domenica 25 novembre 2012

De Flavis Italico - 25 novembre 2012


Citazione latina che ci rimanda al buon Giulio Cesare (ed io so perché) ed alle guerre, e questo ve lo dico anche: una guerra contro l’insostenibile curatore di una collana un tempo gloriosa, ed ora destinata ad una lenta agonia. Costanzo è riuscito anche qui a stendere la sua ala mortifera, riuscendo a pubblicare il peggio del giallo italiano. Fortunatamente escono ancora i romanzi di Annamaria Fassio che tengono a galla la collana, che se dovessimo basarci sugli altri due illeggibili italiani sarebbe da chiudere al più presto. Ricordo anche che (su aNobii) metto i gradimenti dei libri letti. E che ci sono 20 punti ogni settimana di trame. Beh, questa settimana si giunge a stento ad 8!
Annamaria Fassio “Di rabbia e morte” Mondadori euro 4,90
[A: 29/08/2011 – I: 16/07/2012 – T: 18/07/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 197; anno: 2011]
Annamaria Fassio si avvia a diventare un punto di riferimento nel panorama del giallo italiano. Ne scrive con una buona cadenza, la scrittura stessa è almeno gradevole, pur con dei distinguo che vedremo dopo. Quasi non mi dispiacerebbe che potesse prendere il posto lasciato vacante dalla scomparsa di Laura Grimaldi. E poi, sponsorizzata da Mondadori, ha un suo pubblico direi affezionato. Ha degli alti e bassi, come mi sembra ormai di ripetere da trame e trame per diversi autori. Certo, la punta da fossa delle Marianne toccata con l’infelice giallo ambientato a Shangai, è ormai lasciata dietro l’angolo. Anche perché, con questo Giallo dell’agosto scorso torniamo ad avere in prima linea la coppia del commissario Maffina e dell’ispettrice Franzoni. Quello che meno mi è piaciuto è l’indulgere, come ormai la gran parte dei giallisti fanno, nell’introduzione dell’elemento slavo. Certo che dalla diaspora dell’ex-Jugoslavia, alle sanguinose (e degne di ben altri scritti) guerre che si sono combattute nell’ultimo decennio del secolo scorso, slavi (ed in particolare serbi e croati, ma non solo) hanno preso un ruolo centrale negli scritti di nera (ed anche nelle cronache quotidiane). Cominciò, paladino insospettato, Heinichen con alcuni romanzi in cui il commissario Laurenti combatteva appunto la mafia slava. Poi valanghe, e non solo sul suolo italico. Che tutti quanti, ormai, qualche cattivo che viene da lì lo trovano. Qui, Annamaria Fassio si spinge un po’ dopo, e si passa dai serbo-croati ai kosovari ed alla sanguinosa guerra eccidio massacro colà combattuta. Così sappiamo fin da subito che i cattivi sono loro, i fratelli Bogdan, che, dieci anni dopo, ritroviamo a cavallo tra Cannes e Sanremo. La Fassio questa volta usa un registro diverso dal solito avanzamento temporale dei fatti, facendo continui salti avanti e indietro, che però non riescono a dare mordente alla storia. Il cui nocciolo centrale è una strage perpetrata da mercenari in Kosovo, alla ricerca (forse con successo) di un tesoro di soldi e diamanti. Storia che ai giorni nostri si mescola con alcune morti che sembrano senza capo né coda. Tre poliziotti in una volante. Tre signori in una villa (padre, madre e figlio trentenne). Poi un fotografo francese e la sua compagna ad Antibes. La Franzoni cade in depressione per queste morti vicine (soprattutto quelle dei poliziotti). E ne risente anche il suo rapporto con Maffina (che ricordo agli smemorati, per lei lasciò, o si fece lasciare, dalla bella Annalisa). Anche Maffina è disorientato. Sia dalla vicenda, sia dalla stessa Erica. Un biglietto aereo per Pristina mette però tutto in corsa per una soluzione. Maffina va in Kosovo, dove viene circuito dall’affascinante Dobrilla, la cantante che sulle stragi kosovare ha fatto la sua fortuna (ma non solo). E trova i fili che legano i morti, tutti con qualche aggancio ai mercenari di cui sopra. Anche la Franzoni trova un bandolo, legato a traffici di armi, cui sono coinvolti poliziotti (morti e vivi). Unendo i due fili, i nostri eroi, riusciranno a trovare una ragione ed un colpevole (o più colpevoli) in tutto ciò. Ovvio i fratelli Bogdan, che uccidono anche la figlia di un commissario donna francese, che si unisce anche lei alla riscossa dei buoni. E che sembra avere un debole per il nuovo, pur attempato ma a lei coevo, questore di Genova. I cattivi pagheranno il fio. Non prima di aver fatto fuori anche la bella Dobrilla. E qualche problema avranno anche i nostri, che nello scontro a fuco catartico, Maffina non ne esce particolarmente bene. Vedremo nei prossimi romanzi se se la caverà. Un grosso minestrone con qualche pretesa di messaggi forti (non ci vuole grande ingegno a mettere in cattiva luce il generale italiano di stanza in Kosovo, tanto ci si mette da solo). Ma il risultato, come detto, un po’ moscio rimane. Mi mancano quegli scorci di Genova e della Liguria. Quelle pennellate che ho ritrovato nel bel racconto di luoghi della Pastorino, e che nei primi romanzi della Fassio davano un connotato alla vicenda. Qui, si vuole colpire duro sul lato più noir che giallo. Ne rimette l’atmosfera. E ci dispiace. Piacevole lettura, ma solo sotto la calura (pietà per la rima).
