Una settimana di puro stacco, di
grande relax fisico e mentale. Dedicata ad Elizabeth George un’autrice che meriterebbe un bel posto tra le
letture da consigliare alla mia amica Marina quando si ha bisogno di leggere e
riflettere con il motore al minimo. Libri con qualche tinta di giallo (in ogni
caso l’eroe è un ispettore di Scotland Yard) ma molto di “atmosfera”, dove la
scrittrice americana riesce a restituirci sensazioni e momenti tra Londra e la
Bassa Inghilterra (non certo la Scozia, dove ci affidiamo a McCall Smith).
Tant’è che, oramai passa metà dell’anno in Inghilterra. Comunque, con questi ho
ricucito il filone “Lynley”, per cui i prossimi, se verranno, saranno coevi
all’uscita.
Elizabeth George “Dicembre è un mese crudele” TEA euro 9 (in realtà,
scontato 6,75 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 11/05/2012 – T: 13/05/2012]
[titolo: Missing Joseph; lingua: inglese; pagine: 593;
anno: 1993]
Nell’ansia (mania?) di
completezza ho finalmente trovato uno dei libri che avevo tralasciato della serie
gialla dedicata all’Ispettore Lynley. La nostra quasi coetanea californiana ha
dedicato 16 libri negli ultimi 25 anni alle storie dell’aristocratico
ispettore. E questo era il sesto della serie, quando ne pubblicava circa uno
all’anno. Poi ha un po’ diradato l’uscita, dedicandosi sempre più anche
all’atmosfera, al contorno, ed ai co-protagonisti. Con alti e bassi, direi.
Anche se per seguire ed approfondire il suo lavoro, ha lasciato l’insegnamento
e divide la sua vita tra la California e l’Inghilterra. Qui siamo in un libro
un po’ di passaggio. Dove c’è sì un giallo, ma c’è anche molto contorno. Lynley
è un Lord inglese, che, per scelta di vita, decide di dedicarsi alla vita
poliziesca, entrando in Scotland Yard. Dove, in qualche anno, mette in piedi
una sua squadra di lavoro, discretamente rodata. Ed imperniata sul suo numero
due, il sergente Barbara Heavers. Che ne è un po’ il contro-altare, in quanto
donna e popolare d’estrazione, con mamma alzheimerata. Poiché ci scordiamo (o
proviamo a farlo) di quanto avverrà nei libri seguenti, qui ci godiamo ancora
il corteggiamento che l’ispettore fa alla sua bella Lady Helen. Ed alle pene di
amore e difficoltà di procreazione che ha il suo fraterno amico, nonché
patologo, Simon St. James con la moglie Deborah (tra l’altro ex
dell’ispettore). Ed è proprio la difficoltà di portare a termine le gravidanze
che mette casualmente in contatto Deborah con il parroco anglicano Robin Sage.
Che improvvisamente ed inspiegabilmente muore avvelenato con la cicuta. È un
parroco della brughiera del Lancshire (e mi sa che ci si dovrà fare un giro
nell’inverno del nostro riposo). Ed è lì che i nostri convergono. Prima i St.
James in una vacanza per distendere le tensioni (ed alla fine della quale
decideranno di affrontare con calma e tempi lunghi i problemi di natalità).
Poi, scoperto il possibile crimine, anche l’ispettore in un momento di crisi
con la sua bella. Qui si innesta il secondo piano del romanzo. Quello imperniato
sulla comunità locale dominata dal signorotto locale Lord Thampton-Jones. Con
la misteriosa Juliet, erborista in fuga perenne con la figlia Maggie al
seguito. Tredicenne che vive i primi momenti amorosi, e li vive in ribellione
della madre, non avendo e non sapendo di chi sia figlia. Madre che cede alle
lusinghe del poliziotto locale, l’ambiguo Colin, cui da poco è morta di cancro
la ventisettenne moglie. E di cui è innamorata la stramba Polly, dal seno
prosperoso e casualmente (il cerchio pian piano si stringe) perpetua del
parroco Robin. Quello che morirà avvelenato dopo un piatto di verdura ad una
cena con Juliet. Con la quale era andato a parlare per affrontare i turbamenti
della giovane Maggie. È tutto un gioco poi di rimandi a figli, natalità, paternità
biologiche e di vita. Che il parroco un tempo era sposato, ma la moglie
scompare in mare traversando la Manica (fuga? Suicidio? Omicidio?) non
essendosi ripresa dalla morte del figlioletto di tre mesi (morte nel sonno?
