Citazione latina che ci rimanda
al buon Giulio Cesare (ed io so perché) ed alle guerre, e questo ve lo dico
anche: una guerra contro l’insostenibile curatore di una collana un tempo
gloriosa, ed ora destinata ad una lenta agonia. Costanzo è riuscito anche qui a
stendere la sua ala mortifera, riuscendo a pubblicare il peggio del giallo
italiano. Fortunatamente escono ancora i romanzi di Annamaria Fassio che
tengono a galla la collana, che se dovessimo basarci sugli altri due illeggibili
italiani sarebbe da chiudere al più presto. Ricordo anche che (su aNobii) metto
i gradimenti dei libri letti. E che ci sono 20 punti ogni settimana di trame. Beh,
questa settimana si giunge a stento ad 8!
Annamaria Fassio “Di rabbia e morte” Mondadori euro 4,90
[A: 29/08/2011 – I: 16/07/2012 – T: 18/07/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 197;
anno: 2011]
Annamaria Fassio si avvia a
diventare un punto di riferimento nel panorama del giallo italiano. Ne scrive
con una buona cadenza, la scrittura stessa è almeno gradevole, pur con dei
distinguo che vedremo dopo. Quasi non mi dispiacerebbe che potesse prendere il
posto lasciato vacante dalla scomparsa di Laura Grimaldi. E poi, sponsorizzata
da Mondadori, ha un suo pubblico direi affezionato. Ha degli alti e bassi, come
mi sembra ormai di ripetere da trame e trame per diversi autori. Certo, la
punta da fossa delle Marianne toccata con l’infelice giallo ambientato a
Shangai, è ormai lasciata dietro l’angolo. Anche perché, con questo Giallo
dell’agosto scorso torniamo ad avere in prima linea la coppia del commissario
Maffina e dell’ispettrice Franzoni. Quello che meno mi è piaciuto è
l’indulgere, come ormai la gran parte dei giallisti fanno, nell’introduzione
dell’elemento slavo. Certo che dalla diaspora dell’ex-Jugoslavia, alle sanguinose
(e degne di ben altri scritti) guerre che si sono combattute nell’ultimo
decennio del secolo scorso, slavi (ed in particolare serbi e croati, ma non
solo) hanno preso un ruolo centrale negli scritti di nera (ed anche nelle
cronache quotidiane). Cominciò, paladino insospettato, Heinichen con alcuni
romanzi in cui il commissario Laurenti combatteva appunto la mafia slava. Poi
valanghe, e non solo sul suolo italico. Che tutti quanti, ormai, qualche
cattivo che viene da lì lo trovano. Qui, Annamaria Fassio si spinge un po’
dopo, e si passa dai serbo-croati ai kosovari ed alla sanguinosa guerra eccidio
massacro colà combattuta. Così sappiamo fin da subito che i cattivi sono loro,
i fratelli Bogdan, che, dieci anni dopo, ritroviamo a cavallo tra Cannes e Sanremo.
La Fassio questa volta usa un registro diverso dal solito avanzamento temporale
dei fatti, facendo continui salti avanti e indietro, che però non riescono a
dare mordente alla storia. Il cui nocciolo centrale è una strage perpetrata da
mercenari in Kosovo, alla ricerca (forse con successo) di un tesoro di soldi e
diamanti. Storia che ai giorni nostri si mescola con alcune morti che sembrano
senza capo né coda. Tre poliziotti in una volante. Tre signori in una villa
(padre, madre e figlio trentenne). Poi un fotografo francese e la sua compagna
ad Antibes. La Franzoni cade in depressione per queste morti vicine
(soprattutto quelle dei poliziotti). E ne risente anche il suo rapporto con
Maffina (che ricordo agli smemorati, per lei lasciò, o si fece lasciare, dalla
bella Annalisa). Anche Maffina è disorientato. Sia dalla vicenda, sia dalla
stessa Erica. Un biglietto aereo per Pristina mette però tutto in corsa per una
soluzione. Maffina va in Kosovo, dove viene circuito dall’affascinante
Dobrilla, la cantante che sulle stragi kosovare ha fatto la sua fortuna (ma non
solo). E trova i fili che legano i morti, tutti con qualche aggancio ai mercenari
di cui sopra. Anche la Franzoni trova un bandolo, legato a traffici di armi,
cui sono coinvolti poliziotti (morti e vivi). Unendo i due fili, i nostri eroi,
riusciranno a trovare una ragione ed un colpevole (o più colpevoli) in tutto
ciò. Ovvio i fratelli Bogdan, che uccidono anche la figlia di un commissario
donna francese, che si unisce anche lei alla riscossa dei buoni. E che sembra
avere un debole per il nuovo, pur attempato ma a lei coevo, questore di Genova.
