Non è un mistero da un lato la mia passione per Haruki Murakami, dall’altro il dispiacere che non abbia ancora vinto il premio Nobel. Per consolarmi è da lungo tempo che leggo con attenzione e passione i libri dello scrittore. Tanto che non solo cerco di immedesimarmi nel suo mondo, ma anche di tirar fuori un elemento che mi è sempre gradito. Cioè la musica che sempre pervade i suoi scritti. Così questa settimana, avrete le trame disponibili e, laddove siano presenti, un elenco della musica principale che è risuonata in alcuni scritti. All’interno di queste trame segnalo una punta abbastanza alta raggiunta da “La ragazza dello Sputnik”. Per il resto, sempre buone letture che spero piacciano anche a voi.
Haruki Murakami “After Dark” Corriere – Murakami 13 euro 8,90
[A: 12/09/2020 – I: 19/03/2023 – T:
20/03/2023] - &&&
[tit. or.: アフターダーク Afutā dāku; ling. or.: giapponese; pagine: 164; anno 2004]
Uno dei libri più strani tra quelli che ho
finora letto dell’autore giapponese. Non strano in quanto pieno di realismo
magico come le sue opere più ponderose, precedenti o successive (penso, tra
quelle che ho letto, a “Kafka sulla spiaggia” o “1Q84”), ma per le prospettive
che usa, un atteggiamento quasi “post-moderno” nell’affrontare la materia,
nonché un modo di descrivere la vicenda estremamente particolare.
Non torno, ovviamente, sull’autore, di cui
saprete o avrete letto altre mie note. Quanto sul testo, che viene scritto nel
2004, ma che solo tre anni dopo ottiene la licenza di essere tradotto in
inglese, e da lì in altre lingue. Un testo che, come molte opere di Murakami, è
anche pieno di citazioni musicali, non a caso avendo l’autore gestito per
alcuni anni un jazz-bar a Tokyo. Anche qui sarebbe interessante che, in qualche
momento delle nostre ricerche, ci si fermasse magari a compilare un compendio esaustivo
della musica del nostro autore.
Che intanto si lega al titolo, per un doppio
filo. Da un lato, la storia si svolge dopo il tramonto, nello scuro della
notte, e, come per una volta ci indica l’autore, esattamente dalle 23:56 alle
6:52 del mattino successivo. Spesso Murakami lega le sue vicende al tempo, ma
solo qui c’è un esplicito nodo, simboleggiato da un orologio che scandisce il
tempo ad ogni inizio capitolo, e che poi, andandosi infittendo la notte, anche
più volte nello stesso capitolo.
Il secondo filo è il motivo che uno dei
protagonisti ama e suona ad un certo punto. Si tratta di “Five Spot After Dark”
interpretato dal trombone di Curtis Fuller e contenuto nel suo album
“Blues-Ette”. Termino l’inciso ricordando che, oltre ad altri brani di jazz,
nel testo si fa menzione di Hall & Oates e dei Pet Shop Boys.
La trama, di cui appunto seguiamo
l’intreccio scandito dagli orologi, ci fa fare un salto nella Tokyo notturna.
Il personaggio principale che seguiamo è Mari Asai, una studentessa di 19 anni,
che inizia la notte leggendo un libro da Denny’s, uno dei tanti locali fast
food in Giappone (io ne ricordo uno di fronte alla porta d’ingresso del
quartiere di Asakusa a Tokyo). Qui viene abbordata da Takahashi Tetsuya, uno
studente universitario con la passione del trombone (qui c’è l’aggancio con
Fuller). Takahashi conosce la sorella di Mari, Eri, e tutti e tre si erano
incontrati anni prima in una piscina. Lo studente, pur con la passione
musicale, sa che quella non è la sua strada e questa notte parteciperà ad
un’ultima jazz sessions, per poi dedicarsi allo studio ed alla giurisprudenza.
Dall’incontro dei due nasce una sarabanda di
avventure nella prospettiva di Mari. Lei si sposta di locale in locale, sempre
leggendo. Poi incrocia Kaoru, una wrestler in pensione che gestisce un love
hotel denominato “Alphaville” (con chiaro collegamento al film di Godard). Le
viene indirizzata da Takahashi che sa Mari conoscere il cinese, in modo che
possa parlare con una prostituta piccata dal sadico impiegato Shirakawa. Nel
Love hotel (inciso: sono alberghi in cui c’è molta privacy, ci si può andare per
qualche ora, peccaminosa, o tutta la notte; spesso sono usate da genitori di
famiglie numerose per avere momenti intimi) Mari ascolta molte storie e si
pacifica, mentalmente, con Eri, sua sorella, da cui torna.
Qui vediamo l’altra parte della storia,
quella onirica e magica. Eri, bella e modella, è stanca del suo mondo
inconcludente, e decide di entrare in letargo. La vediamo stesa sul letto,
dormire in pose quasi da “morta”, in una stanza spoglia, con solo un televisore.
Da dove la guarda una persona che potrebbe essere Shirakawa. Nel sogno o nel
sonno, Eri entra nel televisore, ha esperienze di forte paura, poi torna nel
letto, dove la raggiunge Mari.
Questa è un po’ la descrizione epidermica
dei fatti, laddove non si percepisce, non si può percepire il modo di
raccontare di Murakami, non essendo io Haruki. L’autore ci fa seguire le scene,
in particolare quelle di Eri, come se fossimo in un film. Ne descrive i
particolari minuti, quasi come una sceneggiatura sovrabbondante. L’effetto,
alienante come tutta la tematica del testo, è quella strana sensazione in cui
noi guardiamo tutto ma non possiamo intervenire. Siamo come dei droni, che
veleggiano nel mondo creato da Murakami, ne percepiamo suoni, colori e odori,
ma l’autore ci avverte: voi non fate parte della trama, voi siete lì, non
potete far altro, eventualmente, che empatizzare con qualcosa, avendo però
tutti i propri ruoli. Io, Murakami, scrivo, loro (Mari, Takahashi, Eri e gli
altri) agiscono, voi, lettori, state al di là della pagina, e leggete, leggete,
leggete.
Tanto che alla fine (o anche durante) stiamo
lì a chiedere: sogno o realtà? Tornando sempre all’apologo citato da Queneau ne
“I fiori blu” (è Zhangzui che sogna di essere una farfalla o è la farfalla che
sogna di essere un uomo?)
Quello delle prospettive è uno dei punti
forti del testo, insieme ad una descrizione, reale e non epidermica, delle
notti giapponesi. Una prospettiva (ricordate di quanto detto sui droni) che ci
porta agli ambienti giapponesi: locali aperti sino a tarda notte, alberghi per
fare l’amore anche senza prostituzione, stazione di treni, giapponesi che
studiano il cinese, la mafia cinese che gestisce la prostituzione, giovani che
suonano la notte che di giorno fanno altro.
Pur non essendo in sintonia con gli elementi
onirici, è un buon libro (e dell’ottima musica).
