domenica 24 agosto 2025

Vanina e altre indagini - 24 agosto 2025

Avevamo lasciato l’ultimo capitolo delle storie di Vanina Guarrasi in sospeso, e così qui lo completiamo. È il non episodio e non sappiamo se e quando uscirà un decimo episodio scritto dall’ottima Cristina Cassar Scalia (che intanto ha iniziato una nuova serie, di cui presto parleremo). A far da contorno alla brava scrittrice siciliana, abbiamo un quartetto italico. Con in testa, ovviamente Malvaldi ed il nostro bravo barrista. Subito sotto, il commissario Vincenzo Arcadipane del bravo Davide Longo e il commissario Laura Damiani, spinoff delle avventure raccontate da Romano De Marco. Chiude il gruppo Claudio Bandi, con un avventura dignitosa, ma, per il mio gusto, poco centrata con la sua ambientazione americana.

Romano De Marco “Se la notte ti cerca” Repubblica Anima Noir 40 euro 8,90

[A: 24/03/2022 – I: 15/04/2025 – T: 16/04/2025] &&+ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 316; anno: 2018]

Romano De Marco, e a volte ritornano. Lessi con una buona impressione il suo libro d’esordio sedici anni fa e poi non capitò altro. Ora torna, con questo che dovrebbe essere il suo ottavo romanzo (non conto quelli usciti solo in formato elettronico). Ovvio che abbiamo perso una serie di riferimenti, e quindi, su alcune cose voliamo un po’ “come pipistrelli”. Ma il modo di scrivere e molta tipologia di romanzo rimane fedele a sé stessa.

Il primo romanzo, e credo anche qualcuno dopo, era imperniato sulla figura ambivalente di Rinaldo Ferro, aiutato nelle indagini da una giovane poliziotta, Laura Damiani. Ed io ipotizzavo la possibile nascita di un feeling tra i due. Ora, da mezze parole e rimandi, direi che la storia c’è stata, e non poteva che finire, vista la peculiarità di Rinaldo. Fatto sta che ora è Laura che ha il ruolo di protagonista. Lei che dopo Rinaldo è stata del tempo a Milano, con grandi successi. Tali da farla proporre per una promozione.

Ma Il commissario Damiani vuole rimanere operativa, quindi torna a Roma, per indagare su piccola malavita all’Anticrimine, aiutata da quello che dovrebbe essere il suo vice storico, l’ispettor capo Paolo Silveri, e con l’introduzione di un secondo aiuto, il vice sovraintendente Leo Fragassi.

La più o meno tranquilla routine di una Roma un po’ annoiata cambia con l’omicidio di una cinquantenne di buon livello sociale. Anche se Claudia Longo, pariolina, stava scivolando in una china senza via d’uscita. Divorzio da un marito facoltoso e palazzinaro che si invaghisce di una giovane. Divorzio duro non concordato, con Claudia che recrimina su tutto, mandando alle ortiche anche i rapporti con i due figli, il più maturo Cristiano e la più giovane ed un po’ sbandata Azzurra. E mandato alle ortiche anche il rapporto con il fratello modenese, anche per strani intrecci ereditari.

Claudia si ritrova a “mendicare” l’amore in qualche angolo notturno, a colpi di chirurgia plastica e magari con elargizioni economiche a qualche toy boy. Ma è un omicidio che si vorrebbe chiudere al più presto (il capo della Mobile vuol fare carriera), per questo viene messa in mezzo Damiani e la sua squadra. Ovvio che Laura stravolge il tutto, e ben presto collega questo ad altre possibili morti, descritte come accidentali, ma tutti gravanti intorno ad un locale di incontri sito nell’orrido quartiere EUR, il Single (un nome, un programma).

Qui sta la parte migliore delle idee di De Marco, l’intreccio tra meta finzione e realtà, soprattutto toccando i tasti della Roma, diurna e notturna, ma che solo i romani capiscono a fondo. E se nella notte vediamo gente poco raccomandabile aggirarsi per l’EUR, di giorno vediamo attività intorno a via Ettore Pais (che ora conosco vivendoci abbastanza vicino), o meglio ancora, mangiando con Laura un “cheeseburger” da McDonald a viale Giulio Cesare.

