Comunque,
e per inciso, nessuno ha cercato di interpretare il titolo delle scorse trame.
Va bene così.
Roberta Castelli “Il delitto di via Etnea”
Corriere Noir Italia 51 euro 7,99
[A:
27/05/2024 – I: 24/06/2024 – T: 25/06/2024] && +
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 201; anno:
2023]
Un’altra opera della meritoria ditta Fratelli
Frilli e riproposta dalla collana del Corriere, a firma di un’onesta scrittrice
siciliana, Roberta Castelli, che anche vivendo in Toscana, sempre della sua
terra natia ci parla. Questo è sempre un elemento distintivo e positivo dei
libri dei Frilli: si parla di luoghi, e le vicende, bene o male, ne sono
intrise.
Come intrisa di Catania è questa vicenda dove
il delitto avviene in via Etnea, ma questo serve solo ad ambientare la vicenda
nella cittadina con vista vulcano. Poi la vicenda si amplia e si sviluppa,
verso il porto, ma anche verso le zone interne più o meno degradate (come San
Berillo, cui la scrittrice dedica un’appendice interessante e partecipata).
Purtroppo, alla fine, mentre Catania ci
avvince e ci piace, la storia, i personaggi, gli intrecci, ed alcune scelte
narrative non riescono a reggerne il confronto, confezionando in finale un
prodotto solo sufficiente, costellato da alcune punte di “vorrei ma non posso”,
declinate in varie tonalità.
Vediamo quali sono i bei pezzi di carne messi
a rosolare nel barbecue di Roberta. La storia di base, più o meno noir,
costruita intorno alla morte di un immigrato clandestino, Momar Faye, venditore
senegalese di CD contraffatti in quella bellissima via del titolo del romanzo,
dritta come un fuso, nascente dalla piazza dove far omaggio a Sant’Agata la
bella e scivolando in su verso il mai spento vulcano.
Poi ci sono le storie dei personaggi di
contorno. Lasciando per ultimi i due protagonisti, c’è Nicola, poliziotto ed
amico di Manfredi, rimasto nell’arma ma scosso dalla mancanza dell’amico nelle
indagini, che non sa decidersi tra la bella Adele, medico legale innamorato, e
la bella di notte Luisella, pedina di scorta delle indagini, momento di libertà
per la mente di Nicola. E c’è Lucia, l’amica sempre pronta di Mariolina, unica
ad esserle stata sempre vicino, anche se si deve barcamenare tra l’affetto per
l’amica e l’amore per il marito questore, che ha sovente Mariolina
involontariamente tra i piedi delle sue indagini.
Ma soprattutto ci sono loro. Manfredi,
poliziotto acuto, da sempre in coppia con Nicola, che per una sbadataggine
della moglie, vede il figlio annegare ed il matrimonio andare a rotoli. Ma
anche la carriera, che decide di dimettersi. E nella sua vita sbandata, ormai
riempita solo dall’alcool, e da cose di cui si narra poi, incontra un’altra
sbandata dalla vita. Mariolina innamoratasi senza motivo dell’infingardo
Giovanni (non sono io), viene da questi lasciata al momento delle nozze, per
scappare con una damigella. Peccato che nella fuga l’auto sbanda e Giovanni
muore. Mariolina esce di senno, cui la riporta a casa e sulla retta via prima
l’amica Lucia e poi l’incontro con Manfredi.
L’altra cosa, ed è uno dei punti “bassi” del
romanzo, è che i nostri due non solo vedono i loro morti (e già questo è duro
da sostenere), ma soprattutto sono in contatto con tal padre Virgilio ed il suo
cane Omero, che, dalla lontananza del suo eremo, li guida nel percorso di
frequentare e tenere a bada le ombre. Peccato che ad un certo punto scopriamo
che Virgilio è morto da un centinaio di anni, passando anche lui tra le ombre
visibili ai nostri. Un tentativo di rinverdire un meccanismo alla De Giovanni, ma
senza la forza inventiva del maestro napoletano.
