domenica 4 novembre 2012

Gradevoli evasioni - 04 novembre 2012


Una domenica di grande relax, con alcuni campioni eponimi di movie o serial fiction (palesi o latenti). C’è il bello con un’ennesima prova già pronta per il cinema, c’è il primo episodio di quello che diventerà un serial precursore di tanti “Boody of proof”, c’è il tentativo (interessante anche se non completamente riuscito) di scrittura a quattro mani anglo-svedese. L’unico un po’ fuori dal coro è il sino-americano Qiu, che tuttavia ci regala qualche pennellata di vita interna cinese da non disprezzare.
David Baldacci “Il candidato” Mondadori euro 9,50 (in realtà, scontato 8,08 euro)
[A: 28/04/2012 – I: 14/07/2012 – T: 15/07/2012]
[titolo: Split Second; lingua: inglese; pagine: 405; anno: 2003]
Un nuovo capitolo della grande saga americana di Baldacci, sempre pronto a scrivere di storie sul filo (quasi) di possibili sceneggiature da film (e non è un caso che molti suoi romanzi lo siano diventati). E sempre pronto a narrare storie sul filo del potere. Fin dal primo best-seller (il romanzo sul potere di un Presidente Americano da cui il bel film con Clint Eastwood e Gene Hackman) il suo orizzonte di plot, si svolge, spesso e volentieri coinvolgendo poliziotti, servizi segreti, CIA, FBI. Insomma tutti coloro che, istituzionalmente, sono coinvolti nel regolare ordinamento delle attività quotidiane americane. Spesso il punto di vista è sulla parte del potere. Ma non sempre. Tant’è che ultimamente ha messo in cantiere due “serie” che hanno un atteggiamento parallelo anche se non coincidente. Ho già parlato della serie del Camel Club, di cui si è letto 3 episodi. Una serie con al centro la CIA, ma molto critica verso l’establishment e con una discreta dose di ironia. Qui invece siamo alla prima puntata della serie che vede protagonisti Sean King e Michelle Mick Maxwell. E sappiamo che è una serie perché Baldacci ne ha scritto altri con loro due (così dicono i messaggi pubblicitari, togliendoci un po’ del mistero su come andrà a finire questa di storia). I due sono (o erano) entrambi agenti del Servizio Segreto, accumunati dallo stesso destino: di scorta a candidati presidenziali li hanno “persi”. Ritter (protetto da Sean) muore e otto anni dopo Bruno (protetto da Mick) viene rapito. Si ingaggia così una lunga vicenda intrecciata per la ricerca del rapito, che ben presto si intreccia con le vicende dell’omicidio precedente. Il tutto complicato dalla presenza di Joan, ex-agente, collaboratrice-amante di Sean al tempo di Ritter, che ora gestisce una sua agenzia privata (e cercare di sedurre ancora il pacifico Sean). Nonché complicato dal fatto che Sean già da otto anni e Mick ora vengono sospesi dal servizio, quindi non si hanno notizie dall’interno delle ricerche. I morti continuano a fioccare sulla strada dei nostri. E sempre più si sospetta (con ragione) che le due vicende abbiano più punti in comune di quanto possa apparire a prima vista. Ben presto si chiarifica il ruolo di Joan, positivamente. Ed i tre cominciano a macinare chilometri, sospetti nonché tentativi di farli fuori. Si scava nel passato dell’assassino di Ritter, e si scoprono da un lato connessioni che ci si aspettava, dall’altro possibili coinvolgimenti inaspettati. La vicenda scorre gradevole, anche sul filo delle (piccole) provocazioni sessuali, senza scadere nello scontato o nell’erotico di serie B. Devo dire che, ad un certo punto, mi è venuta l’illuminazione (che i nostri avranno molte pagine dopo). Un ragionamento logico e conseguente sulla base degli indizi presentati. Poi, per spiegarlo e smantellarlo, Baldacci ci mette pagine e pagine. Ma sarà la stanchezza, sarà il fresco della notte, non sono riuscito a mollarlo prima della fine. E non prima di assistere al patto tra Sean e Mick che preannuncia una salda collaborazione lavorativa (quanto meno), se non qualcosa di più (ma non è detto). Ma questo come detto ce lo aspettavamo. Resta la gradevole prova di una scrittura che è già (quasi) una sceneggiatura, che lascia poco al caso, che mette dei piccoli punti interrogativi qua e là, ma senza pungere troppo. Direi in chiusura un gradevole scacciapensieri.
