Romano
De Marco “Se la notte ti cerca” Repubblica Anima Noir 40 euro 8,90
[A:
24/03/2022 – I: 15/04/2025 – T: 16/04/2025] &&+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 316; anno: 2018]
Il primo romanzo, e credo anche qualcuno
dopo, era imperniato sulla figura ambivalente di Rinaldo Ferro, aiutato nelle
indagini da una giovane poliziotta, Laura Damiani. Ed io ipotizzavo la
possibile nascita di un feeling tra i due. Ora, da mezze parole e rimandi,
direi che la storia c’è stata, e non poteva che finire, vista la peculiarità di
Rinaldo. Fatto sta che ora è Laura che ha il ruolo di protagonista. Lei che
dopo Rinaldo è stata del tempo a Milano, con grandi successi. Tali da farla
proporre per una promozione.
Ma Il commissario Damiani vuole rimanere
operativa, quindi torna a Roma, per indagare su piccola malavita
all’Anticrimine, aiutata da quello che dovrebbe essere il suo vice storico,
l’ispettor capo Paolo Silveri, e con l’introduzione di un secondo aiuto, il
vice sovraintendente Leo Fragassi.
La più o meno tranquilla routine di una Roma
un po’ annoiata cambia con l’omicidio di una cinquantenne di buon livello
sociale. Anche se Claudia Longo, pariolina, stava scivolando in una china senza
via d’uscita. Divorzio da un marito facoltoso e palazzinaro che si invaghisce
di una giovane. Divorzio duro non concordato, con Claudia che recrimina su
tutto, mandando alle ortiche anche i rapporti con i due figli, il più maturo
Cristiano e la più giovane ed un po’ sbandata Azzurra. E mandato alle ortiche anche
il rapporto con il fratello modenese, anche per strani intrecci ereditari.
Claudia si ritrova a “mendicare” l’amore in
qualche angolo notturno, a colpi di chirurgia plastica e magari con elargizioni
economiche a qualche toy boy. Ma è un omicidio che si vorrebbe chiudere al più
presto (il capo della Mobile vuol fare carriera), per questo viene messa in
mezzo Damiani e la sua squadra. Ovvio che Laura stravolge il tutto, e ben
presto collega questo ad altre possibili morti, descritte come accidentali, ma
tutti gravanti intorno ad un locale di incontri sito nell’orrido quartiere EUR,
il Single (un nome, un programma).
Qui sta la parte migliore delle idee di De
Marco, l’intreccio tra meta finzione e realtà, soprattutto toccando i tasti
della Roma, diurna e notturna, ma che solo i romani capiscono a fondo. E se
nella notte vediamo gente poco raccomandabile aggirarsi per l’EUR, di giorno
vediamo attività intorno a via Ettore Pais (che ora conosco vivendoci
abbastanza vicino), o meglio ancora, mangiando con Laura un “cheeseburger” da
McDonald a viale Giulio Cesare.
Il lato “meta” qualcosa si incarna in Andy
Lovato, che adombra la figura e le opere del cantante Danny Losito. Poiché, a
parte il nome, tutto quanto si narra di Andy riprende senza mutamenti la vita
di Danny, spero che ci sia stato un accordo fra i due (che in alcune scene si
entra un po’ troppo nell’intimità). L’altra piccola parte è data da Angela
Sala, una figura marginale, che finirà male anche lei, ma che serve a Romano
per fare alcune piccole tirate sul mondo editoriale e sulla figura degli scrittori
di ultima fascia.
Comunque, il nostro trio investigativo non
può che calarsi nella notte. In quella romana, ma anche in quella personale di
ognuno. Con Leo che lasciata una fidanzata in Veneto, trova un inatteso amore
nel giovane Stefano. Con Paolo ossessionato da una ragazza tanto da diventarne
uno stalker senza tregua. Con la stessa Laura che si immerge nell’atmosfera del
“Single”, sino ad essere coinvolta in una storia di grande sesso proprio con
Andy.