Rimane la storia noir da seguire nel suo
prevedibile sviluppo. Momar, senegalese, si ritrova in Italia solo e senza
permessi. Si arrangia, fa un sodalizio con un altro senegalese, Ahmed, con
l’idea che, aiutati dal barista Damiano, prima o poi riusciranno ad avere
permesso di soggiorno e ad aprire un ristorante etnico. Momar che ad un certo
punto si incontra con Antonella, commessa di via Etnea, laddove nasce un amore
improvviso, nonché una gravidanza forse poco voluta ma ben accetta. Antonella
che deve fare i conti con Filippo, il fratello violento, che non sopporta i
“colorati” e che le fa la guardia stretta per non farla incontrare con Momar. E
che non esita ad avere alterchi a ripetizione con lui. E Ahmed, che vediamo,
sconvolto dalla conseguenze della vicenda, e per lunghi tratti, sequestrato da
un banda di piccoli malviventi.
Un bel calderone, in cui Manfredi e Mariolina
dapprima sguazzano impotenti, poi, con i suggerimenti di Luisella e qualche
dritta di Virgilio (ahi, ahi), mettono i loro puntini in fila, anche prima di
Nicola e della questura. Arrivando ad un finale, almeno per il noir, che poco
ci sorprende. Mentre il resto rimane un po’ troppo sospeso, anche se poi non
posso che ringraziare l’a scrittrice per l’appendice finale sulla storia del
quartiere di San Berillo.
Come detto in alto, prodotto sufficiente, con
la punta di diamante di una città che va senz’altro conosciuta e visitata. Se
non lo avete fatto ancora, fatelo.
Roberto Perrone “La seconda vita di Annibale
Canessa” Corriere Profondo Nero 24 euro 7,90
[A: 21/12/2019 – I: 04/07/2024 – T:
06/07/2024] &&&
+
[titolo: originale;
lingua: italiano;
pagine: 416;
anno: 2017]
Perrone è stato un ottimo giornalista
sportivo dalle pagine del Corriere della Sera, dove, quando capitava, ne
leggevo con piacere le cronache. So che era anche appassionato di
enogastronomia, ma su questo versante poco ne conosco. Sapevo, infine, che
aveva scritto alcuni libri gialli, che nel tempo si erano accumulati nelle mie
scansie. Poiché l’ordine delle mie letture segue criteri di difficile
interpretazione, ecco che, ad un anno e mezzo della scomparsa di Roberto mi
ritrovo a leggere il suo primo giallo.
Una scrittura decentemente coinvolgente, come
si addice ad una persona abituata a maneggiare le parole. Una trama con qualche
sbavatura, ma ben costruita, anche se con qualche personaggio un po’ troppo
“tipico” e poco, quindi, approfondito. Delle materie che, da giornalista e da
uomo che sa e legge, può gestire con sufficiente abilità. Per confezionare,
alla fine, un librone ben leggibile, anche se non ai miei personali più alti
livelli. Ma che si merita un più per maggiorare il voto, proprio perché lo si ricordi,
in tutte le sue attività, da giornalista e da scrittore. Chiosando il libro con
le parole di un direttore del Corriere, Ferruccio de Bartoli, “Io so, ma non ho
le prove”.
Perché in questa sua prima prova letteraria,
usando abilmente il paravento giallo, Perrone tenta di stuzzicare quelle pulci
nelle orecchie della gente riguarda ad un momento della storia italiana che
chissà quando e se verrà chiarito. Parliamo del terrorismo, degli Anni di
Piombo, dei Servizi Segreti (deviati o meno), della politica italiana dagli
anni Settanta al nuovo Millennio.
Entriamo così nella vita di Annibale Canessa.
Anzi, come dal titolo, nella sua seconda vita. Nella prima era un colonnello
dei Carabinieri, che con liuto del fido maresciallo Ivan Repetto aveva per anni
combattuto il terrorismo. Aveva partecipato, se non guidato, l’assalto nella
tana delle BR a Genova, dove il vero nome (via Fracchia) viene coperto con un
fantasioso via Gaeta ed in seguito collaborato a sgominare la brigata XXVIII
marzo (giorno dell’assalto e nome reale del gruppo vicino alle BR responsabile
dell’omicidio del giornalista Walter Tobagi). Ma nonostante tutti i suoi
successi, per una serie di motivi ovviamente politici, Annibale si sente
tradito, e sia lui che Ivan si dimettono. Il nostro decide allora di ritirarsi
in Liguria, dove affianca una zia nella conduzione di un ristorante.
