domenica 24 novembre 2024

Italiani del Corriere - 24 novembre 2024

Una settimana dedicata, a titolo vario, ad alcune collane uscite con il Corriere della Sera per l’editore RCS. Una è quella che riprende un elevato numero di titoli apparsi in prima battuta per i meritori Fratelli Frilli di Genova. Con due dignitose prove di Roberta Castelli e Maria Masella, insieme ad una scarsamente riuscita di Antonio Caron. L’altra è una collana espressamente dedicata al noir, con un’alternanza di titoli, tra il normale e l’interessante. Dove qui abbiamo, anche un po’ sotto il normale Andrea Cotti, ed un po’ sopra un buon titolo del purtroppo scomparso Roberto Perrone.

Comunque, e per inciso, nessuno ha cercato di interpretare il titolo delle scorse trame. Va bene così.

Roberta Castelli “Il delitto di via Etnea” Corriere Noir Italia 51 euro 7,99

[A: 27/05/2024 – I: 24/06/2024 – T: 25/06/2024] && +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 201; anno: 2023]

Un’altra opera della meritoria ditta Fratelli Frilli e riproposta dalla collana del Corriere, a firma di un’onesta scrittrice siciliana, Roberta Castelli, che anche vivendo in Toscana, sempre della sua terra natia ci parla. Questo è sempre un elemento distintivo e positivo dei libri dei Frilli: si parla di luoghi, e le vicende, bene o male, ne sono intrise.

Come intrisa di Catania è questa vicenda dove il delitto avviene in via Etnea, ma questo serve solo ad ambientare la vicenda nella cittadina con vista vulcano. Poi la vicenda si amplia e si sviluppa, verso il porto, ma anche verso le zone interne più o meno degradate (come San Berillo, cui la scrittrice dedica un’appendice interessante e partecipata).

Purtroppo, alla fine, mentre Catania ci avvince e ci piace, la storia, i personaggi, gli intrecci, ed alcune scelte narrative non riescono a reggerne il confronto, confezionando in finale un prodotto solo sufficiente, costellato da alcune punte di “vorrei ma non posso”, declinate in varie tonalità.

Vediamo quali sono i bei pezzi di carne messi a rosolare nel barbecue di Roberta. La storia di base, più o meno noir, costruita intorno alla morte di un immigrato clandestino, Momar Faye, venditore senegalese di CD contraffatti in quella bellissima via del titolo del romanzo, dritta come un fuso, nascente dalla piazza dove far omaggio a Sant’Agata la bella e scivolando in su verso il mai spento vulcano.

Poi ci sono le storie dei personaggi di contorno. Lasciando per ultimi i due protagonisti, c’è Nicola, poliziotto ed amico di Manfredi, rimasto nell’arma ma scosso dalla mancanza dell’amico nelle indagini, che non sa decidersi tra la bella Adele, medico legale innamorato, e la bella di notte Luisella, pedina di scorta delle indagini, momento di libertà per la mente di Nicola. E c’è Lucia, l’amica sempre pronta di Mariolina, unica ad esserle stata sempre vicino, anche se si deve barcamenare tra l’affetto per l’amica e l’amore per il marito questore, che ha sovente Mariolina involontariamente tra i piedi delle sue indagini.

Ma soprattutto ci sono loro. Manfredi, poliziotto acuto, da sempre in coppia con Nicola, che per una sbadataggine della moglie, vede il figlio annegare ed il matrimonio andare a rotoli. Ma anche la carriera, che decide di dimettersi. E nella sua vita sbandata, ormai riempita solo dall’alcool, e da cose di cui si narra poi, incontra un’altra sbandata dalla vita. Mariolina innamoratasi senza motivo dell’infingardo Giovanni (non sono io), viene da questi lasciata al momento delle nozze, per scappare con una damigella. Peccato che nella fuga l’auto sbanda e Giovanni muore. Mariolina esce di senno, cui la riporta a casa e sulla retta via prima l’amica Lucia e poi l’incontro con Manfredi.

L’altra cosa, ed è uno dei punti “bassi” del romanzo, è che i nostri due non solo vedono i loro morti (e già questo è duro da sostenere), ma soprattutto sono in contatto con tal padre Virgilio ed il suo cane Omero, che, dalla lontananza del suo eremo, li guida nel percorso di frequentare e tenere a bada le ombre. Peccato che ad un certo punto scopriamo che Virgilio è morto da un centinaio di anni, passando anche lui tra le ombre visibili ai nostri. Un tentativo di rinverdire un meccanismo alla De Giovanni, ma senza la forza inventiva del maestro napoletano.

