Fred Vargas “Sulla pietra” Einaudi euro 20
(in realtà, scontato a 18 euro)
[A: 12/06/2024
– I: 19/06/2024 – T: 22/06/2024] - &&
--
[tit.
or.: Sur la dalle; ling. or.: francese; pagine: 466;
anno 2023]
Un basso gradimento per un libro della
Vargas? Sembra quasi una lesa maestà! In realtà sono realmente rimasto
abbastanza deluso, pur con tutto l’amore per lei. Di cui ho letto tutti i
romanzi, dal primo giallo un po’ atipico, alla serie delle investigazioni dei
“tre evangelisti” ed ovviamente a tutte le avventure del commissario Jean-Baptiste
Adamsberg.
La seconda particolarità del libro, è che è
il primo romanzo di una delle mie autrici icone che leggo in italiano. Non
credo sia colpa della traduzione, ma è subito precipitato tra i meno belli di
lei che ho letto. Di sicuro, comunque, un’altra parte di colpe vanno attribuite
all’editore Einaudi, che confeziona una quarta di copertina da far
rabbrividire.
Riporto solo due “chicche”. Dice la quarta:
“in Normandia le sciagure non si contano più” e “grazie … all’energia
ancestrale dei menhir”. Ora, peccato che tutto il romanzo di svolga in Bretagna
e che la pietra del titolo non sia un menhir (che sono quelle grandi pietre
verticali che Obelix trasporta nelle sue vicende) ma dolmen (tombe megalitiche
sovrastate da una lastra). Inoltre, appunto, il titolo francese riporta “dalle”
che significa “lastra” e non pietra.
Ora, ripulita la piazza da errori altrui,
veniamo alla confezione che la scrittrice, dopo sei anni di silenzio, ci
propina. Una storia sconclusionata, che cerca di mettersi di traverso con idee
brillanti, ma che non ripropone molto della verve dei suoi scritti. Adamsberg è
stanco, svogliato ed un po’ confuso. Inoltre, la sua squadra, pur sempre
efficace e moderatamente presente, ha dei colpi a vuoto. Soprattutto nel suo
vice, Danglard, che sembra quasi proporsi di sostituire il capo se questo
decidesse (come potrebbe) di proseguire la sua vita altrove.
Certo, i nostri lavorano alacremente, e noi,
avendo a mente il loro passato, anche se poco agiscono, ne riconosciamo la
presenza e l’apporto: il tenente Noël, il sempre puntuale Veyrenc, il
narcolettico informatico Mercadet, e l’invincibile Violette Retancourt, che
sarà protagonista di una grande impresa anche in questo libro, ma non vi dico
quale.
Il testo si avvia lentamente, con Adamsberg
che viene chiamato in aiuto dal commissario Mathieu, dovrà ripartire per
Louviec (paesino inventato ma non lontano da Combourg, come vedremo). C’è un
morto e, data l’amicizia di Mathieu con il nostro, e la bravura degli sbirri
del XIII arrondissement, il Ministro stesso richiede una task force all’altezza
del problema.
Anche perché, una delle figure di spicco
locali è il visconte Josselin de Chateaubriand, discendente, probabilmente, del
famoso François-Renè, che appunto a Combourg aveva un suo castello. Una figura
interessante, Josselin, con la quale Adamsberg si accompagna intuendo subito, a
scapito tutta una serie di prove contrarie, che non poteva essere lui
l’assassino.
Comunque, c’è il primo morto Gaël Leuven, un
mastodontico guardiacaccia, ucciso con colpi di coltello da macellaio marca
Ferrand (un tipo di coltello non molto usuale). Unica cosa che salta agli occhi
di Adamsberg è che l’assassino ha cercato una facile simulazione: far finta che
l’omicida sia mancino, mentre potrebbe essere destro. Oppure un mancino debole
(come ad esempio una donna).
Bazzicando per Louviec, andiamo conoscendo
gli altri personaggi del posto, oltre Josselin. C’è lo Zoppo, uno spettro che
da secoli ossessiona la gente della cittadina, c’è un Gobbo, Maël Yvisc, un
uomo tormentato dalla sua deformità, c’è la Vipera, Marie Serpentin, a capo
delle comari pettegole che temono chi calpesta le ombre, perché credono che calpestando
l’ombra di una persona si attenti all'integrità dell’anima e si possa causare
la morte.