Incuria per motivi oscuri?). La vicenda si ingarbuglia assai. Tutti hanno molte
ombre che saltano fuori pagina dopo pagina (ed altrimenti come facciamo ad
arrivare quasi a 600?). L’ispettore ha un suo ruolo catalizzante, riuscendo,
con tempo e fatica, a collegare i vari pezzetti della storia. Ed a risolvere il
mistero. Delle morti. Delle scomparse. Di tutti i filoni che si erano aperti
nel frattempo. Facendoci capire che la storia con Helen avrà un seguito. E
giustificando il titolo inglese del libro, incongruentemente riportato verso la
crudeltà del mese di Dicembre (che il parroco muore proprio pochi giorni prima
di Natale). Perché l’agnizione finale si ricollega alla scena iniziale,
collocato nella National Gallery dove si incontrano il parroco e Deborah davanti
al quadro di Leonardo. E dove il parroco nota che nella pittura della Vergine
con il Bambino, S. Anna e San Giovanni Battista, manca il padre, manca Giuseppe
(il titolo “Missing Joseph”). Comunque sia, una lettura gradevolmente
distensiva, nonostante questo neo editoriale. Continueremo a leggerne, via.
“Io credo che tutti noi scegliamo i (nostri) tormenti.” (68)
“C’era soltanto … l’attesa di quei pochi momenti di felicità effimera
che rendevano la vita degna di essere vissuta.” (112)
“La morte non è la liberazione per nessuno, salvo per chi muore.” (174)
“Non possiamo predire il futuro. Possiamo soltanto usare il presente e
sperare che ci guidi in quella direzione.” (249)
“Il passato non si cambia… lo si può soltanto perdonare. È il presente
che mi preoccupa.” (576)
Elizabeth George “Un pugno di cenere” TEA euro 9,80
[A: 15/04/2012 – I: 29/05/2012 – T: 10/06/2012]
[titolo: Playing for the
Ashes; lingua: inglese; pagine: 675; anno:
1995]
Un altro volumone della saga
dell’ispettore Lynley, che avevo lisciato anni fa quando era uscito, e che ho
recuperato sull’onda delle vendite scontate delle librerie (o delle riedizioni
economiche). Un libro che, per impostazioni e contenuti, è molto “inglese”, per
cui si può capirne lo scarso entusiasmo rispetto ad altri romanzi della serie.
Intanto l’argomento centrale, la morte del capitano in pectore della nazionale
inglese di … cricket. Gioco tipicamente da sudditi dell’impero, lontano progenitore
del baseball, ma con regole ed andamenti di gioco tanto peculiari che, fuori
dall’ombra della corona inglese, pochi ne sanno qualcosa. Infatti “Ashes” (ceneri)
è il titolo della più vecchia competizione di cricket tra Inghilterra ed
Australia, che si disputa dal 1882, ed è quasi alla 70^ edizione (in genere una
sfida in cricket dura due-tre mesi, tipo l’ultima che si è disputata dal 25
novembre 2010 al 7 gennaio 2011). Ma non è solo questo il motivo del titolo.
Quanto il fatto che Kenneth, il morto, muore bruciato. Ah, sottigliezza
dell’ironia. Fortunatamente, essendo la George americana, non ci si addentra,
se non marginalmente, nel mondo e nelle complicazioni del cricket. Ma si parte
da questo spunto per costruire tutto un mondo intorno, talmente brulicante di
personaggi e fatti che un po’ ci si perde. Non è un caso che anche la lettura
si sia protratta a lungo, anche se ha contribuito il modo “atipico” della scrittura
del libro, in cui una serie di capitoli sono visti e scritti in soggettiva da
uno dei protagonisti, Olivia. La storia che Lynley e l’ispettore Barbara si
avviano a dipanare è bella intorcinata. Uno dei pilastri della vicenda è la
famiglia Whitelaw, dove troviamo la madre, Margareth, insegnante, che ha un
debole (intellettuale) per un suo studente, Kenneth, appunto. E non si da pace
quando questi, a 16 anni, mette in cinta Jane, e decide di sposarla. E di farci
altri due figli. Da lì comincia una tattica pluriennale di Margareth per
cercare di allontanare i due. E ci riesce quando trova la leva dello sport. Per
cui, spinge e sponsorizza la carriera di cricket di Kenneth. E come detto, le
partite sono lunghe, i giocatori rimangono a lungo separati dalla famiglia.
Così Kenneth va a vivere da solo, separandosi di fatto dalla famiglia. E conoscendo
altre donne, tanto che dopo due anni di separazione chiede il divorzio perché
vuole sposare Gabriella, attuale moglie, in via di separazione, dello sponsor
del prossimo incontro per le “Ashes”. Programmi che vanno “in fumo” (ah ah),
con la morte del capitano nella villetta nel Kent di proprietà di Margareth.