La musica di questo libro:
Autore |
Titolo |
Percy Faith Orchestra |
Go Away Little Girl |
Curtis Fuller |
Spot After Dark |
Burt Bacharach |
The April Fools |
Martin Denny’s |
More |
Ben Webster |
My Ideal |
Duke Ellington |
Sophisticated Lady |
Pet Shop Boys |
Jealousy |
Hall and Oates |
I Can’t Go for That |
Sonny Rollins |
Sonnymoon for Two |
Shikao Suga |
Bomb Juice |
Haruki Murakami “La ragazza dello Sputnik”
Corriere – Murakami 12 euro 8,90
[A: 27/07/2020 – I: 26/02/2024 – T: 27/02/2024]
- &&&&
[tit.
or.: スプートニクの恋人 Supūtoniku no koibito; ling. or.: giapponese; pagine: 216; anno 1999]
Dopo alcune prove altalenanti, torniamo
finalmente ad un Murakami di livello. Un romanzo complesso, pieno di spunti,
che, attraverso una trama in apparenza lineare, ci porta già (siamo ancora
nell’altro secolo) alle tematiche che negli ultimi anni più appassionano la
scrittura del maestro giapponese. L’identità, l’incomunicabilità, la dimensione
dell’esistenza, dove si percepisce sempre l’esistenza di altro, che, laddove
non riesce ad essere definito, Haruki trasfigura in dimensioni diverse,
oniriche, a volte quasi troppo fantastiche o fantasiose.
Dicevo, una storia lineare, ben distinta in
due diverse parti. Nella prima conosciamo i personaggi, nella seconda Haruki
cerca di mostrarcene l’essenza intima, usando quelle costruzioni iperboliche da
cui dobbiamo lasciarci cullare senza fare domande.
Tre sono i personaggi che si muovono nel
testo. C’è l’io narrante, di cui non viene mai detto il nome, è la voce che
racconta, la penna che scrive, colui che, a volte inconsciamente, muove i fili
delle trame dei personaggi. C’è Sumire, una giovane amante della letteratura
che per scrivere abbandona tutto e tutti, anche se non riesce a produrre nulla.
Il narratore è il suo confidente, quello a cui fare tutte le domande che ti
vengono in mente, anche le più assurde, anche nel cuore della notte. E lui,
innamorato senza riuscire mai a dichiararsi, non si tira indietro. Perché non
può recidere il filo che lo lega alla violetta.
Non è un iperbole, Sumire in giapponese vuol
dire violetta, ed a lei è stato dato quel nome dalla madre appassionata
dell’opera lirica. Un basso continuo che, come in molti testi di Haruki,
accompagna l’agire dei personaggi, come dalla piccola nota che riporto in
finale.
E poi c’è Myu, una donna adulta,
incidentalmente sposata, che accoglie sotto la sua ala Sumire, che la fa
crescere, che la coinvolge nelle sue attività, e di cui Sumire perdutamente si
innamora. Ma Myu ha un segreto, che poi scopriremo, che la rende totalmente
anaffettiva, incapace di rapportarsi agli altri se non in modo formale.
Dopo aver visto i nostri agire in terra
giapponese, l’azione si sposta in un’isola greca, dove Myu e Sumire si erano
concessi alcuni giorni di relax. Lì Myu svela il mistero dei suoi capelli
bianchi. In un soggiorno viennese, si trova in maniera rocambolesca a dormire
in un vagoncino della ruota del Prater inavvertitamente fermatosi. Da lì vede
una scena che si svolge nella sua casa. Un losco figuro la circuisce e la
violenta. Cioè ha questo sdoppiamento (siamo entrati nel livello onirico di
Haruki) che la colpisce e la spaura, tanto, appunto da imbiancarle per sempre i
capelli.
Lì, dopo queste rivelazioni, Sumire si fa
coraggio e confessa a Myu di essersene innamorata, ma Myu non riesce ad aprirsi
a nessun sentimento e la sua freddezza gela Sumire. Lì Sumire sparisce senza
lasciare tracce. Lì viene invitato a raggiungerle (o a raggiungere Myu) per
capire dove sia finita Sumire. Lì anche il narratore conosce la storia di Myu,
ma non trova neanche lui traccia della giovane scomparsa, non potendo alla fine
che tornare solitario a casa.
Tutta questa seconda parte è soffusa da
un’aura di irrealtà, di alterità, quasi esistessero dimensioni altre in cui
concretizzarsi (siamo quasi a “1Q84”), fino a che Sumire telefona al narratore,
in modi che volutamente sono da Haruki posti tra il reale ed il sogno. Così che
ognuno (ed in rete ho letto diversi testi che interpretano questo finale in
modi a volte opposti) costruisce il proprio finale.
Il narratore sogna la telefonata perché
vuole tornare in contatto con Sumire, ma è un sogno. Oppure non è un sogno, ma
un modo di essere di Sumire che gli dice esisto, ma in un mondo in cui non
potrò tornare al vecchio mondo. Oppure è un segnale di apertura, dove Sumire,
dopo aver fatto il suo giro del mondo mentale, tornerà per essere
l’inconcludente stimolo della vita sua e del narratore. Dovete leggerne per
avere la vostra opinione.
Quanti sono i temi che solleva Murakami! Gli
effetti di un amore non corrisposto che inducono a riflettere su quali siano le
barriere che sperano l’amicizia dall’amore e questo dal desiderio sessuale. Che
ha come corollario, i diversi modi che ognuno ha (può avere) nel prefigurarsi
una vita di coppia. Il conflitto tra seguire i propri sogni e reprimerli,
passando per la comprensione, spesso mancante, di quale sia il percorso da
seguire per realizzare i sogni, e la forza interiore che bisogna avere nel momento
in cui ci accorgiamo che questi stessi sogni si stanno dissolvendo.
L’inconoscibilità della propria essenza, del proprio io, che spesso viviamo
sentiamo come fosse diviso in entità separate (una, due, molteplici).
Sensazione che si fa dirompente sino a provocare una scissione anche fisica di
quanto pensiamo di rappresentare. Perché la verità è sfuggente, gli eventi
reali oscurano le percezioni del singolo. Perché, dice Haruki, la comprensione
non è altro che un insieme di fraintendimenti.
Sumire, con la sua inconcludente curiosità
di vivere, quando decide di essere sincera verso sé stessa, non può che
perdersi, non può che scindersi e sparire (o riapparire al telefono, una delle
metafore più volte usate da Haruki). Come si scisse Myu in quel di Vienna. Come
l’io narrante che tornerà dalla Grecia mutato, non potendo più essere l’io di
prima ma non avendo compreso cosa sia il suo io di adesso.
Come in tutti i migliori testi di Haruki ci
sono sia una serie di rimandi esterni, di citazioni più o meno palesi: c’è
Keruac (su cui torneremo), ma ci sono Gregory Peck, Godard e Hitchcock, c’è
Astrud Gilberto che canta brasiliano ed un soprano che canta Puccini.
Poi, quasi in un ripasso delle sue
scritture, ci sono rimando di Haruki alla proprie opere. La frase sulla
comprensione ed i malintesi è ripresa da “Ranocchio salva Tokyo”. Sumire legge
un articolo di giornale su una vecchia che è stata mangiata dal suo gatto
domestico, scena presente nel racconto “Il gatto mangiatore di uomini”. Anche
qui, come in altre opere, ci sono dentisti, come il personaggio principale nel
racconto “Sonno” o come il padre di Izumi in “A sud del confine, a ovest del
sole”.