Valter Catoni “L’eterna lotta” Mondadori euro 4,90
[A: 08/01/2012 – I: 28/08/2012 – T: 30/08/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 201; anno: 2011]
Riprendiamo a macinare i Gialli Mondadori nell’infausta veste che ormai stanno assumendo sotto l’improvvida direzione di Maurizio Costanzo. Da quando ne ha assunto la guida si sono raggiunti due interessanti traguardi: è aumentato il prezzo ed è diminuita la qualità. Non che ogni tanto non si trovi qualche autore o qualche brano leggibili. Ma sui grandi numeri, mi sembra che la via del tramonto sia stata imboccata a grande velocità. Questo di Catoni è, tra le ultime prove, qualcosa di modestamente passibile. L’autore non mi risulta abbia scritto o pubblicato granché. E forse qualche ragione c’è. Questo prodotto, tipicamente italiano, ha una prima parte con una sua dignità, mentre nella seconda scivola verso pretenziosità degne di altre carature letterarie. Infatti, nella prima parte facciamo la conoscenza con il protagonista, l’ispettore Lo Russo, da poco a capo della sezione Trevi della polizia (quella della fontana, naturalmente). E subito ci imbattiamo nel “giallo”: due ragazzi scompaiono misteriosamente. Facciamo anche conoscenza del figlio dell’ispettore e della di lui ragazza, quasi a far da contraltare ai due scomparsi. E della squadra di Lo Russo, e del medico legale. Si indaga, si scava (anche letteralmente). Viene così fuori la storia sepolta nei palazzi del quartiere, che durante la guerra furono occupati dai tedeschi, a vario titolo. Da ufficiali di comando, da succursali del carcere, da strani SS in cerca di chissà quali misteri romani.  Si arriva così al primo bandolo. Nella pensione della misteriosa Janette si scoprono tedeschi morti, divise militari, e vari rimasugli di quelle misteriose ricerche. Che portano a tedeschi viventi, or residente in riva al Lago di Bracciano. In contatto con loschi tipi dell’ambasciata russa. Così che il mistero che avvolge la scomparsa si ammanta di traffico di armi. Ma i cattivi sono un po’ maldestri (o forse il nostro ispettore è un bel tipo di poliziotto). Fatto si che, seppur a costo di qualche morto, si libera il ragazzo. E si trova la via per arrestare i cattivi di prima linea. Janette, tuttavia, scompare di nuovo. Qui si innesta la seconda parte, debole e poco convincente, che, da un giallo di discreta fattura si cerca di passare ad un thriller alla Dan Brown, con forze misteriose che si aggirano nel sottosuolo romano. Con preti divinatori che lottano dalla parte del bene, nell’eterna lotta (quella del titolo) con le forze del male. Ma non essendoci una chiave di lettura non esoterica, rimane tutto sul misterioso e fumigante. E così scorrono le pagine, senza che ci si senta coinvolti nella lettura. Sperando che si trovi qualche elemento di interpretazione, qualche indizio. Si passa solo per un fantomatico biglietto, che si dice contenga informazioni cifrate. Tanto poco cifrate che, con pochi passi, si trasforma il biglietto in un’istruzione di coordinate per un GPS. Banalino, come espediente. Si prova a far della dietrologia nei dettagli. Il nostro commissario viene promosso questore a Genova. E le ultime pagine corrono in fretta, mettendo tanta carne al fuoco, ma senza riuscire a cucinare un pasto che non sia bruciacchiato. Alla fine si deve concludere. Ma il mistero viene lasciato in aria, con Janette che si suppone non faccia una brutta fine. Forse si salva la storia della nascita dell’amicizia tra l’ispettore e il medico legale, condita da frequenti cene da Ottavio o da Romolo. Ma non si salva il tentativo di approfondimento del dolore dell’Ispettore per la morte della moglie (avvenuta prima dell’inizio del romanzo), né la fugace storia con una procace dottoressa, che sembra foriera di sviluppi, e poi inopinatamente abortisce (la storia, non la dottoressa). Si sbozzano dei caratteri simpatici (un poliziotto, un tassista, un monsignore) che poi si perdono tra le pagine. Questo succede quando si ha una buona intuizione di scrittura, ma non una dose (innata o costruita) di capacità letteraria. Non è facile saper maneggiare trame complesse, ci si lascia sfuggire particolari e situazioni. Ma se Catoni è alla sua prima opera, benché si avvii già verso la sessantina, è scusabile, e comprensibile. In altri momenti, un editor come fu Laura Grimaldi per Mondadori, ne avrebbe asciugato prolissità ed incongruenze. Cose che non fa e non sa fare il nostro Costanzo.