Dove si era recato anche il suo sbandato figlio maggiore, Jimmy, che diventa il
principale sospettato dell’omicidio. Ma non è la sola vicenda para-edipica,
perché l’altro pilastro è Olivia, la figlia di Margareth, che (coeva di
Kenneth) si dà alla droga ed al sesso a pagamento, fuggendo di casa, e, una
volta scoperta, facendo morire di crepacuore il padre. Elemento che crea una
frattura insanabile con la madre. Lei si sbanda sempre più, sino a che non
viene raccolta dal buon samaritano Chris, che vive su un barcone, e che fa
parte dell’Animal Liberation Front (ALF – un’organizzazione clandestina che
assalta laboratori per liberare animali-cavie). Chris con pazienza e tenacia
“redime” la bella Olivia, pur non essendone innamorato. Fino a che, al momento
in cui li incontriamo, scopriamo che Olivia è affetta da SLA (Sclerosi Laterale
Amiotrofica) ed è quindi destinata a morire ben presto (ah che dolore
rinvangano queste parole). Per questo scrive le sue memorie. Per questo cerca
di riavvicinarsi alla madre, al fine di chiedere che, dopo la morte, venga
cremata e le sue ceneri (ancora!!) unite a quelle del padre. E questi sono solo
gli elementi portanti, che tanti altri ce ne sono al fuoco di Elizabeth George:
i cani di Chris, la relazione tra Ken e la moglie, i tre figli, l’ALF, lo SLA,
per non dimenticare che Lynley sta cercando di convincere Lady Helena che sono
fatti l’uno per l’altra e che si devono sposare. Alla fine c’è anche un
mini-dilemma morale per l’ispettore che, per incriminare chi ha fatto il
misfatto, deve decidere se utilizzare le prove in suo possesso, che
incriminerebbero altri per altri reati. Un guazzabuglio. Ma la nostra abile
scrittrice riesce alla fine a sveltire il tutto, e nelle ultime 100 pagine
rimette tutto a posto. Un a posto che condivido. Insomma, certamente un po’
lungo, e forse da giornate sotto l’ombrellone, ma tuttavia sempre e comunque gradevole
(più del terz’ultimo volume che mi storse, e che spero di recuperare nelle
prossime uscite). Un solo appunto al curatore inglese: forse si poteva
correggere l’indicazione che “La capannina” sia un ristorante di Firenze con la
corretta indicazione della sua ubicazione a Forte dei Marmi (certo sfortunato
il curatore di incappare in un conoscitore dei luoghi…).
“Aveva scoperto da tempo che la verità di rado era semplice come
appariva da una spiegazione verbale.” (186)
“Chiunque abbia bisogno di sessantatre pagine per far valere il suo
punto di vista non merita di essere ascoltato.” (604)
Elizabeth George “Agguato sull’isola” TEA euro 10
[A: 15/04/2012 – I: 17/06/2012 – T: 26/06/2012]
[titolo: A Place of Hiding; lingua: inglese; pagine: 634;
anno: 2003]
Niente di eccelso, ma dopo alcune
letture da cui mi aspettavo qualcosa (ho parlato a lungo di autori cui sono
generalmente affezionato, ma le cui prove non sempre mi soddisfano), torniamo a
visitare l’esimia giallista anglo-americana e la sua saga imperniata
sull’Ispettore Lynley. Una storia che mantiene quello che promette. È ben
costruita, ha un decente grado di suspense, ha sviluppi non sempre banali. Un
volumone per allietare le caldi notti romane. Sebbene questa sia un recupero
(lo avevo mancato all’uscita e poi non trovato per un po’), facciamo anche un
mini-riassunto dei capisaldi della serie. Il personaggio centrale è l’Ispettore
Thomas Lynley, di Scotland Yard, ma anche rampollo di un’aristocratica famiglia
della Cornovaglia (tanto che si può fregiare del titolo di Sir). Ha una sua
squadra per la sezione omicidi, il cui punto fermo è il sergente Barbara
Heavers, di estrazione popolare e con una mente attiva e reattiva. Sir Lynley,
dopo una breve e focosa storia con Deborah “Debs” Cotten, si innamora e sposa
Lady Helen. Mentre Deborah si innamora e sposa il miglior amico dell’ispettore,
Simon Allcourt St.James. Il giro di valzer degli amori avviene durante i tre
anni che Debs passa in America. Questa puntata della serie, in genere, viene
messa fuori ordine, che l’ispettore è solo marginalmente presente, essendo
invece incentrata su Simon e Debs. E sull’aiuto che a loro viene chiesto dai
fratelli River, China e Cherokee, accusati di uno strano omicidio avvenuto
nell’isola di Guernsey. Che, pur essendo inglese, ha un suo statuto di indipendenza.
