Christian
Jacq “Cleopatra. L’ultima regina d’Egitto” Tea s.p. (Prestito di Alessandra)
[A: 12/04/2024 – I: 11/06/2024 – T: 13/06/2024]
- &&
[tit. or.: Le
dernier rêve de Cléopâtre; ling. or.: francese; pagine: 333; anno 2012]
La
sua scrittura e le sue opere sono tronate in auge nella mia famiglia a fronte
del delizioso Capodanno egizio, per cui ci si ritrovò in casa, una serie di
opere dedicate a vari momenti e personaggi dell’Antico Egitto. Una volta
arrivati al mio desco, ne ho deciso la lettura in ordine temporale di scrittura
e non di avvenimenti. Così, passa per prima il vaglio delle mie parole la
vicenda della bella Cleopatra Tèa Filopàtore, per noi semplicemente Cleopatra,
ultimo faraone della dinastia Tolemaide, dove, con la sua morte, si ritiene
concluso il periodo ellenistico del mondo antico (quello iniziato da Alessandro
Mango) e che, appunto dopo di lei, portò la città di Roma a regnare su quasi
tutto il mondo conosciuto.
Ora,
pur riconoscendo la bravura didattica di Jacq, ci sono due elementi, dovuti ai
poco attenti editor italiani che lasciano perplessi. Per primo, il titolo che
in originale come vedete suona “L’ultimo sogno di Cleopatra”, e che ci viene
invece propinato come “L’ultima regina d’Egitto”. Cosa senza dubbio vera, come
detto sopra, ma non era quello l’intento di Jacq nel farci l’epopea di
Cleopatra. Epopea, appunto, che non rispecchia neanche la quarta di copertina
che ci narra elementi di storia che sono oltre la narrazione vera dell’autore.
Jacq
intende puntare i suoi occhi su cinque anni del regno di Cleopatra, quelli che
vanno dall’ascesa al trono nel 52 a.C. fino al trionfo decretato in Roma nel 47
a.C. Tutto quello che viene dopo il 47, cioè l’uccisione di Cesare nel 44, il
sentirsi comunque legata a Roma, anche senza Cesare, l’avvicinamento con Marco
Antonio, bravo ma non a livelli dei predecessori, il suo restargli a fianco
contro Ottaviano, ed anche dopo la sconfitta navale di Azio del 31, fino alla
morte di lei, iconograficamente sucida nel 30 a.C. a meno di quarant’anni è
materia di Storia e non di questo libro. Mentre la quarta ne propina
l’inserimento.
Invece
noi vediamo, con Jacq, quanto succede prima per l’ascesa al trono faraonico di
Cleopatra e poi per la lotta di potere per mantenerlo e riottenerlo. Alla morte
del padre, la diciasettenne Cleopatra viene forzosamente sposata con il
fratello, il piccolo ed insignificante Tolomeo IV, ma fa di tutto per avere il
potere dalla sua. Ovvio che le potenze interne le sono ostili, capeggiate
dall’eunuco Fotino, che sobilla l’imbelle sposo.
Così
lei fugge aiutata dall’anziano suo tutore, chiamato il Vecchio, e dal suo
asino, che la guidano attraverso il deserto. Nel mentre, arriva Cesare sulle
tracce di Pompeo, ed una volta battuto il nemico, prima si installa in Egitto,
poi cerca di capirne le dinamiche, ed al fine, vista la bella Cleopatra, resta
e decide di aiutarla a conquistare e pacificare il regno.
Ci
sono molti passi che Jacq, tratta, anche se il suo accento si pone da un lato
sull’amore tra Cesare e Cleopatra e dall’altro sulle pratiche magiche e
“soprannaturali” dei rituali egiziani. Quell’amore che compenetrò le loro
vicende che senza Cesare, Cleopatra non avrebbe riconquistato l’Egitto. E senza
Cleopatra, Cesare non sarebbe riuscito ad imporre una pace ad Oriente, per
dedicarsi alle sue vicende romane.
Tra
le punte a me più consone, bello, perché nel ricordo mio mi fa risalire alla
lotta tra Ramses e il toro, la sfida tra Cleopatra ed il toro. Meno belli, ma
di aiuto per la costruzione e la comprensione della trama, le parti dedicate
agli dèi egizi ed ai loro credi, alla magia ed altre piccole cose interne.
Penso ci voglia una ben diversa capacità didattica (che forse solo Piero Angela
aveva) per poter fare un percorso pulito all’interno di questa materia.
Inoltre, mi è sembrato inutile e posticcio l’epilogo che ci parla di
Champollion e di un Vecchio e del suo asino.