Il lato “meta” qualcosa si incarna in Andy Lovato, che adombra la figura e le opere del cantante Danny Losito. Poiché, a parte il nome, tutto quanto si narra di Andy riprende senza mutamenti la vita di Danny, spero che ci sia stato un accordo fra i due (che in alcune scene si entra un po’ troppo nell’intimità). L’altra piccola parte è data da Angela Sala, una figura marginale, che finirà male anche lei, ma che serve a Romano per fare alcune piccole tirate sul mondo editoriale e sulla figura degli scrittori di ultima fascia.

Comunque, il nostro trio investigativo non può che calarsi nella notte. In quella romana, ma anche in quella personale di ognuno. Con Leo che lasciata una fidanzata in Veneto, trova un inatteso amore nel giovane Stefano. Con Paolo ossessionato da una ragazza tanto da diventarne uno stalker senza tregua. Con la stessa Laura che si immerge nell’atmosfera del “Single”, sino ad essere coinvolta in una storia di grande sesso proprio con Andy.

Purtroppo, come spesso accade nei noir moderni, anche De Marco usa salti temporali e di prospettiva attraverso l’uso del corsivo. Ma non si capisce perché non lo usi quando, in una serie di capitoli, ci fa seguire la vicenda dalla soggettiva di Laura. Fatto sta che i nostri tre si trovano molto vicini a pericoli, anche mortali, soggettivi e oggettivi.

Ovvio che Laura ne uscirà risolvendo sia l’omicidio di Claudia sia quello delle altre donne, anche se solo per il primo riusciamo a seguire le tracce investigative, risultando un bel giallo, anche un po’ contorto. Mentre l’altra parte viene fuori un po’ a caso. Mentre dei suoi aiutanti, uno solo vincerà i propri demoni, l’altro soccombendone.

Un solo appunto: per molta parte del libro, l’autore cerca di appuntare tutti gli indizi sul povero Lovato, ma, dato il Danny che nasconde, mi è sembrato subito una pista depistante. Ed è in effetti una parte un po’ traballante.

Meglio, come detto, le parti romane, con le descrizioni degli ambienti, dei luoghi, dei personaggi. Se vuoi bene a questa città, sono le parti migliori. Mentre al solito la figura del commissario Damiani, pur trattata con garba, risulta descritta in un’ottica troppo maschile.

Chissà quanti anni passeranno per leggere un altro libro di De Marco…

“Poter diventare indifferente a qualcuno che hai creduto di amare ti dà l’esatta idea di cosa sia questo sentimento.” (221)

Davide Longo “Una rabbia semplice” Repubblica Anima Noir 11 euro 8,90

[A: 02/09/2021 – I: 05/07/2025 – T: 09/07/2025] && e ½  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 332; anno: 2021]

Come in un gioco di scivolamento delle azioni, in questo terzo libro dedicato alle vicende dei protagonisti che abbiamo incontrato nelle due precedenti puntate, si vede venire sempre più in primo piano il commissario Vincenzo Arcadipane, mentre l’ex-commissario Corso Bramard e la bravissima agente Isa Mancini, stanno scivolando nelle retrovie.

Ricordo che il bravo Davide Longo, insegnante alla Holden di Baricco, scrive, e bene, da oltre venti anni. E da una decina ha intrapreso il percorso giallo-momenti di vita con questi personaggi, di cui seguiamo le evoluzioni e le indagini. Se nel primo libro, il centro era Bramard, il secondo si pone in mezzo ai personaggi, mentre questa terza prova è di sicuro dedicata al commissario Arcadipane.

Certo, nei ragionamenti che seguono le indagini interviene, anche con azioni efficaci, l’emarginata Mancini, che sta cercando di trovare il modo di riscattare i suoi (giusti) scatti d’ira con comportamenti più moderati. E noi speriamo che, prima o poi, riesca nell’intento che ci sta moderatamente simpatica.