Rimane la storia noir da seguire nel suo prevedibile sviluppo. Momar, senegalese, si ritrova in Italia solo e senza permessi. Si arrangia, fa un sodalizio con un altro senegalese, Ahmed, con l’idea che, aiutati dal barista Damiano, prima o poi riusciranno ad avere permesso di soggiorno e ad aprire un ristorante etnico. Momar che ad un certo punto si incontra con Antonella, commessa di via Etnea, laddove nasce un amore improvviso, nonché una gravidanza forse poco voluta ma ben accetta. Antonella che deve fare i conti con Filippo, il fratello violento, che non sopporta i “colorati” e che le fa la guardia stretta per non farla incontrare con Momar. E che non esita ad avere alterchi a ripetizione con lui. E Ahmed, che vediamo, sconvolto dalla conseguenze della vicenda, e per lunghi tratti, sequestrato da un banda di piccoli malviventi.

Un bel calderone, in cui Manfredi e Mariolina dapprima sguazzano impotenti, poi, con i suggerimenti di Luisella e qualche dritta di Virgilio (ahi, ahi), mettono i loro puntini in fila, anche prima di Nicola e della questura. Arrivando ad un finale, almeno per il noir, che poco ci sorprende. Mentre il resto rimane un po’ troppo sospeso, anche se poi non posso che ringraziare l’a scrittrice per l’appendice finale sulla storia del quartiere di San Berillo.

Come detto in alto, prodotto sufficiente, con la punta di diamante di una città che va senz’altro conosciuta e visitata. Se non lo avete fatto ancora, fatelo.

“Il passato può essere stato bello oppure brutto e non abbiamo il potere di cambiarlo, ma il futuro siamo noi a deciderlo, in base a come affrontiamo il presente.” (69)

Roberto Perrone “La seconda vita di Annibale Canessa” Corriere Profondo Nero 24 euro 7,90

[A: 21/12/2019 – I: 04/07/2024 – T: 06/07/2024] &&& + 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 416; anno: 2017]

Perrone è stato un ottimo giornalista sportivo dalle pagine del Corriere della Sera, dove, quando capitava, ne leggevo con piacere le cronache. So che era anche appassionato di enogastronomia, ma su questo versante poco ne conosco. Sapevo, infine, che aveva scritto alcuni libri gialli, che nel tempo si erano accumulati nelle mie scansie. Poiché l’ordine delle mie letture segue criteri di difficile interpretazione, ecco che, ad un anno e mezzo della scomparsa di Roberto mi ritrovo a leggere il suo primo giallo.

Una scrittura decentemente coinvolgente, come si addice ad una persona abituata a maneggiare le parole. Una trama con qualche sbavatura, ma ben costruita, anche se con qualche personaggio un po’ troppo “tipico” e poco, quindi, approfondito. Delle materie che, da giornalista e da uomo che sa e legge, può gestire con sufficiente abilità. Per confezionare, alla fine, un librone ben leggibile, anche se non ai miei personali più alti livelli. Ma che si merita un più per maggiorare il voto, proprio perché lo si ricordi, in tutte le sue attività, da giornalista e da scrittore. Chiosando il libro con le parole di un direttore del Corriere, Ferruccio de Bartoli, “Io so, ma non ho le prove”.

Perché in questa sua prima prova letteraria, usando abilmente il paravento giallo, Perrone tenta di stuzzicare quelle pulci nelle orecchie della gente riguarda ad un momento della storia italiana che chissà quando e se verrà chiarito. Parliamo del terrorismo, degli Anni di Piombo, dei Servizi Segreti (deviati o meno), della politica italiana dagli anni Settanta al nuovo Millennio.

