domenica 11 maggio 2025

Ritorna l'avventura - 11 maggio 2025

Nel senso di letture. Che è un filone non amplissimo delle mie letture, che mescolo con qualche history-fiction, come in questo caso. Ma che soprattutto è dedicato a due autori, ora scomparsi, le cui letture mi hanno sempre fatto passare momenti rilassanti. Qui, sotto la spinta delle letture di Alessandra, ritorno ad un mio pallino di gioventù, le letture egittologhe di Christian Jacq, leggibile in Cleopatra, più interessante in Nefertiti. Per lo scozzese d’Africa, invece, abbiamo uno scritto dedicato agli under 16, in generale anch’esso fruibile (sotto un ombrellone d’estate). Finendo con il grande Clive, purtroppo non al meglio con le avventure di Isaac Bell e dei coniugi Fargo. Ci manca, ma tornerà, anche Dirk, speriamo.

Christian Jacq “Cleopatra. L’ultima regina d’Egitto” Tea s.p. (Prestito di Alessandra)

[A: 12/04/2024 – I: 11/06/2024 – T: 13/06/2024] - &&

[tit. or.: Le dernier rêve de Cléopâtre; ling. or.: francese; pagine: 333; anno 2012]

Sinceramente, per quanto letto nel passato di Christian Jacq, pensavo fosse un libro più interessante. Perché, a fronte dei miei lunghi periodi parigini, nelle more di studi “matti e disperatissimi”, trovai conforto e sollazzo nella lettura dei cinque volumi della saga di Ramses scritta dal nostro strano scrittore. Che definisco strano in quanto sì, è un conoscitore ed un divulgatore, ma molto autodidatta, con alcune zone d’ombra nella sua vita e nella sua scrittura che, tuttavia, non essendo io filologo, lascio appunto lì nell’ombra.

La sua scrittura e le sue opere sono tronate in auge nella mia famiglia a fronte del delizioso Capodanno egizio, per cui ci si ritrovò in casa, una serie di opere dedicate a vari momenti e personaggi dell’Antico Egitto. Una volta arrivati al mio desco, ne ho deciso la lettura in ordine temporale di scrittura e non di avvenimenti. Così, passa per prima il vaglio delle mie parole la vicenda della bella Cleopatra Tèa Filopàtore, per noi semplicemente Cleopatra, ultimo faraone della dinastia Tolemaide, dove, con la sua morte, si ritiene concluso il periodo ellenistico del mondo antico (quello iniziato da Alessandro Mango) e che, appunto dopo di lei, portò la città di Roma a regnare su quasi tutto il mondo conosciuto.

Ora, pur riconoscendo la bravura didattica di Jacq, ci sono due elementi, dovuti ai poco attenti editor italiani che lasciano perplessi. Per primo, il titolo che in originale come vedete suona “L’ultimo sogno di Cleopatra”, e che ci viene invece propinato come “L’ultima regina d’Egitto”. Cosa senza dubbio vera, come detto sopra, ma non era quello l’intento di Jacq nel farci l’epopea di Cleopatra. Epopea, appunto, che non rispecchia neanche la quarta di copertina che ci narra elementi di storia che sono oltre la narrazione vera dell’autore.

Jacq intende puntare i suoi occhi su cinque anni del regno di Cleopatra, quelli che vanno dall’ascesa al trono nel 52 a.C. fino al trionfo decretato in Roma nel 47 a.C. Tutto quello che viene dopo il 47, cioè l’uccisione di Cesare nel 44, il sentirsi comunque legata a Roma, anche senza Cesare, l’avvicinamento con Marco Antonio, bravo ma non a livelli dei predecessori, il suo restargli a fianco contro Ottaviano, ed anche dopo la sconfitta navale di Azio del 31, fino alla morte di lei, iconograficamente sucida nel 30 a.C. a meno di quarant’anni è materia di Storia e non di questo libro. Mentre la quarta ne propina l’inserimento.

Invece noi vediamo, con Jacq, quanto succede prima per l’ascesa al trono faraonico di Cleopatra e poi per la lotta di potere per mantenerlo e riottenerlo. Alla morte del padre, la diciasettenne Cleopatra viene forzosamente sposata con il fratello, il piccolo ed insignificante Tolomeo IV, ma fa di tutto per avere il potere dalla sua. Ovvio che le potenze interne le sono ostili, capeggiate dall’eunuco Fotino, che sobilla l’imbelle sposo.

Così lei fugge aiutata dall’anziano suo tutore, chiamato il Vecchio, e dal suo asino, che la guidano attraverso il deserto. Nel mentre, arriva Cesare sulle tracce di Pompeo, ed una volta battuto il nemico, prima si installa in Egitto, poi cerca di capirne le dinamiche, ed al fine, vista la bella Cleopatra, resta e decide di aiutarla a conquistare e pacificare il regno.