Venendo all’oggi, si inizia con l’omicidio di
un BR mai pentito, Pino Petri, ucciso a Milano insieme a Napoleone, il fratello
di Annibale. Subito si capisce che Pino aveva cercato Napoleone per ritrovare
Annibale, da cui, pur scontrandosi negli anni duri del terrorismo, era rimasto
colpito per la dirittura morale mostrata. Ovvio che qualcuno non gradisce ed
ordisce una lunga trama di depistaggi.
Annibale e Ivan, comunque, si rimettono in
pista, aiutati nell’ombra da qualche Servizio Segreto interessato alla materia.
Vanno sempre a sbattere con dei muri, anche se fanno passi avanti. Come se
qualcuno tenesse da conto le loro mosse a loro insaputa.
Un aiuto insperato viene al nostro dalla
giornalista Carla che gli permette l’accesso agli storici del Corriere della
Sera (e qui si vede bene la provenienza di Perrone), e di ricostruire tutti gli
attentati orditi da Pino. Ma qualcosa non torna. C’è un omicidio in più, tra
l’altro di un magistrato che sembra poco essere in linea con gli attentati
canonici. Ci sono momenti della giornata di Pino prima della morte che sembrano
inspiegabili. Come lo sono le sue visite a diversi cimiteri. Ma Annibale è come
il suo omonimo generale: una volta in marcia non si ferma più.
Quasi novello James Bond di Quarto Oggiaro,
sventa gli attentati contro di lui, trova la talpa, va a letto sia con la
giornalista Carla che con Caterina, la figlia di uno dei morti di terrorismo,
trova il diario di Pino e sgomina finalmente tutta la matassa intrigata delle
attività criminose. Che, come sembra dirci Perrone, hanno ramificazioni molto
più estese di quelle che immaginiamo, hanno protezioni molto più forti di
quelle che ipotizziamo. Tanto che la verità potrà avvenire solo attraverso
romanzi, che non hanno bisogno di tutte le prove per emettere sentenze. Sono
romanzi, non aule giudiziarie.
La vicenda globale, se non vera, è di sicuro
verosimile. Molti personaggi (in particolare quelli del covo di via Fracchia ed
i magistrati sull’orlo della corruzione) sono ben descritti. Anche, ed è ovvio
pe dove lavorava Perrone, l’ambiente giornalistico, con i suoi odi ed i suoi
amori. Rimangono un po’ oscuri alcuni passaggi delle attività di qualche
personaggio, nonché (non oscuro ma troppo esaltato) le capacità analitiche e
reattive del nostro eroe.
Dopo di questo, Perrone scrisse un paio di
altri romanzi su Canessa, che forse si leggerà. Come detto, ringraziandolo per
lo sforzo espositivo e dispiacendosi al massimo per la sua prematura scomparsa.
Andrea Cotti “Il cinese” Corriere Profondo
Nero 26 euro 7,90
[A: 13/03/2020 – I: 03/08/2024 – T:
05/08/2024] &&--
[titolo: originale;
lingua: italiano;
pagine: 528;
anno: 2018]
Sulla
parte di interesse torneremo, mentre sulle debolezze interveniamo subito. È
vero che è ben documentato su quanto succede (o può succedere) nelle nostre
città multietniche. Tuttavia, alcuni scorci descrittivi rientrano più in ambiti
sociologici (di interesse, ovvio), ma che appesantiscono una trama già di per
sé non agile. Nello specifico, poi, il personaggio centrale è di certo
interessante, ma volendo troppo dualizzarlo, alla fine una parte di lui rimane
insondabilmente misteriosa. Chi è veramente Luca Wu? Infine, ma questo sapete è
sempre un mio pallino, ci sono tutte le parti in corsivo che non agevolano la
scorrevolezza totale del libro.
Come
dice il titolo, e come dice il nome, al centro del romanzo c’è lui Luca Wu,
italiano e cinese. Cioè di seconda generazione, con i genitori immigrati e lui
nato in Italia. Quindi porta in sé la forte contraddizione di essere cinese per
gli italiani ed italiano per i cinesi. Per soprammercato, invece di entrare nel
ristorante paterno in quel di Bologna o diventare un professore di mandarino
all’Orientale di Napoli, decide ad un certo punto della sua vita, di entrare in
polizia. E qui, all’inizio del romanzo, lo troviamo vicequestore assegnato alla
stazione di polizia di Torpignattara. Trasferito dietro precisa richiesta sia
del questore (per motivi che vedremo) sia sua personale. Visto che sebbene
abbia moglie e figlio a Bologna, la sua natura di marito perennemente infedele
hanno portato la moglie a chiedergli di allontanarsi da loro. Mostrando così la
seconda dualità di Luca. In prima linea, italiano e cinese. Ma subito dopo,
fedele e infedele.