Entriamo così nella vita di Annibale Canessa. Anzi, come dal titolo, nella sua seconda vita. Nella prima era un colonnello dei Carabinieri, che con liuto del fido maresciallo Ivan Repetto aveva per anni combattuto il terrorismo. Aveva partecipato, se non guidato, l’assalto nella tana delle BR a Genova, dove il vero nome (via Fracchia) viene coperto con un fantasioso via Gaeta ed in seguito collaborato a sgominare la brigata XXVIII marzo (giorno dell’assalto e nome reale del gruppo vicino alle BR responsabile dell’omicidio del giornalista Walter Tobagi). Ma nonostante tutti i suoi successi, per una serie di motivi ovviamente politici, Annibale si sente tradito, e sia lui che Ivan si dimettono. Il nostro decide allora di ritirarsi in Liguria, dove affianca una zia nella conduzione di un ristorante.

Venendo all’oggi, si inizia con l’omicidio di un BR mai pentito, Pino Petri, ucciso a Milano insieme a Napoleone, il fratello di Annibale. Subito si capisce che Pino aveva cercato Napoleone per ritrovare Annibale, da cui, pur scontrandosi negli anni duri del terrorismo, era rimasto colpito per la dirittura morale mostrata. Ovvio che qualcuno non gradisce ed ordisce una lunga trama di depistaggi.

Annibale e Ivan, comunque, si rimettono in pista, aiutati nell’ombra da qualche Servizio Segreto interessato alla materia. Vanno sempre a sbattere con dei muri, anche se fanno passi avanti. Come se qualcuno tenesse da conto le loro mosse a loro insaputa.

Un aiuto insperato viene al nostro dalla giornalista Carla che gli permette l’accesso agli storici del Corriere della Sera (e qui si vede bene la provenienza di Perrone), e di ricostruire tutti gli attentati orditi da Pino. Ma qualcosa non torna. C’è un omicidio in più, tra l’altro di un magistrato che sembra poco essere in linea con gli attentati canonici. Ci sono momenti della giornata di Pino prima della morte che sembrano inspiegabili. Come lo sono le sue visite a diversi cimiteri. Ma Annibale è come il suo omonimo generale: una volta in marcia non si ferma più.

Quasi novello James Bond di Quarto Oggiaro, sventa gli attentati contro di lui, trova la talpa, va a letto sia con la giornalista Carla che con Caterina, la figlia di uno dei morti di terrorismo, trova il diario di Pino e sgomina finalmente tutta la matassa intrigata delle attività criminose. Che, come sembra dirci Perrone, hanno ramificazioni molto più estese di quelle che immaginiamo, hanno protezioni molto più forti di quelle che ipotizziamo. Tanto che la verità potrà avvenire solo attraverso romanzi, che non hanno bisogno di tutte le prove per emettere sentenze. Sono romanzi, non aule giudiziarie.

La vicenda globale, se non vera, è di sicuro verosimile. Molti personaggi (in particolare quelli del covo di via Fracchia ed i magistrati sull’orlo della corruzione) sono ben descritti. Anche, ed è ovvio pe dove lavorava Perrone, l’ambiente giornalistico, con i suoi odi ed i suoi amori. Rimangono un po’ oscuri alcuni passaggi delle attività di qualche personaggio, nonché (non oscuro ma troppo esaltato) le capacità analitiche e reattive del nostro eroe.

Dopo di questo, Perrone scrisse un paio di altri romanzi su Canessa, che forse si leggerà. Come detto, ringraziandolo per lo sforzo espositivo e dispiacendosi al massimo per la sua prematura scomparsa.

Andrea Cotti “Il cinese” Corriere Profondo Nero 26 euro 7,90

[A: 13/03/2020 – I: 03/08/2024 – T: 05/08/2024] &&-- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 528; anno: 2018]

Andrea Cotti è un discreto sceneggiatore di varie serie televisive di ambito poliziesco (Squadra Antimafia o L’ispettore Coliandro tanto per citarne due) ed è sicuramente un conoscitore ed un cultore di arti marziali. Due elementi che riesce a riunire in questo interessante seppur non riuscitissimo romanzo.

Sulla parte di interesse torneremo, mentre sulle debolezze interveniamo subito. È vero che è ben documentato su quanto succede (o può succedere) nelle nostre città multietniche. Tuttavia, alcuni scorci descrittivi rientrano più in ambiti sociologici (di interesse, ovvio), ma che appesantiscono una trama già di per sé non agile. Nello specifico, poi, il personaggio centrale è di certo interessante, ma volendo troppo dualizzarlo, alla fine una parte di lui rimane insondabilmente misteriosa. Chi è veramente Luca Wu? Infine, ma questo sapete è sempre un mio pallino, ci sono tutte le parti in corsivo che non agevolano la scorrevolezza totale del libro.