Purtroppo, come spesso accade nei noir
moderni, anche De Marco usa salti temporali e di prospettiva attraverso l’uso
del corsivo. Ma non si capisce perché non lo usi quando, in una serie di
capitoli, ci fa seguire la vicenda dalla soggettiva di Laura. Fatto sta che i
nostri tre si trovano molto vicini a pericoli, anche mortali, soggettivi e
oggettivi.
Ovvio che Laura ne uscirà risolvendo sia
l’omicidio di Claudia sia quello delle altre donne, anche se solo per il primo
riusciamo a seguire le tracce investigative, risultando un bel giallo, anche un
po’ contorto. Mentre l’altra parte viene fuori un po’ a caso. Mentre dei suoi
aiutanti, uno solo vincerà i propri demoni, l’altro soccombendone.
Un solo appunto: per molta parte del libro,
l’autore cerca di appuntare tutti gli indizi sul povero Lovato, ma, dato il
Danny che nasconde, mi è sembrato subito una pista depistante. Ed è in effetti
una parte un po’ traballante.
Meglio, come detto, le parti romane, con le
descrizioni degli ambienti, dei luoghi, dei personaggi. Se vuoi bene a questa
città, sono le parti migliori. Mentre al solito la figura del commissario
Damiani, pur trattata con garba, risulta descritta in un’ottica troppo
maschile.
Chissà quanti anni passeranno per leggere un
altro libro di De Marco…
“Poter
diventare indifferente a qualcuno che hai creduto di amare ti dà l’esatta idea
di cosa sia questo sentimento.” (221)
Davide
Longo “Una rabbia semplice” Repubblica Anima Noir 11 euro 8,90
[A:
02/09/2021 – I: 05/07/2025 – T: 09/07/2025] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 332; anno: 2021]
Come
in un gioco di scivolamento delle azioni, in questo terzo libro dedicato alle
vicende dei protagonisti che abbiamo incontrato nelle due precedenti puntate,
si vede venire sempre più in primo piano il commissario Vincenzo Arcadipane,
mentre l’ex-commissario Corso Bramard e la bravissima agente Isa Mancini,
stanno scivolando nelle retrovie.
Ricordo
che il bravo Davide Longo, insegnante alla Holden di Baricco, scrive, e bene,
da oltre venti anni. E da una decina ha intrapreso il percorso giallo-momenti
di vita con questi personaggi, di cui seguiamo le evoluzioni e le indagini. Se
nel primo libro, il centro era Bramard, il secondo si pone in mezzo ai
personaggi, mentre questa terza prova è di sicuro dedicata al commissario
Arcadipane.
Certo,
nei ragionamenti che seguono le indagini interviene, anche con azioni efficaci,
l’emarginata Mancini, che sta cercando di trovare il modo di riscattare i suoi
(giusti) scatti d’ira con comportamenti più moderati. E noi speriamo che, prima
o poi, riesca nell’intento che ci sta moderatamente simpatica.
Certo,
parla e aiuta Corso, ma il suo è un percorso che volge al termine. Sa di essere
malato e scarsamente curabile, per cui cerca il modo di arrivare alla sua fine
seguendo il suo modello di vita. Magari non sarà empatico, magari qualcuno non
ne sarà contento (fino a dove e perché ci si può e deve curare?).
Rimane
Vincenzo, con tutti i suoi problemi. Soprattutto familiari e di relazione. Ha
un problema di impotenza che lo blocca nei rapporti familiari, tanto che la
moglie se ne allontana e lui va a vivere da solo, con il suo cane Trepet,
quello con tre zampe. Incontra in una chat erotica la figlia, ed ha con lei
alcuni momenti catartici. Ma soprattutto è in cura da Ariel, una visionaria,
psicologa, astrologa ed altro ancora. Che lo sottopone a prove diverse per
scatenare una reazione nella sua passività. Una donna che a me aveva ispirato
subito una simpatia proprio per quel suo essere sopra le righe (tipico esempio,
quando Vincenzo a precise domande risponde “stavo riflettendo” Ariel lo
inchioda con “non si lanci in attività spericolate”). Un rapporto che a tutte
le premesse per evolversi, sperando che il pessimismo di fondo dell’autore non
ci porti fuori strada (e che forse vedremo se riusciremo a trovare il tempo di
leggere i tre successivi testi delle avventure dei nostri).