C’è infine (e qui mi fermo) una citazione in
cascata. Sumire si ubriaca dopo aver bevuto cinque daiquiri alla banana, che
rimanda al racconto “Affari di famiglia” dove il personaggio narratore racconta
di una scena relativa ad una ragazza che beve un daiquiri alla banana, ma che
alla fine fa riferimento a Fredo Corleone che ne “Il Padrino Parte II” per
esprimere la sua tristezza ordina un daiquiri alla banana.
Infine, una delle cose più belle è la genesi
del titolo all’interno del romanzo. Sumire è intensamente presa da Jack Keruac
di cui porta sempre un libro con sé. Myu, vedendola, le chiede se fa parte
degli Sputnik, chiarendo che si riferisce ad una corrente letteraria di cui ha
sentito vagamente parlare, così che Sumire capisce che si riferisce ai Beatnik,
una derivazione interessante della corrente beat di Keruac. Comunque, da quel
punto in poi, Sumire sarà “la ragazza dello Sputnik”.
Dotto chiarimento: il termine Beatnik venne
coniato da un giornalista americano (Herb Caen) nel ’58, per ironizzare sulle
tendenze sinistrose dei beat. Per lui i beat alla Keruac erano dei comunisti in
pectore, che preferivano seguire i lanci russi nello spazio (gli Sputnik)
invece di quello americani. Quindi Beat + Sputnik = Beatnik.
La musica di questo libro:
Autore |
Titolo |
Capitolo |
Debussy
|
Preludi |
1 |
Chopin
|
Scherzo |
1 |
Beethoven
|
Sonata no. 32 |
1 |
Edvard
Grieg |
General Mention |
1 |
Prokofiev
|
General Mention |
1 |
Mozart
|
Sonate (varie) |
1 |
Marc
Bolan |
General Mention |
4 |
Bobby
Darin |
The Greatest Hits of Bobby Darin |
5 |
Liszt
|
Piano Concerto no. 1 |
6 |
Ten
Years After |
General Mention |
6 |
Brahms
|
Ballate |
9 |
Haruki Murakami “I salici ciechi e la donna
addormentata” Corriere – Murakami 21 euro 8,90
[A: 28/08/2020 – I: 20/07/2024 – T: 23/07/2024]
- &&
[tit.
or.: めくらやなぎと眠る女, Mekurayanagi to, nemuru onna; ling. or.: giapponese; pagine: 400; anno 2006]
Una nuova raccolta di racconti di Murakami,
con la (mia) grossa difficoltà nell’entrare nello spirito dei testi, unito ed
aggravato dalla rarefazione dei testi stessi. Avevo già detto, in altre trame
sui racconti del grande giapponese, che nei suoi testi quello che conta è il
percorso delle parole, piuttosto che una trama in senso stretto. Così che in
quasi tutti i testi si rimane sospesi, si arriva alla fine un po’ sconcertati,
si apprezzano alcuni momenti, ma alla fine non rimane molto nella testa e nel
cuore.
Tra l’altro è un’antologia ibrida, che i 24
racconti sono scritti in un ampio spazio temporale (dal 1980 al 2005),
pubblicati, anche in forme diverse, su riviste giapponesi, e solo nel 2006
riuniti antologicamente per una pubblicazione in lingua inglese. Solo l’anno
seguente ne uscirà la versione originale in lingua giapponese. Con un primo
piccolo particolare: il titolo della raccolta riporta “Salici ciechi, donna
addormentata”, mentre il titolo del testo che dà il nome alla raccolta
inserisce una congiunzione ed elimina la virgola.
In un certo senso, il legame di questi
racconti slegati è forse proprio l’incoerenza, sia nel metterli insieme, sia
all’interno di ogni storia. Storie banali che raccontano vite banali, ma che
servono a Murakami per entrare a gamba tesa nella critica di una società che
sta perdendo la propria identità e la propria storia. Anche se svariano nello
spazio e nel tempo, è l’affresco sociologico che ci propone l’autore. Laddove
nulla cambia realmente, se qualcosa cambia i protagonisti non lo capiscono,
anche se il cambiamento porta a rivoluzioni epocali. Come quelle che vive il
Giappone, amato e odiato da Murakami, che dipende molto dalle sue tradizioni,
dove tuttavia il loro senso profondo viene spesso dimenticato.
Qui, se mi consentite, faccio un’opera lunga
a forse un po’ filologica, ma mi piace entrare nei piccoli spunti del
ventiquattro testi, magari chiosandone dei passi. È un po’ lungo, ma, anche se
non mi piace il libro, continuo a ritenere Murakami degno di essere letto.
I salici ciechi e la donna addormentata めくらやなぎと、眠る女 (Mekurayanagi to, nemuru
onna, 1995)
È l’esempio tipico di tutta la raccolta. Uno
studente accompagna il cugino ad una visita medica e ricorda un’altra visita ad
una loro amica degente. Questa racconta una sua storia inventata: del polline
di salici ciechi è trasportato nell’orecchio di una donna addormentata, da dove
entrano e la divorano dall’interno. Dopo la visita i due tornano verso casa.
Ecco, storia, avvenimenti, cose che non si incastrano, il racconto dei salici
che è scollegato da tutto il resto. E qualcosa che c’entra solo perché la nostra
mente è poliedrica. Pensando alla malattia del cugino, lo studente ricorda una
battuta dal film “Fort Apache”: "Non preoccuparti. Se sei riuscito a
individuare alcuni indiani, significa che non ce ne sono". Ovvio
riferimento ai segnali di una malattia.
Ma noi che siamo curiosi e cinefili, siamo
andati a fondo. Il film, in italiano, si intitola “Il massacro di Fort Apache”
ed è del 1948, diretto da John Ford, con un impagabile John Wayne ed una
deliziosa Shirley Temple. La battuta è detta da Wayne al suo comandante, Henry
Fonda, che però non la capisce, attacca i pochi indiani, e viene massacrato. Un
modo traslato per Ford di riproporre e criticare la vicenda del generale
Custer.
Birthday Girl バースデイ・ガール (Bāsudei gāru, 2002)
Questo è un racconto scritto per
un’antologia intitolata “Storie di compleanni”. Una cameriera di vent’anni, per
motivi che sono irrilevanti, riceve la possibilità di esprimere un desiderio.
Sappiamo che lo fa, ma non sapremo mai quale sia e se sia avverato.
La tragedia nella miniera di carbone di
New York ニューヨーク炭鉱の悲劇
(Nyū Yōku tankō no higeki, 1990)
Apparso in origine in rivista in versione
più lunga, narra di un uomo che per partecipare ai funerali di suoi amici si fa
prestare l’abito scuro da un amico che ha la mania di visitare gli zoo durante
i funerali. Alla fine dell’anno, in una festa a Rappongi, il nostro incontra
una donna che gli dice di aver ucciso una persona che gli assomigliava. Al
solito, c’è il finale estraniante: l’ultima parte del testo narra di minatori
intrappolati in una miniera di carbone.
L'aeroplano – o come lui parlasse da solo
con l'aria di recitare una poesia 飛行機―あるいは彼はいかにして詩を読むようにひとりごとを言ったか (Hikōki –
Arui wa kare wa ika ni shite shi o yomu yō ni hitorigoto o itta ka, 1987)
Come il precedente, riscritto da una
precedente versione. Un uomo ha una relazione sessuale con una donna che ha
sette anni più di lui. Lei piange a comando, lui recita poesie sottovoce senza
accorgersene. Lei scrive il testo dei monologhi, e scoprono che lui parla di
aeroplani. Perché? Il racconto finisce.