Ci sono molti passi che Jacq, tratta, anche se il suo accento si pone da un lato sull’amore tra Cesare e Cleopatra e dall’altro sulle pratiche magiche e “soprannaturali” dei rituali egiziani. Quell’amore che compenetrò le loro vicende che senza Cesare, Cleopatra non avrebbe riconquistato l’Egitto. E senza Cleopatra, Cesare non sarebbe riuscito ad imporre una pace ad Oriente, per dedicarsi alle sue vicende romane.

Tra le punte a me più consone, bello, perché nel ricordo mio mi fa risalire alla lotta tra Ramses e il toro, la sfida tra Cleopatra ed il toro. Meno belli, ma di aiuto per la costruzione e la comprensione della trama, le parti dedicate agli dèi egizi ed ai loro credi, alla magia ed altre piccole cose interne. Penso ci voglia una ben diversa capacità didattica (che forse solo Piero Angela aveva) per poter fare un percorso pulito all’interno di questa materia. Inoltre, mi è sembrato inutile e posticcio l’epilogo che ci parla di Champollion e di un Vecchio e del suo asino.

Quello che resta è la figura della regina, la sua passionalità, il suo amore per la sua terra, per Cesare e per il loro figlio Cesarione. Una figura che, appunto, nell’economia del testo, non può che proclamare ad ogni passo il suo sogno, essere Cleopatra, cioè testimoniare la gloria (“Kleos”) dei propri padri (“Patros”). Che questo è quello che ci voleva mandare come messaggio Jacq, che, d’altronde, in più di un’intervista ha confessato di non amare affatto la regina e di aver scritto il libro più che altro per l’insistenza dei suoi editori.

Una curiosità che mi è venuta ragionando su questo nome: è l’inversione dei due termini di padri e gloria nel nome di Patroclo. Casualità della storia.

“Della disgrazia … tutti si ricordano, ma nessuno si sovviene della gioia. Se rammentassimo i periodi felici, a cosa servirebbero i momenti infelici?” (325)

Christian Jacq “Nefertiti. La regina del Sole” Tea s.p. (Prestito di Alessandra)

[A: 16/03/2024 – I: 25/06/2024 – T: 27/06/2024] - &&&

[tit. or.: Néfertiti. L’ombre du soleil; ling. or.: francese; pagine: 334; anno 2013]

Sicuramente migliore e più avvincente del precedente. Sempre lontano dalla magia di Ramses, ma a buoni livelli di intreccio e di divulgazione archeologica. Anche se, e tutti se ne rendono conto, divulgare (e cercare di semplificare) il complesso mondo egiziano del tempo dei faraoni non è certo una cosa semplice. Jacq ha studiato, è ben informato, ma riesce ad essere coinvolgente solo a tratti. Ci restituisce un bel ritratto di Nefertiti, ma solo un passabile romanzo sul resto delle vicende che si sono svolte in quel tormentato periodo storico.

Perché per il periodo in esame (siamo all’incirca tra il 1370 ed il 1330 a.C.) molte sarebbero le avventure da raccontare. Jacq, mettendosi nell’ottica della regina, ne parla, ne fa capire il senso, ma in un certo qual modo sposta l’ottica anche sul privato. E non è una brutta ottica.

Intanto, avrei qualcosa da ridire sul titolo. Jacq parla di “l’ombra del sole”, che è il nome della residenza privata dei reali, dove incontriamo Nefertiti nel prologo quando ripensa alla sua vita e nel capitolo 68 quando, stanca e malata, vi torna ad aspettare la morte. Modificarlo in “regina” significa eliminare il riferimento privato e mettere l’accento sulla politica reale del periodo. Tutta basata appunto sullo spostamento religioso dal politeismo capitanato dal Dio Amon al monoteismo dedicato al sole personificato dal dio Aton. Uno spostamento indebito.

Comunque, nei ricordi di Nefertiti possiamo seguirne la parabola personale e storica. Con un inizio, presente nei geroglifici delle tombe egizie, che verrà ripreso da Perrault in “Cenerentola”. Infatti, un falco ruba un sandalo alla giovane Nefertiti e lo porta al principe reale. Che cercherà a lungo la proprietaria e, trovatala, la sposerà. Non si inventa nulla, allora.

Il principe diventa re dell’Alto e Basso Egitto con il nome di Amenhotep IV. Ma sin da giovane aveva coltivato il rispetto verso il sole. Ormai re, aiutato da Nefertiti, sposterà pian pianino l’asse religioso. Prima cambiando il suo nome in Akhenaton, poi relegando in secondo piano i sacerdoti di Amon, ed infine concependo la costruzione di una nuova capitale. Lasciando la vecchia Tebe per il sito tutto da costruire di Amarna. Sono proprio gli scavi ed i ritrovamenti di Amarna che permettono ora a Jacq di ricostruire quel pezzo di storia.

