Una domenica di grande relax, con
alcuni campioni eponimi di movie o serial fiction (palesi o latenti). C’è il
bello con un’ennesima prova già pronta per il cinema, c’è il primo episodio di
quello che diventerà un serial precursore di tanti “Boody of proof”, c’è il
tentativo (interessante anche se non completamente riuscito) di scrittura a
quattro mani anglo-svedese. L’unico un po’ fuori dal coro è il sino-americano
Qiu, che tuttavia ci regala qualche pennellata di vita interna cinese da non
disprezzare.
David Baldacci “Il candidato” Mondadori euro 9,50 (in realtà, scontato
8,08 euro)
[A: 28/04/2012 – I: 14/07/2012 – T: 15/07/2012]
[titolo: Split Second; lingua: inglese; pagine: 405;
anno: 2003]
Un nuovo capitolo della grande
saga americana di Baldacci, sempre pronto a scrivere di storie sul filo (quasi)
di possibili sceneggiature da film (e non è un caso che molti suoi romanzi lo
siano diventati). E sempre pronto a narrare storie sul filo del potere. Fin dal
primo best-seller (il romanzo sul potere di un Presidente Americano da cui il
bel film con Clint Eastwood e Gene Hackman) il suo orizzonte di plot, si
svolge, spesso e volentieri coinvolgendo poliziotti, servizi segreti, CIA, FBI.
Insomma tutti coloro che, istituzionalmente, sono coinvolti nel regolare ordinamento
delle attività quotidiane americane. Spesso il punto di vista è sulla parte del
potere. Ma non sempre. Tant’è che ultimamente ha messo in cantiere due “serie”
che hanno un atteggiamento parallelo anche se non coincidente. Ho già parlato
della serie del Camel Club, di cui si è letto 3 episodi. Una serie con al
centro la CIA, ma molto critica verso l’establishment e con una discreta dose
di ironia. Qui invece siamo alla prima puntata della serie che vede
protagonisti Sean King e Michelle Mick Maxwell. E sappiamo che è una serie
perché Baldacci ne ha scritto altri con loro due (così dicono i messaggi pubblicitari,
togliendoci un po’ del mistero su come andrà a finire questa di storia). I due
sono (o erano) entrambi agenti del Servizio Segreto, accumunati dallo stesso
destino: di scorta a candidati presidenziali li hanno “persi”. Ritter (protetto
da Sean) muore e otto anni dopo Bruno (protetto da Mick) viene rapito. Si
ingaggia così una lunga vicenda intrecciata per la ricerca del rapito, che ben
presto si intreccia con le vicende dell’omicidio precedente. Il tutto
complicato dalla presenza di Joan, ex-agente, collaboratrice-amante di Sean al
tempo di Ritter, che ora gestisce una sua agenzia privata (e cercare di sedurre
ancora il pacifico Sean). Nonché complicato dal fatto che Sean già da otto anni
e Mick ora vengono sospesi dal servizio, quindi non si hanno notizie
dall’interno delle ricerche. I morti continuano a fioccare sulla strada dei
nostri. E sempre più si sospetta (con ragione) che le due vicende abbiano più
punti in comune di quanto possa apparire a prima vista. Ben presto si chiarifica
il ruolo di Joan, positivamente. Ed i tre cominciano a macinare chilometri, sospetti
nonché tentativi di farli fuori. Si scava nel passato dell’assassino di Ritter,
e si scoprono da un lato connessioni che ci si aspettava, dall’altro possibili
coinvolgimenti inaspettati. La vicenda scorre gradevole, anche sul filo delle
(piccole) provocazioni sessuali, senza scadere nello scontato o nell’erotico di
serie B. Devo dire che, ad un certo punto, mi è venuta l’illuminazione (che i
nostri avranno molte pagine dopo). Un ragionamento logico e conseguente sulla
base degli indizi presentati. Poi, per spiegarlo e smantellarlo, Baldacci ci
mette pagine e pagine. Ma sarà la stanchezza, sarà il fresco della notte, non
sono riuscito a mollarlo prima della fine. E non prima di assistere al patto
tra Sean e Mick che preannuncia una salda collaborazione lavorativa (quanto
meno), se non qualcosa di più (ma non è detto). Ma questo
come detto ce lo aspettavamo. Resta la gradevole prova di una scrittura che è
già (quasi) una sceneggiatura, che lascia poco al caso, che mette dei piccoli
punti interrogativi qua e là, ma senza pungere troppo. Direi in chiusura un
gradevole scacciapensieri.