Certo, parla e aiuta Corso, ma il suo è un percorso che volge al termine. Sa di essere malato e scarsamente curabile, per cui cerca il modo di arrivare alla sua fine seguendo il suo modello di vita. Magari non sarà empatico, magari qualcuno non ne sarà contento (fino a dove e perché ci si può e deve curare?).

Rimane Vincenzo, con tutti i suoi problemi. Soprattutto familiari e di relazione. Ha un problema di impotenza che lo blocca nei rapporti familiari, tanto che la moglie se ne allontana e lui va a vivere da solo, con il suo cane Trepet, quello con tre zampe. Incontra in una chat erotica la figlia, ed ha con lei alcuni momenti catartici. Ma soprattutto è in cura da Ariel, una visionaria, psicologa, astrologa ed altro ancora. Che lo sottopone a prove diverse per scatenare una reazione nella sua passività. Una donna che a me aveva ispirato subito una simpatia proprio per quel suo essere sopra le righe (tipico esempio, quando Vincenzo a precise domande risponde “stavo riflettendo” Ariel lo inchioda con “non si lanci in attività spericolate”). Un rapporto che a tutte le premesse per evolversi, sperando che il pessimismo di fondo dell’autore non ci porti fuori strada (e che forse vedremo se riusciremo a trovare il tempo di leggere i tre successivi testi delle avventure dei nostri).

Come tutti i serial d’ambiente, una volta fatta luce sul contorno extra-indagine, possiamo dedicarci a capire di cosa stiamo indagando. Il fatto, inizialmente, sembra semplice. Una donna viene aggredita all’uscita della metropolitana da un tizio mascherato in modo strano (volto coperto, bermuda e katana). Ed un ragazzo viene riconosciuto dalle telecamere della metro. Tutto semplice, forse troppo semplice, tanto che Arcadipane cerca di capire meglio.

Interroga per ore il ragazzo, poi la ragazza, poi allarga il giro delle domande, coinvolge Isa e Corso, nonché altri poliziotti, che i meccanismi delle azioni sono strani. Come strane risultano altri morti ed altri accidenti. Ed alla fine, con qualche anticipazione su quanto forse ora vediamo succedere, ci si imbatte nella rete e nei suoi meccanismi. C’è il primo livello dell’iceberg di rete, quello che ci permette di navigare e di fare domande a Wikipedia; c’è il secondo livello della rete, una sorta di deep web, dove tutto è ancora lecito, pur se cominciano delle ombre. E poi c’è il dark web, quello che noi persone normali sentiamo nominare ma che forse neanche sappiamo come utilizzare.

In questo dark i nostri ricercatori si troveranno a scoprire le regole di un gioco folle e letale, che noi seguiamo, a volte forse con poca comprensione, in una discesa nel mondo sotterraneo alla scoperta di qualcosa che si mette a metà tra una sfida ed una vendetta subliminale. Qui il gioco si fa complicato, tanto che, sia perché ci si perde un po’, sia perché altrimenti si perde qualche sorpresa, vi lascio il piacere di leggerne.

Alla fine, sempre con quel sentimento un po’ maigrettiano di comprensione verso i colpevoli anche se non di giustificazione delle loro azioni, si arriva alla fine, con qualche sussulto positivo di Arcadipane che non dispiace.

Longo, ed è ovvio, scrive in maniera gradevole, si lascia seguire (abbastanza) bene e tutto sommato, pur con qualche salto e qualche omissione (che si lascia al lettore di completare) ci dà un buon prodotto. Soprattutto là dove ci tira fuori, già quattro anni fa, quello che vediamo ora affermarsi in giro. Certo non sempre così dark come qui, ma i “challenge” istigati dai social sono sempre più presenti e dannosi (ricordo solo l’ultimo: prendere il sole senza protezione per bruciarsi la pelle; una follia!). Longo è un bravo osservatore e ragiona con proprietà su quanto succede nel mondo, e ci fornisce un dignitoso prodotto (ed io ripeto aspetto di capire se leggerne ancora).