E poi tanti morti, dopo Gaël: il sindaco, una
dottoressa, un medico, un finto possidente dai soldi di provenienza poco
chiara. Tutta una serie di avvenimenti, che si susseguono con colpi di scena
improbabili, e senza che noi si ritrovi lo spirito del vecchio Adamsberg. Che
ritorna, per poco, ad essere sé stesso quando, per riflettere, si stende sul
dolmen assorbendone le forze ancestrali. Arrivando alla conclusione della
vicenda, con un lungo spiegone che darà ragione dei morti, dei morsi delle
pulci, delle uova fecondate, dei coltelli da macellaio, e di tutte le
incongruenze disseminate nelle quasi cinquecento pagine del testo.
Come Adamsberg, anche la scrittura della
Vargas è svogliata e priva dei piccoli spunti che facevano venir voglia di
girare le pagine per scoprirne il seguito. Qui, si arriva alla fine,
stancamente e decisamente delusi.
“Non è facile chiedere scusa e non sono in
molti a trovare il fegato di farlo.” (161)
Michael
Connelly “La notte più lunga” Pickwick euro 10,90
[A:
02/09/2021– I: 30/07/2024 – T: 01/08/2024] - &&&
+
[tit. or.: Dark Sacred Night; ling. or.: inglese; pagine: 379; anno 2018]
HB24;
RB2
In
effetti, pur avendo sempre amato la scrittura di Michael Connelly, per i
misteri delle mie letture casuali, sono circa tre anni che non prendo in mano
un suo libro. Il bello è che, dopo tre anni, pur con qualche punto non proprio
centrato, la lettura procede spedita e gradevole. Tra l’altro, e lo vedremo
entrando poi nei dettagli, da libri incentrati su Bosch, e che sicuramente
restano i migliori, si va sempre più spostando sul “procedural thriller”,
riuscendo a reggere benissimo il confronto con il mago del genere, Ed McBain.
Ma
andiamo con ordine, cominciando dal titolo. Primo, per ribadire che, al solito,
comprendo poco il bisogno italiano di titolare in altro modo. Così da
un’esclamazione forte relativa alla notte ed all’oscurità, si passa ad una
notte, sì, ma perché “più lunga”? Inoltre, facendo così, si perde il rimando
musicale, spesso presente in Connelly, alla musica. Che il titolo riprende il
verso di una bellissima canzone di Louis Armstrong (“What a wondeful world”),
dove si accenna alle piccole grandi cose che rendono bella e degna di essere
vissuta la nostra vita.
Per
dovere di chiarezza, poi, esplicito l’ultima riga delle note in alto. Questo è
il ventiquattresimo romanzo in cui compare il personaggio principale di
Connelly, cioè Harry Bosch, ed il secondo invece di René Ballard. Di cui, ne
“L’ultimo spettacolo” avevamo assistito alla sua introduzione nel mondo della
polizia di Los Angeles, mentre qui vediamo la sua convergenza con Harry, da
cui, come intuiamo dal finale del romanzo, dovrebbero nascere altre indagini in
coppia.
Ballard
è di sicuro un valente poliziotto, che, per aver denunciato il suo capo per
molestie sessuali, invece di essere premiata, viene isolata nel turno di notte,
quello appunto che nel gergo poliziesco viene chiamato ultimo spettacolo.
Bosch, invece, sappiamo ormai essere in pensione, ma con un contratto di
consulenza investigativa con il nucleo poliziesco di San Ferdinando, dove si
occupa generalmente di casi irrisolti.
Il
fatto che seguiamo molto di Ballard, porta appunto a far svolgere molte piccole
micro-indagini (quella da “procedural thriller”) che sono di contorno
all’indagine principali. Omicidi e rapine che si risolvono in poche battute, ma
che servono a dare il tocco ed il senso del lavoro oscuro della polizia. Tra
l’altro anche Bosch è coinvolto in altre indagini, in particolare una legata ad
un cartello di spacciatori che lo vuole morto, non esitando a mettere in
pericolo anche Maddie, la figlia di Bosch. Ma come detto sono contorni,
interessanti ma contorni.