I River avevano ospitato Debs in California, quindi niente di strano se, in
difficoltà, chiedono aiuto. Difficoltà create dalla scarsa adesione alla realtà
di Cherokee che, nel tentativo di guadagnare soldi senza fatica, accetta di
portare un plico dall’America all’isola di Guernsey. Plico innocuo che nasconde
un quadro fiammingo. Storia innocua che nasconde i risentimenti tra i fratelli
River, che China ha una storia con tale Matt, ex-amico di Cherokee, che confessa
alla sorella di averla “venduta” sedicenne per un a tavola di surf. E China per
13 anni continua a prendersi e lasciarsi con Matt, ignorando sia la storia sia
che nel frattempo Matt si è sposato con un'altra. I due nell’isola trovano una
situazione complicata, imperniata sulla figura di Guy Brouard, un tipo dedito
ad accumulare denaro e portarsi a letto (nonostante i 65 anni suonati)
qualsiasi donzella gli capiti a tiro. Ed inimicandosi la metà dell’isola:
l’amante ufficiale (di cui si è stufato), il padre della diciassettenne Cheryl
(che lo accusa implicitamente di averla plagiata), l’architetto Norrie (cui fa
credere di voler costruire un museo di guerra, per poi lasciarlo con un palmo
di naso), il solitario Frank Ouseley (il possessore dei cimeli dell’occupazione
nazista dell’isola ed anche lui interessato al Museo), la famiglia del giovane
Paul (anche lui affascinato dal canuto Don Giovanni), il figlio inetto di primo
letto Adrian (ossessionato da una madre talmente assillante che ucciderla
sarebbe una liberazione). Tutte persone che hanno più di una ragione nel
vederlo morto. E nel disputarsene l’eredità. Insomma un bel guazzabuglio di
storie e controstorie, dove ben si muove la nostra scrittrice. Aggiungendovi il
carico delle difficoltà del rapporto tra Debs e Simon, laddove soprattutto la
giovane vorrebbe far figli ed il nostro no. Sotto la benedizione da lontano
dell’ispettore, Simon si reca nell’isola e, seppur tra mille difficoltà ed
incomprensioni, riesce a trovare colpevole e motivazioni. Con un finale ben costruito
(anche se forse me lo aspettavo un po’).
“Credo di non averti mai ringraziato come si
deve. Ecco cosa succede quando un matrimonio è troppo felice: si finisce col
dare per scontata la persona amata.” (68)
“Sapeva meglio di molte altre che gli uomini anziani erano attratti da
donne giovani e belle.” (144)
“Lui appariva … sempre chiuso in se stesso, a pensare, considerare,
soppesare e osservare, mentre gli altri si limitavano semplicemente ad essere
quelli che erano.” (153)
“Una volta superati i biblici settanta, ci si ritrova sulla china
discendente che portava alla completa inettitudine.” (287)
“Comunque a volte le amicizie vanno così. Per un po’ le persone sono
molto unite, e poi non più. Le cose cambiano. E anche le esigenze. … Però mi
sei mancata.” (340)
“È terribile perdere qualcuno cui si vuole bene. Specialmente un
amico.” (523)
Elizabeth George “La donna che vestiva di rosso” TEA euro 9
[A: 01/11/2010 – I: 28/06/2012 – T: 30/06/2012]
[titolo: Careless in Red; lingua: inglese; pagine: 571;
anno: 2008]
Con questo, dopo aver colmato le
lacune del tempo e dei libri mancati, torniamo nel filone normale e sequenziale
delle avventure dell’Ispettore Lynley. Per chi avesse saltato qualche tappa, e
rifacendomi al memo del libro precedente, vi aggiorno sulla situazione: la
moglie di Thomas, Lady Helen, viene uccisa da un balordo e con lei muore anche
il bimbo che stava per nascere. In conseguenza, Sir Thomas cade in depressione
e si allontana da Scotland Yard. E lo ritroviamo in queste pagine. Prima ai
margini, che da due mesi cammina per la Cornovaglia cercando di lenire il
dolore. Ed inopinatamente si imbatte in un morto, prima pensando ad un
incidente (uno scalatore caduto durante un’arrampicata) poi si scopre essere un
omicidio (funi di sicurezza tagliate). La nostra brava scrittrice imbastisce al
solito un romanzo in cui si intrecciano storie su storie, anche se tutte