Come
tutti i serial d’ambiente, una volta fatta luce sul contorno extra-indagine,
possiamo dedicarci a capire di cosa stiamo indagando. Il fatto, inizialmente,
sembra semplice. Una donna viene aggredita all’uscita della metropolitana da un
tizio mascherato in modo strano (volto coperto, bermuda e katana). Ed un
ragazzo viene riconosciuto dalle telecamere della metro. Tutto semplice, forse
troppo semplice, tanto che Arcadipane cerca di capire meglio.
Interroga
per ore il ragazzo, poi la ragazza, poi allarga il giro delle domande,
coinvolge Isa e Corso, nonché altri poliziotti, che i meccanismi delle azioni
sono strani. Come strane risultano altri morti ed altri accidenti. Ed alla
fine, con qualche anticipazione su quanto forse ora vediamo succedere, ci si
imbatte nella rete e nei suoi meccanismi. C’è il primo livello dell’iceberg di
rete, quello che ci permette di navigare e di fare domande a Wikipedia; c’è il
secondo livello della rete, una sorta di deep web, dove tutto è ancora lecito,
pur se cominciano delle ombre. E poi c’è il dark web, quello che noi persone
normali sentiamo nominare ma che forse neanche sappiamo come utilizzare.
In
questo dark i nostri ricercatori si troveranno a scoprire le regole di un gioco
folle e letale, che noi seguiamo, a volte forse con poca comprensione, in una
discesa nel mondo sotterraneo alla scoperta di qualcosa che si mette a metà tra
una sfida ed una vendetta subliminale. Qui il gioco si fa complicato, tanto
che, sia perché ci si perde un po’, sia perché altrimenti si perde qualche
sorpresa, vi lascio il piacere di leggerne.
Alla
fine, sempre con quel sentimento un po’ maigrettiano di comprensione verso i
colpevoli anche se non di giustificazione delle loro azioni, si arriva alla
fine, con qualche sussulto positivo di Arcadipane che non dispiace.
Longo,
ed è ovvio, scrive in maniera gradevole, si lascia seguire (abbastanza) bene e
tutto sommato, pur con qualche salto e qualche omissione (che si lascia al
lettore di completare) ci dà un buon prodotto. Soprattutto là dove ci tira
fuori, già quattro anni fa, quello che vediamo ora affermarsi in giro. Certo
non sempre così dark come qui, ma i “challenge” istigati dai social sono sempre
più presenti e dannosi (ricordo solo l’ultimo: prendere il sole senza
protezione per bruciarsi la pelle; una follia!). Longo è un bravo osservatore e
ragiona con proprietà su quanto succede nel mondo, e ci fornisce un dignitoso
prodotto (ed io ripeto aspetto di capire se leggerne ancora).
“Vuol
dire che metti tra virgolette la parola che viene dopo. Quello l’ho imparato
dalla serie ‘Friends’ tanti anni fa. Phoebe lo faceva sempre.” (175) [solo per
i nostalgici]
Marco
Malvaldi “Piomba libera tutti” Sellerio s.p. (regalo di Alessandra)
A:
26/06/2025 – I: 20/07/2025 – T: 23/07/2025] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 298; anno: 2025]
Il gioco del nascondino credo sia un gioco
non solo giocato dappertutto in Italia, ma forse anche nel mondo (giocato
addirittura nell’Antica Grecia con il termine dialettale “apodidraskinda” che
significa “gioco della fuga”). Penso che tutti lo conosciate, ma soprattutto vi
ricordate cosa si dice quando, per una serie di motivi legate alle regole
specifiche, qualcuno riesce a trovare il modo di liberare tutti i prigionieri.