Lo specchio 鏡 (Kagami, 1983)
Questo è invece il primo di alcuni racconti
“di paura”. Un post-liceale accetta un lavoro di guardiano notturno in una
scuola. Una notte vede una persona riflessa in uno specchio. È solo ma la
figura non è la sua. Rompe lo specchio e fugge. Al mattino non ci sono specchi
rotti da nessuna parte. Il ragazzo non metterà mai specchi in una sua casa.
Il folclore dei nostri tempi, preistoria
del capitalismo avanzato 我らの時代のフォークロア―高度資本主義前史 (Warera no jidai no fōkuroa:
kōdo shihonshugi zenshi, 1989)
Murakami, essendo del ’49, ha ovviamente
vissuto gli anni della contestazione, che bolla con l’epiteto del sottotitolo:
preistoria del capitalismo avanzato. Qui narra una storia come fosse una
metafora proprio di quegli anni. A Lucca incontro un suo vecchio amico, lo
ricorda fidanzato con Yoshiko. Lui gli racconta che stavano bene insieme ma non
fecero mai sesso, che Yoshiko voleva arrivare vergine al matrimonio. Stanno
insieme per anni, poi, inevitabilmente si lasciano. Dopo essersi sposata,
Yoshiko lo chiama dicendogli essere disposta, finalmente, a fare l’amore. Ma
non è la stessa cosa, non è la stessa sensazione. I due si lascino e non si
vedranno più. Quella sera va a letto con una prostituta prima di continuare con
il resto della sua vita.
Coltello da caccia ハンティング・ナイフ (Hantingu naifu, 1984)
Un uomo è in vacanza insieme alla su
un'isola del Pacifico, molto probabilmente Guam, dove incontrano un’anziana
donna con il figlio su una sedia a rotelle. Dopo varie storie senza
connessioni, la sera prima della partenza, l’uomo incontra di notte il
paralizzato, che gli mostra un coltello da caccia, e gli racconta il suo sogno:
il coltello è conficcato nella sua testa ma non è in grado di tirarlo fuori,
per quanto ci provi.
La giornata giusta per vedere i canguri カンガルー日和 (Kangarū biyori, 1981)
Mentre tutti i testi hanno il titolo
correttamente tradotto, questo è uno dei pochi leggermente diverso, visto che
l’originale titola anodinamente: “Tempo da canguri”. Una coppia, saputo che dai
canguri dello zoo è nato un piccolo, decidono di andarli a vedere. Ma è passato
tempo, ed il canguro non è più nel marsupio, lasciandoli delusi a sorseggiare
una birra.
Il tuffetto かいつぶり (Kaitsuburi, 1981)
Qui ci vorrebbe mio cugino, che a lungo ho
cercato di capire il senso del testo, anche perché pensavo ad un tuffo nelle
acque. Mentre il titolo si riferisce ad un piccolo volatile, che forse è
chiamato svasso. Ma la storia straniante narra di un uomo che deve prendere
servizio in un posto misterioso, dove non lo fanno entrare perché non sa la
parola d’ordine. Lui inventa “tuffetto”, parola che viene riportata al capo del
posto che in effetti è un “tuffetto”. Ecco i tanti misteri degli
antropomorfismi di Murakami.
I gatti antropofagi 人喰い猫 (Hito-kui neko, 1991)
Altra storia straniante, che fa risuonare
altri testi di Murakami. Un uomo e una donna, sposati con altri, hanno una
relazione. Scoperti, decidono di andare via e riparano in Grecia (luogo spesso
frequentato da Murakami), dove leggono la storia di una donna che muore in
casa, e viene divorata dai suoi gatti che non hanno nulla da mangiare. La
notte, la donna si allontana e scompare. Ricorda molto le atmosfere della
ragazza dello Sputnik, dove il romanzo riesce a darci una dimensione completa e
comprensibile di tutto il contesto. Qui, è monco.
Storia di una zia povera 貧乏な叔母さんの話 (Binbō na obasan no hanashi,
1980)
Metafora di qualcosa di cui ci si vergogna,
il protagonista si trova qualcosa attaccato alla schiena. Ognuno ci vede
qualcosa di diverso, ma sempre qualcosa di cui non andare fieri. Così come è
venuta “la zia povera” attaccata alla schiena ad un certo punto e senza motivo
scompare.
Nausea 1979 嘔吐1979 (Ōto 1979, 1984)
Un amico dell’autore, molto attivo con le
donne, gli racconta che ha sofferto per 40 giorni di nausea, dal 4 giugno al 14
luglio 1979. Ogni volta riceva una misteriosa telefonata. L’ultimo giorno il misterioso
telefonista gli chiede “Sai chi sono?”, e le nausee terminano. I due sono
sicuri che tutto ciò abbia un significato, ma non sanno quale.
Il settimo uomo 七番目の男 (Nanabanme no otoko, 1996)
Un uomo (e ci si domanda il valore del
numero sette) racconta una grande paura avuta quarant’anni prima. Durante un
tifone, mentre era in spiaggia con un suo amico, una grande onda porta via il
suo compagno mentre lui viene risparmiato. Da quel momento e fino ai suoi
cinquanta non ritorna mai al mare. Quando lo fa ritrova i bellissimi dipinti
del suo amico, e fa la pace con la sua coscienza, pronunciando la farse sulla
paura che vi riporto in fondo.
Nell'anno degli spaghetti スパゲティーの年に (Supagetī no toshi ni, 1981)
Gli spaghetti come simbolo della solitudine,
dove il protagonista, per un anno, nel 1971, non incontra nessuno, rimane in
casa e cucina solo spaghetti. Quando qualcuno lo cerca, si nega e torna ai suoi
spaghetti. Che tra l’altro, essendo Murakami stato spesso in Italia, sono
proprio spaghetti, tant’è che parla di “carbonara”.
Tony Takitani トニー滝谷 (Tonī
Takitani, 1990)
Strano il destino di questo testo, che
essendo più articolato di altri, consente una maggiore elaborazione, tanto che
nel 2004 un regista giapponese (per chi ne vuole sapere si tratta di Ichikawa
Jun) be trae un film.
La storia parte da Shozaburo Takani,
trombonista jazz, che vive in Cina negli anni ’30, tornato poi in patri dopo la
guerra, si sposa, ed al figlio mette un nome “da jazz”, Tony. Morta la moglie,
lui in tournée, Tony cresce da solo diventando un buon illustratore. A 37 anni
sposa una donna di quindici anni più giovane, che si dimostra ben presto una
“addicted” dello shopping, comprando quantità esorbitanti di vestiti e di
scarpe. Quando Tony la rimprovera, lei esce furiosa di casa e muore in un
incidente. Tony si intristisce, paga una modella perché indossi gli abiti,
nuovi, della moglie. Poi si pente, manda tutto all’aria. Poco dopo muore anche
il padre, lasciandogli una valentissima collezione di vinili. Tony vende tutto,
ed alla fine si accorge di essere veramente solo.
Come vedete, anche qui una metafora della
solitudine, condita da due delle passioni di Murakami: fumetti e jazz.