Come dice il titolo, e come dice il nome, al centro del romanzo c’è lui Luca Wu, italiano e cinese. Cioè di seconda generazione, con i genitori immigrati e lui nato in Italia. Quindi porta in sé la forte contraddizione di essere cinese per gli italiani ed italiano per i cinesi. Per soprammercato, invece di entrare nel ristorante paterno in quel di Bologna o diventare un professore di mandarino all’Orientale di Napoli, decide ad un certo punto della sua vita, di entrare in polizia. E qui, all’inizio del romanzo, lo troviamo vicequestore assegnato alla stazione di polizia di Torpignattara. Trasferito dietro precisa richiesta sia del questore (per motivi che vedremo) sia sua personale. Visto che sebbene abbia moglie e figlio a Bologna, la sua natura di marito perennemente infedele hanno portato la moglie a chiedergli di allontanarsi da loro. Mostrando così la seconda dualità di Luca. In prima linea, italiano e cinese. Ma subito dopo, fedele e infedele.

Il questore lo vuole a Roma che “Torpigna” è un punto nevralgico della presenza, nel bene e nel male, dei cinesi nella capitale. E subito Luca viene impiegato in una indagine molto delicata. Durante una rapina ad un commerciante cinese, vengono uccisi sia lui che la figlia di quattro anni, mentre viene lasciata illesa la moglie. Luca indaga, interroga, parla con la donna, assistita da un’avvocatessa anch’essa cinese, Sofia Sun.

Ci vorrà del bello e del buono, per arrivare a trovare qualche piccolo filo, con problemi che si accumulano. Gli autori della rapina, di origine slava, vengono trovati morti ad uno ad uno. L’attività del morto e della moglie sembra nascondere qualcosa, forse un traffico di belle donnine. Ma che a sua volta sembra nascondere elementi torbidi, di cui verremmo a conoscenza con molta lentezza durante tutto il romanzo.

Luca, tra l’altro, oltre ad indagare, per motivi vari si trova a dover combattere in prima persona con qualche malavitoso cinese, sfruttando, e facendoci conoscere, un’arte marziale, il Ving Tsun, poco nota e su cui torneremo. Inoltre, pur essendosi allontanato da Bologna per i problemi familiari, da un lato è sempre innamorato della moglie che non lo rivuole ma gli manda incipit musicali interessanti. Dall’altro, e ce lo aspettavamo, ha una piccola storia di sesso e consolazione con la cinese Sofia.

Ad intorbidire le acque, ovvio, entra a piè pari tutta la potenza della mafia cinese, dove appunto Cotti imbastisce interessanti ma un po’ lunghi inserti sulla Triade e sulle ramificazioni commerciali, tra lecito e illecito, dei non comunitari in Italia (incluse le banche illegali ed altre amenità).

La fine sarà senza esclusione di colpi, laddove anche persone che parevano non coinvolte, risultano partecipi di azioni ai limiti del lecito. D’altro canto, è inutile entrare in queste descrizioni. Luca Wu troverà tutte le risposte ed i riscontri per la soluzione del caso (che se sia positiva o meno lascio agli attenti lettori la risposta), che nelle sue linee essenziali è decifrabile molto presto. Inoltre, Cotti aggiunge un ultimo capitolo che ci fa capire la possibilità che ci possano essere successivi episodi del nostro.

Per essere concisi, comunque, la trama ha spunti di interesse, per la descrizione dei cinesi a Roma, e per l’accento posto alla problematica degli immigrati di seconda generazione, che sono ancora immigrati e non integrati.

Qualche parola in più merita l’arte marziale Ving Tsun, definita anche in termini cinesi come Wing Chun Quan (永春拳, Pugilato dell'Eterna Primavera). È una tecnica di combattimento e di difesa caratterizzata da una maggior attenzione al combattimento corpo a corpo ravvicinato, ai pugni rapidi e all'efficienza diretta, sfruttando in modo estensivo la forza dell’avversario per ritorcergliela contro. Vi invito, se di interesse, a leggerne in rete, dove sono presenti descrizioni interessanti. In particolare, sulla vita e le opere di Ip Man, uno dei teorici del Ving, nonché mastro di Bruce Lee.