“Vuol dire che metti tra virgolette la parola che viene dopo. Quello l’ho imparato dalla serie ‘Friends’ tanti anni fa. Phoebe lo faceva sempre.” (175) [solo per i nostalgici]

Marco Malvaldi “Piomba libera tutti” Sellerio s.p. (regalo di Alessandra)

A: 26/06/2025 – I: 20/07/2025 – T: 23/07/2025] &&&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 298; anno: 2025]

Come sempre piacevole e rilassante leggere un libro di Marco Malvaldi, specie se in regalo per un onomastico passato tra lavori e riposi di fronte al mare toscano. Tuttavia, prima di parlarne, come al solito abbastanza bene, devo fare una tirata d’orecchi a Malvaldi ed a Sellerio.

Il gioco del nascondino credo sia un gioco non solo giocato dappertutto in Italia, ma forse anche nel mondo (giocato addirittura nell’Antica Grecia con il termine dialettale “apodidraskinda” che significa “gioco della fuga”). Penso che tutti lo conosciate, ma soprattutto vi ricordate cosa si dice quando, per una serie di motivi legate alle regole specifiche, qualcuno riesce a trovare il modo di liberare tutti i prigionieri. Mentre su questo torneremo in coda di trama, quello che rimprovero a Malvaldi, ed a Sellerio che ha pensato bene di non parlarne, è l’uso di un termine dialettale in uso solo in Toscana.

Qui, l’autore lo utilizza indicando che, al termine di un’indagine con un ristretto e ben identificato numero di possibili colpevoli, una volta risolto il mistero tutti gli altri sono liberi. Tuttavia, meritando una trattazione specifica, ne riparlo alla fine, dopo aver percorso i caposaldi dell’indagine.

Come tutte le serie, sappiamo che, oltre al filo di indagine, c’è tutto un contorno dei personaggi presenti che operano per le loro strade trovandosi qui a convivere e ad agire sullo stesso territorio. Il primo livello narrativo si ferma ad un fatto, doloroso ma possibile, dovendo i vecchietti far fronte alla dipartita di uno di loro, Aldo Griffa. Melomane impenitente, ristoratore di gusto e gestore, con Massimo e Tiziana, de “Il Bocacito”. Aldo, investito da una bicicletta, muore, lasciando ai due soci le azioni del ristorante. In più Massimo deve collocare l’enorme collezione musicale di Aldo, mentre Tiziana ha in dono l’appartamento di Aldo, cosa super gradita visto che lei e Marchino il marito sono in affitto.

Il secondo lascito è il più complicato, visto che, saputo della morte di Aldo, giovani locali hanno occupato la casa, e, come sappiamo, non è facile effettuarne lo sgombero. Dopo molti tentativi, sarà un brillante idea di Massimo a trovare il modo di risolvere questa difficoltà. Massimo che trova anche una possibile acquirente dei CD di Aldo, tale Viola, ma mentre intavola le trattative, si scopre che nel garage condominiale di Viola viene trovata uccisa Giada Meini.

Entra allora in opera anche Alice, vicequestore locale, nonché genitrice insieme al compagno Massimo della simpaticissima (e sveglissima) Matilde. Anche se, per una serie di motivi legati alle paturnie di Massimo e dei vecchietti, questa volta non disdegna di essere affiancata nelle indagini. Che sono complicate perché: Giada era una persona malvista da tutti, una condomina che non perdeva occasione di rompere le scatole e non solo. Lasciava soprattutto la macchina dove capitava, impedendo agli altri di uscire. Cosa che porta a liti furibonde, rigate di sportelli, nonché un ictus di una vicina, visto che, macchina bloccata, non è stata portata in ospedale in tempo.

Non solo, ma, approfittando del suo lavoro alle Poste, si faceva affari non suoi, e se trova spazio e modo, cominciava piccoli ricatti. Come quello che stava inscenando ai danni di tal Chiaromonte, direttore d’orchestra non sempre ben visto dai melomani, e proprio della Viola di cui sopra, che del Chiaromonte era rimasta incinta. Un intreccio perverso che coinvolge anche Laura, moglie del Chiaromonte, avvocato nello studio legale che tutela le mattane di Giada.