Quello
che resta è la figura della regina, la sua passionalità, il suo amore per la
sua terra, per Cesare e per il loro figlio Cesarione. Una figura che, appunto,
nell’economia del testo, non può che proclamare ad ogni passo il suo sogno,
essere Cleopatra, cioè testimoniare la gloria (“Kleos”) dei propri padri
(“Patros”). Che questo è quello che ci voleva mandare come messaggio Jacq, che,
d’altronde, in più di un’intervista ha confessato di non amare affatto la
regina e di aver scritto il libro più che altro per l’insistenza dei suoi
editori.
Una
curiosità che mi è venuta ragionando su questo nome: è l’inversione dei due
termini di padri e gloria nel nome di Patroclo. Casualità della storia.
“Della
disgrazia … tutti si ricordano, ma nessuno si sovviene della gioia. Se
rammentassimo i periodi felici, a cosa servirebbero i momenti infelici?” (325)
Christian
Jacq “Nefertiti. La regina del Sole” Tea s.p. (Prestito di Alessandra)
[A: 16/03/2024 – I: 25/06/2024 – T: 27/06/2024]
- &&&
[tit. or.: Néfertiti.
L’ombre du soleil; ling. or.: francese; pagine: 334; anno 2013]
Sicuramente migliore e più avvincente del
precedente. Sempre lontano dalla magia di Ramses, ma a buoni livelli di intreccio
e di divulgazione archeologica. Anche se, e tutti se ne rendono conto,
divulgare (e cercare di semplificare) il complesso mondo egiziano del tempo dei
faraoni non è certo una cosa semplice. Jacq ha studiato, è ben informato, ma
riesce ad essere coinvolgente solo a tratti. Ci restituisce un bel ritratto di
Nefertiti, ma solo un passabile romanzo sul resto delle vicende che si sono
svolte in quel tormentato periodo storico.
Perché per il periodo in esame (siamo
all’incirca tra il 1370 ed il 1330 a.C.) molte sarebbero le avventure da
raccontare. Jacq, mettendosi nell’ottica della regina, ne parla, ne fa capire
il senso, ma in un certo qual modo sposta l’ottica anche sul privato. E non è
una brutta ottica.
Intanto, avrei qualcosa da ridire sul titolo.
Jacq parla di “l’ombra del sole”, che è il nome della residenza privata dei
reali, dove incontriamo Nefertiti nel prologo quando ripensa alla sua vita e
nel capitolo 68 quando, stanca e malata, vi torna ad aspettare la morte.
Modificarlo in “regina” significa eliminare il riferimento privato e mettere
l’accento sulla politica reale del periodo. Tutta basata appunto sullo
spostamento religioso dal politeismo capitanato dal Dio Amon al monoteismo
dedicato al sole personificato dal dio Aton. Uno spostamento indebito.
Comunque, nei ricordi di Nefertiti possiamo
seguirne la parabola personale e storica. Con un inizio, presente nei
geroglifici delle tombe egizie, che verrà ripreso da Perrault in “Cenerentola”.
Infatti, un falco ruba un sandalo alla giovane Nefertiti e lo porta al principe
reale. Che cercherà a lungo la proprietaria e, trovatala, la sposerà. Non si
inventa nulla, allora.
Il principe diventa re dell’Alto e Basso
Egitto con il nome di Amenhotep IV. Ma sin da giovane aveva coltivato il
rispetto verso il sole. Ormai re, aiutato da Nefertiti, sposterà pian pianino
l’asse religioso. Prima cambiando il suo nome in Akhenaton, poi relegando in
secondo piano i sacerdoti di Amon, ed infine concependo la costruzione di una
nuova capitale. Lasciando la vecchia Tebe per il sito tutto da costruire di
Amarna. Sono proprio gli scavi ed i ritrovamenti di Amarna che permettono ora a
Jacq di ricostruire quel pezzo di storia.
Complicata, oltre che dalla religione, dai
problemi politici. C’è una grossa pressione esterna esercitata dagli Ittiti,
dove per tacitarli Akhenaton, visto che il re poteva avere molte mogli, sposa
Kiya, principessa dei Mitanni, popolo alleato degli Ittiti. Così, finché Kiya è
in auge le frontiere sembrano protette.
Purtroppo per il re, e per Nefertiti, Kiya è
assetata di potere e mal vede di essere in secondo piano rispetto a Nefertiti.
Tra l’altro la regina partorisce solo femmine, non riuscendo ad assicurare una
discendenza reale. Con l’aiuto del corrotto ministro degli esteri Maya, Kiya
non solo briga di mantenere aperto un canale di sommossa sobillando gli Ittiti,
ma cerca anche di trovare il modo di rimanere essa stessa incinta, magari di un
maschio.