Ancora più brevemente, per me romano, sono interessanti scorci e descrizioni delle zone “cinesizzate” di Roma, dall’Esquilino a Tor Tre Teste. Inclusa la menzione con un’osteria storica, la Trattoria Bonelli, un classico della cucina romana con tavoli in legno e lavagna con menu, situata, per chi fosse interessato, dalle parti dell’Acquedotto Alessandrino. Buon appetito se non buona lettura.

Antonio Caron “Signorina Regina” Corriere Gazzetta 31 euro 7,99

[A: 08/01/2024 – I: 18/08/2024 – T: 20/08/2024] & +

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 249; anno: 2012]

Torniamo ad occuparci della grande massa di autori italiani sfornata dalla premiata ditta dei Fratelli Frilli. Che nella loro opera di ricerca di noir ambientati in varie parti d’Italia, ci presentano qui un romanzo tra Piemonte e Lombardia (su cui torneremo).

Dispiace solo aver scoperto che l’autore ci ha lasciato sei anni fa dopo aver prodotto una quindicina, credo, di libri incentrati sulla figura del carabiniere Sebastiano Vitale. Libri che non sono entrati se non casualmente nella mia libreria, dove, altrettanto casualmente, leggo questo che credo sia l’ottavo o il nono da lui scritto. Dispiace anche perché, nonostante la simpatia per alcune uscite che ho trovato in rete su vecchie interviste dello scrittore (torinese d’origine ma ligure d’adozione) questo libro mi ha convinto molto poco.

In particolare, mi ha lasciato perplesso il modo di scrivere e di presentare lo svolgimento degli avvenimenti. Un modo che avevo già stigmatizzato una decina di anni fa, leggendo un altro libro delle avventure di Vitale, scritta alcuni anni prima di questa. Lì, con protervia, all’inizio di ogni capitolo faceva una specie di riassunto delle puntate precedenti. Con il tempo, questo vezzo si è affinato, ora ha un tono più amichevole nei confronti del lettore, mette ogni tanto qualche piccola ricapitolazione. Purtroppo, vi aggiunge la possibile anticipazione di quanto potrà avvenire nel resto della trama.

È un atteggiamento che si vuole ironico, ma che crea molti problemi al lettore. Intanto, ci si deve confrontare con lo scrittore narratore onnisciente, fatto poco simpatico che lui sa come andrà a finire e può giocare con il lettore. Inoltre, tende a rompere il ritmo della trama stessa, rischiando (e qui avviene varie volte) di far perdere il filo a chi sta, con faticosità, ricostruendo la successione degli avvenimenti, cercando, da lettore ignorante, di scoprire il colpevole.

Altro punto di sicura inutilità è la presentazione dei personaggi ad inizio libro. È vero, nei Gialli Mondadori è sempre così, ma qui Caron non solo elenca i personaggi, ma ne fornisce alcune qualifiche che consentono, a chi legge con attenzione, di capire con largo anticipo, chi fa cosa anche se a volte non il perché.

Comunque, il protagonista di tutte le storie di Caron è un carabiniere, come detto. Sebastiano Vitale, che negli anni procede nella carriera, fintanto che, all’inizio di questa, l’ormai maresciallo non vede l’ora di andare in pensione, e godersi la casetta in campagna nelle Langhe, insieme all’amata moglie Marisa. Ma prima di lasciare l’arma, il colonello Molisani gli chiede un ultimo fare. Di fare il facente funzioni in un distaccamento di soli quattro carabinieri che verrà presto accorpato ad altre sezioni dell’Arma. Per senso del dovere accetta, e diventa anche luogotenente reggente, trasferendosi momentaneamente in quel di Borgo Briantino, località appunto in Brianza, non lontana dalla Svizzera.

Sembra un incarico da svolgere con la mano sinistra, se non che, nel poco tempo che si trova lassù, ne succedono di tutti i colori. Nel filone principale c’è appunto Regina Messeri, segretaria comunale, nonché fervente attivista umanitaria, viene trovata morta vicino ad un campo Rom. Indagini difficili, senza molti appigli, all’inizio. Ma le capacità informatiche di un carabiniere permettono di scoprire i segreti nascosti nello smartphone della vittima. La foto della carta d’identità della vittima ed una serie di foto osé permettono però di sviluppare le indagini.