Complicata, oltre che dalla religione, dai problemi politici. C’è una grossa pressione esterna esercitata dagli Ittiti, dove per tacitarli Akhenaton, visto che il re poteva avere molte mogli, sposa Kiya, principessa dei Mitanni, popolo alleato degli Ittiti. Così, finché Kiya è in auge le frontiere sembrano protette.

Purtroppo per il re, e per Nefertiti, Kiya è assetata di potere e mal vede di essere in secondo piano rispetto a Nefertiti. Tra l’altro la regina partorisce solo femmine, non riuscendo ad assicurare una discendenza reale. Con l’aiuto del corrotto ministro degli esteri Maya, Kiya non solo briga di mantenere aperto un canale di sommossa sobillando gli Ittiti, ma cerca anche di trovare il modo di rimanere essa stessa incinta, magari di un maschio.

Poiché il gioco non riesce, Akhenaton si adira molto, e Kiya non trova di meglio che chiedere aiuto ai parenti. Nel frattempo, il re e Nefertiti hanno finito la costruzione di Amarna, dove trasferiscono tutta l’amministrazione politica e religiosa, ma non i sacerdoti di Amon, che, rimanendo in Tebe, hanno agio di cominciare anche loro una ribellione interna.

Le cose precipitano quando si scopre che, a causa delle scarse piogge, la nuova capitale è a corto di riserve idriche. Contemporaneamente, Nefertiti si ammala, si ritira nella villa del titolo, aspettando gli ultimi suoi giorni e le rare visite del re, sempre più occupato a far fronte alle ribellioni interne ed esterne.

Nefertiti muore ed Akhenaton resiste pochi anni, morendo anche lui, e lasciando che Amarna sia abbandonata e che al potere vada il giovane Tutankenaton. Sappiamo bene che i sacerdoti di Amon avranno vita facile nel cancellare tutti riferimenti al sole, e ribattezzare il giovane con il nome che tutti conosciamo, Tutankhamon.

A proposito di nomi, il nome completo, rilevato nei geroglifici di Amarna della bella regina è Neferneferuaton Nefertiti, dove traducendone il significato viene letto come “Meravigliose sono le bellezze di Aton (perché) la Bella è venuta”. E Nefertiti era veramente bella come potete vedere dal suo busto esposto all'Ägyptisches Museum und Papyrussammlung, nel Neues Museum di Berlino.

Ma non era solo bella, le storie, documentate, che ci sono state tramandate ce la mostrano forte, dai saldi principi, dalla ferrea moralità e completamente devota al marito. E mentre ci parla della coppia reale, pur con qualche sbavatura, Jacq ci porta a più pari in quel periodo storico, mostrandoci le azioni politiche, le diplomazie, i matrimoni combinati, gli usi e costumi dell’epoca, i cerimoniali di corte. Insomma, tutto un mondo un po’ alieno da noi, ma di sicuro interessante e da studiare, per tutte le implicazioni storiche che comporta.

Un ultimo commento sulla parte finale. Questo libro è scritto dopo il precedente dedicato a Cleopatra. Eppure, anche qui, nel finale compare un vecchio con il suo asino, tale e quali a quelli che hanno percorso il libro precedente, ma le cui azioni si svolgono 1400 anni dopo. Un richiamo favolistico che ho trovato inutile.                       

Wilbur Smith & Chris Walking “Fulmine” HarperCollins euro 16 (in realtà, scontato a 15,20 euro)

[A: 26/01/2022 – I: 05/08/2024 – T: 06/08/2024] - && --   

[tit. or.: Thunderbolt; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2021]

(periodo: 2019) JackCourtney 02

Pubblicato nell’anno della morte di Smith, risente molto di una revisione accurata che l’autore faceva dei romanzi pubblicati a suo nome. Certo, è di uno dei filoni minori, quello che si svolge ai giorni nostri e che ha per protagonista l’ultimo dei Courtney, sebbene analizzando il tutto vedremo qualche “sorpresa”.

Comunque, stando al sito ufficiale dell’autore, al momento della morte, aveva già avviato una serie di scritture in co-authoring, nonché altre storie di cui aveva abbozzato le linee generali, anche senza iniziarne ufficialmente la scrittura, tant’è che a tre anni della morte sono già usciti nove libri a suo nome.