James Patterson & Liza Marklund “Cartoline di morte” TEA euro 8,90
(in realtà, scontato 7,57 euro)
[A: 02/10/2011 – I: 20/07/2012 – T: 20/07/2012]
[titolo: Postcard Killers; lingua: inglese; pagine: 290;
anno: 2010]
Uno strano ibrido che tuttavia ha
dato dei frutti quanto meno discreti. Da un lato il (per me) poco noto James
Patterson, che tuttavia mi si dice essere campione di long seller thriller
& noir, in particolare con la serie che vede protagonista Alex Cross. È il
primo libro di Patterson che ho in mano quindi non so dire se all’altezza o
meno dei precedenti. Sicuramente, immagino che il detective Kanon non solo
venga dalla penna di Patterson, ma abbia “affinità elettive” con Cross.
Dall’altro la nostra vecchia conoscenza svedese, Liza Marklund, di cui seguiamo
da anni e con diletto le avventure della giornalista-detective Annika Bergtson.
E non è un caso, credo, che questo giallo, nella parte che si svolge in
Scandinavia, abbia come punto centrale proprio una giornalista. Che pur non
emula della Bergtson, ne ricalca alcuni tratti tipici: giornalista non organica,
ma “prestata”, spirito libero con scarsa propensione al rispetto delle regole
pubbliche e private. Questi due poli della vicenda sono destinati ad
incontrarsi durante le indagini di quelli che vengono definiti “i killer delle
cartoline”. In giro per l’Europa, infatti, vengono commessi una serie di
crimini, in cui sono in modo efferato fatte fuori solitamente delle coppie. Con
un modus operandi anch’esso ripetitivo: abbordaggio da parte di una giovane
coppia, che sembra meglio conoscere il luogo, verso una coppia in vacanza.
Cena, qualche regalo costoso, qualche spinello. Poi un tentativo di festa a
base di champagne, che però viene drogato. Ed i due malcapitati sono fatti
fuori. Kanon capita, anzi più che capita, si precipita nella vicenda, in quanto
una delle prime coppie uccise comprende la diciannovenne figlia. Dessie,
invece, perché la cartolina che annuncia la morte imminente viene a lei recapitata.
E poiché Dessie non è tipi da tirarsi indietro, comincerà a seguire sempre più
da vicino il problema. Ed anche perché viene affascinata da questo strano e
dolente poliziotto americano, in giro per l’Europa in cerca di vendetta. I due,
Kanon e Dessie, servono anche a mostrare le differenze procedurali tra diritto
americano e diritto europeo. Dessie, unendo tutte le prove accumulate in 6 mesi
da Kanon, comincia a trovare barlumi di idee per collegamenti ed altro. In
questo aiutata dalla frequentazione di gallerie d’arte, che gallerista aveva
come marito, prima di lasciarlo per Gabriella, poliziotta che ritrova in questa
indagine. Poliziotta che Dessie aveva anch’essa lasciato in quanto appunto
insoddisfatta ed in cerca di sé. Collegando le varie polaroid inviate ai
giornali post-mortem, scopre una costante che si ripete notevolmente. Nonché,
in parallelo, scopre una costante nelle cartoline inviate. Inoltre sta
scrivendo un dottorato sulla psicologia dei ladri ripetitivi (i ladri di
appartamento, i ladri di macchine, e così via). Per cui capisce anche come
possono andare a finire i furti di oggetti che avvengono dopo i delitti. Unendo
tutti questi dettagli, Kanon riesce ad individuare Mac e Sophie, due americani
che sembrano gli unici possibili autori del delitto. Tuttavia… manca un movente
e mancano alcuni tasselli perché un serial killer o è sempre seriale o è
casuale, ed allora è altro. Per trovare i bandoli finali della matassa, Kanon
torna in America, e tramite le sue conoscenze in FBI, ricostruisce il
background dei due, che non sono amanti, ma fratelli gemelli. Ed intuisce il
motivo. Dessie, andando a fondo nei tasselli fuori quadro, arriva alla stessa
conclusione, solo che non riesce a fare il passo finale, se non al ritorno di