Poiché il gioco non riesce, Akhenaton si
adira molto, e Kiya non trova di meglio che chiedere aiuto ai parenti. Nel
frattempo, il re e Nefertiti hanno finito la costruzione di Amarna, dove
trasferiscono tutta l’amministrazione politica e religiosa, ma non i sacerdoti
di Amon, che, rimanendo in Tebe, hanno agio di cominciare anche loro una
ribellione interna.
Le cose precipitano quando si scopre che, a
causa delle scarse piogge, la nuova capitale è a corto di riserve idriche.
Contemporaneamente, Nefertiti si ammala, si ritira nella villa del titolo,
aspettando gli ultimi suoi giorni e le rare visite del re, sempre più occupato
a far fronte alle ribellioni interne ed esterne.
Nefertiti muore ed Akhenaton resiste pochi
anni, morendo anche lui, e lasciando che Amarna sia abbandonata e che al potere
vada il giovane Tutankenaton. Sappiamo bene che i sacerdoti di Amon avranno
vita facile nel cancellare tutti riferimenti al sole, e ribattezzare il giovane
con il nome che tutti conosciamo, Tutankhamon.
A proposito di nomi, il nome completo,
rilevato nei geroglifici di Amarna della bella regina è Neferneferuaton
Nefertiti, dove traducendone il significato viene letto come “Meravigliose sono
le bellezze di Aton (perché) la Bella è venuta”. E Nefertiti era veramente
bella come potete vedere dal suo busto esposto all'Ägyptisches Museum und
Papyrussammlung, nel Neues Museum di Berlino.
Ma non era solo bella, le storie,
documentate, che ci sono state tramandate ce la mostrano forte, dai saldi
principi, dalla ferrea moralità e completamente devota al marito. E mentre ci
parla della coppia reale, pur con qualche sbavatura, Jacq ci porta a più pari
in quel periodo storico, mostrandoci le azioni politiche, le diplomazie, i
matrimoni combinati, gli usi e costumi dell’epoca, i cerimoniali di corte.
Insomma, tutto un mondo un po’ alieno da noi, ma di sicuro interessante e da
studiare, per tutte le implicazioni storiche che comporta.
Un ultimo commento sulla parte finale. Questo
libro è scritto dopo il precedente dedicato a Cleopatra. Eppure, anche qui, nel
finale compare un vecchio con il suo asino, tale e quali a quelli che hanno
percorso il libro precedente, ma le cui azioni si svolgono 1400 anni dopo. Un
richiamo favolistico che ho trovato inutile.
Wilbur
Smith & Chris Walking “Fulmine” HarperCollins euro 16 (in realtà, scontato
a 15,20 euro)
[A: 26/01/2022 – I: 05/08/2024 – T: 06/08/2024]
- && --
[tit. or.: Thunderbolt; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2021]
(periodo: 2019) JackCourtney 02
Pubblicato nell’anno della morte di Smith,
risente molto di una revisione accurata che l’autore faceva dei romanzi
pubblicati a suo nome. Certo, è di uno dei filoni minori, quello che si svolge
ai giorni nostri e che ha per protagonista l’ultimo dei Courtney, sebbene
analizzando il tutto vedremo qualche “sorpresa”.
Comunque, stando al sito ufficiale
dell’autore, al momento della morte, aveva già avviato una serie di scritture
in co-authoring, nonché altre storie di cui aveva abbozzato le linee generali,
anche senza iniziarne ufficialmente la scrittura, tant’è che a tre anni della
morte sono già usciti nove libri a suo nome.
Come scritto parlando del primo romanzo
della serie, si sente abbastanza la mano di Walking, che, in quanto nasce come
scrittore di viaggi, riesce quanto meno ad ambientare le nuove storie in
contesti interessanti ed abbastanza corretti. La base del romanzo, nella prima
parte, e Ras Nungwi, sulla punta estrema al nord di Zanzibar. Poi l’azione si
sposta sul continente, anche se sembra troppo breve il tragitto verso la
Somalia, ed ancora più improbabile e difficile un tragitto a piedi dalla
Somalia al Kenya. Ma tant’è, leviamo i troppi dubbi e godiamoci, per quanto
possibile, la storia.
Ripeto anche che sono storie dedicate ai
ragazzi (juvenilia in gergo tecnico librario), quindi non ci aspettiamo
intrecci molto complicati, né momenti particolarmente complessi di attività ed
azioni. Certo, sono libri di avventure, e quindi ci sta trovarsi in situazioni
difficili, verso animali e verso uomini. Situazioni che, affrontate da
quattordicenni, diventano anche un filino più complicate.