La prima porta alle attività poco chiare che circondano il ristorante con camere “Il Gufo Martufo”, con annessi ricatti di natura sessuale. Potrebbero anche essere collegate alla morte di Regina che transitò nel ristorante con il suo amante Flavio. Non sarà così, ma porterà ad arresti di laterale storia.

Le foto invece portano appunto a Flavio, che però non si vedeva con Regina, limitandosi a scambi erotici via telefono. Comunque, Vitali e la sua squadra, tassello dopo tassello, mettono a posto il ritrovamento del cadavere lontano dal posto dell’omicidio, la scoperta delle mutandine della vittima nella macchina di Regina abbandonata nei campi, i ricatti subiti dalla stessa, la scomparsa e poi ricomparsa di un ingente somma di denaro da spedire in Africa ed altre piccole pietre che porteranno alla scoperta del macigno da legare alle braccia del colpevole.

Poi c’è quel campo Rom, che sparisce all’improvviso, quando viene intercettato un TIR bulgaro carico di droga, con conseguenti contatti tra Vitale ed il controspionaggio svizzero. Nonché tutta una sottotrama legata alla passione di Vitale per l’opera, ed in particolare alla Carmen di Bizet, che funge quasi da contrappunto con la trama reale.

Peccato che il finale sia veloce e poco esaustivo, non spiegando tutti gli avvenimenti, anzi lasciando alcuni vuoti palesi. In particolare, c’è una affermazione di carattere probatorio che ad un certo punto fa Vitale, ma che, smentita dalla vicenda stessa, non ne viene spiegato il motivo della falsità. Forse un po’ troppa approssimazione o qualche mancanza di rilettura.

Per finire, c’è il nome del ristorante, “Martufo”, che non viene spiegato ai più che, nella lingua italiana, è sinonimo di “persona ottusa”. Magari avrebbe spiegato anche il comportamento di qualcuno che intorno al ristorante si aggira. Ed a me suona male anche il titolo, che rimanda invece ad un romanzo di alta cultura, “Signorina Rosina”, dalla facile assonanza, anche perché scritto da un poliziotto in pensione, Antonio Pizzuto (grazie Pietro).

Mi dispiace per tutta la buona volontà che ci mise Caron nello scrivere, ma il risultato è molto inferiore alle aspettative. Una trama risibile, passaggi poco chiari, e personaggi di piccolo spessore, poco approfonditi e mai in empatia con il lettore.

Maria Masella “Morte a domicilio” Corriere Noir Italia 6 euro 7,99

[A: 10/07/2023 – I: 04/09/2024 – T: 07/09/2024] && ½ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno: 2002]

Maria Masella ha scritto ben 75 romanzi, di cui 26 con protagonista il commissario Antonio Martini, di cui questo “Morte a domicilio” è il primo episodio. Strano che, nonostante la sostanziosa messe di pubblicazioni, questo è il primo libro che leggo della scrittrice. Che oltre al fatto di essere genovese e pubblicare per le edizioni dei Fratelli Frilli, ha il merito di essere laureata in Matematica, e che, oltre alla scrittura, ha esercitato la docenza nella nostra comune materia, in un liceo scientifico fino alla pensione.

Ma qui trattiamo di scrittura, e quindi veniamo a questa prima avventura del commissario Martini (prima per pubblicazione che successivamente verrà pubblicato un prequel che spiega alcuni passi di queste prime mosse dei nostri protagonisti), corredata dalla presenza della moglie Francesca e della figlia (sei anni) Manu. Un ambiente familiare un po’ sgangherato, o meglio, di quelli che, a pelle, mi convincono poco.

La piccola Manu sembra essere molto più matura dei suoi sei anni, tanto che riesce con un pezzo di lego a deviare una cannula da dove fuoriusciva dell’acqua. Tentativo ingegnoso, che non sarebbe venuto in mente a gente molto più grande di lei, magari con uno zero dopo il numero. La seconda descrizione poco coinvolgente è proprio la moglie Francesca. Donna in carriera, una bella laurea, un lavoro di prestigio nel campo informatico. Peccato che non si capisce come faccia a stare insieme al commissario. Che lui l’ha tradita e la tradisce ad ogni piè sospinto. Un motivo che persone più sagge della buona Francesca avrebbero condotto verso quanto meno un divorzio. Magari con affidamento congiunto, visto che entrambi di sicuro vogliono bene a Manu. Ma in queste condizioni, l’ambiente familiare ne risente assai.