Splendore e decadenza delle ciambelle a
cono とんがり焼の盛衰
(Tongari-yaki no seisui, 1983)
Altro testo che inizia “normale” poi vira in
metafora. Un giovane si trova coinvolto in una gara per una nuova ricetta di un
dolce denominato “ciambelle a cono”, che prima di allora non aveva mai sentito
nominare. Ne produce una nuova, per avere il premio di due milioni di yen.
Sottoposto al giudizio dell’azienda produttrice, sembra favorito, ma deve
superare la prova finale. Ed ecco il salto: vincerà se le ciambelle a cono
saranno graditi dai Corvi delle Ciambelle, enormi uccelli obesi che mangiano
solo quello. Vincerà?
L'uomo di ghiaccio 氷男 (Kōri otoko, 1991)
Metafore su metafore. Una donna si innamora
di un uomo, indicato come “Uomo di Ghiaccio”. Imperturbabile, empatico con gli
altri, ma assolutamente incapace di programmare e prevedere un futuro. Contro
tutti i pareri i due si sposano, ma lei è infelice per la freddezza del marito
e la mancanza di figli. Decidono una vacanza al Polo Sud (mettiamoci una
caterva di punti interrogativi qui). Dove l’uomo si trova nel suo elemento, ed
è felice, finalmente concepiscono un figlio, un bambino di ghiaccio, ma la nostra
protagonista capisce che non riusciranno mai ad andare via di lì.
Granchi 蟹 (Kani, 2003)
Venti anni prima, Murakami scrive un testo
intitolato 野球場
(Kani, Il campo da baseball), e qui decide di rielaborarne una parte, spostando
l’zione a Singapore dove una coppia entrando a caso in un ristorante, fa enormi
scorpacciate di granchi. Tutto sembra andar bene, i due ci tornano ogni sera.
Ma l’ultima notte, lui si sente male, vomita granchi a tutto spiano, e ne
scopre una famiglia enorme di vermi. Poi, davanti alla finestra giura che non
mangerà più granchi e che la storia con la ragazza non potrà avere molto
seguito.
La lucciola 螢 (Hotaru, 1983)
Qui invece abbiamo una premonizione, laddove
l’idea base del racconto (l’amico suicida, l’incontro ed il rapporto con l’ex
del suo amico a Tokyo, ed altre piccole parti del rapporto a tre monco) sarà
parte di quello che per me è da sempre il miglior testo di Murakami: “Norwegian
Wood/Tokyo Blues”.
Qui, oltre alla parte poi ripresa nel
romanzo, c’è l’amicizia del protagonista con un suo compagno di Università, che
da sempre vuole fare il cartografo, e che, dopo le storie del nostro con la
ragazza, gli regala un barattolo con una lucciola. Il racconto termina
osservando il ragazzo che sul tetto della scuola, libera la lucciola.
Percorsi del caso 偶然の旅人 (Gūzen no tabibito, 2005)
Qui Murakami ci parla in prima persona,
portando esempi di casualità della vita. Due lo riguardano da vicino. Nel
primo, in un Jazz club, si trova ad ascoltare uno dei suoi pianisti preferiti,
Tommy Flanagan, sperando che questi possa suonare due pezzi che adora:
“Barbados” di Charlie Parker e “Star-Crossed Lovers” di Duke Ellington.
Ovviamente, per caso, Tommy chiude il concerto con questi due pezzi. Nel
secondo, entra in un negozio di dischi, il 5-Spot (che p anche il nome di una
jazz hall americana) dove acquista un raro disco del sassofonista Pepper Adams,
intitolato “10 to 4 at 5-Spot”. Mentre esce dal 5-Spot, un ragazzo gli chiede
l’ora, lui guarda l’orologio e gli dice “10 to 4” (l’azione di svolge nel
Massachusetts).
Racconta le storie ad un suo amico, che gli
rimbalza con la sua. Lui, accordatore di pianoforte gay, quando fece coming out
ruppe con la sorella. Ora sono dieci anni che non sente la famiglia, ha un
solido rapporto, ma frequenta un centro commerciale nelle ora di pause. Lì
legge libri ed incontra una donna sposata che legge il suo stesso libro, “Casa
desolata” di Charles Dickens. I due diventano amici, senza che lui le dica di
esser gay. Molto amici, tanto che la donna, dopo mesi di frequentazioni, gli chiede
di andare a letto con lei. A questo punto deve dirgli la verità e lei gli dice
che, benché sposata, si era risolta a questa avances perché il giorno dopo deve
subire un’operazione al seno. Il nostro, solo e pensoso, decide di chiamare la
sorella che, appunto, non sentiva da dieci anni. E questa gli dice che
aspettava questa telefonata, perché il giorno dopo avrebbe avuto un’operazione
al seno per un possibile tumore.
Eccoli, i percorsi del caso…
Hanalei Bay ハナレイ・ベイ (Hanarei Bei, 2005)
Questo per me è il migliore testo del libro.
Sachi è una pianista di jazz, vedova, che
perde il suo unico figlio che, in vacanza alle Hawaii per fare surf nella baia
di Hanalei, viene attaccato da uno squalo e muore. Lei va nella baia, e rimane
incantata dal posto, dove ritorna ogni anno per tre settimane pensando al
figlio, ed impiegandosi saltuariamente come pianista in un bar locale. Ci sono
altre storie, legate in vario modo a questa principale, per cui è l’unico che
invito a leggere. A me rimane la figura di Sachi, ed il suo stare seduta in una
sdraio di fronte alla baia di Hanalei (e se dovessi musicarlo ci metterei “En
el Muelle de San Blas” dei Manà).
Inoltre, la baia non solo è reale, ma è
realmente un paradiso per surfisti.
In un posto dove potrei trovarlo どこであれそれが見つかりそうな場所で (Doko de are sore
ga mitsukarisō na basho de, 2005)
Una donna contatta un investigatore, che
cerca senza compenso persone scomparse, perché il di lei marito è scomparso tra
il 24º e il 26º piano del grattacielo in cui abitano. Scomparso per le scale,
visto che il marito non prendeva mai l’ascensore. L'investigatore si
trasferisce nel grattacielo, incontra varie persone anche loro per le scale,
che conoscevano di vista lo scomparso. Il nostro ritiene che lì ci sia una
porta segreta (prodromo dei passaggi segreti tra varie dimensioni mentali e
temporali delle sue opere migliori). Quando venti giorni dopo il marito viene
ritrovato senza memoria in una stazione ferroviaria periferica, l’investigatore
decide comunque di continuare a cercare la “porta”.
La pietra a forma di rene che si spostava
ogni giorno 日々移動する腎臓のかたちをした石
(Hibi idō suru jinzō no katachi o shita ishi, 2005)
Qui abbiamo una storia che potrebbe essere
un prequel di “Torta di miele” pubblicato cinque anni prima in “Tutti i figli
di Dio danzano”. Ritorna infatti Junpei, qui non ancora scrittore come
nell’altro racconto (che vi invito a ricercare nelle mie trame). Ha come un
blocco che non riesce a portare avanti un racconto, finché non incontra Kirie,
donna bella e misteriosa. È lei che gli suggerisce la storia di una pietra a
forma di rene che una dottoressa, con una storia con un dottore sposato, trova
in riva al mare. Junpei prende l’inizio e lo sviluppo con la pietra che, benché
usata come fermacarte, si sposta nello studio della dottoressa. E quando questa
la getta nel mare, la pietra poi torna al suo posto.