E
parlando di contorni, mentre di Bosch sappiamo già quasi tutto, qui entriamo
meglio nel personaggio Ballard. Che quando non fa il turno di notte, dorme
dentro una tenda in riva all’oceano, guardando spesso il mare nel ricordo del
padre, travolto da un’onda quando surfava e mai più ritrovato. È osservatrice
attenta, e capace di collegamenti tra vari punti delle indagini non disdegnando
tuttavia di passare all’azione.
I
nostri due convergono quando, durante il suo turno, Ballard scopre che Bosch
cerca documenti vari relativi alla morte, avvenuta nove anni prima, della
quindicenne Daisy Clayton. Un caso mai risolto, ma che Bosch riprende per una
promessa che fa ad Elizabeth Clayton, la madre della giovane. Madre che Bosch
aveva incontrato quando lavorava sotto copertura in “Doppia verità”, che aveva
aiutato a disintossicarsi, e che, per i tempi di recupero, sta ospitando nella
sua bellissima casa (per me), quella su Woodrow Wilson Drive, nelle colline di
Hollywood, con una vista mozzafiato.
Ballard
e Bosch, dopo qualche scaramuccia, cominciano a lavorare insieme, con Bosch che
indaga sul campo, mentre Ballard, durante i turni di notte, si fissa sulle note
di carico di tutte le indagini che erano state svolte all’epoca, cercando
somiglianze ed indizi che potrebbero portare ad individuare un possibile serial
killer.
Alla
fine, e non entro nel merito, B & B trovano il colpevole, estorcono
fraudolentemente una confessione, ma riescono anche a trovare possibili prove.
Certo, Bosch lavora sempre ai limiti della legge, anche perché nel frattempo
Elizabeth non resistendo alla pressione si suicida con una overdose. Ed è molto
probabile che Bosch preferisca un periodo di sospensione, piuttosto che
lasciare andare liberi i veri colpevoli.
Un
buon libro, che riporta qualche punto in più nei mei giudizi su Connelly, anche
se, pur presenti, questa volta non sono molto rilevanti gli interventi
musicali. Mentre noto di passaggio un solita citazione trasversale. A pagina
46, il giudice che firma un’ordinanza di perquisizione richiesta da Bosch si
chiama Atticus Finch Landry. Come non collegarlo immediatamente al protagonista
de “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee? Comunque, non posso che finire con
una menzione ad Alfredo Colitto, anche qui presente con una degnissima opera di
traduzione.
Lee
Child “Zona pericolosa” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 9,60 euro)
[A: 24/07/2024– I: 01/08/2024 – T:
03/08/2024] - &&&
[tit. or.: Killing Floor; ling. or.: inglese; pagine: 479; anno 1997]
Durante
le mie ricerche in rete mi sono imbattuto in una delle tante liste ufficiali o
meno che parlano di libri gialli. Ovviamente disattendendo i consigli di
Umberto Eco, l’ho scorso scoprendo di averne letto il 60%. Per cui ho deciso
che nei ritagli di tempo, avrei cercato di colmare il restante 40. Eccoci,
quindi, ad un libro che in principio non avrei comperato, e ad un autore che, a
meno di altre cause, non credo che seguirò molto.
Certo
Lee Child scrive bene e questa sua “Zona pericolosa” è un buon libro, pur se
datato a causa dei suoi quasi trenta anni. Come anche ben caratterizzato è il
personaggio eponimo di Child, questo Jack Reacher, qui alla sua prima uscita,
ma che Child continuerà a serializzare, tanto che quest’anno è uscito il
ventinovesimo romanzo della serie.
Come
è facile intuire, Lee Child è solo uno pseudonimo dell’inglese James Dover
Grant, nome con il quale lavora più di venti anni come autore televisivo.