Indagando e collegando, alla fine molte sono le persone che hanno concreti motivi di intervenire nella morte di Giada. Oltre a Chiaromonte, Viola e Laura, c’è la famiglia Pierotti, quella della donna colpita dall’ictus, l’avvocato Biondi, gestore di molti appartamenti condominiali, il cui affitto veniva bloccato proprio dalla conoscenza che nello stabile c’era quella rompi… di Giada, nonché, per i motivi dei danni alle macchine, i gestori del garage, cioè la famiglia Carusotto, in specie il giovane di bottega, da sempre convinto della cattiveria di Giada e deciso a trovare tutti i modi per bloccarla.

Malvaldi, con l’abilità che gli riconosco, per lungo tempo ci induce a credere che sia possibile una soluzione tipo “Assassinio sull’Orient Express”, per poi trovare la vera soluzione, grazie ad alcune fortunate coincidenze (che ci stanno), ed al fatto che chi commette il fatto soffre di ipoacusia, e quindi ha una notevole capacità di leggere le labbra di chi parla. Ecco questo è un tiro mancino che non mi aspettavo da un matematico nonché chimico come Malvaldi.

Come non mi aspettavo, tornando a bomba sul lamento iniziale, che Malvaldi usasse il termine toscano “Piomba libera tutti”, invece che il termine ovunque noto di “Tana libera tutti”. ho impiegato del tempo per decrittarlo, ed in questo Sellerio non è stato d’aiuto. Anche perché, il gioco del nascondino è non solo praticato in Italia, e di derivazione greca come scritto sopra. Ma nelle maggiori lingue europee, ha una denominazione abbastanza semplice, ed un grido, per permettere la liberazioni di chi è stato scoperto, abbastanza omogenea. Quasi tutti dicono “tutti liberi”, solo in spagnolo si usa il termine locale per “tana” come in italiano.

Se posso permettermi questa piccola digressione ludica ecco allora un divertente specchietto:

Italiano

Nascondino

Tana libera tutti

Francese

Cache-cache o cachette

(cache à nascosto; cachette à nascondiglio)

Libre à tous

Inglese

Hide-and-seek

(hide à nascondere; seek à cercare)

Free for all

Spagnolo

Escondite

(escondite à nascondiglio)

¡Libre la guarida!

Tedesco

Versteckspiel

(versteck à nascondiglio; spiel à gioco)

Alle sind frei!

Allora, caro Marco, almeno mezzo punto in meno per questa scelta che non condivido. Mentre tutto il resto va molto bene, anche l’idea del modo di utilizzare le ceneri del povero Aldo, che lascio agli arguti lettori di scoprire.

Cristina Cassar Scalia “Il castagno dei cento cavalli” Einaudi s.p. (regalo di Alessandra)

[A: 07/05/2025 – I: 01/08/2025 – T: 03/08/2025] && e ½ 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 313; anno: 2024]

VG09

Eccoci allora all’ultima puntata conosciuta dei gialli del vicequestore Vanina Guarrasi, scritti dalla brava Cristina Cassar Scalia, e intrepretati sullo schermo da Giulia Buscemi. Ho voluto subito mettere le mani avanti, perché, nel mentre negli anni uscivano i vari libri ambientati nella bella città etnea, venivano programmati sul piccolo schermo le loro riduzioni televisive. Questo per sottolineare fin da subito che i libri sono altro, e che nella riduzione in tv si perdono molte sfumature.

Per esempio, che molto della squadra di Vanina viene ridotto a pura “macchietta”: il divorziato Spanò ed i suoi rapporti con la ex e con il nuovo marito, il nascosto Fragapane, praticamente scomparso, il “militare” Nunnari ed il suo mancato amore per Marta, la stessa Bonazzoli ormai diventata compagna ufficiale del grande capo Tito Macchia, l’ingenuo Lo Faro, qui perso d’amore per Agata (che invece spasima per il bel Sanna) ed in tv innamorato psicologicamente deviato della stessa Vanina.