Scritto il testo lo vuole condividere con
Kirie, ma lei è scomparsa. Solo mesi dopo, in una casuale trasmissione
radiofonica, scopre che Kirie è una lavavetri acrobatica di grattacieli. A
questo punto, Junpei può chiudere il racconto, e la pietra scompare.
La scimmia di Shinagawa 品川猿 (Shinagawa saru, 2005)
Qui ci si incarta in uno strano rapporto
psicologico-fantastico. Mizuki dimentica spesso il suo nome, chiede aiuto ad un
centro psicologico di Shinagawa, dove trova una dottoressa molto accudente.
Scopriamo che il trauma di Mizuki è legato ad una sua compagna che, durante il
collage, le consegna la targhetta con il suo nome, dicendole “Attenta a non
fartele rubare da una scimmia”. Poi l’amica nella notte si suicida. Dopo la
confessione, Mizuki cerca le targhette, ma non le trova. È invece la
dottoressa, con il marito, che trova una scimmia parlante (ecco il fantastico
di Murakami che entra), che ruba le targhette pere entrare nella psiche delle
persone. Mizuki si fa raccontare dei suoi problemi, si fa riconsegnare le
targhette, ed ottiene che la scimmia venga liberata lontano dalla città e non
torni a disturbare gli umani.
Ed ora aspettiamo la prossima lettura.
“Non che valesse gran che, quel cane. Era
un fifone, abbaiava a tutto quello che vedeva … Non era di nessuna utilità,
sapeva soltanto far rumore.” (151)
“Noi esseri umani non dobbiamo temere la
paura in sé. La paura esiste … a volte opprime la nostra vita … la cosa più
temibile, però è … chiudere gli occhi per non vederla.” (194)
“Il mio segno è la bilancia. Non riesco a
sopportare le cose sbilanciate.” (346)
Haruki Murakami “L’arte di correre”
Corriere – Murakami 19 euro 8,90
[A: 17/09/2020 – I: 07/09/2024 – T: 08/09/2024]
- &&&
[tit.
or.: 走ることについて語るときに僕の語ること Hashiru koto ni tsuite kataru toki ni boku
no kataru koto;
ling. or.: giapponese; pagine: 146; anno 2007]
Era molto tempo che avevo in mente di
leggere questo libro, per un motivo personale che forse vi dirò più avanti. Nel
corso quindi della lettura analitica e didascalica dell’opera di Murakami sono
ben contento che ora mi sia capitato tra le mani. Avevo anche immaginato che
non fosse solo e soltanto un manuale del corridore, ma in particolare,
conoscendo l’autore, fosse un modo per raccontare una parte di sé.
Comunque, al solito, cominciamo invece dal
titolo. Che nella versione italiana è anodino e generico, mentre nell’originale
aveva anche un rimando abbastanza esplicito ad altro. Infatti, la traduzione
dal giapponese (che ho trovato in un sito ben ferrato nella lingua) è “Di cosa
parliamo quando parliamo della corsa”, che penso a tutti faccia subito venir in
mente il bel libro di Raymond Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore”.
Tutta una diversa simbologia, tutto un grande rimando. Perché Murakami non
parla solo di correre, anche se è il filo rosso del testo, ma parla della sua
scrittura, e del parallelo tra le due attività.
Certo, si parla della corsa, e
dell’approccio che Murakami ha avuto verso questa espressione corporea. Da
quando nel 1982 decide che deve trovare uno sfogo fisico per mantenersi in
(discreta) forma, iniziando quindi a correre ed a farlo impegnandosi, una
costanza che gli servirà per imbastire più avanti i suoi percorsi paralleli.
Intanto, confessa di aver partecipato a più
di trenta maratone, ed anche a qualche ultramaratona, come quella di cento
chilometri che si svolge nel nord del Giappone, nell’isola di Hokkaido. Ma
soprattutto, è interessante la descrizione che fa della sua prima, vera
sgambata multi-chilometrica, sul percorso classico da Maratona ad Atene. Una
corsa solitaria, che serviva a raccogliere i propri pensieri, a immaginarsi il
passo di Filippide, ed a confessare che, comunque, i suoi tempi migliori si
sono sempre aggirati sulle tre ore e mezza.
Cosa ci insegna la scrittura di Murakami
sulla corsa e sul suo parallelo della scrittura. Innanzi tutto, che al nostro
piace fare le cose da solo, sfidando sé stesso. Il corridore è orgoglioso di
aver portato a termine la sua gara, non importa i quale posizione. Così come il
pensiero principale dello scrittore lo porta alla ricerca di raggiungere il
livello di scrittura e di messaggio che si era prefissato cominciando a
scrivere. Senza aver cura di onori, premi, vendite. Scrivere è un atto
solitario, non come tutte le corse, ma di certo come la maratona.
Ed è proprio lo star solo chino sulla
scrittura, serve a Murakami per parlarci del lato fisico della scrittura;
l’autodisciplina, la concentrazione, la resistenza. Almeno nella sua scrittura,
che noi conosciamo altri che, invece, sono degli scattisti della penna.
Pensiamo solo a Simenon che scriveva i suoi romanzi in media in una settimana,
e non erano certo romanzi “a perdere”.
Quindi, se la corsa diventa uno strumento
per superare (i propri) ostacoli, è attraverso la corsa che ci dice di trovare
la forza interiore per praticare una strada che lo possa portare a realizzare i
propri sogni. Ed ecco allora la sfida. Correre, continuare a correre, cercando,
con il passar degli anni, di rimanere o migliorare le proprie prestazioni.
Quindi, provare, ed ancora provare. Come nella scrittura, dove, analogamente
alla corsa, spesso Murakami riprende brani, idee, anche situazioni che aveva utilizzato
in qualche suo scritto, per scriverne ancora sopra, per alzare l’asticella, per
sfidare sé stesso a migliorarsi, a piacersi di più.
Ma solo nella propria scrittura, perché
sempre, ed anche qui, non cerca di sedurre, non cerca di indurre il lettore né
a correre, né a scrivere, ma solo a lavorare su noi stessi, a provare, a non
rimandare di fare quello che possiamo fare solo perché è inutile provarci,
perché non si ha tempo. Noi sappiamo, e lo sa anche lui, che poi il tempo, per
tutti finisce.
Non essendo io un gran corridore, anche
essendo un corridore nullo, ho al contrario apprezzato molto tutti i rimandi
letterari, le citazioni di tanti scrittori. Dostoevskij, Hemingway, Fitzgerald,
Shakespeare, Balzac, Dickens. Ma soprattutto ho apprezzato il pensiero verso
Osamu Dazai ed al suo scritto “Corri Melos!”. Uno scritto non sulla maratona,
ma sul fatto che Melos solo stremandosi in una corsa folle può riuscire a
salvare l’amico Selinuntius. Una “fabula” già ripresa da Schiller e basata su
di una storia romana di Gaio Giulio Igino.
Murakami, inoltre, da buon conoscitore di
oriente e occidente, mi delizia con alcune massime divergenti. Sempre con quel
parallelo tra corsa e scrittura, poiché scrivere non è per tutti i “normali di
mente”, ma c’è comunque bisogno di buona salute, prima parafrasa Giovenale con
“Mens insana in corpore sano”, e poi Cartesio con “Corro, dunque sono”.