Mentre su questo torneremo in coda di trama, quello che rimprovero a Malvaldi,
ed a Sellerio che ha pensato bene di non parlarne, è l’uso di un termine
dialettale in uso solo in Toscana.
Qui, l’autore lo utilizza indicando che, al
termine di un’indagine con un ristretto e ben identificato numero di possibili
colpevoli, una volta risolto il mistero tutti gli altri sono liberi. Tuttavia,
meritando una trattazione specifica, ne riparlo alla fine, dopo aver percorso i
caposaldi dell’indagine.
Come tutte le serie, sappiamo che, oltre al
filo di indagine, c’è tutto un contorno dei personaggi presenti che operano per
le loro strade trovandosi qui a convivere e ad agire sullo stesso territorio.
Il primo livello narrativo si ferma ad un fatto, doloroso ma possibile, dovendo
i vecchietti far fronte alla dipartita di uno di loro, Aldo Griffa. Melomane
impenitente, ristoratore di gusto e gestore, con Massimo e Tiziana, de “Il
Bocacito”. Aldo, investito da una bicicletta, muore, lasciando ai due soci le azioni
del ristorante. In più Massimo deve collocare l’enorme collezione musicale di
Aldo, mentre Tiziana ha in dono l’appartamento di Aldo, cosa super gradita
visto che lei e Marchino il marito sono in affitto.
Il secondo lascito è il più complicato,
visto che, saputo della morte di Aldo, giovani locali hanno occupato la casa,
e, come sappiamo, non è facile effettuarne lo sgombero. Dopo molti tentativi,
sarà un brillante idea di Massimo a trovare il modo di risolvere questa
difficoltà. Massimo che trova anche una possibile acquirente dei CD di Aldo,
tale Viola, ma mentre intavola le trattative, si scopre che nel garage
condominiale di Viola viene trovata uccisa Giada Meini.
Entra allora in opera anche Alice,
vicequestore locale, nonché genitrice insieme al compagno Massimo della
simpaticissima (e sveglissima) Matilde. Anche se, per una serie di motivi
legati alle paturnie di Massimo e dei vecchietti, questa volta non disdegna di
essere affiancata nelle indagini. Che sono complicate perché: Giada era una
persona malvista da tutti, una condomina che non perdeva occasione di rompere
le scatole e non solo. Lasciava soprattutto la macchina dove capitava,
impedendo agli altri di uscire. Cosa che porta a liti furibonde, rigate di
sportelli, nonché un ictus di una vicina, visto che, macchina bloccata, non è
stata portata in ospedale in tempo.
Non solo, ma, approfittando del suo lavoro
alle Poste, si faceva affari non suoi, e se trova spazio e modo, cominciava
piccoli ricatti. Come quello che stava inscenando ai danni di tal Chiaromonte,
direttore d’orchestra non sempre ben visto dai melomani, e proprio della Viola
di cui sopra, che del Chiaromonte era rimasta incinta. Un intreccio perverso
che coinvolge anche Laura, moglie del Chiaromonte, avvocato nello studio legale
che tutela le mattane di Giada.
Indagando e collegando, alla fine molte sono
le persone che hanno concreti motivi di intervenire nella morte di Giada. Oltre
a Chiaromonte, Viola e Laura, c’è la famiglia Pierotti, quella della donna
colpita dall’ictus, l’avvocato Biondi, gestore di molti appartamenti
condominiali, il cui affitto veniva bloccato proprio dalla conoscenza che nello
stabile c’era quella rompi… di Giada, nonché, per i motivi dei danni alle
macchine, i gestori del garage, cioè la famiglia Carusotto, in specie il
giovane di bottega, da sempre convinto della cattiveria di Giada e deciso a
trovare tutti i modi per bloccarla.