Come scritto parlando del primo romanzo della serie, si sente abbastanza la mano di Walking, che, in quanto nasce come scrittore di viaggi, riesce quanto meno ad ambientare le nuove storie in contesti interessanti ed abbastanza corretti. La base del romanzo, nella prima parte, e Ras Nungwi, sulla punta estrema al nord di Zanzibar. Poi l’azione si sposta sul continente, anche se sembra troppo breve il tragitto verso la Somalia, ed ancora più improbabile e difficile un tragitto a piedi dalla Somalia al Kenya. Ma tant’è, leviamo i troppi dubbi e godiamoci, per quanto possibile, la storia.

Ripeto anche che sono storie dedicate ai ragazzi (juvenilia in gergo tecnico librario), quindi non ci aspettiamo intrecci molto complicati, né momenti particolarmente complessi di attività ed azioni. Certo, sono libri di avventure, e quindi ci sta trovarsi in situazioni difficili, verso animali e verso uomini. Situazioni che, affrontate da quattordicenni, diventano anche un filino più complicate.

Facendo un passo indietro, ricordo che Jack è l’ultimo dei Courtney, figlio di Nicholas, che abbiamo visto nella precedente puntata essere un degno erede dei Machado. Il padre, infatti, era una spia del KGB, e Nicholas alla fine del libro precedente, si rivela corrotto e sacrificabile. Era lui il colpevole, ed infatti Jack e la madre Justine lo abbandonano.

Qui, ritroviamo Jack e la madre in quel di Zanzibar, impegnati in attività ecologiche, lei a studiare il deterioramento delle barriere coralline, Jack ed i suoi amici a cercare nel mare oggetti preziosi perduti (ma anche ripulendo il mare stesso da rifiuti indesiderati). Dico amici, che Jack è accompagnato sempre da Xander, il suo ricco amico nigeriano nonché compagno di college, e da Amelia, la “tuttologa” del gruppo, molto simpatica nel primo libro, ma che qui ha solo ruoli marginali. Sembra, da quanto dice il sito ufficiale di Smith, che i tre saranno insieme anche nel terzo ed ultimo libro (per ora) della serie.

Nella prima parte assistiamo a piccole e poco rilevanti avventure marine dei nostri, a bordo di un fuoribordo, il Fulmine del titolo. Poi avvengono due fatti dirompenti. Justine dice a Jack che Nicholas non era suo padre. Colpito, ma non stordito, Jack decide di coinvolgere i suoi amici in una ricerca di preziosi a più ampio raggio. Laddove, andando verso nord, si imbattono in pirati che li rapiscono.

Qui inizia la seconda parte, quella centrale dove un po’ si sente ancora la mano di Smith. Si parla di guerrieri-bambini, di campi di addestramento e di somali che li gestiscono per poi rivendere i ragazzi e farli combattere, ovviamente portandoli verso fini ingloriose. I nostri vengono venduti dai pirati ad uno di questi somali. Ed in tutta la parte centrale vediamo la vita e l’addestramento di questi ragazzi, nonché il tentativo dei somali di ottenere un riscatto per i tre.

Nel campo, Jack fa amicizia con un ragazzo, Mo, anche lui rapito e venduto a destra e sinistra. Ed è con Mo che i nostri tre organizzano la fuga dal campo somalo verso il vicino confine con il Kenya. Anche qui, piccole avventure, animali notturni, cani che inseguono, nonché una lotta ad alto ed altro livello sembra tra bande. Ma se da un lato ci sono i somali, dall’altro c’è uno strano miscuglio di persone, capeggiate da un freddo comandante, Jonny Armfield.

Nonostante una pericolosa puntura di insetti (e sappiamo che gli insetti in Africa non sono mai gentili) ed una difficile scelta, dove i nostri sono costretti ad abbandonare Mo, Jack ed i suoi verranno ovviamente salvati. Ed in un finale veramente troppo affrettato e poco incisivo verremmo a sapere se e come Mo si sia salvato, e che sia il vero padre di Jack. Certo che se Jack è figlio di Justine e di una persona che non è un Courtney, si perdono un po’ le fila generali di questa epopea che io seguo dall’inizio, dalle avventure del capostipite della famiglia, Sir Charles Courtney, le cui avventure si collocano intorno al 1600. Pare brutto far finire male 400 anni di storie familiari.

Ora, ripeto, la parte sui bambini-guerrieri è certo la più “politica”, e di sicuro uno dei tentativi di Smith di utilizzare in piccola parte i suoi scritti per mandare messaggi. Ma la parte avventurosa e l’intreccio globale è carente, poco credibile, e trattato a volte con leggerezza. Ribadisco, comprendo la necessità di rivolgersi ai giovani, ma i giovani non sono stupidi, e possono affrontare temi anche crudi, se ben spiegati e argomentati.