James Patterson & Liza Marklund “Cartoline di morte” TEA euro 8,90 (in realtà, scontato 7,57 euro)
[A: 02/10/2011 – I: 20/07/2012 – T: 20/07/2012]
[titolo: Postcard Killers; lingua: inglese; pagine: 290; anno: 2010]
Uno strano ibrido che tuttavia ha dato dei frutti quanto meno discreti. Da un lato il (per me) poco noto James Patterson, che tuttavia mi si dice essere campione di long seller thriller & noir, in particolare con la serie che vede protagonista Alex Cross. È il primo libro di Patterson che ho in mano quindi non so dire se all’altezza o meno dei precedenti. Sicuramente, immagino che il detective Kanon non solo venga dalla penna di Patterson, ma abbia “affinità elettive” con Cross. Dall’altro la nostra vecchia conoscenza svedese, Liza Marklund, di cui seguiamo da anni e con diletto le avventure della giornalista-detective Annika Bergtson. E non è un caso, credo, che questo giallo, nella parte che si svolge in Scandinavia, abbia come punto centrale proprio una giornalista. Che pur non emula della Bergtson, ne ricalca alcuni tratti tipici: giornalista non organica, ma “prestata”, spirito libero con scarsa propensione al rispetto delle regole pubbliche e private. Questi due poli della vicenda sono destinati ad incontrarsi durante le indagini di quelli che vengono definiti “i killer delle cartoline”. In giro per l’Europa, infatti, vengono commessi una serie di crimini, in cui sono in modo efferato fatte fuori solitamente delle coppie. Con un modus operandi anch’esso ripetitivo: abbordaggio da parte di una giovane coppia, che sembra meglio conoscere il luogo, verso una coppia in vacanza. Cena, qualche regalo costoso, qualche spinello. Poi un tentativo di festa a base di champagne, che però viene drogato. Ed i due malcapitati sono fatti fuori. Kanon capita, anzi più che capita, si precipita nella vicenda, in quanto una delle prime coppie uccise comprende la diciannovenne figlia. Dessie, invece, perché la cartolina che annuncia la morte imminente viene a lei recapitata. E poiché Dessie non è tipi da tirarsi indietro, comincerà a seguire sempre più da vicino il problema. Ed anche perché viene affascinata da questo strano e dolente poliziotto americano, in giro per l’Europa in cerca di vendetta. I due, Kanon e Dessie, servono anche a mostrare le differenze procedurali tra diritto americano e diritto europeo. Dessie, unendo tutte le prove accumulate in 6 mesi da Kanon, comincia a trovare barlumi di idee per collegamenti ed altro. In questo aiutata dalla frequentazione di gallerie d’arte, che gallerista aveva come marito, prima di lasciarlo per Gabriella, poliziotta che ritrova in questa indagine. Poliziotta che Dessie aveva anch’essa lasciato in quanto appunto insoddisfatta ed in cerca di sé. Collegando le varie polaroid inviate ai giornali post-mortem, scopre una costante che si ripete notevolmente. Nonché, in parallelo, scopre una costante nelle cartoline inviate. Inoltre sta scrivendo un dottorato sulla psicologia dei ladri ripetitivi (i ladri di appartamento, i ladri di macchine, e così via). Per cui capisce anche come possono andare a finire i furti di oggetti che avvengono dopo i delitti. Unendo tutti questi dettagli, Kanon riesce ad individuare Mac e Sophie, due americani che sembrano gli unici possibili autori del delitto. Tuttavia… manca un movente e mancano alcuni tasselli perché un serial killer o è sempre seriale o è casuale, ed allora è altro. Per trovare i bandoli finali della matassa, Kanon torna in America, e tramite le sue conoscenze