Il
questore lo vuole a Roma che “Torpigna” è un punto nevralgico della presenza,
nel bene e nel male, dei cinesi nella capitale. E subito Luca viene impiegato
in una indagine molto delicata. Durante una rapina ad un commerciante cinese,
vengono uccisi sia lui che la figlia di quattro anni, mentre viene lasciata
illesa la moglie. Luca indaga, interroga, parla con la donna, assistita da
un’avvocatessa anch’essa cinese, Sofia Sun.
Ci
vorrà del bello e del buono, per arrivare a trovare qualche piccolo filo, con
problemi che si accumulano. Gli autori della rapina, di origine slava, vengono
trovati morti ad uno ad uno. L’attività del morto e della moglie sembra
nascondere qualcosa, forse un traffico di belle donnine. Ma che a sua volta
sembra nascondere elementi torbidi, di cui verremmo a conoscenza con molta
lentezza durante tutto il romanzo.
Luca,
tra l’altro, oltre ad indagare, per motivi vari si trova a dover combattere in
prima persona con qualche malavitoso cinese, sfruttando, e facendoci conoscere,
un’arte marziale, il Ving Tsun, poco nota e su cui torneremo. Inoltre, pur
essendosi allontanato da Bologna per i problemi familiari, da un lato è sempre
innamorato della moglie che non lo rivuole ma gli manda incipit musicali
interessanti. Dall’altro, e ce lo aspettavamo, ha una piccola storia di sesso e
consolazione con la cinese Sofia.
Ad
intorbidire le acque, ovvio, entra a piè pari tutta la potenza della mafia
cinese, dove appunto Cotti imbastisce interessanti ma un po’ lunghi inserti
sulla Triade e sulle ramificazioni commerciali, tra lecito e illecito, dei non
comunitari in Italia (incluse le banche illegali ed altre amenità).
La
fine sarà senza esclusione di colpi, laddove anche persone che parevano non
coinvolte, risultano partecipi di azioni ai limiti del lecito. D’altro canto, è
inutile entrare in queste descrizioni. Luca Wu troverà tutte le risposte ed i
riscontri per la soluzione del caso (che se sia positiva o meno lascio agli
attenti lettori la risposta), che nelle sue linee essenziali è decifrabile
molto presto. Inoltre, Cotti aggiunge un ultimo capitolo che ci fa capire la
possibilità che ci possano essere successivi episodi del nostro.
Per
essere concisi, comunque, la trama ha spunti di interesse, per la descrizione
dei cinesi a Roma, e per l’accento posto alla problematica degli immigrati di
seconda generazione, che sono ancora immigrati e non integrati.
Qualche
parola in più merita l’arte marziale Ving Tsun, definita anche in termini
cinesi come Wing Chun Quan (永春拳, Pugilato dell'Eterna Primavera). È una
tecnica di combattimento e di difesa caratterizzata da una maggior attenzione
al combattimento corpo a corpo ravvicinato, ai pugni rapidi e all'efficienza
diretta, sfruttando in modo estensivo la forza dell’avversario per
ritorcergliela contro. Vi invito, se di interesse, a leggerne in rete, dove
sono presenti descrizioni interessanti. In particolare, sulla vita e le opere
di Ip Man, uno dei teorici del Ving, nonché mastro di Bruce Lee.
Ancora più brevemente, per me romano, sono
interessanti scorci e descrizioni delle zone “cinesizzate” di Roma,
dall’Esquilino a Tor Tre Teste. Inclusa la menzione con un’osteria storica, la
Trattoria Bonelli, un classico della cucina romana con tavoli in legno e
lavagna con menu, situata, per chi fosse interessato, dalle parti
dell’Acquedotto Alessandrino. Buon appetito se non buona lettura.