Malvaldi, con l’abilità che gli riconosco,
per lungo tempo ci induce a credere che sia possibile una soluzione tipo
“Assassinio sull’Orient Express”, per poi trovare la vera soluzione, grazie ad
alcune fortunate coincidenze (che ci stanno), ed al fatto che chi commette il
fatto soffre di ipoacusia, e quindi ha una notevole capacità di leggere le
labbra di chi parla. Ecco questo è un tiro mancino che non mi aspettavo da un
matematico nonché chimico come Malvaldi.
Come non mi aspettavo, tornando a bomba sul
lamento iniziale, che Malvaldi usasse il termine toscano “Piomba libera tutti”,
invece che il termine ovunque noto di “Tana libera tutti”. ho impiegato del
tempo per decrittarlo, ed in questo Sellerio non è stato d’aiuto. Anche perché,
il gioco del nascondino è non solo praticato in Italia, e di derivazione greca
come scritto sopra. Ma nelle maggiori lingue europee, ha una denominazione
abbastanza semplice, ed un grido, per permettere la liberazioni di chi è stato
scoperto, abbastanza omogenea. Quasi tutti dicono “tutti liberi”, solo in
spagnolo si usa il termine locale per “tana” come in italiano.
Se posso permettermi questa piccola
digressione ludica ecco allora un divertente specchietto:
Italiano |
Nascondino |
Tana libera tutti |
Francese |
Cache-cache o cachette (cache à nascosto; cachette à nascondiglio) |
Libre à tous |
Inglese |
Hide-and-seek (hide à nascondere; seek à cercare) |
Free for all |
Spagnolo |
Escondite (escondite à nascondiglio) |
¡Libre la guarida! |
Tedesco |
Versteckspiel (versteck à
nascondiglio; spiel à
gioco) |
Alle sind frei! |
Allora, caro Marco, almeno mezzo punto in
meno per questa scelta che non condivido. Mentre tutto il resto va molto bene,
anche l’idea del modo di utilizzare le ceneri del povero Aldo, che lascio agli
arguti lettori di scoprire.
Cristina
Cassar Scalia “Il castagno dei cento cavalli” Einaudi s.p. (regalo di
Alessandra)
[A:
07/05/2025 – I: 01/08/2025 – T: 03/08/2025] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 313; anno: 2024]
VG09
Eccoci
allora all’ultima puntata conosciuta dei gialli del vicequestore Vanina
Guarrasi, scritti dalla brava Cristina Cassar Scalia, e intrepretati sullo
schermo da Giulia Buscemi. Ho voluto subito mettere le mani avanti, perché, nel
mentre negli anni uscivano i vari libri ambientati nella bella città etnea,
venivano programmati sul piccolo schermo le loro riduzioni televisive. Questo
per sottolineare fin da subito che i libri sono altro, e che nella riduzione in
tv si perdono molte sfumature.
Per
esempio, che molto della squadra di Vanina viene ridotto a pura “macchietta”:
il divorziato Spanò ed i suoi rapporti con la ex e con il nuovo marito, il
nascosto Fragapane, praticamente scomparso, il “militare” Nunnari ed il suo
mancato amore per Marta, la stessa Bonazzoli ormai diventata compagna ufficiale
del grande capo Tito Macchia, l’ingenuo Lo Faro, qui perso d’amore per Agata
(che invece spasima per il bel Sanna) ed in tv innamorato psicologicamente
deviato della stessa Vanina.
Anche
qui prende sempre più spazio il lato privato. C’è il trio Lescano di supporto,
la bella Giuli ed i due amori-non amori Adriano e Luca. C’è di nuovo Bettina,
con la sua cucina ed il club delle vedove. Non ci meravigliamo che pian piano
si defila l’antipatico PM Vassalli. Mentre sempre pieno di ricordanze e
contatti l’ex-commissario Patané, che però non comprende l’arrendevolezza della
sua Angelina, e neanche noi, se non per un gancio in finale che dovrebbe
preludere al decimo episodio. Anche se invece di un nuovo libro di Vanina, è
uscito in questo 2025 un libro di Cristina con altri protagonisti.