Trovatosi senza lavoro per una ristrutturazione aziendale, decide di usare le
sue capacità letteraria con la scrittura di thriller. Trovandosi questo strano
pseudonimo. Il nome deriva da una passione infantile di Grant, laddove in una
pubblicità, la Renault 5 viene indicata come “Le Car”. Una storpiatura eufonica
nella sua testa lo porta a pronunciarla come “Li Car”, che scritto in
anglosassone diventa “Lee”. Così che la sorella Ruth comincia a chiamarlo “Lee
Child” (cioè bambino). Quando deve decidere il suo nome d’arte, questo gli
sembra promettente, in quanto, negli scaffali delle librerie si sarebbe trovato
in mezzo a due grandi ed affermati scrittori: Raymond Chandler e Agatha
Christie.
Capace
costruttore di trame per il suo passato televisivo, decide di puntare tutto
sulla costruzione di un personaggio, che risulta subito intrigante e vicino al
lettore. Nasce così Jack Reacher. Figlio di militari, militare a lungo lui
stesso, nella squadra investigativa militare, dopo una quindicina d’anni di
servizio, decide di mollare tutto (e penso che nel corso dei quasi trenta
volumi questa parte della sua vita verrà indagata a lungo) e di dedicare il suo
tempo a vagabondare lungo gli Stati Uniti, senza mete particolari, fino a che
non troverà qualche cosa che deciderà essere più appassionante di girare a
vuoto. Ma non sarà né ora né in questo libro.
Dopo
un viaggio di otto ore da Tampa, Reacher arriva a Margrave in Georgia, dove si
ferma e qui cominciano le (dis-)avventure. Viene arrestato dall’agente Finlay
accusato di omicidio. Qualcuno l’ha visto vicino a dei magazzini (i magazzini
della ricca famiglia Kliner) dove viene trovato uno sconosciuto morto. Il
nostro ha un alibi, verificato da Roscoe, la giovane assistente di polizia, ma
viene mantenuta l’accusa in base alle dichiarazioni del capo della polizia
Morrison. Peccato che poco dopo viene fermato tal Hubble che si accusa
dell’omicidio.
Per
non saper né leggere né scrivere, i due vengono portati nel carcere della
contea, ma non nella sezione d’attesa, bensì in quella dei detenuti, dove
ovviamente rischiano la pelle per un programmato assalto di criminali
prezzolati. Qui assistiamo alle capacità di Reacher nella lotta corpo a corpo,
che permette ai due di salvarsi. Non solo ma anche rilasciati perché anche
Hubble ha un alibi, e si scopre che il morto non è altro che il fratello di
Reacher, un dipendente del Ministero del Tesoro che stava effettuando ricerche
su riciclaggi di denari.
Le
vicende, come prevedibile, si accumulano. Hubble scompare, il capo della
polizia Morrison viene trovato seviziato e ucciso, Finlay decide di mettere
sotto protezione la famiglia Hubble, facendo portare moglie e figlie in luogo
protetto da Picard, un agente dell’FBI. Intanto Jack risale la catena degli
avvenimenti, trovando la collega del fratello, Molly, disposta a parlare. Ma
lei viene uccisa ed i documenti del caso spariscono.
Non
può mancare una storia di pallida eroticità, visto che Jack e Roscoe hanno una
forte simpatia, e non vi dico cosa succede tra loro. Fatto sta che Roscoe
fornisce a Jack una pistola appartenente ad un suo capo forse suicidatosi. Ma
nelle carte del morto, Jack trova le prove che anche lui stava indagando sui
Kliner. Non solo, ma scopre che Hubble è un esperto di reperimento contanti,
che i Kliner hanno una succursale in Venezuela, che da lì, via mare e poi via
TIR arrivano vagonate di soldi falsi. Insomma, una ridda di avvenimenti che si
accumulano.
Non
certo della sicurezza degli Hubble, Jack manda anche Roscoe nella zona protetta
gestita da Picard. Mentre lui si arrovella su di un biglietto lasciato dal
fratello con la scritta “E unum pluribus”, motto che è il contrario di “E
pluribus unum”, il motto presente sullo stemma statunitense. Jack arriva a
comprendere il perché del motto, la necessità di usare le capacità di Hubble, e
l’anomala presenza di biglietti da 100 dollari in alcuni zone americane.