Anche qui prende sempre più spazio il lato privato. C’è il trio Lescano di supporto, la bella Giuli ed i due amori-non amori Adriano e Luca. C’è di nuovo Bettina, con la sua cucina ed il club delle vedove. Non ci meravigliamo che pian piano si defila l’antipatico PM Vassalli. Mentre sempre pieno di ricordanze e contatti l’ex-commissario Patané, che però non comprende l’arrendevolezza della sua Angelina, e neanche noi, se non per un gancio in finale che dovrebbe preludere al decimo episodio. Anche se invece di un nuovo libro di Vanina, è uscito in questo 2025 un libro di Cristina con altri protagonisti.

Stendo un velo pietoso sui rapporti tra Vanina e Paolo, che non decollano né si arenano del tutto, rimanendo tra il liscio e il brusco, senza soddisfazione né per lei né per noi. Comunque, rispetto a Giulia Buscemi, la “reale” Vanina è forse più umbratile, ma di certo più simpatica. Ma prende piede è la giovane Cocò, la sorella piccola, di cui finalmente sappiamo i motivi del matrimonio mandato all’aria. Coinvolgendo nella simpatia il patrigno, sia per motivi legati al matrimonio sia per altro legato ai rapporti di lui con Vanina.

Ma tutto ciò dovrebbe, in un serial, essere in secondo piano rispetto alla materia centrale, che qui e altrove è o dovrebbe essere il giallo. Invece, la serie sembra sempre più rosa. Il giallo c’è, si vede, ma ha trame un po’ deboli.

Qui comincia collegandosi al castagno del titolo, su cui torneremo, dove, sotto le radici viene trovato il cadavere mutilato di una donna. Sebbene senza documenti, si risale con qualche suggerimento dei catanesi di collina, ad una donna chiamata “La Boscaiola”, una che andava per funghi e che faceva da guida per i vari sentieri etnei. Una che aveva un rapporto con un uomo trasferitosi dal Nord, il Bruseghin, dove era sospettato, ingiustamente, di diversi assassini di donne.

Ma Bruseghin era anche un impenitente donnaiolo, tanto da insidiare (o meglio corteggiare) una bella donna, che per sfortuna sua è la moglie di uno dei tanti caporioni mafiosi del luogo. Si suppone allora che la Boscaiola abbia avuto scene di gelosia e che Bruseghin l’abbia silenziata, o che il mafioso, per silenziare Bruseghin, abbia ucciso la Boscaiola. Tutto crolla quando, prima si scopre che la tipa viveva sotto falso nome, poi quando si scopre una seconda morte, di una signora anch’essa con nomi cambiati, ma che si scopre essere la cugina della Boscaiola.

Ovvio che Vanina, con l’aiuto di Patanè, capisca che forse bisogna risalire al passato delle due donne, al loro essere state infermiere ed aiutante in una clinica del Nord, ben avviata sino a che rimase in vita il medico titolare, e poi, lentamente ma inesorabilmente, caduta in disgrazia. Interventi mal riusciti ma soprattutto, si dice, pratiche abortive nascoste forse anch’essa malamente condotte.

Si arriverà alla soluzione del caso, ma sempre (e qui devo dire la serie subisce una piccola battuta d’arresto) tramite rivelazioni altre, tramite qualcuno che dice o suggerisce un collegamento. Niente a che vedere con un giallo classico, dove il lettore partecipa delle indagini e viene fornito degli elementi per capire, forse, come si sono svolti i fatti. Non sempre il perché, ma spesso il come sì.

Veniamo allora al luogo precipuo della storia, questo castagno dei cento cavalli. Un albero che esiste realmente, nel Parco dell’Etna, patrimonio Unesco. Per essere più aderente alla realtà, evitando inutili voli, riporto quanto se ne dice in rete: “Il Castagno dei cento cavalli è senza dubbio l’albero più famoso dell’Etna. Ha un’età stimata tra i 2000 e i 4000 anni ed è uno degli alberi più grandi e antichi del mondo. Deve il suo nome a una leggenda: pare che la regina Giovanna I d’Aragona e i suoi cento cavalieri abbiano trovato riparo sotto le fronde del castagno durante un temporale”.