Un appunto finale sul titolo, questa volta non per la traduzione, che è corretta, ma per l’utilizzo. Fulmine è il nome della barca su cui vanno ad esplorare i fondali, ma che ha una presenza piccola nella prima parte e nulla per le ultime duecento pagine. Inoltre, la copertina del libro (che è anche quella dell’originale inglese) riporta Jack che si immerge nelle acque di Zanzibar, dove incontra uno squalo toro. Un episodio delle prime dieci pagine, assolutamente non importante per tutto il resto del libro e della trama.

Per questo, nonostante Smith sia sempre nel mio lato avventuroso, mi sembra di poter dire che questa prova non è particolarmente riuscita.

Clive Cussler & Justin Scott “Il Cecchino” TEA euro 9,90

[A: 02/11/2023 – I: 06/04/2025 – T: 07/04/2025] - &&    

[tit. or.: The Assassin; ling. or.: inglese; pagine: 383; anno 2015]

ISAAC BELL08

Dopo quasi tre anni ritorno a leggere un libro della “Cussler factory”, che le avventure si sono accumulate ma, per motivi vari, non sono più entrate nella lotteria delle letture. Sempre rimpiangendo la morte del grande Clive, qui abbiamo una nuova puntata delle avventure di Isaac Bell, sempre in co-writing con Justin Scott, con il quale il grande vecchio ha scritto ben nove avventure di Isaac.

Questa è la settima scritta a quattro mani e, purtroppo, continua nella scia delle avventure “da ombrellone”. Qualche spunto, qualche idea, e molto riempitivo. Al tempo della scrittura, Cussler era ancora in vita, e si percepiscono i suoi interventi in alcuni passaggi dell’intreccio della trama, e, soprattutto, nell’idea di fondo, dell’innesco della vicenda. Mentre la mano pesante di Scott si avverte nelle parti diciamo “movimentate”.

Intanto c’è grossa confusione nel confezionamento delle avventure di Isaac Bell e dell’agenzia Van Dorn. Con la prima avventura, ci eravamo mossi nel 1906, ai tempi del terremoto di San Francisco. Per poi proseguire, fino al quinto episodio, di anno in anno, anche se, in alcune occasioni, c’era un salto finale alla fine degli anni Trenta. Il primo ad incasinarci fu il sesto, che comincia nel 1912 (saltando l’11), per poi svolgersi tutto nel 1902. Il settimo poi prevede un salto fino al 1921, lasciandoci dubbi su cosa fece Isaac durante la Prima Guerra Mondiale.

Qui, invece, la confusione è totale, visto che gran parte delle avventure si svolgono nel 1905 (quindi prima del primo libro), con un episodio, su cui torneremo, che non so se sia stato spostato nel tempo, o sia un errore della cronologia.

Intanto, come detto, si nota la mano, anzi la testa di Cussler che, al solito, trae spunto da suoi pallini precisi di messa a punto di elementi salienti della storia economica e politica americana. Qui, il fulcro della vicenda, è la lotta senza esclusione di colpi, relativa ai giacimenti petroliferi ed al loro sfruttamento. In particolare, il centro “politico” della trama si avvolge intorno alla figura di John D. Rockfeller, considerato il re del petrolio americano.

Per comprendere la trama, bisogna tener conto di alcuni fattori: le trivellazioni per l’estrazione del petrolio avvenivano per mano di imprese indipendenti, diverse per stato; i problemi relativi alla commercializzazione erano lo stoccaggio ed il trasporto fino al più vicino porto, al fine di farlo arrivare nelle sedi di utilizzo. Questo perché, all’epoca, ancora non era sviluppata l’industria degli oleodotti per trasportare il petrolio liquido dai pozzi fino alle raffinerie.

L’attività di Rockfeller fu quella di accaparrarsi la distribuzione, così da costringere i piccoli produttori a vendergli le imprese. In questo modo fondò e diresse la Standard Oil, la più grande compagnia petrolifera al mondo. Talmente grande che nel 1911, in base alle leggi monopolistiche americane, fu costretta a scindersi in diverse compagnie, e da lei nacquero, tra le altre, la Esso, la Mobil, la Chevron, ed alcune minori che sono poi confluite nella BP.

La storia riguarda uno dei produttori minori che, rovinato, finge di allearsi con Rockfeller per studiare e programmare a lungo una vendetta verso il magnate. Una vendetta anche trasversale, che prevede l’uccisione di alcuni imprenditori, ed il sabotaggio di alcune industrie, in modi tali che tutto si possa far risalire ai soprusi di Rockfeller. Per far questo, Bill Matters è aiutato da un formidabile utilizzatore di armi, fucili in particolare. È la persona che nel titolo originale viene indicato come “Assassin” e che nell’editoria italiana, in modo un po’ riduttivo, viene tradotto come “Cecchino”.