Massimo Siviero “Caponapoli” Mondadori euro 4,90
[A: 04/05/2012 – I: 30/08/2012 – T: 02/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 188; anno: 2012]
La rete mi dice che Massimo Siviero è un settantenne giornalista napoletano, che scrive su “Il Mattino”, che ha pubblicato qualche libro giallo e che di gialli è appassionato. Perché comincio così una trama, che ormai non parlo più di biografie, se non servono a spiegare il testo e sempre nel suo contesto? Perché è l’unica cosa positiva che riesco a pensare per questa nuova ed incresciosa prova dei Gialli Mondadori di Maurizio Costanzo. Forse il Siviero pensa di essere un buon giallista o un buon scrittore, ma forse se rifiutasse di firmare questa insulsa prova. Spero, e gli auguro, di essere un buon giornalista, che Napoli ne merita. Qual è l’operazione furbetta e poco riuscita che si inventa il nostro? Che sicuramente di gialli e noir ne ha letti tanti. Si inventa una storiella “hard-boiled” che sarebbe stata interessante uscita dalla penna di Chandler o Hammett, ma che qui da subito la corda. Troppo facile e scontato, immaginare che Napoli sia una città violenta, una Los Angeles sotto il Vesuvio. Troppo facile ironizzare sui mali della città: malaffare, costruzioni abusive, malasanità, bassi invivibili, prostitute, ed altre cartucce, che a mala pena potremmo definire “mezze”. Si prende un giornalista radiato e lo si fa diventare detective (incontrato in circa 32 gialli americani ed uno giapponese). Lo si fa incontrare con una bella che lo mette nei guai (“Il falcone maltese”?). E si imbastisce una trametta con qualche morto e qualche finto mistero. Per non farci mancare nulla aggiungiamo: un’amichetta innamorata del detective ma senza speranza, un amico suonatore di jazz, un ispettore incapace, due killer che sembrano la controfigura cattiva di Stanlio e Ollio, un medico legale ubriacone (e che facciamo un salto anche verso “Ombre Rosse”?), una spruzzata di extra-comunitari buoni, una maitresse con debiti di riconoscenza, qualche personaggio che vira verso il sado-maso. Si tenta anche di far vedere che si conosce Napoli (e forse sono le uniche righe passabili, le passeggiate sopra e sotto Montecalvario, via Toledo ed altri luoghi a me per altro cari in altri contesti), e si battezza con il titolo l’Ospedale luogo del nocciolo della vicenda, facendo l’occhiolino a chi sa che le chiese e il chiostro di Caponapoli fanno parte del complesso degli Incurabili. E che vi si radunava l’Accademia degli Oziosi con Giovanni Battista Marino in testa. Sarebbe un bel mix, fosse trattato con ironia e senso del ridicolo. Ma l’ironia è assente, e rimane solo uno stanco sorriso. Si vuole ironizzare sui mali di Napoli, e non si scalfisce neanche un’unghia superficiale. Sono tutte macchiette. Un giallo alla Pulcinella, ma senza la cattiveria e la dolenza che aveva la maschera per sfidare i potenti con il ghigno delle sue bravate clownesche. Si cerca anche un finale “alla Dan Brown” con ridicole consorterie sotterranee e collegamenti con il mondo greco. Il giallo è inutile, che si capisce dalla terza pagina che sarà il cattivo finale. L’ironia non cresce. La scrittura è quella finta che ammicca al lettore, cercando di coinvolgerlo in ridanciane situazioni (crolli, sparatorie al buio, ed altre americanate poco riuscite). E si arriva velocemente alla fine, senza risolvere nulla in realtà (che sappiamo bene, in Italia va sempre tutto così, parole, parole, ma non si risolve nulla; con quella idea sottesa che tanto va tutto male e non ci sarà mai nulla che cambierà; tanto vale cercare di sopravvivere). Una delle letture più deprimenti degli ultimi anni, che sconsiglio anche a chi voglia provare di cambiare i miei giudizi. Tanto che mi fermo qui. Non riesco neanche a parlarne molto. È un libro che si legge d’un fiato, e si dimentica appena chiusa l’ultima pagina.