Sembra
tutto in dirittura d’arriva, ma Jack scopre che gli Hubble e Roscoe sono in
pericolo, che la banda che usa i magazzini Kliner è ben avviata sia nel campo
del crimine che in quello dei contatti a vari livelli. Insomma, tutto converge
in un finale molto azione, dove il punto centrale è ritrovare Hubble scomparso.
Cosa che Jack fa anche se la soluzione che propone Child mi sembra troppo
fortunosa.
Tutto
si risolve senza troppi danni, ma Jack non riesce ancora a fermarsi, e la prima
puntata di schiude con il nostro che sale su un Greyhound per la California.
Una
bella confezione, una scrittura che tiene, qualche sbavatura qua e là, ma che
ci presenta un’America com’era ma come, per chi ogni tanto la frequenta, è
ancora. Con buona pace di chi pensa che là sia tutto New York e San Francisco.
Child riesce anche ad incuriosirci con un personaggio misterioso (ancora) e con
qualche sbavatura, ma con un gran cuore, un senso della giustizia profondo ed
una forte empatia con le altre persone.
Non
mi ha entusiasmato, ma ritengo che, per gli amanti del thriller, sia una
lettura obbligata.
John
Grisham “I fantasmi dell’isola” Mondadori s.p. (regalo della sig.ra Laura)
[A:
15/08/2024– I: 15/08/2024 – T: 16/08/2024] - & e ½
[tit.
or.: Camino Ghosts; ling. or.: inglese; pagine: 281;
anno 2024]
John
Grisham è sempre stato un autore che leggo con piacere, e qui a maggior ragione
grazie ad un regalo ferragostano inaspettato unito al clima rilassante
dell’interludio campagnolo. Ma pur con tutte le premesse positive questo “I
fantasmi dell’isola” non mi ha soddisfatto.
È
discretamente lento, senza particolari scatti né di momenti “thriller”, e ci
potevano stare, né di particolari emozioni nelle parti “procedural thriller”,
anch’esse con thrilling tendente a zero. Non c’è un personaggio cui realmente
affezionarsi (come accadeva, ad esempio, in un altro “thriller ambientale” come
“Il rapporto Pelican”), anzi siamo pieni di personaggi, anche abbastanza
diversificati, ma senza un vero centro emozionale. La storia poi corre sui
binari di una regolarità disarmante, c’è una piccola curva poco prima della
fine, poi si procede diritti e senza intoppi sino all’inevitabile conclusione.
Non
essendo da tempo lettore delle grandi storie di Grisham (e forse ogni tanto
farei bene a tornarci), non avevo colto che, in effetti, questo è un libro
seriale, dedicato a questa isola immaginaria, Camino, posta in Florida quasi al
confine con la Georgia. Non esiste realmente (l’unica Camino Island si trova
nel Pacifico vicino a Seattle) e si potrebbe individuare come una delle isole
che contornano Cumberland Island. In ogni caso, Grisham ha appunto pubblicato
nel ’17 “Camino Island” e nel ’20 “Camino Wind”. Ovvio che non è facile seguire
una serie se i traduttori italiani, ogni volta fanno sparire il nome dell’isola
(in italiano sono usciti come “Il caso Fitzgerald” e “L’ultima scelta”).
Questa
mancanza di informazioni fa sì che i due personaggi principali del testo
vengano dati per scontati, mentre conoscendone la storia, forse sarebbero
risultati meno appiattiti. Si tratta di Bruce Cable, gestore dell’unica
libreria dell’isola dal nome di “Bay Books” e di Mercer Mann, che qui troviamo
scrittrice abbastanza affermata (mentre credo che nelle prime opere non lo
fosse ancora).
La
storia, in ogni caso, non può che toccare alcuni punti classici di Grisham,
soprattutto nell’ultimo periodo: il razzismo, la cementificazione delle risorse
naturali, l’ingiustizia e la corruzione. Purtroppo, però manca l’elemento
avvincente. Non è un puro legal thriller, anche se è presente una battaglia
legale. Anzi di thriller ce n’è abbastanza poco. Inoltre, mancano realmente i
cattivi. La società immobiliare di cui parleremo è sì spietata, e tenta qualche
corruzione latente, ma in realtà non minaccia direttamente nessuno, non uccide
nessun testimone, si limita ad una agguerrita battaglia legale che, così com’è
impostata, non potrà che perdere.