Per completare il quadro della parte di Matters, bisogna sottolineare che il tipo ha tre figli. Un maschio, Bobby, che scompare alcuni anni prima senza lasciare traccia, e due femmine, Edna, giornalista d’assalto sempre in prima linea, e Nellie, suffragista (lotta per ottenere il voto alle donne), nonché pilota di mongolfiere ed altre amenità.

Il nostro Isaac viene coinvolto nella vicenda in quanto, per conto del Governo, sta indagando sulle possibili attività monopolistiche di Rockfeller (indagini che porteranno sei anni dopo alla condanna sopra citate). Trovandosi coinvolto nell’uccisione di diversi imprenditori, convince il suo capo a diventare una specie di guardia del corpo del magnate fino alla scoperta del cecchino del titolo.

In questa veste viene coinvolto in una serie di avventure in cui, forse per coincidenza o forse no, sono spesso presenti Edna e Nellie. Tanto che il nostro, ancora senza aver incontrato Marion la donna della sua vita, è attratto ora dall’una ora dall’altra, attrazione che rimarrà sempre sospesa per tutto l’episodio. Il tutto condito dalla presenza ombra del Bobby scomparso, dalle notizie su un tiratore scelto, vincitore di una medaglia, ma poi disertore dell’esercito e scomparso. Benché poi si sappia (ce lo dice lo stesso Cussler all’inizio) che tutto ruota intorno a Matters, solo nella parte finale si svelano misteri piccoli e grandi, anche se attraverso una velocità poco consona ad una lentezza di tutto il resto del libro. Ma spesso in Cussler è così.

Dal punto di vista della non-fiction, oltre alle azioni di Rockfeller, Cussler ha voluto metterci anche un elemento che c’entra poco, ma serve a collocare la vicenda in uno spazio temporale reale. Dato che, all’epoca, Baku, cittadina emerita dell’impero zarista, era uno dei centri petroliferi russi, i nostri fanno una puntata laggiù, vengono coinvolti in una situazione rivoltosa, tanto che fuggono in macchina per raggiungere la Georgia. E lì, nella capitale, assistono ad un fatto realmente avvenuto: una rapina nella banca situata nella piazza centrale, che provocò una quarantina di morti. Una rapina che fu organizzata, e forse guidata, da un rivoluzionario georgiano identificato con il nome di “Koba” (cioè indomabile). Nella realtà Koba, così chiamato, era tal Josef Džugašvili, che durante la Rivoluzione assunse il nome di Stalin.

Unico problema è che la rapina avvenne nel giugno del 1907, mentre nel romanzo i nostri sono in territorio russo un po’ prima. Altro problema, nel libro la capitale georgiana viene indicata come Tiblisi, mentre correttamente ora si chiama Tblisi ed all’epoca era nota come Tiflis. Magari qualche attenzione filologica in più non guasta.

Insomma, Bell continua ad essere una delle serie di minor presa degli scritti di Cussler & co. Qualche spunto, ma poco mordente.

Clive Cussler & Russell Blake “Le isole della morte” TEA euro 9,90

[A: 05/07/2021 – I: 03/05/2025 – T: 06/05/2025] - &&    

[tit. or.: The Solomon Curse; ling. or.: inglese; pagine: 432; anno 2015]

FARGO07

Sessantesimo libro scritto da Cussler (in solitario o in compagnia) e settimo della serie dedicata ai coniugi Sem e Rami Fargo. Dove, come avevo scritto per il precedente “Fargo” (“La leggenda dell’Azteco”) si nota un abbassamento del coinvolgimento emotivo e cerebrale che in genere accompagna i libri del maestro statunitense dell’avventura. Molto dovuto al poco felice sodalizio con Russell Blake, dove fortunatamente questo è il secondo ed ultimo volume scritto da loro a quattro mani.

Unica consolazione, personale, è che si torna, anche se parzialmente, ad esplorare miti, leggende ed altre astrusità archeologiche. Cosa che consente, ai curiosi come me, di immolarsi in lunghe e cervellotiche ricerche sulle cose citate.

Ma prima di entrare nel vivo, cominciamo a fare il solito giro di lamentele sulla scelta dei titoli. Certo, l’azione si svolge principalmente su delle isole. E ci sono molti e svariati morti. Tuttavia il titolo originale riporta “La maledizione di Salomone”, facendo riferimento ad alcuni commentari di testi biblici, veri o apocrifi, che si riferiscono al re del primo tempio di Gerusalemme. Senza andar troppo per le lunghe, ed anche senza incartarci nei testi, riducendo all’osso il suo pensiero, più che una maledizione in sé, nella parte finale della sua esistenza, Salomone riflette sulle conseguenze negative della ricerca del potere, laddove si trascuri la propria integrità morale. Un modo per richiamarci ad essere consapevoli del presente e immaginifici del possibile futuro, al fine di comprendere le conseguenze delle proprie azioni prima di agire.