Kanon, con il quale nel frattempo finisce sotto le lenzuola per una memorabile
scena di sesso liberatorio. Tasselli a posto, manca solo di arrestare i due,
che dopo essere stati fermati, sono rilasciati da un procuratore inetto. Si
avvia così una scena finale, credo molto dal lato americano, con inseguimenti
ed altro e catarsi e spiegazioni. Che io invece non rivelo. Dico soltanto che
(soprattutto per le parti “svedesi”) il libro scorre che è un piacere. E
messomi lì, sorseggiando un caffè, fumando una sigaretta, e poi mettendomi a
letto, sono andato avanti leggendomelo tutto in una calda ma non torrida serata
di fine settimana estivo romano. Mi sembra un buon complimento, per un libro da
evasione pura.
Qiu Xialong “Visto per Shanghai” Marsilio euro 12 (in realtà, scontato
a 9 euro)
[A: 29/07/2011 – I: 08/08/2012 – T: 25/08/2012]
[titolo: A Loyal Character
Dancer; lingua: inglese; pagine: 359; anno:
2002]
Con questo libro finalmente
rimettiamo in ordine nella saga dell’Ispettore Capo Chen Cao della polizia di
Shangai. Per motivi di acquisti contorti e per la difficile programmazione
editoriale italiana (che pubblica libri stranieri così quando capita), i primi
tre libri scritti dall’esimio professore di letteratura cinese emigrato negli
States, li ho letti nel seguente ordine 3 – 1 – 2. Ora quindi mi sento in grado
di entrare un po’ più in dettaglio su alcuni temi, dopo però aver senza dubbio
affermato che questo secondo ha un discreto grado di lettura ed un discreto
livello di coinvolgimento intellettuale, per noi interessati alla risoluzione
dei problemi ed alla scoperta di luoghi e modi di vivere. Tra l’altro, usando
come uno dei personaggi principali, una donna – poliziotto americana che per
una serie di ragioni si trova ad agire in Cina insieme al nostro ispettore,
l’autore si consente qualche elemento di descrizione turistica non
folcloristica della vita cinese nel mondo del dopo Deng Xiaoping. Allora,
facendo un passo indietro, narriamo che il coetaneo Qiu, vinta una borsa di studio
per St. Louis in quanto poeta ed esperto di T. S. Eliot, decide di restare in
America, a valle delle proteste di piazza Tienanmen del 1989. Una dozzina di
anni fa decide di dedicarsi alla scrittura, inventandosi uno strano personaggio
di poliziotto – poeta, guarda caso esperto di Eliot, e di utilizzarlo per fare
una descrizione dell’evoluzione del mondo cinese, con accenti critici, ma
all’interno di un fondamentale amore, verso la società cinese e la sua
evoluzione “capitalistica”. Quindi seguiamo Chen nel suo coinvolgimento in casi
sempre ben collegati alla politica, e, soprattutto in questi primi tre libri,
con alcune descrizioni (dal di dentro) dei periodi della Rivoluzione Culturale e
del “Grande Balzo in Avanti” del popolo cinese. Ma Chen, come l’autore, è anche
poeta. E quindi, abbiamo anche spesso (forse troppo) citazioni poetiche di
varia estrazione cinese. Non so se e come siano state riprodotte in italiano,
anche se Qiu scrive in inglese, e cita i suoi poeti cinesi nella traduzione che
dal cinese all’inglese fa lui stesso. C’è sempre tanta confusione nei passaggi
di lingua, tant’è che (per me ed in italiano) questi quasi – haiku mi lasciano
decisamente freddino. Anzi, aprendo una piccola parentesi sulle traduzioni, mi
domando perché il titolo originale (“Danzatrice della lealtà”) che aveva un
senso collegato al personaggio principale della vicenda, sia tradotto con un
inopinato “Visto per Shangai”, dove i cinesi non hanno bisogno di visti per andare
a Shangai, la bella americana il visto ce l’ha, e tutta la vicenda ruota
(almeno idealmente) su problemi di immigrazione clandestina verso gli USA, e
quindi, se di visti si tratta, sono per uscire dalla Cina e non per entrarci.