Annamaria Fassio “Terra bruciata” Mondadori euro 4,90
[A: 06/06/2012 – I: 29/09/2012 – T: 30/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 184; anno: 2012]
Siamo ancora, e per fortuna, sul versante per me migliore delle scritture poliziesche della Fassio. Quelle con al centro l’ispettrice Franzoni e il commissario Maffina. Nell’ultimo episodio, or non è guari (e che avrete letto in trama poco sopra), i due erano stati crivellati di colpi, ma tuttavia salvi. Anche se Maffina è conciato male. Tant’è che sta a riposo, ed è defilato anche in questa storia. L’unica cosa uscita dalla sparatoria, è il palesamento del rapporto tra i due che ora, finalmente, vivono insieme. Non senza qualche perplessità e contraccolpo. Ma tant’è. Qui la storia s’impernia su due vite falsamente parallele. Un ispettore di Alessandria, tal Graziano, mediocre questurino in cerca di gloria, per la quale non esita a far scattare la sua rabbia repressa. Tanto da uccidere a mani nude un povero drogato. E l’alto borghese Maria Vittoria. Insoddisfatta e sclerata, una notte prende la pistola del marito, lo uccide, uccide i loro due figli e fugge nella notte. Scatenando anche lei la sua rabbia repressa. Fuori di testa come una cucuzza, si lascia intorno una scia di morti violente. Dico falsamente parallele, che ben diverse sono le radici dei malesseri, anche se alla fine convergono nel far male a tutti. E quando il Graziano si mette sulle tracce di Mavi, una volta trovata, non potrà che decidere di unire le loro forze (si fa per dire) per una storia che potrà durare due ore o due giorni, ma che non potrà che finire come ci aspettiamo finisca fin dalla seconda pagina. Si tratta di vedere quante persone ci lasceranno la pelle. E saranno non solo tante, ma ben intrecciate nei loro destini. Non a caso, ci si aggira nei triangoli tra Liguria, Basso Piemonte e brandelli emiliani. Ed il loro intreccio darà qualche sorpresa finale (una delle poche che non ci si aspettava all’inizio). Questo il plot dove s’inserisce la Franzoni, che ancora convalescente torna sulla scena, cercando di coordinare indagini ed idee. Un po’ come un fiume che convoglia acque diverse nel suo andare verso il mare, la nostra scrittrice fa una specie di sommario di tanti avvenimenti e storie degli episodi passati, che qui ritornano con personaggi maggiori o minori. Che Lorenzo, il marito della Mavi, era entrato in una delle inchieste precedenti, come trafficante in navi poco chiare. Mistero risolto da Maffina con l’aiuto di una prostituta di colore (con la quale il convalescente commissario ora questore ogni tanto s’intrattiene eufemisticamente parlando). Che il magistrato delle indagini si è messo con una simpatica ex-ispettrice francese, anch’essa comparsa in altra storia (quella sopra citata), dolorosamente coinvolta dalla morte della figlia drogata. E via confusionando. La bravura della Fassio nel “procedural thriller” come si dovrebbe chiamare questo romanzo sull’onda delle bellissime pagine di Ed McBain, è proprio quella di presentare con brevi tratti altri personaggi del mondo poliziottesco. Come l’agente Dalmasso che passo dopo passo arriva a scoprire tutte le magagne dell’ispettore Graziano. Come il commissario Abbondanza, l’unico che fino alla fine spera che Graziano non sia coinvolto. Cala invece quando cerca di descrivere Maria Vittoria, che, insoddisfazione a parte, non si capisce bene perché si avvii sulla china del delitto gratuito. Piacevoli, invece, gli intarsi musicali con le citazioni di Tom Waits e, soprattutto, dei Baustelle. Alla fine, non una grande storia, ma leggibile in una sera piovosa di campagna, nonostante i tentativi finali di chiosa del nostro Costanzo che continua ad arringarci nelle due paginette finali come se fosse ancora sui palchi televisivi. Speriamo in altri ritorni.
Intanto certo, un po’ di relax, che tra un mese esatto è Natale. Quattro settimane che passano di volata, pieni di impegni e di appuntamenti. Poi una quinta siamo già a Capodanno e si vedrà se si resta a lavorare o meno. Ed una sesta, sicuramente, via dalla pazza folla…

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