Una riflessione che è realmente pertinente al corpo centrale della trama.

Ma che c’entra Salomone? Certo, l’azione si svolge sull’isola di Guadalcanal, appartenente all'arcipelago delle Isole Salomone. Ed è interessante capirne la derivazione toponomastica. Infatti, quando nel 1568, il navigatore spagnolo Álvaro de Mendaña, navigando nel Pacifico verso le Indie, scoprì le isole dell’arcipelago, pensò di aver trovato il regno di Ofir. Un nome che posto così poco ci dice. Ma che, studiando i testi, si rivela essere il nome biblico di un luogo immaginario ma nei testi collegato alle miniere di re Salomone. Come magistralmente ci illustra Umberto Eco nel sempre lodabile “Storia delle terre e dei luoghi leggendari”.

Inciso: ovvio che uno si aspetti un sito posto tra Medioriente ed Africa, dato appunto il re Salomone, ma leggendo il “Libro dei Re” si viene a sapere che Salomone, ogni tre anni, riceva da Ofir un carico di oro, argento, legno di sandalo, pietre preziose, avorio, scimmie e pavoni. Quindi, Ofir può essere un isola e può essere un’isola lontana dal Mediterraneo.

Venendo invece al testo, il nervo centrale è la ricerca di reperti archeologici da parte dei nostri soliti coniugi Fargo. Invitati alle Isole del titolo da un cercatore russo, Leonid, che sembra trovare possibili elementi antropici in una baia dell’isola. Per inciso, le Salomone sono isole di grande povertà (hanno un PIL sui 2 miliardi di USD, rispetto ad esempio all’Australia, rimanendo in Oceania, che si avvia ai 2000 miliardi di USD), e di conseguenza anche di grandi problemi sociali (sommosse, rivolte ed altro). Quindi, c’è anche l’interesse di società squalo ad insediarsi nell’isola (fiscalmente positiva) e dedicarsi all’estrazione dei minerali del sottosuolo (pare ci siano oro e rame).

Quindi, mentre procedono le ricerche dei nostri, aiutati dalla sempre brava Selma di base in California, e dall’arrivo di Lazlo, del gruppo della Fondazione Fargo, ma sempre un po’ sfortunato, incontrano diversi elementi della comunità locale: la dottoressa Vanya, capo del locale Ospedale, ed il politico Oscar, con ambigue posizioni tra sovranismo ed aperture. I nostri autori ci fanno seguire anche le mosse di un magnate australiano, in via di bancarotta, che sovvenziona qualche iniziativa non ortodossa in loco, proprio per poter ottenere le concessioni minerarie che risolleverebbero la sua situazione.

Il libro, però, si trascina stancamente. Si trovano costruzioni in pietra a venticinque metri sotto il mare, ci sono scaramucce con presunti ribelli (foraggiati dal magnate e guidate localmente da qualcuno) che tendono a cacciare gli stranieri dall’isola, ci sono sparizioni di bambini, si trovano poi collegamenti con l’unico periodo storico in cui Guadalcanal ebbe rilevanza: durante la guerra Nippo-americana nel Pacifico tra il ’42 ed il ’43.

Qui si ha il secondo, e reale, aggancio non fiction, o forse meta fiction. Che si nomina un giapponese come ras locale del periodo, nonché ladro di ingenti quantitativi d’oro e pietre preziose, che però scompaiono. Il generale giapponese era legato, seppur da lontano, alla famigerata Unità 731 del medico generale Shiro Ishii, che, per conto forse non palese dell’imperatore, stava studiano possibili guerre chimiche e batteriologiche verso l’America. Utilizzando elementi locali (cinesi, coreani, ed isolani) come cavie umane, in modo forse anche peggiore dei medici nazisti.

Quindi, alla fine, abbiamo la squadra che cerca tesori ed altro, con Sem, Rami, Lazlo e Leonid, da un lato. E tutti gli altri dall’altro. Almeno teoricamente. Che magari c’è qualche ambiguità di posizione in tutte le persone, così che gli autori cercano di lasciarci con il fiato sospeso. Senza però riuscirci.

Non c’è dubbio che i Fargo alla fine usciranno vincitori, pur scontrandosi con la leggenda fondante delle isole. C’erano nell’antichità dei giganti che costruirono una città bellissima nella baia, ricoprendola d’oro e gioielli. Ma un terremoto la fece sprofondare (sono i resti che trovano i sub dei Fargo), e poi qualcuno (i giapponesi?) ne trovò traccia, rubò i preziosi e li nascose nelle grotte isolane.

