanetto con l’esecuzione completa delle suite di Liszt che compongono “Gli anni del pellegrinaggio”. Un viaggio che impiegherà più di dieci anni a maturare, e potrà essere innescato solo dall’esterno.

Il secondo scossone, infatti, gli viene da Sara che, giustamente, gli dice che, se vuole la loro relazione prosegua su binari non fragili, il nostro deve affrontare il problema che lo attanaglia da ben sedici anni. Su questa spinta, Tazaki torna a Nagoya per incontrare Ao e Aka, e poi vola in Finlandia dove si è trasferita Kuro. Non riuscirà a ritrovare Shiro che sei anni prima è stata uccisa in modo violento, senza però che l’omicida sia mai stato ritrovato.

Finalmente, durante questi colloqui, Tazaki scoprirà il motivo che ha spinto i suoi ex-amici ad allontanarlo. E con ognuno ne farà un ragionamento approfondito, tirandone fuori, dialetticamente, problemi e discussioni. Solo qui, quasi verso la fine del libro, spariscono quei caratteri troppo giapponesi che avevano un po’ offuscato l’inizio (ma solo per chi non è mai stato in Giappone). Rimanendone uno solo.

Tazaki aveva visto Sara con un altro, e non sa il rapporto tra i due. Ma ormai forte del percorso fatto chiede a Sara di fare lei un passo verso la verità (o la sua verità o la realtà, insomma, comunque un passo). Il giapponese Murakami però non intende aiutare il povero lettore, che dovrà lui, districandosi tra le parole, trovare la propria verità.

Come vedete, è un classico percorso descrittivo dell’evoluzione personale e sentimentale di Tazaki, che solo quando avrà ricostruito sé stesso, riuscirà a proporsi al mondo senza infingimenti. Anche se, per tutto il romanzo, non riusciamo a respirare quell’aria che porta al trionfo di chi realizza sé stesso. Che rimane sempre un fondo di malinconia e di non risoluzione, quella che avevo indicato come la coperta giapponese su di un discorso generale e valido ovunque.

Un elemento che comunque andrei a sottolineare è la poca consistenza dei personaggi femminili. Kuro e Shiro sembrano un aggiornamento moderno delle protagoniste di Norwegian Wood (e non vi dico altro su questo parallelo, che poi se ne potrà discutere). Con i due caratteri contrapposti: Kuro espansiva e disinibita e Shiro riservata ed un po’ frigida. Molto in linea con i loro soprannomi (bianca e nera) ma poco altro. Mentre anche l’altra donna, Sara, rimane irrisolta. Serve a scatenare il ritorno di Tazaki verso la propria identità, ma di lei, a parte l’eleganza, ed un lavoro connesso ai viaggi, non sapremo mai null’altro.

Forse è Murakami è un po’ indulgente verso il sé-Tazaki, che alla fine esce sulle sue gambe da tutta la storia. Sarà incolore, ma ha un’idea fissa in testa (costruire stazioni) e quella pratica. Non ha per molto tempo un’identità sessuale, ma Sara gliela farà palesare. Insomma, un eroe positivo, anche se di una fragilità estrema, avendo sempre bisogno di un puntello (Haida, Sara) per andare avanti.

In effetti, le pagine sono piene di spunti di riflessione, come quelli che ripropongo in fondo, piccoli e banali. E come tutti gli spunti, il loro ragionamento deve essere nostro e non dell’autore. Per cui, anche il finale aperto, che a me decisamente non piace, ha di certo un suo senso, nel libro e nella vita di tutti.

Per finire qui, con tutti i possibili alti e bassi, io sono un Murafan.

“Per quanto insignificante e piatta sia, la vita vale sempre di essere vissuta.” (73)

“Chissà perché le parole giuste vengono in mente sempre troppo tardi.” (245)

La musica di questo libro:

Autore

Titolo

Capitoli

Franz Liszt

“Le mal du pays” da “Years of Pilgrimage”

4,7,10,11,13,16,19

Thelonius Monk

“Round Midnight”

5

Elvis Presley

“Viva Las Vegas”

10

Schumann

“Träumerei” from Scenes from Childhood

11

Franz Liszt

Petrarch’s Sonnet 47 e 104 da “Years of Pilgrimage”

13, 19

Elvis Presley

“Don’t Be Cruel”

14

Visto il non piccolo sforzo di completare gli scritti su Murakami, questa volta nessuna altra citazioni, solo l’elenco dei libri del mese di agosto. Un mese dalle molte letture nel riposo di campagna. Illuminate dalla trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen e dall’interessante prova del brasiliano Samir Machado de Machado.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Michael Connelly

La notte più lunga

Pickwick

10,90

3

2

Lee Child

Zona pericolosa

TEA

12

2,5

3

Andrea Cotti

Il cinese

Corriere Profondo Nero

7,90

2

4

Wilbur Smith & Chris Walking

Fulmine

HarperCollins

16

2

5

Samir Machado de Machado

Il crimine del buon nazista

Sellerio

14

4

6

Maria Elisa Aloisi

Il canto della falena

Mondadori

6,50

3

7

Fabiano Massimi

L’angelo di Monaco

Repubblica Brivido Noir

8,90

2

8

Tove Ditlevsen

Infanzia

Fazi editore

15

4

9

Piergiorgio Pulixi

Per mia colpa

Mondadori

8,90

3

10

Kenzo Kitakata

Tokyo noir

Corriere

8,90

2,5

11

Georges Simenon

Faubourg

Repubblica

9,90

3,5

12

John Grisham

I fantasmi dell’isola

Mondadori

s.p.

1,5

13

Anne Holt

La pista

Repubblica Brivido Noir

8,90

2

14

Tove Ditlevsen

Gioventù

Fazi editore

15

4

15

Antonio Caron

Signorina Regina

Corriere Gazzetta

7,99

1

16

James Patterson

Il collezionista

TEA

8

3

17

Italo Calvino

Gli amori difficili

Repubblica

9,90

2

18

Luca Di Gialleonardo & Liudmila Gospodinoff

Il paradosso dell’arciere

Mondadori

5,90

3

19

Jussi Adler-Olsen

Il messaggio nella bottiglia

Feltrinelli

12

3

20

Tove Ditlevsen

Dipendenza

Fazi editore

15

4

21

Piergiorgio Pulixi

Un colpo al cuore

Rizzoli

16

3

22

Gwen Florio

La ragazza del Dakota

Corriere Oggi

8,90

2

Come detto, niente ulteriori citazioni che la trama è ben densa. Solo un suggerimento, ricavato dal lungo week-end di riposo. Se lo conoscete poco, tornate a visitare il Lago di Gara, ed in particolare i borghi del veronese (da Lazise a Malcesine). Quindi vi lascio con un abbraccio per affrontare un non facile mese di novembre.

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