Stendo
un velo pietoso sui rapporti tra Vanina e Paolo, che non decollano né si
arenano del tutto, rimanendo tra il liscio e il brusco, senza soddisfazione né
per lei né per noi. Comunque, rispetto a Giulia Buscemi, la “reale” Vanina è
forse più umbratile, ma di certo più simpatica. Ma prende piede è la giovane
Cocò, la sorella piccola, di cui finalmente sappiamo i motivi del matrimonio
mandato all’aria. Coinvolgendo nella simpatia il patrigno, sia per motivi
legati al matrimonio sia per altro legato ai rapporti di lui con Vanina.
Ma
tutto ciò dovrebbe, in un serial, essere in secondo piano rispetto alla materia
centrale, che qui e altrove è o dovrebbe essere il giallo. Invece, la serie
sembra sempre più rosa. Il giallo c’è, si vede, ma ha trame un po’ deboli.
Qui
comincia collegandosi al castagno del titolo, su cui torneremo, dove, sotto le
radici viene trovato il cadavere mutilato di una donna. Sebbene senza
documenti, si risale con qualche suggerimento dei catanesi di collina, ad una
donna chiamata “La Boscaiola”, una che andava per funghi e che faceva da guida
per i vari sentieri etnei. Una che aveva un rapporto con un uomo trasferitosi
dal Nord, il Bruseghin, dove era sospettato, ingiustamente, di diversi
assassini di donne.
Ma
Bruseghin era anche un impenitente donnaiolo, tanto da insidiare (o meglio
corteggiare) una bella donna, che per sfortuna sua è la moglie di uno dei tanti
caporioni mafiosi del luogo. Si suppone allora che la Boscaiola abbia avuto
scene di gelosia e che Bruseghin l’abbia silenziata, o che il mafioso, per
silenziare Bruseghin, abbia ucciso la Boscaiola. Tutto crolla quando, prima si
scopre che la tipa viveva sotto falso nome, poi quando si scopre una seconda
morte, di una signora anch’essa con nomi cambiati, ma che si scopre essere la
cugina della Boscaiola.
Ovvio
che Vanina, con l’aiuto di Patanè, capisca che forse bisogna risalire al
passato delle due donne, al loro essere state infermiere ed aiutante in una
clinica del Nord, ben avviata sino a che rimase in vita il medico titolare, e
poi, lentamente ma inesorabilmente, caduta in disgrazia. Interventi mal
riusciti ma soprattutto, si dice, pratiche abortive nascoste forse anch’essa
malamente condotte.
Si
arriverà alla soluzione del caso, ma sempre (e qui devo dire la serie subisce
una piccola battuta d’arresto) tramite rivelazioni altre, tramite qualcuno che
dice o suggerisce un collegamento. Niente a che vedere con un giallo classico,
dove il lettore partecipa delle indagini e viene fornito degli elementi per
capire, forse, come si sono svolti i fatti. Non sempre il perché, ma spesso il
come sì.
Veniamo
allora al luogo precipuo della storia, questo castagno dei cento cavalli. Un
albero che esiste realmente, nel Parco dell’Etna, patrimonio Unesco. Per essere
più aderente alla realtà, evitando inutili voli, riporto quanto se ne dice in
rete: “Il Castagno dei cento cavalli è senza dubbio l’albero più famoso
dell’Etna. Ha un’età stimata tra i 2000 e i 4000 anni ed è uno degli alberi più
grandi e antichi del mondo. Deve il suo nome a una leggenda: pare che la regina
Giovanna I d’Aragona e i suoi cento cavalieri abbiano trovato riparo sotto le
fronde del castagno durante un temporale”.
Ripeto
in finale, la scrittura di Cristina è sempre buona, ma la tensione cala, come
se, una volta esauriti temi classici e forti, con l’ultimo colpo di coda del
libro precedente, si stia esaurendo un po’ la vena e le motivazioni per
continuarne a scrivere. Come direbbe il buon Battisti, quello che succedere nel
futuro “lo scopriremo solo vivendo”.