Ripeto in finale, la scrittura di Cristina è sempre buona, ma la tensione cala, come se, una volta esauriti temi classici e forti, con l’ultimo colpo di coda del libro precedente, si stia esaurendo un po’ la vena e le motivazioni per continuarne a scrivere. Come direbbe il buon Battisti, quello che succedere nel futuro “lo scopriremo solo vivendo”.

Claudio Bandi “La città e l’abisso” Mondadori euro 7,50

[A: 14/07/2025 – I: 05/08/2025 – T: 06/08/2025] &&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 220; anno: 2025]

Un tentativo interessante ed onesto di produrre un hard-boiled omaggiando la letteratura americana di genere e la filmografia relativa. Il professore di “Evoluzione biologica” ed altre materie connesse, Claudio Bandi, cimentandosi nella sua passione verso libri e film, produce un libro comunque leggibile, tanto che vince, seppur ad ex-aequo, il Premio Tedeschi relativo agli inediti italiani del Giallo Mondadori.

Proprio per questa sua passione, Bandi decide di ambientare le sue vicende in una Los Angeles del ’52, con attenzione all’anno. Sia perché è l’anno del mio caro cugino Stefano, sia perché Ray Bradbury scrive “Fahrenheit “451” (insieme ad altre vicende storiche che vi invito a scoprire). Ma soprattutto è un anno in cui Los Angeles, nel pieno boom di crescita, vede aumentare a dismisura la malavita ed il malaffare. Così che Bandi riesce ad ambientare una storia molto legata al tempo.

Ma fa anche una seconda operazione, interessante. Al fine di non farsi coinvolgere in un tempo non facilmente districabile, la storia viene narrata dal protagonista una quarantina d’anni dopo gli avvenimenti. Così che l’ex-poliziotto William Slaytor, ora investigatore privato, ha agio di affrontare una narrazione senza l’ansia dell’immediatezza. I giochi sono finiti da tempo, lui è ancora vivo, quindi è andato tutto bene, e si può ripensare a quei tempi con il distacco dell’età (un piccolo calcolo, se all’epoca era un trentenne o giù di lì, ora ci parla un over Settanta).

Come molte tradizioni alla Chandler insegnano, l’inizio è quasi di routine. Slaytor viene incaricato dal preside della UCLA di indagare se le voci che un suo professore sia un pedofilo siano vere. Incarico apparentemente semplice: si segue il professore, si vedono i posti che frequenta, e si tirano le somme. Ma il professore, oltre a passare insistentemente davanti ad una rivendita di auto usato, di proprietà di tal Mike Rizzo e di frequentare saltuariamente una ricercatrice universitaria che va verso i trenta non fa.

Mentre questo secondo filone viene accantonato, Slaytor comincia ad indagare su Mike, che sembra scomparso. Incontrando così la di lui sorella, una che, dopo la guerra, ha capito che il ruolo della donna può essere anche lontano da quello di “madre e sposa”. C’è un po’ di feeling tra i due, così che Slaytor comincia ad indagare anche sulla scomparsa di Rizzo. Niente di sorprendente che ne trova ben presto il cadavere, in una discarica che appartiene ad una potente famiglia franco-americana, i Marseille.

C’è un piccolo scontro con loro, che non si capiscono i motivi dell’affitto del terreno a Mike. Ma frequentando i Marseille, si imbatta nel figlio di primo letto del potente, e nella seconda moglie di lui, oriunda messicana. Quando poi scopre che il figlio insegna nella scuola dove studia la tredicenne figlia del professore, e quando scopre che i due hanno una tresca, corredata da foto che Mike aveva fatto di nascosto, una bella trama da Dashiell Hammett salta subito fuori.

Nelle more la seconda moglie, viste le sue capacità e discrezioni (e non vi dico quali), gli chiede di ritrovare sua sorella, scomparsa o forse rapita da un marito manesco. Dati i suoi contatti con il demi-monde e con la parte buona dei LAPD, anche questo caso verrà risolto alla grande. Finendo con il primo caso, dove il professore di certo non è un pedofilo, ma la cui soluzione porta ad un giro di volta che il nostro buon Slaytor non si aspettava.