Facendo un passo indietro, ricordo che Jack
è l’ultimo dei Courtney, figlio di Nicholas, che abbiamo visto nella precedente
puntata essere un degno erede dei Machado. Il padre, infatti, era una spia del
KGB, e Nicholas alla fine del libro precedente, si rivela corrotto e
sacrificabile. Era lui il colpevole, ed infatti Jack e la madre Justine lo
abbandonano.
Qui, ritroviamo Jack e la madre in quel di
Zanzibar, impegnati in attività ecologiche, lei a studiare il deterioramento
delle barriere coralline, Jack ed i suoi amici a cercare nel mare oggetti
preziosi perduti (ma anche ripulendo il mare stesso da rifiuti indesiderati).
Dico amici, che Jack è accompagnato sempre da Xander, il suo ricco amico
nigeriano nonché compagno di college, e da Amelia, la “tuttologa” del gruppo,
molto simpatica nel primo libro, ma che qui ha solo ruoli marginali. Sembra, da
quanto dice il sito ufficiale di Smith, che i tre saranno insieme anche nel
terzo ed ultimo libro (per ora) della serie.
Nella prima parte assistiamo a piccole e
poco rilevanti avventure marine dei nostri, a bordo di un fuoribordo, il
Fulmine del titolo. Poi avvengono due fatti dirompenti. Justine dice a Jack che
Nicholas non era suo padre. Colpito, ma non stordito, Jack decide di
coinvolgere i suoi amici in una ricerca di preziosi a più ampio raggio.
Laddove, andando verso nord, si imbattono in pirati che li rapiscono.
Qui inizia la seconda parte, quella centrale
dove un po’ si sente ancora la mano di Smith. Si parla di guerrieri-bambini, di
campi di addestramento e di somali che li gestiscono per poi rivendere i
ragazzi e farli combattere, ovviamente portandoli verso fini ingloriose. I
nostri vengono venduti dai pirati ad uno di questi somali. Ed in tutta la parte
centrale vediamo la vita e l’addestramento di questi ragazzi, nonché il
tentativo dei somali di ottenere un riscatto per i tre.
Nel campo, Jack fa amicizia con un ragazzo,
Mo, anche lui rapito e venduto a destra e sinistra. Ed è con Mo che i nostri
tre organizzano la fuga dal campo somalo verso il vicino confine con il Kenya.
Anche qui, piccole avventure, animali notturni, cani che inseguono, nonché una
lotta ad alto ed altro livello sembra tra bande. Ma se da un lato ci sono i
somali, dall’altro c’è uno strano miscuglio di persone, capeggiate da un freddo
comandante, Jonny Armfield.
Nonostante una pericolosa puntura di insetti
(e sappiamo che gli insetti in Africa non sono mai gentili) ed una difficile
scelta, dove i nostri sono costretti ad abbandonare Mo, Jack ed i suoi verranno
ovviamente salvati. Ed in un finale veramente troppo affrettato e poco incisivo
verremmo a sapere se e come Mo si sia salvato, e che sia il vero padre di Jack.
Certo che se Jack è figlio di Justine e di una persona che non è un Courtney,
si perdono un po’ le fila generali di questa epopea che io seguo dall’inizio,
dalle avventure del capostipite della famiglia, Sir Charles Courtney, le cui
avventure si collocano intorno al 1600. Pare brutto far finire male 400 anni di
storie familiari.
Ora, ripeto, la parte sui bambini-guerrieri
è certo la più “politica”, e di sicuro uno dei tentativi di Smith di utilizzare
in piccola parte i suoi scritti per mandare messaggi. Ma la parte avventurosa e
l’intreccio globale è carente, poco credibile, e trattato a volte con
leggerezza. Ribadisco, comprendo la necessità di rivolgersi ai giovani, ma i
giovani non sono stupidi, e possono affrontare temi anche crudi, se ben
spiegati e argomentati.
Un appunto finale sul titolo, questa volta
non per la traduzione, che è corretta, ma per l’utilizzo. Fulmine è il nome
della barca su cui vanno ad esplorare i fondali, ma che ha una presenza piccola
nella prima parte e nulla per le ultime duecento pagine. Inoltre, la copertina
del libro (che è anche quella dell’originale inglese) riporta Jack che si
immerge nelle acque di Zanzibar, dove incontra uno squalo toro. Un episodio
delle prime dieci pagine, assolutamente non importante per tutto il resto del
libro e della trama.
Per questo, nonostante Smith sia sempre nel
mio lato avventuroso, mi sembra di poter dire che questa prova non è
particolarmente riuscita.