Claudio
Bandi “La città e l’abisso” Mondadori euro 7,50
[A:
14/07/2025 – I: 05/08/2025 – T: 06/08/2025] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 220; anno: 2025]
Un
tentativo interessante ed onesto di produrre un hard-boiled omaggiando la
letteratura americana di genere e la filmografia relativa. Il professore di “Evoluzione
biologica” ed altre materie connesse, Claudio Bandi, cimentandosi nella sua
passione verso libri e film, produce un libro comunque leggibile, tanto che
vince, seppur ad ex-aequo, il Premio Tedeschi relativo agli inediti italiani
del Giallo Mondadori.
Proprio
per questa sua passione, Bandi decide di ambientare le sue vicende in una Los
Angeles del ’52, con attenzione all’anno. Sia perché è l’anno del mio caro
cugino Stefano, sia perché Ray Bradbury scrive “Fahrenheit “451” (insieme ad
altre vicende storiche che vi invito a scoprire). Ma soprattutto è un anno in
cui Los Angeles, nel pieno boom di crescita, vede aumentare a dismisura la
malavita ed il malaffare. Così che Bandi riesce ad ambientare una storia molto
legata al tempo.
Ma
fa anche una seconda operazione, interessante. Al fine di non farsi coinvolgere
in un tempo non facilmente districabile, la storia viene narrata dal
protagonista una quarantina d’anni dopo gli avvenimenti. Così che
l’ex-poliziotto William Slaytor, ora investigatore privato, ha agio di
affrontare una narrazione senza l’ansia dell’immediatezza. I giochi sono finiti
da tempo, lui è ancora vivo, quindi è andato tutto bene, e si può ripensare a
quei tempi con il distacco dell’età (un piccolo calcolo, se all’epoca era un
trentenne o giù di lì, ora ci parla un over Settanta).
Come
molte tradizioni alla Chandler insegnano, l’inizio è quasi di routine. Slaytor
viene incaricato dal preside della UCLA di indagare se le voci che un suo
professore sia un pedofilo siano vere. Incarico apparentemente semplice: si
segue il professore, si vedono i posti che frequenta, e si tirano le somme. Ma
il professore, oltre a passare insistentemente davanti ad una rivendita di auto
usato, di proprietà di tal Mike Rizzo e di frequentare saltuariamente una
ricercatrice universitaria che va verso i trenta non fa.
Mentre
questo secondo filone viene accantonato, Slaytor comincia ad indagare su Mike,
che sembra scomparso. Incontrando così la di lui sorella, una che, dopo la
guerra, ha capito che il ruolo della donna può essere anche lontano da quello
di “madre e sposa”. C’è un po’ di feeling tra i due, così che Slaytor comincia
ad indagare anche sulla scomparsa di Rizzo. Niente di sorprendente che ne trova
ben presto il cadavere, in una discarica che appartiene ad una potente famiglia
franco-americana, i Marseille.
C’è
un piccolo scontro con loro, che non si capiscono i motivi dell’affitto del
terreno a Mike. Ma frequentando i Marseille, si imbatta nel figlio di primo
letto del potente, e nella seconda moglie di lui, oriunda messicana. Quando poi
scopre che il figlio insegna nella scuola dove studia la tredicenne figlia del
professore, e quando scopre che i due hanno una tresca, corredata da foto che
Mike aveva fatto di nascosto, una bella trama da Dashiell Hammett salta subito
fuori.
Nelle
more la seconda moglie, viste le sue capacità e discrezioni (e non vi dico
quali), gli chiede di ritrovare sua sorella, scomparsa o forse rapita da un
marito manesco. Dati i suoi contatti con il demi-monde e con la parte buona dei
LAPD, anche questo caso verrà risolto alla grande. Finendo con il primo caso,
dove il professore di certo non è un pedofilo, ma la cui soluzione porta ad un
giro di volta che il nostro buon Slaytor non si aspettava.