Il
nucleo della storia riguarda un’isoletta vicino a Camino, dove nella seconda
metà del 1700 si rifugiavano schiavi fuggiti dalla Georgia. Essendo la Florida
a quei tempi spagnola, questi proteggevano i fuggiaschi. Nel 1760, una nave
negriera proveniente dall’Africa e diretta a Savannah incappa in una tempesta e
fa naufragio su quell’isola (tempesta molto forte, visto che Savannah si trova
200 km a Nord). I pochi superstiti vengono accolti dai fuggiaschi. E tra i
superstiti c’è Nalla, una sacerdotessa voodoo, stuprata durante la traversata,
che per vendetta e protezione lancia una maledizione: nessun bianco uscirà vivo
dall’isola.
Ai
giorni nostri rimane un’unica discendente Lovely Jackson che scrive un libro
con la storia dell’isola, battezzata dai locali “Dark Isle”, e, quando scopre
che un’immobiliare della Florida intende costruire un parco gioco con casinò e
campi da golf, insorge che ritiene lei di essere l’unica ad aver diritti
sull’isola.
Da
qui partono le piccole storie dei nostri due maggiori protagonisti. Mercer, la
scrittrice, si innamora della storia dell’isola, e convince Lovely a farle
scrivere un libro romanzato che narri la storia dei neri dell’isola. Bruce,
invece, sempre pronta a battaglie ambientaliste, convince il suo amico avvocato
Steven Mahon a lanciarsi nella battaglia legale. Dimostrando che l’isola è di
proprietà di Lovely verrebbero sventati i tentativi immobiliaristi dei cattivi.
Le
due storie sono scontate e prevedibili, unico elemento di frizzante novità è
l’arrivo a metà libro di una stagista, Diane Krug, che affianca Steven
nell’azione legale, e che con la sua verve ed alcune idee interessanti, riesce
a portare molta acqua al mulino di Lovely. Con tutta una parte dedicata ai
nativi africani deportati, ed alle loro radici, molto interessante per gli
americani, assai poco per noi europei.
Insomma,
in finale, buoni gli spunti sociali, ma la confezione risulta lenta,
prevedibile ed i personaggi non molto ben delineati. Alcuni momenti ironico
coinvolgenti (la festa “beach chic” dove ognuno può vestirsi come vuole ma deve
essere rigorosamente a piedi nudi), ma niente di più. Qualche ora rilassante ad
un’ombra estiva, ma mi aspettavo meglio da Grisham.
James
Patterson “Il collezionista” TEA euro 8 (in realtà, scontato a 5,20 euro)
[A: 19/06/2020– I: 20/08/2024 – T: 21/08/2024]
- &&& ---
[tit. or.: Kiss the Girls; ling. or.: inglese; pagine: 388; anno 1995]
James
Patterson è sicuramente un autore degno di nota per la costanza e la velocità
di produzione delle sue opere. Credo che negli ultimi trent’anni abbia
pubblicato quasi un centinaio di libri, laddove, per aumentare la produzione,
spesso usa scrivere in collaborazione. A volte lui pensa più allo scenario
(come nei libri con Maxine Paetro) a volte più alla scrittura (come con i libri
con l’ex-presidente Clinton).
A me
incuriosì sentendo parlare positivamente della lunga serie del suo personaggio
centrale, Alex Cross, per cui ne lessi qualche anno fa il primo episodio. Poi,
senza fretta, ogni tanto, succede trovare altri capitoli, così ora passo alla
lettura del secondo episodio di Cross.
Alex
Cross è un afroamericano, laureato in psicologia, che, per una serie di
ragioni, decide di diventare detective, come si legge in “Ricorda Maggie Rose”.
Associandosi al detective John Sampson, con cui fa coppia fissa, con Sampson
anche lui di colore, massiccio, ma anche capace di buone letture. Cross ha
perso la moglie alcuni anni prima dei fatti, e deve crescere i suoi due figli,
Damon e Jannie, vivendo con loro a Washington insieme a Nana Mama, sua nonna.
