Questo secondo appuntamento del nuovo anno è dedicato al freddo Nord, con una contrapposizione da paura. Da un lato gli esimi gialli dello svedese mozambicano e dall’altra un capolavoro russo degli anni venti.
Come ricorderà chi ha già letto di Mankell, creatore della saga del commissario Wallander, lo scrittore passa sei mesi all’anno al caldo mozambicano. Qui lo troviamo con due libri, uno recente, di racconti sulla “nascita” del commissario, ed uno, il primo apparire del personaggio.
Hanning Mankell “Piramide” SuperPocket euro 5,50
Storie che si collocano come detto prima del primo Wallander. Tra le altre la prima in assoluto: in un tiepido pomeriggio di giugno del 1969, Wallander viene svegliato di soprassalto da un forte rumore che si insinua nei suoi sogni. Uno sparo. Non gli ci vorrà molto per scoprire il corpo senza vita del suo vicino: una macchia di sangue intorno al cuore, un revolver accanto alla mano. Agente poco più che ventenne, ambizioso e ancora innamorato di Mona, Wallander si trova così a collaborare con la squadra investigativa, di cui da sempre sogna di far parte, una scelta che porta ad amari scontri con il padre. Ma se alla fine di questa indagine avrà commesso molti errori e rischiato la vita, avrà anche dimostrato di avere del talento. Rispetto ad altri serial, questo regge bene anche il ritmo corto. E così Mankell riesce a dare una sistemata alla complessa biografia del commissario: casi di omicidio raccontano un Wallander inedito, che s'impadronisce del mestiere fino a diventare commissario del distretto di Ystad, facendo luce su alcuni aspetti della sua vita finora lasciati all'immaginazione del lettore. Tra l'altro le storie sono anche gradevoli, e permeate di quel “Block da 20 anni dopo” che fa anche il piacere di scorrere i suoi libri, oltre alla sensazione che è il filo di unione di tutto Mankell: l'inquietudine del presente.
Hanning Mankell “Assassino senza volto” Marsilio euro 8
Invece qui siamo alla prima storia di Kurt Wallander (finalmente in economica). In una Svezia di venti anni fa che sembra l'Italia di oggi. Sei mesi di vita nel commissariato di Ystad che passano in un baleno. Una giornata di gennaio, in un paese della Svezia, un contadino scopre che i suoi vicini, una coppia di vecchi contadini, sono stati assaliti e picchiati barbaramente. Incredulo di fronte a tanto sangue, avverte la polizia. Kurt Wallander accorre subito alla chiamata della centrale e quello che vede è peggio di quanto avesse immaginato. L'uomo è stato torturato e colpito fino alla morte, la donna è ancora viva e anche lei vittima di una violenza senza ragione. Prima di morire sussurra le sue ultime parole: "Straniero, straniero". Basta una fuga di notizie e i cittadini organizzano una caccia all'uomo. Wallander deve arginare la loro determinazione a farsi giustizia da soli. Lettura agile, con qualche spunto (il famoso giallo sociale alla svedese). Relax.
E sulla biografia di Mankell non ritorno.
Ed ora passiamo al grande russo, che (facendo pace con quelli che tratto male) mi è decisamente piaciuto.
Michail A. Bulgakov “Cuore di cane” BUR euro 5
Una delle tante “riprese”. Ed anche qui, senza delusioni. Certo l'autore non è proprio un pivello, ma avevo paura di una scrittura datata. Invece, scorre fresca per tutto l'apologo. Piena di verve, inventiva, citazioni (le cantate del dottore sull'aria dell'Aida sono da sballo), rimandi. Scritto negli anni Venti, la storia del cane Pallino, trasformato in uomo con un singolare esperimento scientifico da fabbricanti di mostri, assurdamente strappato al proprio mondo e costretto ad adattarsi a nuove, distorte e difficili condizioni di vita, è la personificazione del proletario vittorioso, ma ancora gravato dalle catene di una condizione subumana. E più universalmente, vittima completamente sradicata dalla storia, è l'emblema di un essere che non è più soggetto della propria esistenza. Da leggere, rileggere e meditare: guasti dell'estremismo e tronfietà del perbenismo. In tutto ciò, al meglio ne escono i cani.
E per finire parliamo invece di Michail Afanas'evič Bulgakov nato a Kiev il 15 maggio 1891 (un altro toro!). Era primogenito di un professore di storia e critica delle religioni occidentali, Afanasij Ivanovič Bulgakov. I figli di Afanasij, arruolati nell'esercito, si sarebbero poi stabiliti a Parigi. Michail Bulgakov fu arruolato come medico e fu inviato nel Caucaso, dove iniziò a fare il giornalista. Nonostante fosse relativamente benvoluto da Josif Stalin, a Bulgakov fu sempre impedito di uscire dall'Unione Sovietica o di andare a far visita all'estero ai suoi fratelli. Nel 1913 Bulgakov sposò Tat’jana Lappa. Nel 1916, si laureò in medicina, con menzione d'onore, presso l’Università San Volodimir di Kiev. Nel 1921, si trasferì con Tat’jana a Mosca. Tre anni dopo divorziò dalla prima moglie e sposò Ljubov' Belozerskaja. Nel 1932 Bulgakov si sposò la terza volta con Elena Šilovskaja. Nell'ultimo decennio della sua vita, Bulgakov continuò a lavorare all'opera Il maestro e Margherita, scrisse commedie, lavori di critica, storie ed eseguì alcune traduzioni e drammatizzazioni di romanzi. Tuttavia, la maggior parte delle sue opere rimase per molti decenni nel cassetto. Nel 1938 scrisse una lettera a Stalin chiedendo il permesso di fare un viaggio all'estero o altrimenti di ottenere qualsiasi lavoro in un teatro. Qualche tempo dopo ricevette una telefonata dal dittatore in persona che gli negava la possibilità di espatriare, ma gli prospettava un impiego al Teatro Accademico dell'Arte di Mosca, non però come drammaturgo. Bulgakov morì per una malattia congenita ai reni il 10 marzo 1940 e fu sepolto nel Cimitero Novodevichy di Mosca.
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