convergono lì nel paese di Pagell Cove, abbarbicato sulle scogliere inglesi,
patria di scalatori e di surfisti. Tra tutti i rivoli, di cui vi lascio la
scoperta alla lettura, due sono i più stimolanti. Quello imperniato sulla
famiglia Kerne, il cui rampollo risulta essere il morto. E quella sulla
misteriosa Deidre presso la cui casa si è sfracellato il giovane Kerne. Famiglia
strampalata, la Kerne, con grosse tensioni, che negli anni si sposta di paese
in paese, ed ora qui a Cove, cerca di aprire un’impresa turistica. Tensioni
dovute alla non curata ninfomania della signora Kerne, che ogni tanto entra in
calore ed indossa indumenti di colore rosso. Ed a quel punto non si salva
nessuno. Storie di difficili rapporti, che il signor Kerne la ama sempre,
comunque, ed aldilà della ragione. Ma certo non ne traggono affetto la figlia
Kerra, e soprattutto il figlio Santo, che prende molto dalla madre, essendo
anche belloccio. E fa strage di cuori e di sesso nel paese e dintorni. Tante
saranno le scoperte che si disveleranno lungo le quasi seicento pagine del
romanzo. Amori, tradimenti, storie vicine, ma anche lontane. Che la prima fuga
dei Kerne avviene dal paese natio, dove, dopo una lite, muore il giovane
Persons, e non si capisce se Kerne abbia avuto una parte in quella morte.
Questo il filone principale dove indaga la polizia locale, che, scoprendo
Lynley essere Ispettore, lo coinvolge obtorto collo nelle indagini. Ed allora,
come non far arrivare anche l’esimio sergente Barbara per dar man forte sia
all’ispettore (magari per convincerlo a tornare all’ovile poliziesco) sia alla
polizia locale che, oltre al responsabile delle indagine, consta solo di due
unità, ben dipinte come gli Stanlio ed Ollio della Cornovaglia. Ma seppur
nolente, Lynley è pian pianino coinvolto nel lato umano delle indagini. Anche
perché curioso e/o affascinato dalla misteriosa Deidre. Che dice una montagna
di bugie, su chi sia, su dove sia stata, sulle sue conoscenze verso la vittima.
Incuriosisce anche noi il lato umano della dottoressa, che lo è in quanto cura
gli animali allo zoo di Bristol. E che per questa sua vicinanza con gli animali
diventa vegetariana. Non solo, ma da bravo dottore è comunque empatica con chi
soffre. Per cui nasce un interessante gioco di fioretto con il super-sofferente
ispettore. E nasce anche un gioco di rimandi, che Thomas è sempre e comunque
Sir Thomas, e Deidre invece è irrinunciabilmente borghese. Diciamo, nella scala
delle caste inglesi, a metà strada tra Thomas e la super-proletaria Barbara. È
un romanzo comunque interessante, anche per le storie di contorno (e con il
pallino spesso presente nella scrittrice sulla donna come madre e sul rapporto
genitori-figli, biologici o meno). Ed è un bel riscatto dopo le involuzioni seguite
alla decisione di far morire lady Helen, che avevano portato ad un paio di
romanzi sottotono. Qui si ritorna al giallo di più ampio respiro. E non siamo
lontani dal pensare che il nostro bravo Thomas prima o poi… Insomma, grazie per
questi ultimi romanzi Elizabeth, che stavo entrando in una spirale di letture
minori che un po’ mi deprimono.
“Di fronte a una crisi le persone si dibattono alla cieca, in cerca di risposte,
di una soluzione. E la soluzione è sempre quella che vogliono loro, non
necessariamente quella che sarebbe la migliore per tutti.” (263)
“Dove esserci un albergo … [sulla scogliera] … dove potevano prendere
un vero Cornish Cream Tea, con tanto di scones, panna e marmellata di fragole.”
(562)
Aspettando prima o poi di
rimangiare qualche scones originale (magari ad Edimburgo), eccoci ad una nuova
settimana da affrontare. Salutando Cristina, con il suo compleanno e la
settimana alle Eolie (invidia!), aspettando altri compleanni e festività, preparandoci
a presentazioni e gare varie. Ma se tanti mesi sono passati, ne mancano sempre
meno. Chissà se quella luce in fondo è l’uscita o un treno. Buona settimana e
Un bacio
Giovanni
Nessun commento:
Posta un commento