In
questo secondo romanzo, Alex viene coinvolto direttamente dal punto di vista
familiare, essendo stata rapita Nessie, sua nipote, che studiava nelle Carolina
del Nord. Lì si precipitano Cross e Sampson per scoprire uno scenario
inquietante. Non poche donne di bell’aspetto sono state rapite negli ultimi
periodi, ed alcune di esse vengono trovate orrendamente uccise. Benché
coadiuvati dall’FBI con il supervisore Kyle Craig e dalla polizia locale, con i
detective Nick Ruskin e Davey Sikes, le indagini fanno pochi passi avanti.
Finché
non escono degli articoli sul Los Angeles Times, che parlano di uno
psicopatico, chiamato il Gentiluomo Visitatore, che racconta le gesta delle sue
uccisioni. Ma che racconta anche di morti molto simili a quelle che i nostri
vedono in Carolina. Facciamo ben presto a renderci conto che ci sono uno o due
serial killer in azione, laddove quello sulla costa est si fa chiamare
Casanova.
L’azione
comincia ad avere una svolta quando Casanova rapisce la dottoressa Kate
McTiernan, bella, intelligente, dedita al lavoro ed esperta di arti marziali.
Kate riesce fortunosamente a fuggire da Casanova e si unisce a Cross nella
caccia al killer. Alex, poi, studiando i modus operandi delle varie uccisioni
si convince che i killer sono in realtà due. E li collega all’inizio della
vicenda, che Patterson ci aveva narrato nel prologo, al 1981, dove il
Gentiluomo uccide una coppia e viene contatto da Casanova che anni prima aveva
fatto un piccolo massacro in Florida. Tutti e due studiano a Durham, in un
collage dove è presente anche Craig, e dove le indagini sono seguite dai due
giovani poliziotti, Ruskin e Sikes.
Ma
tornando al presente, indagando in California, Cross e l’FBI trovano traccia di
un dottore, William Rudoplh. Un chirurgo plastico che ben presto si rivela
essere il Gentiluomo. Una caccia serrata non riesce a bloccarlo, e Rudolph fa
in tempo a fuggire ed a riunirsi con Casanova, il suo gemello del crimine. Tra
l’altro i due alterano delle prove, facendo in modo che possa venir incriminato
come Casanova un altro medico di Durham. Che di sicuro ha un buon successo con
le donne, ma che Cross ritiene estraneo. Non così l’FBI che lo arresta.
Peccato
che contemporaneamente, Kate viene assalita e quasi uccisa dalla coppia di
killer, cosa che rafforza le idee di Cross. Utilizzando i ricordi di Kate e le
notizie di fattorie sotterranee che servivano da riparo a schiavi fuggiaschi,
Cross e Sampson riescono a trovare il rifugio dove Casanova teneva in ostaggio
le belle donne prima di ucciderle. Le liberano, mentre arrivano i due, che
feriscono Sampson, ma che Alex riesce ad inseguire. Nella fuga che ne consegue,
Cross fa due passi avanti: uccide Rudolph e capisce, dal modo di sparare, che
Casanova è uno che sa usare le armi, un poliziotto o un militare.
L’ultima
parte è forse la meno riuscita del thriller, che si arriva alla fine, si troverà
anche Casanova, e tutto finisce abbastanza bene. Naomi torna a casa, Alex e
Kate, dopo una breve storia capiscono che le loro strade non potranno unirsi, e
nel finale Patterson inserisce un gancio per potersi dedicare al successivo
episodio.
Benché
con trent’anni alle spalle è tuttavia un libro gradevole, ben scritto (d’altra
parte non può essere di meno visto il successo di Patterson negli anni), con
Cross che sembra ancora un po’ acerbo. Intuitivo, costruttivo, forse irruento,
si capisce il forte legame con i figli, meno la necessità di cercare qualcosa
nell’altro sesso. Due libri, due donne, e poi? È comunque un altro punto a
favore del testo che già allora si parlasse di stupro e di maltrattamenti verso
le donne. Inoltre, il carattere liberale di Patterson non può che scagliarsi
subito contro il razzismo sempre più imperante negli USA.