Clive
Cussler & Justin Scott “Il Cecchino” TEA euro 9,90
[A:
02/11/2023 – I: 06/04/2025 – T: 07/04/2025] - &&
[tit.
or.: The Assassin; ling. or.: inglese; pagine: 383;
anno 2015]
ISAAC
BELL08
Dopo quasi tre anni ritorno a leggere un
libro della “Cussler factory”, che le avventure si sono accumulate ma, per
motivi vari, non sono più entrate nella lotteria delle letture. Sempre
rimpiangendo la morte del grande Clive, qui abbiamo una nuova puntata delle
avventure di Isaac Bell, sempre in co-writing con Justin Scott, con il quale il
grande vecchio ha scritto ben nove avventure di Isaac.
Questa è la settima scritta a quattro mani
e, purtroppo, continua nella scia delle avventure “da ombrellone”. Qualche
spunto, qualche idea, e molto riempitivo. Al tempo della scrittura, Cussler era
ancora in vita, e si percepiscono i suoi interventi in alcuni passaggi
dell’intreccio della trama, e, soprattutto, nell’idea di fondo, dell’innesco
della vicenda. Mentre la mano pesante di Scott si avverte nelle parti diciamo
“movimentate”.
Intanto c’è grossa confusione nel
confezionamento delle avventure di Isaac Bell e dell’agenzia Van Dorn. Con la
prima avventura, ci eravamo mossi nel 1906, ai tempi del terremoto di San
Francisco. Per poi proseguire, fino al quinto episodio, di anno in anno, anche
se, in alcune occasioni, c’era un salto finale alla fine degli anni Trenta. Il
primo ad incasinarci fu il sesto, che comincia nel 1912 (saltando l’11), per
poi svolgersi tutto nel 1902. Il settimo poi prevede un salto fino al 1921,
lasciandoci dubbi su cosa fece Isaac durante la Prima Guerra Mondiale.
Qui, invece, la confusione è totale, visto
che gran parte delle avventure si svolgono nel 1905 (quindi prima del primo
libro), con un episodio, su cui torneremo, che non so se sia stato spostato nel
tempo, o sia un errore della cronologia.
Intanto, come detto, si nota la mano, anzi
la testa di Cussler che, al solito, trae spunto da suoi pallini precisi di
messa a punto di elementi salienti della storia economica e politica americana.
Qui, il fulcro della vicenda, è la lotta senza esclusione di colpi, relativa ai
giacimenti petroliferi ed al loro sfruttamento. In particolare, il centro
“politico” della trama si avvolge intorno alla figura di John D. Rockfeller,
considerato il re del petrolio americano.
Per comprendere la trama, bisogna tener
conto di alcuni fattori: le trivellazioni per l’estrazione del petrolio
avvenivano per mano di imprese indipendenti, diverse per stato; i problemi
relativi alla commercializzazione erano lo stoccaggio ed il trasporto fino al
più vicino porto, al fine di farlo arrivare nelle sedi di utilizzo. Questo
perché, all’epoca, ancora non era sviluppata l’industria degli oleodotti per trasportare
il petrolio liquido dai pozzi fino alle raffinerie.
L’attività di Rockfeller fu quella di
accaparrarsi la distribuzione, così da costringere i piccoli produttori a
vendergli le imprese. In questo modo fondò e diresse la Standard Oil, la più
grande compagnia petrolifera al mondo. Talmente grande che nel 1911, in base
alle leggi monopolistiche americane, fu costretta a scindersi in diverse
compagnie, e da lei nacquero, tra le altre, la Esso, la Mobil, la Chevron, ed
alcune minori che sono poi confluite nella BP.
La storia riguarda uno dei produttori minori
che, rovinato, finge di allearsi con Rockfeller per studiare e programmare a
lungo una vendetta verso il magnate. Una vendetta anche trasversale, che
prevede l’uccisione di alcuni imprenditori, ed il sabotaggio di alcune
industrie, in modi tali che tutto si possa far risalire ai soprusi di
Rockfeller. Per far questo, Bill Matters è aiutato da un formidabile
utilizzatore di armi, fucili in particolare. È la persona che nel titolo
originale viene indicato come “Assassin” e che nell’editoria italiana, in modo
un po’ riduttivo, viene tradotto come “Cecchino”.
Per completare il quadro della parte di
Matters, bisogna sottolineare che il tipo ha tre figli. Un maschio, Bobby, che
scompare alcuni anni prima senza lasciare traccia, e due femmine, Edna,
giornalista d’assalto sempre in prima linea, e Nellie, suffragista (lotta per
ottenere il voto alle donne), nonché pilota di mongolfiere ed altre amenità.