in FBI, ricostruisce il background dei due, che non sono amanti, ma fratelli gemelli. Ed intuisce il motivo. Dessie, andando a fondo nei tasselli fuori quadro, arriva alla stessa conclusione, solo che non riesce a fare il passo finale, se non al ritorno di Kanon, con il quale nel frattempo finisce sotto le lenzuola per una memorabile scena di sesso liberatorio. Tasselli a posto, manca solo di arrestare i due, che dopo essere stati fermati, sono rilasciati da un procuratore inetto. Si avvia così una scena finale, credo molto dal lato americano, con inseguimenti ed altro e catarsi e spiegazioni. Che io invece non rivelo. Dico soltanto che (soprattutto per le parti “svedesi”) il libro scorre che è un piacere. E messomi lì, sorseggiando un caffè, fumando una sigaretta, e poi mettendomi a letto, sono andato avanti leggendomelo tutto in una calda ma non torrida serata di fine settimana estivo romano. Mi sembra un buon complimento, per un libro da evasione pura.
Qiu Xialong “Visto per Shanghai” Marsilio euro 12 (in realtà, scontato a 9 euro)
[A: 29/07/2011 – I: 08/08/2012 – T: 25/08/2012]
[titolo: A Loyal Character Dancer; lingua: inglese; pagine: 359; anno: 2002]
Con questo libro finalmente rimettiamo in ordine nella saga dell’Ispettore Capo Chen Cao della polizia di Shangai. Per motivi di acquisti contorti e per la difficile programmazione editoriale italiana (che pubblica libri stranieri così quando capita), i primi tre libri scritti dall’esimio professore di letteratura cinese emigrato negli States, li ho letti nel seguente ordine 3 – 1 – 2. Ora quindi mi sento in grado di entrare un po’ più in dettaglio su alcuni temi, dopo però aver senza dubbio affermato che questo secondo ha un discreto grado di lettura ed un discreto livello di coinvolgimento intellettuale, per noi interessati alla risoluzione dei problemi ed alla scoperta di luoghi e modi di vivere. Tra l’altro, usando come uno dei personaggi principali, una donna – poliziotto americana che per una serie di ragioni si trova ad agire in Cina insieme al nostro ispettore, l’autore si consente qualche elemento di descrizione turistica non folcloristica della vita cinese nel mondo del dopo Deng Xiaoping. Allora, facendo un passo indietro, narriamo che il coetaneo Qiu, vinta una borsa di studio per St. Louis in quanto poeta ed esperto di T. S. Eliot, decide di restare in America, a valle delle proteste di piazza Tienanmen del 1989. Una dozzina di anni fa decide di dedicarsi alla scrittura, inventandosi uno strano personaggio di poliziotto – poeta, guarda caso esperto di Eliot, e di utilizzarlo per fare una descrizione dell’evoluzione del mondo cinese, con accenti critici, ma all’interno di un fondamentale amore, verso la società cinese e la sua evoluzione “capitalistica”. Quindi seguiamo Chen nel suo coinvolgimento in casi sempre ben collegati alla politica, e, soprattutto in questi primi tre libri, con alcune descrizioni (dal di dentro) dei periodi della Rivoluzione Culturale e del “Grande Balzo in Avanti” del popolo cinese. Ma Chen, come l’autore, è anche poeta. E quindi, abbiamo anche spesso (forse troppo) citazioni poetiche di varia estrazione cinese. Non so se e come siano state riprodotte in italiano, anche se Qiu scrive in inglese, e cita i suoi poeti cinesi nella traduzione che dal cinese all’inglese fa lui stesso. C’è sempre tanta confusione nei passaggi di lingua, tant’è che (per me ed in italiano) questi quasi – haiku mi lasciano decisamente freddino. Anzi, aprendo una piccola parentesi