Qui (anagramma dell’autore) entriamo nel vivo. C’è modo di dare un colpo
mortale ad una delle organizzazioni che gestiscono il traffico di cinesi verso
l’estero, ma per farlo bisogna trovare una donna cinese indicata come perno
della vicenda. Quella, per intenderci, che, durante la Rivoluzione Culturale,
faceva appunto la “Danza della lealtà” per il Comandante Mao. E che ora è
sparita. Chen e la bella ispettrice Rohn, espressamente venuta da St. Louis (ancora
para – auto – biografie) cominciano ad indagare, scontrandosi con diversi
livelli di complicazione. La mafia cinese (le famose Triadi) che cerca di
impedire alla sparita Wen di recarsi negli USA. Il potere politico cinese,
combattuto tra collaborazione e reticenze. La polizia corrotta, che mette in
pericolo la vita dei due. Nonché le motivazioni stesse sia della fuga che della
necessità che Wen sia portata in America. In questa parte si dispiegano i
momenti migliori di Qiu: la descrizione di Shangai, delle campagne, i paragoni
tra la vita cittadina e quella rurale, l’arroganza dei nuovi ricchi. Ma anche
il modo di mangiare, la percezione dell'occhio americano sulla vita quotidiana.
Tutto, purtroppo, riempito dai quei passaggi “poetici” che non riescono a
coinvolgermi. Ed anche da alcuni passaggi troppo lievi su una possibile storia
fra i due ispettori. Il nostro Chen, comunque, sorprenderà tutti arrivando ad
una conclusione in qualche modo inaspettata ma funzionale. Alla fine, rimangono
alcune interessanti descrizioni, ed un libro complessivamente di buona lettura.
Sono curioso di vedere i prossimi passi che (sebbene già presenti nella mia
libreria) ancora non vedono luci di lettura.
“Con la tua gonna verde sempre nella mia mente, in ogni dove, / in ogni
dove io cammino sull’erba sempre con leggerezza.” (da un poeta cinese del X
secolo) (13)
Kathy Reichs “Corpi freddi” BUR euro 9,90 (in realtà, scontato 8,41
euro)
[A: 02/10/2011 – I:
10/10/2012 – T: 16/10/2012]
[tit. or.: Déjà Dead; ling. or.: inglese; pagine: 466; anno 1997]
Eccoci ad affrontare un’altra
scrittura seriale che avevo lasciato svariati anni fa, e che ora riprendo
avendo, lo scorso anno, trovato in giro il primo libro di Kathy Reichs. La
Reichs è antropologo forense in North Carolina ed in Canada, e decide, una
quindicina di anni fa, di scrivere qualcosa di attinente. Costruisce così il
personaggio di Temperance Brennan detta Tempe, specializzata nell’analisi delle
ossa dei cadaveri. Non è un medico legale a tutto tondo, come la nostra ben
nota Kay Scarpetta. È un’antropologa, che fa ricerca tra Stati Uniti e Canada,
ed è prestata all’attività forense come super esperta del trattamento delle
ossa. Tralascio i libri posteriori che lessi, per ripartire un po’ dalla base.