Antonio
Caron “Signorina Regina” Corriere Gazzetta 31 euro 7,99
[A:
08/01/2024 – I: 18/08/2024 – T: 20/08/2024] & +
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 249; anno:
2012]
Torniamo ad occuparci della grande massa di
autori italiani sfornata dalla premiata ditta dei Fratelli Frilli. Che nella
loro opera di ricerca di noir ambientati in varie parti d’Italia, ci presentano
qui un romanzo tra Piemonte e Lombardia (su cui torneremo).
Dispiace solo aver scoperto che l’autore ci
ha lasciato sei anni fa dopo aver prodotto una quindicina, credo, di libri
incentrati sulla figura del carabiniere Sebastiano Vitale. Libri che non sono
entrati se non casualmente nella mia libreria, dove, altrettanto casualmente,
leggo questo che credo sia l’ottavo o il nono da lui scritto. Dispiace anche
perché, nonostante la simpatia per alcune uscite che ho trovato in rete su
vecchie interviste dello scrittore (torinese d’origine ma ligure d’adozione)
questo libro mi ha convinto molto poco.
In particolare, mi ha lasciato perplesso il
modo di scrivere e di presentare lo svolgimento degli avvenimenti. Un modo che
avevo già stigmatizzato una decina di anni fa, leggendo un altro libro delle
avventure di Vitale, scritta alcuni anni prima di questa. Lì, con protervia,
all’inizio di ogni capitolo faceva una specie di riassunto delle puntate
precedenti. Con il tempo, questo vezzo si è affinato, ora ha un tono più
amichevole nei confronti del lettore, mette ogni tanto qualche piccola
ricapitolazione. Purtroppo, vi aggiunge la possibile anticipazione di quanto
potrà avvenire nel resto della trama.
È un atteggiamento che si vuole ironico, ma
che crea molti problemi al lettore. Intanto, ci si deve confrontare con lo
scrittore narratore onnisciente, fatto poco simpatico che lui sa come andrà a
finire e può giocare con il lettore. Inoltre, tende a rompere il ritmo della
trama stessa, rischiando (e qui avviene varie volte) di far perdere il filo a
chi sta, con faticosità, ricostruendo la successione degli avvenimenti,
cercando, da lettore ignorante, di scoprire il colpevole.
Altro punto di sicura inutilità è la
presentazione dei personaggi ad inizio libro. È vero, nei Gialli Mondadori è
sempre così, ma qui Caron non solo elenca i personaggi, ma ne fornisce alcune
qualifiche che consentono, a chi legge con attenzione, di capire con largo
anticipo, chi fa cosa anche se a volte non il perché.
Comunque, il protagonista di tutte le storie
di Caron è un carabiniere, come detto. Sebastiano Vitale, che negli anni
procede nella carriera, fintanto che, all’inizio di questa, l’ormai maresciallo
non vede l’ora di andare in pensione, e godersi la casetta in campagna nelle
Langhe, insieme all’amata moglie Marisa. Ma prima di lasciare l’arma, il
colonello Molisani gli chiede un ultimo fare. Di fare il facente funzioni in un
distaccamento di soli quattro carabinieri che verrà presto accorpato ad altre
sezioni dell’Arma. Per senso del dovere accetta, e diventa anche luogotenente
reggente, trasferendosi momentaneamente in quel di Borgo Briantino, località
appunto in Brianza, non lontana dalla Svizzera.
Sembra un incarico da svolgere con la mano
sinistra, se non che, nel poco tempo che si trova lassù, ne succedono di tutti
i colori. Nel filone principale c’è appunto Regina Messeri, segretaria
comunale, nonché fervente attivista umanitaria, viene trovata morta vicino ad
un campo Rom. Indagini difficili, senza molti appigli, all’inizio. Ma le
capacità informatiche di un carabiniere permettono di scoprire i segreti
nascosti nello smartphone della vittima. La foto della carta d’identità della
vittima ed una serie di foto osé permettono però di sviluppare le indagini.
La prima porta alle attività poco chiare che
circondano il ristorante con camere “Il Gufo Martufo”, con annessi ricatti di
natura sessuale. Potrebbero anche essere collegate alla morte di Regina che
transitò nel ristorante con il suo amante Flavio. Non sarà così, ma porterà ad
arresti di laterale storia.
Le foto invece portano appunto a Flavio, che
però non si vedeva con Regina, limitandosi a scambi erotici via telefono.