Insomma,
una tipica trama gialla, ben scritta e ben portata avanti. Che si può leggere
come un giallo di carattere, senza porsi altre domande. Oppure ponendosele,
sulla spinta dei suggerimenti di Bandi. Vediamo così un approccio quasi
biologico alla città di Los Angeles, quasi fosse un organismo vivo, e il
biologo Bandi, oltre a farcene respirare il ritmo unitario, ci mette qua e là
spunti etologici, con citazioni che vanno dall’orso degli Appalachi al ratto
accumulatore fino allo scarabeo stercorario.
C’è
di certo un gradito omaggio a tutta la cultura popolare americana, con
abbondanti citazioni di libri e film del periodo. Anche perché Slaytor è un
poliziotto colto (si nota da alcune citazioni che Bandi sparge durante le
esternazioni dell’io narrante, anche se paragonare la stanza sgarrupata di un
guardone alla camera gialla di Van Gogh mi pare un salto quantico non
indifferente. Ma soprattutto, c’è la lettura della denuncia sociale, laddove
nel testo compaiono quattro diverse figure femminili che, ogniuna nel proprio
ambito ed in modo diverso, ci fanno capire che il ruolo della donna, fin dagli
inizi degli anni Cinquanta, sta cambiando.
C’è
solo un’incongruenza che vorrei segnalare all’autore. Ad un certo punto compare
un benzinaio, indicato come Jim Baumgarner, e Slaytor, entrato in sintonia con
lui, gli prevede una bella carriera come attore in futuro. Vero, che quello è
il vero nome di un bravo attore caratterista americano, a noi noto come James
Garner. Ma lui, nel 1952, era ancora arruolato in marina, da dove si congedò
nel 1954. Bisogna rivedere un po’ le date, caro Bandi.
Questa
volta andiamo citando molto lontano, anche perché questo mese di riposo
consente e spinge a riflessioni a tutto campo. Così riprendo alcune delle tante
idee che mi ha lasciato la lettura di “Vite di corsa” del
filosofo a me molto caro Zygmunt
Bauman.
“da
Kundera: le situazioni messe in scena dalla Storia rimangono sotto la luce dei
riflettori solo per i primi minuti.” (7)
“nella
società dei consumi l’obbligo di scegliere [prende] la forma della libertà di
scelta.” (27)
“da
Freud: la fine di un mal di denti ci rende felici, mentre non avere mal di
denti non ha lo stesso effetto.” (45)
“Nella
vita dell’adesso … la ragione di affrettarsi non è la spinta ad acquisire e
conservare ma a scartare e sostituire.” (59)
“Siamo
stati trasportati da una civiltà della durata, e quindi dell’apprendimento e
della memorizzazione, a una civiltà del transitorio e quindi dell’oblio. Di
questo passaggio cruciale la memoria è la prima vittima, mascherata però da
danno collaterale. “(73)
“da Robert Louis Stevenson: viaggiare pieni di
speranza è meglio che arrivare.” (84)
“Il
dominio conseguito mediante la deliberata coltivazione dell’ignoranza e
dell’incertezza è più affidabile e costa meno del potere fondato sull’esaustiva
disamina dei fatti e sullo sforzo prolungato di raggiungere un accordo circa la
fondatezza dei problemi e i metodi meno rischiosi per affrontarli. L’ignoranza
politica perpetua sé stessa e la corda intrecciata dell’ignoranza e
dell’inazione fa sempre comodo quando si deve mettere il bavaglio o legare le
mani alla democrazia.” (94)
Direi che propria quest’ultima sia degna di riflessione in questo momento di grande incertezza mondiale. Noi (ed in questo accomuno i miei amici e sodali) vorremmo un mondo in cui ci si possa fermare e ragionare senza il rombo delle armi. I soprusi sono sempre possibili, ma se potesse vincere il ragionamento, potremmo, forse, trovare soluzioni che guardino al futuro, e non al passato. Mi rendo conto che questo discorso potrebbe portarci lontano, ma forse è meglio affrontarlo con calma e in un prossimo futuro. Con l’ottimismo che sempre mi contraddistingue, allora, vi abbraccio tutti.