Qui, all’inizio della saga, la troviamo a Montréal, alle prese con resti umani
e scheletri da ricostruire. Veniamo a poco a poco a sapere che si è separata
dal marito Pete (ma non sappiamo perché), che ha una figlia Katy che si sta laureando
a Charlotte. E la troviamo subito immersa nel mondo maschile di poliziotti ed
affini, dove il suo ruolo di donna è ben messo in luce (e spesso emarginato).
Quanta difficoltà a far emergere le proprie convinzioni in un ambiente ostile.
Ma Tempe è, in fondo, molto dura perché la sua materia la conosce. E ne fa la
base di ragionamenti sensati. Ragionamenti che cominciano dal ritrovamento di
alcuni cadaveri femminili, risalenti da mesi ad anni prima. Cadaveri sfigurati,
smembrati, martoriati ed anche con punte di perversioni sessuali, che
all’inizio non escono fuori. Cadaveri ignoti. Tempe si mette con certosina
pazienza alla ricerca di indizi. Sfoggiando, ma l’autrice anche sa il fatto suo
che parla di materie che conosce, una capacità di analisi sulle ossa di rara
efficacia. Utilizzando tecniche di avanguardia (anche se il libro è di 15 anni
fa, e noi ormai, alcune di queste tecniche, dopo i vari “Cold Case” o “CSI”, ne
abbiamo imparato) intanto risale all’età delle vittime. Poi alle epoche di scomparsa.
È l’unica a vedere possibili nessi che possono portare ad un assassino seriale
che si accanisce sulle vittime. La parte più cruda, ma anche più interessante
per i metodi di indagine, si rivela quando analizza l’impatto di una sega da
macellaio sulle ossa delle vittime, riuscendo a dimostrare che su diversi corpi
è stata usata la stessa sega. Su questo scenario, già di per sé inquietante, si
innesta la vicenda della sua amica Gabby, una ricercatrice sul campo, che vuole
scrivere un libro sulla prostituzione canadese. Le due vicende, con epicentro
Tempe, ad un certo punto si intrecciano e si incartano tra loro, facendo salire
enormemente la tensione. I poliziotti, con a capo due opposti come Ryan che
crede in Tempe e Claudel che la osteggia, brancolano nel buio. Le morti aumentano.
Ma il killer fa un piccolo passo falso (usa la carta di credito di una
vittima). Da lì partono indagini, prime scoperte, prove di DNA. Viene anche
trovata, in un lurido locale forse base del cattivone, una foto di Tempe. Con
una volata finale, questa sì piena di suspense (che altrove si era un po’
annacquata), contro tutti i pareri ed usando i suoi ragionamenti, la nostra
antropologa sventa il tentativo di colpevolizzare un innocente (colpevole solo
di sevizie su piccoli roditori), e trova il bandolo della matassa. Pagherà un
prezzo alto per tutto ciò (e non vi dico quale), ma ne uscirà con la soluzione
in pugno. E si conquisterà un suo spazio (questo lo sappiamo perché ho letto
qualche altro romanzo in precedenza). Interessante l’ambientazione canadese,
soprattutto nel rapporto bilingue anglo-francese. Interessanti i pezzi di
antropologia. Un po’ annacquato il resto. Ci si aspetta un avvio più fulminante
per un’eroina che continua ad essere presente in libreria. Invece,
probabilmente, non è una scattista ma una fondista. Probabilmente acquisendo,
nel corso del tempo, anche una maggior scioltezza nello scrivere (e non è un
caso che poi ne venga tratta anche una serie televisiva dal fantasioso titolo
di “Bones”, cioè “Ossa”). Inizio in sordina, ma, come detto, qualche freccetta
ce l’ha. Vedremo.
Visto
che domenica scorsa si parla di film, rimaniamo in tema, consigliando il
bellissimo e toccante film “Amour”, con due straordinari interpreti come Jean -
Louis Trintignant ed Emanuelle Riva (film su cui torneremo in occasione di
altre trame). Non ci resta che fare un pensiero ai primi onomastici di questo
mese appena trascorsi, in attesa di altre feste (e Natale che già sta dietro l’angolo).
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