In finale, riprendo l’accenno fatto
inizialmente. Uno dei motivi in più che mi ha fatto leggere questo libro, è il
pensiero delle maratone di mio fratello. Non tante, ma significative, dalla
maratona di New York all’ultramaratona dei cento chilometri del Passatore.
Bravo Paolo.
Devo dire, in conclusione, che ho apprezzato
molto tutto l’impianto del libro, e tutte le analisi che Murakami fa su di sé,
sapendo, come tutti sappiamo, che, leggendone, poi, ne ribaltiamo il
significato su di noi. Apprezzando anche quello che, al fine, lui pensa sia
corretto scrivere sulla sua tomba: “Haruki Murakami. Scrittore (e corridore).
Almeno non se n'è mai andato”.
“Ci si accontenta di quello che c’è. …
Raggiungere questa consapevolezza è uno dei vantaggi dell’età.” (74)
Haruki Murakami “L’incolore Tazaki Tsukuru
e i suoi anni di pellegrinaggio” Corriere – Murakami 14 euro 8,90
[A: 17/08/2020 – I: 19/10/2024 – T: 22/10/2024]
- &&&&
--
[tit.
or.: 色彩を持たない多崎つくると、彼の巡礼の年 Shikisai o motanai Tazaki Tsukuru to, kare
no junrei no toshi; ling. or.: giapponese; pagine: 275;
anno 2013]
Ed eccoci ancora, dopo che per un ennesimo
anno non ha vinto il Nobel (che secondo me invece merita, e quindi puntiamo al
prossimo anno) a leggere un libro di Haruki Murakami. In realtà, per altri
motivi, stavo per iniziare il ponderoso librone del Commendatore, ma, cedendo
alla mia filologica voglia di seguire il percorso creativo del meno giapponese
degli scrittori giapponesi, ho ripiegato su questo Tazaki che si inquadra nell’ordine
di scrittura del nostro scrittore.
Intanto, preliminarmente, devo dire che
finalmente il titolo viene riproposto così come era stato pensato dall’autore.
Anche perché ha un suo forte senso simbolico, come molto spesso in Murakami. La
prima parte (“L’incolore Tazaki Tsukuru”) fa
riferimento ai colori contenuti nei nomi o nei cognomi dei personaggi del
romanzo, e su cui torneremo presto. La seconda parte (“i suoi anni di
pellegrinaggio”) è in effetti un doppio richiamo. Da una parte,
sotterraneamente, c’è Goethe che nel libro a suo tempo erroneamente tradotto
come “Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister” (e che solo
recentemente è stato corretto in “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister”)
ci parla della terza fase della crescita della persone, che ad un certo punto
deve assumere la sua maturità e accettare
sacrifici. Dall’altra, invece, c’è Franz Liszt di cui il protagonista ascolta
il brano “Le mal du pays (Nostalgia di casa)” che fa parte del ciclo pianistico
“Années de pèlerinage” che il pianista ungherese aveva composto pensando
a Goethe.
Quindi, lasciando perdere troppi voli
onirici e molti passaggi inspiegabili di altre sue creazioni letterarie, qui
torniamo ad un discorso abbastanza lineare: un libro di formazione, che segue
la crescita del nostro Tazaki, fornendoci i motivi delle sue insicurezze e le
armi per superarle. Certo, e questo è un suo limite, ma anche una sua cifra
stilistica, poi lascia a noi lettori il compito di completare l’opera secondo
le nostre sensibilità.
Cominciamo allora dalla prima parte del
titolo, immergendoci in un mondo che solo grazie alla mirabile traduzione di
Antonietta Pastore, ci rimane un po’ meno oscuro. Infatti, quasi tutti i
personaggi del libro hanno nella loro onomastica un riferimento ad un colore,
eccetto appunto il protagonista, Tazaki Tsukuru, che ha solo un’omofonia in
giapponese con il verbo “costruire”, ma per il resto è del tutto “incolore”.
Come non lo sono i suoi quattro amici di
gioventù: Eri Kurono e soprannominata Kuro o "Nera" dato che il suo
cognome significa "Prato Nero", Yuzuki Shirane soprannominata Shiro o
"Bianca" poiché il suo cognome significa "Radice Bianca",
Kei Akamatsu soprannominato Aka o "Rosso" dove il suo cognome
significa "Pino Rosso") e Yoshio Oumi soprannominato Ao o
"Blu" che il suo cognome significa "Mare Blu". Ma ci
sono anche il suo amico dei tempi universitari Fumiaki Haida il cui cognome
significa "Risaia grigia" ed il protagonista di una strana storia
inseritasi ad un certo punto, Midorikawa, dove il cognome significa "Fiume
Verde". L’unico altro non-colore è la sua (probabile) fidanzata Sara
Kimoto che nel cognome porta il significato di "base dell'albero", un
albero cui il nostro dovrà appoggiarsi per crescere.
La storia, con qualche deviazione di tanto
in tanto, è abbastanza lineare. Tazaki ed i suoi quattro amici sono molto
legati durante gli anni del liceo. Poi, mentre gli altri rimangono nella natia
Nagoya (a poco più di due ore di treno veloce dalla capitale), Tazaki segue la
sua vocazione (quella di diventare ingegnere ferroviario per costruire
stazioni) e si trasferisce a Tokyo.
Ovvio che i legami si sfilacciano, ma niente
prepara Tazaki a subire un duro colpo: i quattro amici, senza nessuna
spiegazione gli chiedono di non mettersi più in contatto con loro. Colpo
mortale, che Tazaki medita per sei mesi di suicidarsi, mentre noi ci
domandiamo: perché non hai chiesto spiegazioni? La risposta è insita nel
carattere giapponese, che Tazaki non può commettere la scortesia di insistere.
Quindi si isola nella capitale, seguendo e raggiungendo la sua vocazione.
C’è un primo inciso, negli anni
universitari, con l’avvicinamento a Haida, che serve a Murakami per un duplice
scopo. La vicinanza dei due induce sogni erotici in cui Tazaki fa l’amore con
Kuro e Shira, ma poi si trova a penetrare Haida, interrogandosi sul fatto
possibile di essere gay. L’altro è presentare la storia di Midorikawa, un
geniale pianista jazz, che, non avendo sbocchi alla sua vita ed alla sua arte,
decide di accettare un patto con la morte, venendo a conoscenza dei due mesi
che gli restano da vivere.
Murakami, visto che Tazaki è appunto
incolore, ha bisogna di qualcuno che lo spinga a fare, ad agire, e Haida è il
primo. Certo, veniamo spiazzati che dopo un’intensa vicinanza tra i due, Haida
sparisce e nulla sappiamo più di lui. Ma le due storie servono a rafforzare il
carattere di Tazaki, farlo uscire dal guscio, laurearsi e seguire la sua
passione ferroviaria. Ma anche a fornire una chiave: Haida lascia in dono a
Tazaki un cofanetto con l’esecuzione completa delle suite di Liszt che
compongono “Gli anni del pellegrinaggio”. Un viaggio che impiegherà più di
dieci anni a maturare, e potrà essere innescato solo dall’esterno.