sulle traduzioni, mi domando perché il titolo originale (“Danzatrice della lealtà”) che aveva un senso collegato al personaggio principale della vicenda, sia tradotto con un inopinato “Visto per Shangai”, dove i cinesi non hanno bisogno di visti per andare a Shangai, la bella americana il visto ce l’ha, e tutta la vicenda ruota (almeno idealmente) su problemi di immigrazione clandestina verso gli USA, e quindi, se di visti si tratta, sono per uscire dalla Cina e non per entrarci. Qui (anagramma dell’autore) entriamo nel vivo. C’è modo di dare un colpo mortale ad una delle organizzazioni che gestiscono il traffico di cinesi verso l’estero, ma per farlo bisogna trovare una donna cinese indicata come perno della vicenda. Quella, per intenderci, che, durante la Rivoluzione Culturale, faceva appunto la “Danza della lealtà” per il Comandante Mao. E che ora è sparita. Chen e la bella ispettrice Rohn, espressamente venuta da St. Louis (ancora para – auto – biografie) cominciano ad indagare, scontrandosi con diversi livelli di complicazione. La mafia cinese (le famose Triadi) che cerca di impedire alla sparita Wen di recarsi negli USA. Il potere politico cinese, combattuto tra collaborazione e reticenze. La polizia corrotta, che mette in pericolo la vita dei due. Nonché le motivazioni stesse sia della fuga che della necessità che Wen sia portata in America. In questa parte si dispiegano i momenti migliori di Qiu: la descrizione di Shangai, delle campagne, i paragoni tra la vita cittadina e quella rurale, l’arroganza dei nuovi ricchi. Ma anche il modo di mangiare, la percezione dell'occhio americano sulla vita quotidiana. Tutto, purtroppo, riempito dai quei passaggi “poetici” che non riescono a coinvolgermi. Ed anche da alcuni passaggi troppo lievi su una possibile storia fra i due ispettori. Il nostro Chen, comunque, sorprenderà tutti arrivando ad una conclusione in qualche modo inaspettata ma funzionale. Alla fine, rimangono alcune interessanti descrizioni, ed un libro complessivamente di buona lettura. Sono curioso di vedere i prossimi passi che (sebbene già presenti nella mia libreria) ancora non vedono luci di lettura.
“Con la tua gonna verde sempre nella mia mente, in ogni dove, / in ogni dove io cammino sull’erba sempre con leggerezza.” (da un poeta cinese del X secolo) (13)
Kathy Reichs “Corpi freddi” BUR euro 9,90 (in realtà, scontato 8,41 euro)
[A: 02/10/2011 – I: 10/10/2012 – T: 16/10/2012]
[tit. or.: Déjà Dead; ling. or.: inglese; pagine: 466; anno 1997]
Eccoci ad affrontare un’altra scrittura seriale che avevo lasciato svariati anni fa, e che ora riprendo avendo, lo scorso anno, trovato in giro il primo libro di Kathy Reichs. La Reichs è antropologo forense in North Carolina ed in Canada, e decide, una quindicina di anni fa, di scrivere qualcosa di attinente. Costruisce così il personaggio di Temperance Brennan detta Tempe, specializzata nell’analisi delle ossa dei cadaveri. Non è un medico legale a tutto tondo, come la nostra ben nota Kay Scarpetta. È un’antropologa, che fa ricerca tra Stati Uniti e Canada, ed è prestata all’attività forense come super esperta del trattamento delle ossa. Tralascio i libri posteriori che lessi, per ripartire un po’ dalla base. Qui, all’inizio della saga, la troviamo a Montréal, alle prese con resti umani e scheletri da ricostruire. Veniamo a poco a poco a sapere che si è separata dal marito Pete (ma non sappiamo perché), che ha una figlia Katy che si sta laureando a Charlotte. E la troviamo subito immersa nel