Parlando
di thriller poi, Patterson ha la capacità di farci vedere come i serial killer
possano anche essere persone (quasi) normali, che, spinti da impulsi magari
presenti in molte persone, non hanno la capacità di frenarli ed oltrepassano il
limite.
Patterson
è anche uno scrittore “colto” che non si tira indietro in citazioni e rimandi
che a me hanno fatto piacere. Kate, buona lettrice, entra in libreria e compra
“Cavalli selvaggi” di Cormac McCarthy. Kate e Alex vanno al cinema a vedere un
film di Benigni, “Johnny stecchino”. Alex suona il piano svariando dal jazz al
blues. Intrigante passare dall’orrore del thriller a queste coccole personali.
C’è
un altro elemento interessante anche qui, come nel primo episodio, riguardante
il titolo. L’originale era “Kiss the girls”, che è anche il nome che Casanova
dà al gioco che intraprende con il suo harem rapito, prima di uccidere una
delle ragazze. Un titolo che deriva da un film del 1966, parodia dei film di
James Bond in voga nel periodo, dal titolo “Kiss the girls and make them die”.
Facile il collegamento, tanto che la prima edizione del testo era intitolata in
italiano “Baciate le ragazze”. Poi, scoperto che la distribuzione italiana di
De Laurentis del film lo aveva rititolato “Se tutte le donne del mondo... (Operazione
Paradiso)” (orribile) e per sottolineare un aspetto del killer, viene
ribattezzato “Il collezionista”. Certo, ha un senso, che capirete leggendo il
romanzo, ma quanto si perde dei giochi dell’autore?
Meno
di quarantacinque giorni alla fine di un anno bisestile che si è rivelato degno
del suo nome. Onde farne un corto circuito, e per bilanciare il troppo noi di
questa settimana, mi sono rivolto alle parole di un pensatore che ascolto
sempre con grande attenzione. Dal suo libro, “La vita autentica”, mi
sono rimaste impresse sia alcune frasi dell’autore, Vito Mancuso, sia alcune
idee che lui stesso mi riporta. Tutte ve le dono come auspicio.
“Se
la vita si presenta come contraddizione, rispettare la contraddizione
consentendo a ciascuno l’esercizio della libertà è il modo migliore di
rispettare la vita” (45)
“Da
Cartesio: Chi cerca la verità deve una volta nella vita dubitare di
tutto” (61)
“Posso
anche sbagliare, lo so bene che posso sbagliare, per questo sottopongo a
verifica ogni affermazione e ogni negazione” (65)
“L’uomo
autentico è l’uomo libero, l’uomo che costruisce la sua vita su un fondamento
interiore tutto suo, sulla sua consapevole e autonoma personalità” (76)
“da
Baudelaire: A me pare che starei sempre bene là dove non sono …Non
importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!” (93)
“da
Shakespeare: sii sincero con te stesso, e ne seguirà come la notte al
giorno che non potrai essere falso verso nessuno” (110)
“da
Bonhoeffer: quando qualcuno dice la verità senza tener conto della
persona a cui parla, c’è l’apparenza ma non la sostanza della verità” (117)
“da
Marco Aurelio: ognuno vale tanto quanto le cose a cui si interessa”
(126)
“Ogni
uomo è definito dall’oggetto del suo sperare. La vita è paragonabile ad un
viaggio, e l’oggetto della speranza è la meta verso la quale si viaggia” (131)
“La vita autentica è all’insegna del viaggio,
dell’uscita da sé verso la realtà, fino a farsi compenetrare totalmente dalla
realtà e diventare un autentico frammento di realtà, che, come una pietra o
come un pianta, esiste senza la minima traccia di menzogna” (170)
“da Dante (canto XXVI dell’Inferno):
fatti non foste a viver come bruti / ma per seguire virtute (vita vissuta
all’insegna del bene) e canoscneza (vita vissuta all’insegna dell’amore per la
verità)” (171)
Spero sempre di poter seguire il consiglio di Dante, per una vita volta al bene ed all’amore per la verità. Per ora, ci si deve accontentare del nostro percorso quotidiano, sperando sempre di riuscire a continuare a viaggiare, magari insieme ai nostri amici più cari. Nel mentre non possano mancarvi i miei abbracci.
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