Il secondo scossone, infatti, gli viene da
Sara che, giustamente, gli dice che, se vuole la loro relazione prosegua su
binari non fragili, il nostro deve affrontare il problema che lo attanaglia da
ben sedici anni. Su questa spinta, Tazaki torna a Nagoya per incontrare Ao e
Aka, e poi vola in Finlandia dove si è trasferita Kuro. Non riuscirà a
ritrovare Shiro che sei anni prima è stata uccisa in modo violento, senza però
che l’omicida sia mai stato ritrovato.
Finalmente, durante questi colloqui, Tazaki
scoprirà il motivo che ha spinto i suoi ex-amici ad allontanarlo. E con ognuno
ne farà un ragionamento approfondito, tirandone fuori, dialetticamente,
problemi e discussioni. Solo qui, quasi verso la fine del libro, spariscono
quei caratteri troppo giapponesi che avevano un po’ offuscato l’inizio (ma solo
per chi non è mai stato in Giappone). Rimanendone uno solo.
Tazaki aveva visto Sara con un altro, e non
sa il rapporto tra i due. Ma ormai forte del percorso fatto chiede a Sara di
fare lei un passo verso la verità (o la sua verità o la realtà, insomma,
comunque un passo). Il giapponese Murakami però non intende aiutare il povero
lettore, che dovrà lui, districandosi tra le parole, trovare la propria verità.
Come vedete, è un classico percorso
descrittivo dell’evoluzione personale e sentimentale di Tazaki, che solo quando
avrà ricostruito sé stesso, riuscirà a proporsi al mondo senza infingimenti.
Anche se, per tutto il romanzo, non riusciamo a respirare quell’aria che porta
al trionfo di chi realizza sé stesso. Che rimane sempre un fondo di malinconia
e di non risoluzione, quella che avevo indicato come la coperta giapponese su
di un discorso generale e valido ovunque.
Un elemento che comunque andrei a
sottolineare è la poca consistenza dei personaggi femminili. Kuro e Shiro
sembrano un aggiornamento moderno delle protagoniste di Norwegian Wood (e non
vi dico altro su questo parallelo, che poi se ne potrà discutere). Con i due
caratteri contrapposti: Kuro espansiva e disinibita e Shiro riservata ed un po’
frigida. Molto in linea con i loro soprannomi (bianca e nera) ma poco altro.
Mentre anche l’altra donna, Sara, rimane irrisolta. Serve a scatenare il
ritorno di Tazaki verso la propria identità, ma di lei, a parte l’eleganza, ed
un lavoro connesso ai viaggi, non sapremo mai null’altro.
Forse è Murakami è un po’ indulgente verso
il sé-Tazaki, che alla fine esce sulle sue gambe da tutta la storia. Sarà
incolore, ma ha un’idea fissa in testa (costruire stazioni) e quella pratica.
Non ha per molto tempo un’identità sessuale, ma Sara gliela farà palesare.
Insomma, un eroe positivo, anche se di una fragilità estrema, avendo sempre
bisogno di un puntello (Haida, Sara) per andare avanti.
In effetti, le pagine sono piene di spunti
di riflessione, come quelli che ripropongo in fondo, piccoli e banali. E come
tutti gli spunti, il loro ragionamento deve essere nostro e non dell’autore.
Per cui, anche il finale aperto, che a me decisamente non piace, ha di certo un
suo senso, nel libro e nella vita di tutti.
Per finire qui, con tutti i possibili alti e
bassi, io sono un Murafan.
“Per quanto insignificante e piatta sia,
la vita vale sempre di essere vissuta.” (73)
“Chissà perché le parole giuste vengono
in mente sempre troppo tardi.” (245)
La musica di questo libro:
Autore |
Titolo |
Capitoli |
Franz Liszt |
“Le mal du pays” da “Years of
Pilgrimage” |
4,7,10,11,13,16,19 |
Thelonius Monk |
“Round Midnight” |
5 |
Elvis Presley |
“Viva Las Vegas” |
10 |
Schumann |
“Träumerei” from Scenes from
Childhood |
11 |
Franz Liszt |
Petrarch’s Sonnet 47 e 104 da
“Years of Pilgrimage” |
13, 19 |
Elvis Presley |
“Don’t Be Cruel” |
14 |
Visto il non piccolo sforzo di completare
gli scritti su Murakami, questa volta nessuna altra citazioni, solo l’elenco
dei libri del mese di agosto. Un mese dalle molte letture nel riposo di
campagna. Illuminate dalla trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen e
dall’interessante prova del brasiliano Samir Machado de Machado.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Michael Connelly |
La notte più lunga |
Pickwick |
10,90 |
3 |
2 |
Lee
Child |
Zona
pericolosa |
TEA |
12 |
2,5 |
3 |
Andrea
Cotti |
Il
cinese |
Corriere
Profondo Nero |
7,90 |
2 |
4 |
Wilbur
Smith & Chris Walking |
Fulmine |
HarperCollins |
16 |
2 |
5 |
Samir
Machado de
Machado |
Il
crimine del buon nazista |
Sellerio |
14 |
4 |
6 |
Maria
Elisa Aloisi |
Il
canto della falena |
Mondadori |
6,50 |
3 |
7 |
Fabiano Massimi |
L’angelo di Monaco |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
2 |
8 |
Tove
Ditlevsen |
Infanzia |
Fazi
editore |
15 |
4 |
9 |
Piergiorgio Pulixi |
Per mia colpa |
Mondadori |
8,90 |
3 |
10 |
Kenzo
Kitakata |
Tokyo
noir |
Corriere |
8,90 |
2,5 |
11 |
Georges
Simenon |
Faubourg |
Repubblica |
9,90 |
3,5 |
12 |
John
Grisham |
I
fantasmi dell’isola |
Mondadori |
s.p. |
1,5 |
13 |
Anne
Holt |
La
pista |
Repubblica
Brivido Noir |
8,90 |
2 |
14 |
Tove
Ditlevsen |
Gioventù |
Fazi
editore |
15 |
4 |
15 |
Antonio Caron |
Signorina Regina |
Corriere
Gazzetta |
7,99 |
1 |
16 |
James
Patterson |
Il
collezionista |
TEA |
8 |
3 |
17 |
Italo Calvino |
Gli amori difficili |
Repubblica |
9,90 |
2 |
18 |
Luca
Di Gialleonardo & Liudmila Gospodinoff |
Il
paradosso dell’arciere |
Mondadori |
5,90 |
3 |
19 |
Jussi
Adler-Olsen |
Il
messaggio nella bottiglia |
Feltrinelli |
12 |
3 |
20 |
Tove
Ditlevsen |
Dipendenza |
Fazi
editore |
15 |
4 |
21 |
Piergiorgio
Pulixi |
Un
colpo al cuore |
Rizzoli |
16 |
3 |
22 |
Gwen
Florio |
La
ragazza del Dakota |
Corriere
Oggi |
8,90 |
2 |
Come detto, niente ulteriori citazioni che la trama è ben densa. Solo un suggerimento, ricavato dal lungo week-end di riposo. Se lo conoscete poco, tornate a visitare il Lago di Gara, ed in particolare i borghi del veronese (da Lazise a Malcesine). Quindi vi lascio con un abbraccio per affrontare un non facile mese di novembre.
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