Il nostro Isaac viene coinvolto nella
vicenda in quanto, per conto del Governo, sta indagando sulle possibili
attività monopolistiche di Rockfeller (indagini che porteranno sei anni dopo
alla condanna sopra citate). Trovandosi coinvolto nell’uccisione di diversi
imprenditori, convince il suo capo a diventare una specie di guardia del corpo
del magnate fino alla scoperta del cecchino del titolo.
In questa veste viene coinvolto in una serie
di avventure in cui, forse per coincidenza o forse no, sono spesso presenti
Edna e Nellie. Tanto che il nostro, ancora senza aver incontrato Marion la
donna della sua vita, è attratto ora dall’una ora dall’altra, attrazione che
rimarrà sempre sospesa per tutto l’episodio. Il tutto condito dalla presenza
ombra del Bobby scomparso, dalle notizie su un tiratore scelto, vincitore di
una medaglia, ma poi disertore dell’esercito e scomparso. Benché poi si sappia
(ce lo dice lo stesso Cussler all’inizio) che tutto ruota intorno a Matters,
solo nella parte finale si svelano misteri piccoli e grandi, anche se
attraverso una velocità poco consona ad una lentezza di tutto il resto del
libro. Ma spesso in Cussler è così.
Dal punto di vista della non-fiction, oltre
alle azioni di Rockfeller, Cussler ha voluto metterci anche un elemento che
c’entra poco, ma serve a collocare la vicenda in uno spazio temporale reale.
Dato che, all’epoca, Baku, cittadina emerita dell’impero zarista, era uno dei
centri petroliferi russi, i nostri fanno una puntata laggiù, vengono coinvolti
in una situazione rivoltosa, tanto che fuggono in macchina per raggiungere la
Georgia. E lì, nella capitale, assistono ad un fatto realmente avvenuto: una
rapina nella banca situata nella piazza centrale, che provocò una quarantina di
morti. Una rapina che fu organizzata, e forse guidata, da un rivoluzionario
georgiano identificato con il nome di “Koba” (cioè indomabile). Nella realtà
Koba, così chiamato, era tal Josef Džugašvili, che durante la Rivoluzione
assunse il nome di Stalin.
Unico problema è che la rapina avvenne nel
giugno del 1907, mentre nel romanzo i nostri sono in territorio russo un po’
prima. Altro problema, nel libro la capitale georgiana viene indicata come
Tiblisi, mentre correttamente ora si chiama Tblisi ed all’epoca era nota come
Tiflis. Magari qualche attenzione filologica in più non guasta.
Insomma, Bell continua ad essere una delle
serie di minor presa degli scritti di Cussler & co. Qualche spunto, ma poco
mordente.
Clive
Cussler & Russell Blake “Le isole della morte” TEA euro 9,90
[A: 05/07/2021
– I: 03/05/2025 – T: 06/05/2025] - &&
[tit.
or.: The Solomon Curse; ling. or.: inglese; pagine: 432;
anno 2015]
FARGO07
Sessantesimo libro scritto da Cussler (in
solitario o in compagnia) e settimo della serie dedicata ai coniugi Sem e Rami
Fargo. Dove, come avevo scritto per il precedente “Fargo” (“La leggenda
dell’Azteco”) si nota un abbassamento del coinvolgimento emotivo e cerebrale
che in genere accompagna i libri del maestro statunitense dell’avventura. Molto
dovuto al poco felice sodalizio con Russell Blake, dove fortunatamente questo è
il secondo ed ultimo volume scritto da loro a quattro mani.
Unica consolazione, personale, è che si
torna, anche se parzialmente, ad esplorare miti, leggende ed altre astrusità
archeologiche. Cosa che consente, ai curiosi come me, di immolarsi in lunghe e
cervellotiche ricerche sulle cose citate.
Ma prima di entrare nel vivo, cominciamo a
fare il solito giro di lamentele sulla scelta dei titoli. Certo, l’azione si
svolge principalmente su delle isole. E ci sono molti e svariati morti.
Tuttavia il titolo originale riporta “La maledizione di Salomone”, facendo
riferimento ad alcuni commentari di testi biblici, veri o apocrifi, che si
riferiscono al re del primo tempio di Gerusalemme. Senza andar troppo per le
lunghe, ed anche senza incartarci nei testi, riducendo all’osso il suo
pensiero, più che una maledizione in sé, nella parte finale della sua
esistenza, Salomone riflette sulle conseguenze negative della ricerca del
potere, laddove si trascuri la propria integrità morale. Un modo per
richiamarci ad essere consapevoli del presente e immaginifici del possibile
futuro, al fine di comprendere le conseguenze delle proprie azioni prima di
agire.
Una riflessione che è realmente pertinente
al corpo centrale della trama.