Infine, il commissario. Un uomo che non sa resistere ad una gonna (e questo ci può anche stare, soprattutto se anche la gonna non sa resistere al fascino di Antonio), ma che vada in giro anche per donne a pagamento, a me lascia molti pochi dubbi: una persona da non frequentare molto. Inoltre, queste sue attività intersecano la vita lavorativa del nostro, e questo crea confusione e danni.

Infatti, Martini viene coinvolto in una serie di omicidi, apparentemente slegati tra loro e senza motivi apparenti. Unico indizio sempre presente, un fiore di camelia che viene recapitato in un pacco insieme ad altri indizi da decrittare come in un rebus. Non ci vuole un genio della lampada per indovinare che prima o poi salterà fuori una prostituta di nome Margherita. Non se ne sa il ruolo, al momento, ma è una scommessa che si può fare fin dalle prima pagine.

Ovvio che ci riferiamo a Marguerite Gautier ed al famosissimo “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio. sarà una ricerca complicata quella che Martini dovrà intraprendere per arrivare ad una qualche Margherita, anche se (altro elemento spurio) proprio da Francesca verrà aiutato. Il fatto è che i pacchi recapitati con i rebus da decifrare sono sempre più vicini a tutta la famiglia Martini, mettendone in pericolo i vari membri, inclusa la madre di Antonio.

In questo modo, Antonio stesso, indagando sulle motivazioni che spingono il (o la) serial killer ad agire, dovrà fare un tuffo enorme nel suo passato, e soltanto alla fine a) troverà il bandolo e b) forse troverà anche il bandolo della sua vita privata. Insomma, alla fine, un libro dalle diverse facce. Fino a circa metà si fa seguire bene ed in un certo senso coinvolge. Ci si domanda il motivo dei pacchi ed il loro significato. Poi c’è come un calo di tono, quasi una stanchezza (comprensibile per chi è al primo libro, ed ancora non maneggia tutti i ferri del mestiere). Non si capisce infatti perché il commissario ed i suoi non seguano linee standard nelle indagini. Perché non cercano nelle farmacie tracce delle siringhe che hanno un ruolo nell’indagine o perché non vadano a parlare con una signora che ben più del professore conosce i misteri dei fiori o perché, infine, impieghino tanto a capire che l’infermiera dell’ospedale può fornire dati interessanti. Un esperto di noir non avrebbe lasciato cadere tutti questi indizi.

Pur nel complesso di alcune parti con la stampella, è comunque una lettura gradevole seppur datata, con alcuni spunti descrittivi sulla città di Genova che fanno sempre piacere, anche se poi, visto che son passati più di venti anni, molto è cambiato. Mi dicono amici frequentatori della Liguria che il bruco verso Corte Lambertini non c’è più (ricordo chiamasi bruco un sovrappasso pedonale con archi di sostegno a mo’ di animale strisciante) o che la libreria di cui si parla è stata sostituita da un negozio di intimo. Ma tant’è, Masella a prescindere mi è rimasta simpatica. Consiglierei soltanto di periodare meglio la divisione in capitoli che cinque per più di duecento pagine, non agevolano il ritmo di lettura.

Per contraltare ai gialli italiani, ecco allora pensieri ripresi da due scrittori anglosassoni, l’inglese Jonathan Coe e l’americano Don DeLillo.

Il primo in “Donna per caso” fa pensare prima sulla felicità e poi sull’amicizia: “Non c’è nulla di più deprimente del ricordo della felicità … non c’è nulla di più piacevole dell’attesa della felicità” (36) e “Non voglio che tu sia educata. Voglio che tu sia mia amica” (125).

Il secondo in “Rumore bianco” invece ci dà un’immagine folgorante dei “self-addicted”: “Fotografano il fotografare.” (19) e finisce con un’immagine dei pensieri che prima o poi ci vengono in mente: “Si passa la vita a dire addio agli altri. Come si fa a dirlo a sé stessi?” (316).

Ciò detto, sarà la stagione, sarà l’età, viaggi pochi e quasi azzerati. Speriamo tutti che la tendenza cambi, per ora accontentiamoci del poco che abbiamo. Altro dirvi non vo’, ma mandarvi son soliti i miei più caldi abbracci (ci vuole date il tempo).

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