Comunque, Vitali e la sua squadra, tassello dopo tassello, mettono a posto il
ritrovamento del cadavere lontano dal posto dell’omicidio, la scoperta delle
mutandine della vittima nella macchina di Regina abbandonata nei campi, i
ricatti subiti dalla stessa, la scomparsa e poi ricomparsa di un ingente somma
di denaro da spedire in Africa ed altre piccole pietre che porteranno alla
scoperta del macigno da legare alle braccia del colpevole.
Poi c’è quel campo Rom, che sparisce
all’improvviso, quando viene intercettato un TIR bulgaro carico di droga, con
conseguenti contatti tra Vitale ed il controspionaggio svizzero. Nonché tutta
una sottotrama legata alla passione di Vitale per l’opera, ed in particolare
alla Carmen di Bizet, che funge quasi da contrappunto con la trama reale.
Peccato che il finale sia veloce e poco
esaustivo, non spiegando tutti gli avvenimenti, anzi lasciando alcuni vuoti
palesi. In particolare, c’è una affermazione di carattere probatorio che ad un
certo punto fa Vitale, ma che, smentita dalla vicenda stessa, non ne viene
spiegato il motivo della falsità. Forse un po’ troppa approssimazione o qualche
mancanza di rilettura.
Per finire, c’è il nome del ristorante,
“Martufo”, che non viene spiegato ai più che, nella lingua italiana, è sinonimo
di “persona ottusa”. Magari avrebbe spiegato anche il comportamento di qualcuno
che intorno al ristorante si aggira. Ed a me suona male anche il titolo, che
rimanda invece ad un romanzo di alta cultura, “Signorina Rosina”, dalla facile
assonanza, anche perché scritto da un poliziotto in pensione, Antonio Pizzuto
(grazie Pietro).
Mi dispiace per tutta la buona volontà che ci
mise Caron nello scrivere, ma il risultato è molto inferiore alle aspettative.
Una trama risibile, passaggi poco chiari, e personaggi di piccolo spessore,
poco approfonditi e mai in empatia con il lettore.
Maria
Masella “Morte a domicilio” Corriere Noir Italia 6 euro 7,99
[A:
10/07/2023 – I: 04/09/2024 – T: 07/09/2024] && ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 215; anno:
2002]
Maria Masella ha scritto ben 75 romanzi, di
cui 26 con protagonista il commissario Antonio Martini, di cui questo “Morte a
domicilio” è il primo episodio. Strano che, nonostante la sostanziosa messe di
pubblicazioni, questo è il primo libro che leggo della scrittrice. Che oltre al
fatto di essere genovese e pubblicare per le edizioni dei Fratelli Frilli, ha
il merito di essere laureata in Matematica, e che, oltre alla scrittura, ha
esercitato la docenza nella nostra comune materia, in un liceo scientifico fino
alla pensione.
Ma qui trattiamo di scrittura, e quindi
veniamo a questa prima avventura del commissario Martini (prima per
pubblicazione che successivamente verrà pubblicato un prequel che spiega alcuni
passi di queste prime mosse dei nostri protagonisti), corredata dalla presenza
della moglie Francesca e della figlia (sei anni) Manu. Un ambiente familiare un
po’ sgangherato, o meglio, di quelli che, a pelle, mi convincono poco.
La piccola Manu sembra essere molto più
matura dei suoi sei anni, tanto che riesce con un pezzo di lego a deviare una
cannula da dove fuoriusciva dell’acqua. Tentativo ingegnoso, che non sarebbe
venuto in mente a gente molto più grande di lei, magari con uno zero dopo il
numero. La seconda descrizione poco coinvolgente è proprio la moglie Francesca.
Donna in carriera, una bella laurea, un lavoro di prestigio nel campo
informatico. Peccato che non si capisce come faccia a stare insieme al
commissario. Che lui l’ha tradita e la tradisce ad ogni piè sospinto. Un motivo
che persone più sagge della buona Francesca avrebbero condotto verso quanto
meno un divorzio. Magari con affidamento congiunto, visto che entrambi di
sicuro vogliono bene a Manu. Ma in queste condizioni, l’ambiente familiare ne
risente assai.