Insomma, una tipica trama gialla, ben scritta e ben portata avanti. Che si può leggere come un giallo di carattere, senza porsi altre domande. Oppure ponendosele, sulla spinta dei suggerimenti di Bandi. Vediamo così un approccio quasi biologico alla città di Los Angeles, quasi fosse un organismo vivo, e il biologo Bandi, oltre a farcene respirare il ritmo unitario, ci mette qua e là spunti etologici, con citazioni che vanno dall’orso degli Appalachi al ratto accumulatore fino allo scarabeo stercorario.

C’è di certo un gradito omaggio a tutta la cultura popolare americana, con abbondanti citazioni di libri e film del periodo. Anche perché Slaytor è un poliziotto colto (si nota da alcune citazioni che Bandi sparge durante le esternazioni dell’io narrante, anche se paragonare la stanza sgarrupata di un guardone alla camera gialla di Van Gogh mi pare un salto quantico non indifferente. Ma soprattutto, c’è la lettura della denuncia sociale, laddove nel testo compaiono quattro diverse figure femminili che, ogniuna nel proprio ambito ed in modo diverso, ci fanno capire che il ruolo della donna, fin dagli inizi degli anni Cinquanta, sta cambiando.

C’è solo un’incongruenza che vorrei segnalare all’autore. Ad un certo punto compare un benzinaio, indicato come Jim Baumgarner, e Slaytor, entrato in sintonia con lui, gli prevede una bella carriera come attore in futuro. Vero, che quello è il vero nome di un bravo attore caratterista americano, a noi noto come James Garner. Ma lui, nel 1952, era ancora arruolato in marina, da dove si congedò nel 1954. Bisogna rivedere un po’ le date, caro Bandi.

Questa volta andiamo citando molto lontano, anche perché questo mese di riposo consente e spinge a riflessioni a tutto campo. Così riprendo alcune delle tante idee che mi ha lasciato la lettura di “Vite di corsa” del filosofo a me molto caro Zygmunt Bauman.

“da Kundera: le situazioni messe in scena dalla Storia rimangono sotto la luce dei riflettori solo per i primi minuti.” (7)

“nella società dei consumi l’obbligo di scegliere [prende] la forma della libertà di scelta.” (27)

“da Freud: la fine di un mal di denti ci rende felici, mentre non avere mal di denti non ha lo stesso effetto.” (45)

“Nella vita dell’adesso … la ragione di affrettarsi non è la spinta ad acquisire e conservare ma a scartare e sostituire.” (59)

“Siamo stati trasportati da una civiltà della durata, e quindi dell’apprendimento e della memorizzazione, a una civiltà del transitorio e quindi dell’oblio. Di questo passaggio cruciale la memoria è la prima vittima, mascherata però da danno collaterale. “(73)

 “da Robert Louis Stevenson: viaggiare pieni di speranza è meglio che arrivare.” (84)

“Il dominio conseguito mediante la deliberata coltivazione dell’ignoranza e dell’incertezza è più affidabile e costa meno del potere fondato sull’esaustiva disamina dei fatti e sullo sforzo prolungato di raggiungere un accordo circa la fondatezza dei problemi e i metodi meno rischiosi per affrontarli. L’ignoranza politica perpetua sé stessa e la corda intrecciata dell’ignoranza e dell’inazione fa sempre comodo quando si deve mettere il bavaglio o legare le mani alla democrazia.” (94)

Direi che propria quest’ultima sia degna di riflessione in questo momento di grande incertezza mondiale. Noi (ed in questo accomuno i miei amici e sodali) vorremmo un mondo in cui ci si possa fermare e ragionare senza il rombo delle armi. I soprusi sono sempre possibili, ma se potesse vincere il ragionamento, potremmo, forse, trovare soluzioni che guardino al futuro, e non al passato. Mi rendo conto che questo discorso potrebbe portarci lontano, ma forse è meglio affrontarlo con calma e in un prossimo futuro. Con l’ottimismo che sempre mi contraddistingue, allora, vi abbraccio tutti.

 

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