mondo maschile di poliziotti ed affini, dove il suo ruolo di donna è ben messo in luce (e spesso emarginato). Quanta difficoltà a far emergere le proprie convinzioni in un ambiente ostile. Ma Tempe è, in fondo, molto dura perché la sua materia la conosce. E ne fa la base di ragionamenti sensati. Ragionamenti che cominciano dal ritrovamento di alcuni cadaveri femminili, risalenti da mesi ad anni prima. Cadaveri sfigurati, smembrati, martoriati ed anche con punte di perversioni sessuali, che all’inizio non escono fuori. Cadaveri ignoti. Tempe si mette con certosina pazienza alla ricerca di indizi. Sfoggiando, ma l’autrice anche sa il fatto suo che parla di materie che conosce, una capacità di analisi sulle ossa di rara efficacia. Utilizzando tecniche di avanguardia (anche se il libro è di 15 anni fa, e noi ormai, alcune di queste tecniche, dopo i vari “Cold Case” o “CSI”, ne abbiamo imparato) intanto risale all’età delle vittime. Poi alle epoche di scomparsa. È l’unica a vedere possibili nessi che possono portare ad un assassino seriale che si accanisce sulle vittime. La parte più cruda, ma anche più interessante per i metodi di indagine, si rivela quando analizza l’impatto di una sega da macellaio sulle ossa delle vittime, riuscendo a dimostrare che su diversi corpi è stata usata la stessa sega. Su questo scenario, già di per sé inquietante, si innesta la vicenda della sua amica Gabby, una ricercatrice sul campo, che vuole scrivere un libro sulla prostituzione canadese. Le due vicende, con epicentro Tempe, ad un certo punto si intrecciano e si incartano tra loro, facendo salire enormemente la tensione. I poliziotti, con a capo due opposti come Ryan che crede in Tempe e Claudel che la osteggia, brancolano nel buio. Le morti aumentano. Ma il killer fa un piccolo passo falso (usa la carta di credito di una vittima). Da lì partono indagini, prime scoperte, prove di DNA. Viene anche trovata, in un lurido locale forse base del cattivone, una foto di Tempe. Con una volata finale, questa sì piena di suspense (che altrove si era un po’ annacquata), contro tutti i pareri ed usando i suoi ragionamenti, la nostra antropologa sventa il tentativo di colpevolizzare un innocente (colpevole solo di sevizie su piccoli roditori), e trova il bandolo della matassa. Pagherà un prezzo alto per tutto ciò (e non vi dico quale), ma ne uscirà con la soluzione in pugno. E si conquisterà un suo spazio (questo lo sappiamo perché ho letto qualche altro romanzo in precedenza). Interessante l’ambientazione canadese, soprattutto nel rapporto bilingue anglo-francese. Interessanti i pezzi di antropologia. Un po’ annacquato il resto. Ci si aspetta un avvio più fulminante per un’eroina che continua ad essere presente in libreria. Invece, probabilmente, non è una scattista ma una fondista. Probabilmente acquisendo, nel corso del tempo, anche una maggior scioltezza nello scrivere (e non è un caso che poi ne venga tratta anche una serie televisiva dal fantasioso titolo di “Bones”, cioè “Ossa”). Inizio in sordina, ma, come detto, qualche freccetta ce l’ha. Vedremo.
Visto che domenica scorsa si parla di film, rimaniamo in tema, consigliando il bellissimo e toccante film “Amour”, con due straordinari interpreti come Jean - Louis Trintignant ed Emanuelle Riva (film su cui torneremo in occasione di altre trame). Non ci resta che fare un pensiero ai primi onomastici di questo mese appena trascorsi, in attesa di altre feste (e Natale che già sta dietro l’angolo).

Nessun commento:

Posta un commento