Infine, il commissario. Un uomo che non sa
resistere ad una gonna (e questo ci può anche stare, soprattutto se anche la
gonna non sa resistere al fascino di Antonio), ma che vada in giro anche per
donne a pagamento, a me lascia molti pochi dubbi: una persona da non
frequentare molto. Inoltre, queste sue attività intersecano la vita lavorativa
del nostro, e questo crea confusione e danni.
Infatti, Martini viene coinvolto in una serie
di omicidi, apparentemente slegati tra loro e senza motivi apparenti. Unico
indizio sempre presente, un fiore di camelia che viene recapitato in un pacco
insieme ad altri indizi da decrittare come in un rebus. Non ci vuole un genio
della lampada per indovinare che prima o poi salterà fuori una prostituta di
nome Margherita. Non se ne sa il ruolo, al momento, ma è una scommessa che si
può fare fin dalle prima pagine.
Ovvio che ci riferiamo a Marguerite Gautier
ed al famosissimo “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio. sarà
una ricerca complicata quella che Martini dovrà intraprendere per arrivare ad
una qualche Margherita, anche se (altro elemento spurio) proprio da Francesca
verrà aiutato. Il fatto è che i pacchi recapitati con i rebus da decifrare sono
sempre più vicini a tutta la famiglia Martini, mettendone in pericolo i vari
membri, inclusa la madre di Antonio.
In questo modo, Antonio stesso, indagando
sulle motivazioni che spingono il (o la) serial killer ad agire, dovrà fare un
tuffo enorme nel suo passato, e soltanto alla fine a) troverà il bandolo e b)
forse troverà anche il bandolo della sua vita privata. Insomma, alla fine, un
libro dalle diverse facce. Fino a circa metà si fa seguire bene ed in un certo
senso coinvolge. Ci si domanda il motivo dei pacchi ed il loro significato. Poi
c’è come un calo di tono, quasi una stanchezza (comprensibile per chi è al primo
libro, ed ancora non maneggia tutti i ferri del mestiere). Non si capisce
infatti perché il commissario ed i suoi non seguano linee standard nelle
indagini. Perché non cercano nelle farmacie tracce delle siringhe che hanno un
ruolo nell’indagine o perché non vadano a parlare con una signora che ben più
del professore conosce i misteri dei fiori o perché, infine, impieghino tanto a
capire che l’infermiera dell’ospedale può fornire dati interessanti. Un esperto
di noir non avrebbe lasciato cadere tutti questi indizi.
Pur nel complesso di alcune parti con la
stampella, è comunque una lettura gradevole seppur datata, con alcuni spunti
descrittivi sulla città di Genova che fanno sempre piacere, anche se poi, visto
che son passati più di venti anni, molto è cambiato. Mi dicono amici
frequentatori della Liguria che il bruco verso Corte Lambertini non c’è più
(ricordo chiamasi bruco un sovrappasso pedonale con archi di sostegno a mo’ di
animale strisciante) o che la libreria di cui si parla è stata sostituita da un
negozio di intimo. Ma tant’è, Masella a prescindere mi è rimasta simpatica.
Consiglierei soltanto di periodare meglio la divisione in capitoli che cinque
per più di duecento pagine, non agevolano il ritmo di lettura.
Per contraltare ai gialli italiani, ecco
allora pensieri ripresi da due scrittori anglosassoni, l’inglese Jonathan Coe e l’americano Don DeLillo.
Il primo in “Donna per
caso” fa pensare prima sulla
felicità e poi sull’amicizia: “Non c’è nulla di più deprimente del
ricordo della felicità … non c’è nulla di più piacevole dell’attesa della
felicità” (36) e “Non voglio che tu sia educata. Voglio che tu sia mia amica”
(125).
Il secondo in “Rumore bianco” invece ci dà un’immagine folgorante
dei “self-addicted”: “Fotografano il fotografare.” (19) e finisce con un’immagine
dei pensieri che prima o poi ci vengono in mente: “Si passa la vita a dire
addio agli altri. Come si fa a dirlo a sé stessi?” (316).
Ciò detto, sarà la stagione, sarà l’età, viaggi pochi e quasi azzerati. Speriamo tutti che la tendenza cambi, per ora accontentiamoci del poco che abbiamo. Altro dirvi non vo’, ma mandarvi son soliti i miei più caldi abbracci (ci vuole date il tempo).
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