Ma che c’entra Salomone? Certo, l’azione si
svolge sull’isola di Guadalcanal, appartenente all'arcipelago delle Isole
Salomone. Ed è interessante capirne la derivazione toponomastica. Infatti,
quando nel 1568, il navigatore spagnolo Álvaro de Mendaña, navigando nel
Pacifico verso le Indie, scoprì le isole dell’arcipelago, pensò di aver trovato
il regno di Ofir. Un nome che posto così poco ci dice. Ma che, studiando i
testi, si rivela essere il nome biblico di un luogo immaginario ma nei testi
collegato alle miniere di re Salomone. Come magistralmente ci illustra Umberto
Eco nel sempre lodabile “Storia delle terre e dei luoghi leggendari”.
Inciso: ovvio che uno si aspetti un sito
posto tra Medioriente ed Africa, dato appunto il re Salomone, ma leggendo il
“Libro dei Re” si viene a sapere che Salomone, ogni tre anni, riceva da Ofir un
carico di oro, argento, legno di sandalo, pietre preziose, avorio, scimmie e
pavoni. Quindi, Ofir può essere un isola e può essere un’isola lontana dal
Mediterraneo.
Venendo invece al testo, il nervo centrale è
la ricerca di reperti archeologici da parte dei nostri soliti coniugi Fargo.
Invitati alle Isole del titolo da un cercatore russo, Leonid, che sembra
trovare possibili elementi antropici in una baia dell’isola. Per inciso, le
Salomone sono isole di grande povertà (hanno un PIL sui 2 miliardi di USD,
rispetto ad esempio all’Australia, rimanendo in Oceania, che si avvia ai 2000
miliardi di USD), e di conseguenza anche di grandi problemi sociali (sommosse,
rivolte ed altro). Quindi, c’è anche l’interesse di società squalo ad
insediarsi nell’isola (fiscalmente positiva) e dedicarsi all’estrazione dei
minerali del sottosuolo (pare ci siano oro e rame).
Quindi, mentre procedono le ricerche dei
nostri, aiutati dalla sempre brava Selma di base in California, e dall’arrivo
di Lazlo, del gruppo della Fondazione Fargo, ma sempre un po’ sfortunato,
incontrano diversi elementi della comunità locale: la dottoressa Vanya, capo
del locale Ospedale, ed il politico Oscar, con ambigue posizioni tra sovranismo
ed aperture. I nostri autori ci fanno seguire anche le mosse di un magnate
australiano, in via di bancarotta, che sovvenziona qualche iniziativa non
ortodossa in loco, proprio per poter ottenere le concessioni minerarie che
risolleverebbero la sua situazione.
Il libro, però, si trascina stancamente. Si
trovano costruzioni in pietra a venticinque metri sotto il mare, ci sono
scaramucce con presunti ribelli (foraggiati dal magnate e guidate localmente da
qualcuno) che tendono a cacciare gli stranieri dall’isola, ci sono sparizioni
di bambini, si trovano poi collegamenti con l’unico periodo storico in cui
Guadalcanal ebbe rilevanza: durante la guerra Nippo-americana nel Pacifico tra
il ’42 ed il ’43.
Qui si ha il secondo, e reale, aggancio non
fiction, o forse meta fiction. Che si nomina un giapponese come ras locale del
periodo, nonché ladro di ingenti quantitativi d’oro e pietre preziose, che però
scompaiono. Il generale giapponese era legato, seppur da lontano, alla
famigerata Unità 731 del medico generale Shiro Ishii, che, per conto forse non
palese dell’imperatore, stava studiano possibili guerre chimiche e
batteriologiche verso l’America. Utilizzando elementi locali (cinesi, coreani,
ed isolani) come cavie umane, in modo forse anche peggiore dei medici nazisti.
Quindi, alla fine, abbiamo la squadra che
cerca tesori ed altro, con Sem, Rami, Lazlo e Leonid, da un lato. E tutti gli
altri dall’altro. Almeno teoricamente. Che magari c’è qualche ambiguità di
posizione in tutte le persone, così che gli autori cercano di lasciarci con il
fiato sospeso. Senza però riuscirci.
Non c’è dubbio che i Fargo alla fine
usciranno vincitori, pur scontrandosi con la leggenda fondante delle isole.
C’erano nell’antichità dei giganti che costruirono una città bellissima nella
baia, ricoprendola d’oro e gioielli. Ma un terremoto la fece sprofondare (sono
i resti che trovano i sub dei Fargo), e poi qualcuno (i giapponesi?) ne trovò
traccia, rubò i preziosi e li nascose nelle grotte isolane.