Quello che rimane misterioso ed inspiegato sono proprio i giganti. Vengono trovati? Sono realmente alti cinque metri? Sono statue? Sono corpi imbalsamati? Una narrazione che si sviluppa in tre pagine, lasciando tutto misterioso, in uno stile che non è del “puro Cussler”.

Insomma, qualche spunto, qualche ritorno a temi classici (compreso il rispetto reciproco e della natura), ma senza che emerga nessuna tensione, neanche avventurosa. Tutto scivola in modo abbastanza piatto e poco coinvolgente. Speriamo meglio in altre letture.

Visto che giriamo il mondo, non vi faccio mancare alcune perle dello scrittore algerino Mohammed Moulessehoul, quando ancora scriveva con lo pseudonimo di Yasmina Khadra. Sono tratte dalle prime storie del commissario Lob. Li lessi in francese, ma ve ne riporto la mia personale traduzione.

Da “La part du mort” :

“Il sacrificio non è morire per qualcuno o per una causa; direi che è, senza dubbio, la meno ragionevole delle attività. Il vero sacrificio è quello di continuare ad amare la vita nonostante tutto.” (175)

“Io sono onesto … verso me stesso. Conoscere i propri limiti, significa non abusare di sé stessi.” (386)

Da “Morituri”:

“La carriera vera di un uomo è la sua famiglia. Chi ha successo nella vita è colui chi ha avuto successo a casa sua. L'unica ambizione giusta e positiva è di essere orgoglioso a casa propria. In caso contrario, tutto il resto è apparenza, una corsa a capofitto, un diversivo.” (506)

“Alla gente non piace essere messe in ombra. ... Salah Diba lo sa. Ecco perché ha scelto di farsi molto piccolo. I piccoli non fanno ombra. ... Essere piccoli non ti impedisce di pensare in grande. ... I piccoli sono gli ultimi a ricevere le tegole sulla testa e i primi a capire quando sale la marea. Di conseguenza, ciò che perdono in altezza, lo recuperano in prospettiva.” (582)

E da “L’automne des chimères” :

“Trascorreva i suoi giorni ... senza luci o fanfare, senza troppa convinzione, credendo che la felicità - tutta la felicità - sia una questione di mentalità.” (766)

“Diceva: le razze, non sono bianchi, neri, rossi, gialli. Gli uomini non sanno apprezzare i talenti della natura. Fanno della diversità degli steccati: la chiamano segregazione. Le razze, non sono arabi, ebrei, slavi, Tutsi. Gli uomini non sanno vedere il tempo. Si accontentano di reclutare gruppi etnici. Facendo gerarchie delle razze umane, sperano di riscattare la loro piccolezza, di vendicarsi della loro volgarità ... le vere razze sono solo due: la razza dei Bravi e la razze degli Ignobili, i Buoni e gli Odiosi. Da tempo immemorabile, si confrontano senza pace, per cercare un pareggio. Erano lì molto tempo prima della Luce, molto prima delle profezie, e continuano a sopravvivere in tutte le civiltà. Fin dal nostro arrivo nel mondo, ci viene insegnata la discordia, distraendoci dalla verità. Ci viene insegnato l'odio per l'Altro, l'odio verso gli Assenti e lo Straniero, in breve, un odio prefabbricato. E guarda, Brahim, basta guardare. Chi brucia le nostre scuole oggi, chi uccide i nostri fratelli e i nostri vicini, chi decapita i nostri studiosi, chi mette a fuoco e sangue le nostre città? Alieni, malesi, animisti, cristiani? ... Sono algerini, soltanto algerini che, non molto tempo fa, cantando a gran voce l'inno nazionale negli stadi, andavano in massa a prestare soccorso negli incidenti, si mobilitavano per i telethon. E guarda, ora. Ti riconosci in loro? Io no ... La gente della mia razza, Brahim, sono tutti coloro che, da una parte all’altra del globo, rifiutano categoricamente di perdonare tali mostri.” (780)

“La pensione è una nuova vita che inizia, un cambiamento sorprendente della vita. Gli stalloni di razza muoiono d’orgasmo, mio caro. La vecchiaia è per i prepotenti e i mascalzoni.” (796)

“Il modo più ragionevole di servire una causa non è morire per lei, ma sopravviverle.” (810)

Sono tutti momenti intorno al globo, fondamentali per ritornare qui, dopo essere stato ancora una volta in giro, e prima, speriamo, di continuare. Per ora, continuiamo a leggere, scrivere, e perché no, programmare. Fare progetti è sempre un altro modo di essere vivi. Come lo siamo quando ci abbracciamo.

Nessun commento:

Posta un commento