Quello che rimane misterioso ed inspiegato
sono proprio i giganti. Vengono trovati? Sono realmente alti cinque metri? Sono
statue? Sono corpi imbalsamati? Una narrazione che si sviluppa in tre pagine,
lasciando tutto misterioso, in uno stile che non è del “puro Cussler”.
Insomma, qualche spunto, qualche ritorno a
temi classici (compreso il rispetto reciproco e della natura), ma senza che
emerga nessuna tensione, neanche avventurosa. Tutto scivola in modo abbastanza
piatto e poco coinvolgente. Speriamo meglio in altre letture.
Visto
che giriamo il mondo, non vi faccio mancare alcune perle dello scrittore
algerino Mohammed Moulessehoul, quando ancora scriveva con lo pseudonimo di Yasmina Khadra. Sono tratte dalle prime storie del
commissario Lob. Li lessi in francese, ma ve ne riporto la mia personale
traduzione.
Da “La part du mort” :
“Il sacrificio non è morire per qualcuno o
per una causa; direi che è, senza dubbio, la meno ragionevole delle attività.
Il vero sacrificio è quello di continuare ad amare la vita nonostante tutto.” (175)
“Io sono onesto … verso me stesso. Conoscere
i propri limiti, significa non abusare di sé stessi.” (386)
Da “Morituri”:
“La
carriera vera di un uomo è la sua famiglia. Chi ha successo nella vita è colui chi
ha avuto successo a casa sua. L'unica ambizione giusta e positiva è di essere
orgoglioso a casa propria. In caso contrario, tutto il resto è apparenza, una
corsa a capofitto, un diversivo.” (506)
“Alla
gente non piace essere messe in ombra. ... Salah Diba lo sa. Ecco perché ha
scelto di farsi molto piccolo. I piccoli non fanno ombra. ... Essere piccoli
non ti impedisce di pensare in grande. ... I piccoli sono gli ultimi a ricevere
le tegole sulla testa e i primi a capire quando sale la marea. Di conseguenza,
ciò che perdono in altezza, lo recuperano in prospettiva.” (582)
E da “L’automne des chimères” :
“Trascorreva i suoi giorni ... senza luci o
fanfare, senza troppa convinzione, credendo che la felicità - tutta la felicità
- sia una questione di mentalità.” (766)
“Diceva: le razze, non sono bianchi, neri,
rossi, gialli. Gli uomini non sanno apprezzare i talenti della natura. Fanno
della diversità degli steccati: la chiamano segregazione. Le razze, non sono
arabi, ebrei, slavi, Tutsi. Gli uomini non sanno vedere il tempo. Si
accontentano di reclutare gruppi etnici. Facendo gerarchie delle razze umane,
sperano di riscattare la loro piccolezza, di vendicarsi della loro volgarità
... le vere razze sono solo due: la razza dei Bravi e la razze degli Ignobili, i
Buoni e gli Odiosi. Da tempo immemorabile, si confrontano senza pace, per
cercare un pareggio. Erano lì molto tempo prima della Luce, molto prima delle
profezie, e continuano a sopravvivere in tutte le civiltà. Fin dal nostro
arrivo nel mondo, ci viene insegnata la discordia, distraendoci dalla verità.
Ci viene insegnato l'odio per l'Altro, l'odio verso gli Assenti e lo Straniero,
in breve, un odio prefabbricato. E guarda, Brahim, basta guardare. Chi brucia
le nostre scuole oggi, chi uccide i nostri fratelli e i nostri vicini, chi
decapita i nostri studiosi, chi mette a fuoco e sangue le nostre città? Alieni,
malesi, animisti, cristiani? ... Sono algerini, soltanto algerini che, non
molto tempo fa, cantando a gran voce l'inno nazionale negli stadi, andavano in
massa a prestare soccorso negli incidenti, si mobilitavano per i telethon. E
guarda, ora. Ti riconosci in loro? Io no ... La gente della mia razza, Brahim,
sono tutti coloro che, da una parte all’altra del globo, rifiutano
categoricamente di perdonare tali mostri.” (780)
“La pensione è una nuova vita che inizia, un
cambiamento sorprendente della vita. Gli stalloni di razza muoiono d’orgasmo,
mio caro. La vecchiaia è per i prepotenti e i mascalzoni.” (796)
“Il modo più ragionevole di servire una
causa non è morire per lei, ma sopravviverle.” (810)
Sono tutti momenti intorno al globo, fondamentali per ritornare qui, dopo essere stato ancora una volta in giro, e prima, speriamo, di continuare. Per ora, continuiamo a leggere, scrivere, e perché no, programmare. Fare progetti è sempre un altro modo di essere vivi. Come lo siamo quando ci abbracciamo.
Nessun commento:
Posta un commento