I cattivi pagheranno il fio. Non prima di aver fatto fuori anche la bella
Dobrilla. E qualche problema avranno anche i nostri, che nello scontro a fuco
catartico, Maffina non ne esce particolarmente bene. Vedremo nei prossimi
romanzi se se la caverà. Un grosso minestrone con qualche pretesa di messaggi
forti (non ci vuole grande ingegno a mettere in cattiva luce il generale
italiano di stanza in Kosovo, tanto ci si mette da solo). Ma il risultato, come
detto, un po’ moscio rimane. Mi mancano quegli scorci di Genova e della
Liguria. Quelle pennellate che ho ritrovato nel bel racconto di luoghi della
Pastorino, e che nei primi romanzi della Fassio davano un connotato alla
vicenda. Qui, si vuole colpire duro sul lato più noir che giallo. Ne rimette
l’atmosfera. E ci dispiace. Piacevole lettura, ma solo sotto la calura (pietà
per la rima).
Valter Catoni “L’eterna lotta” Mondadori euro 4,90
[A: 08/01/2012 – I: 28/08/2012 – T: 30/08/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 201;
anno: 2011]
Riprendiamo a macinare i Gialli
Mondadori nell’infausta veste che ormai stanno assumendo sotto l’improvvida
direzione di Maurizio Costanzo. Da quando ne ha assunto la guida si sono
raggiunti due interessanti traguardi: è aumentato il prezzo ed è diminuita la
qualità. Non che ogni tanto non si trovi qualche autore o qualche brano
leggibili. Ma sui grandi numeri, mi sembra che la via del tramonto sia stata
imboccata a grande velocità. Questo di Catoni è, tra le ultime prove, qualcosa
di modestamente passibile. L’autore non mi risulta abbia scritto o pubblicato
granché. E forse qualche ragione c’è. Questo prodotto, tipicamente italiano, ha
una prima parte con una sua dignità, mentre nella seconda scivola verso
pretenziosità degne di altre carature letterarie. Infatti, nella prima parte
facciamo la conoscenza con il protagonista, l’ispettore Lo Russo, da poco a
capo della sezione Trevi della polizia (quella della fontana, naturalmente). E
subito ci imbattiamo nel “giallo”: due ragazzi scompaiono misteriosamente.
Facciamo anche conoscenza del figlio dell’ispettore e della di lui ragazza,
quasi a far da contraltare ai due scomparsi. E della squadra di Lo Russo, e del
medico legale. Si indaga, si scava (anche letteralmente). Viene così fuori la
storia sepolta nei palazzi del quartiere, che durante la guerra furono occupati
dai tedeschi, a vario titolo. Da ufficiali di comando, da succursali del
carcere, da strani SS in cerca di chissà quali misteri romani. Si arriva così al primo bandolo. Nella pensione
della misteriosa Janette si scoprono tedeschi morti, divise militari, e vari
rimasugli di quelle misteriose ricerche. Che portano a tedeschi viventi, or
residente in riva al Lago di Bracciano. In contatto con loschi tipi
dell’ambasciata russa. Così che il mistero che avvolge la scomparsa si ammanta
di traffico di armi. Ma i cattivi sono un po’ maldestri (o forse il nostro
ispettore è un bel tipo di poliziotto). Fatto si che, seppur a costo di qualche
morto, si libera il ragazzo. E si trova la via per arrestare i cattivi di prima
linea. Janette, tuttavia, scompare di nuovo. Qui si innesta la seconda parte,
debole e poco convincente, che, da un giallo di discreta fattura si cerca di
passare ad un thriller alla Dan Brown, con forze misteriose che si aggirano nel
sottosuolo romano. Con preti divinatori che lottano dalla parte del bene,
nell’eterna lotta (quella del titolo) con le forze del male. Ma non essendoci
una chiave di lettura non esoterica, rimane tutto sul misterioso e fumigante. E
così scorrono le pagine, senza che ci si senta coinvolti nella lettura.
Sperando che si trovi qualche elemento di interpretazione, qualche indizio. Si
passa solo per un fantomatico biglietto, che si dice contenga informazioni
cifrate. Tanto poco cifrate che, con pochi passi, si trasforma il biglietto in
un’istruzione di coordinate per un GPS. Banalino, come espediente. Si prova a
far della dietrologia nei dettagli. Il nostro commissario viene promosso
questore a Genova. E le ultime pagine corrono in fretta, mettendo tanta carne
al fuoco, ma senza riuscire a cucinare un pasto che non sia bruciacchiato. Alla
fine si deve concludere. Ma il mistero viene lasciato in aria, con Janette che
si suppone non faccia una brutta fine. Forse si salva la storia della nascita
dell’amicizia tra l’ispettore e il medico legale, condita da frequenti cene da
Ottavio o da Romolo. Ma non si salva il tentativo di approfondimento del dolore
dell’Ispettore per la morte della moglie (avvenuta prima dell’inizio del
romanzo), né la fugace storia con una procace dottoressa, che sembra foriera di
sviluppi, e poi inopinatamente abortisce (la storia, non la dottoressa). Si
sbozzano dei caratteri simpatici (un poliziotto, un tassista, un monsignore)
che poi si perdono tra le pagine. Questo succede quando si ha una buona
intuizione di scrittura, ma non una dose (innata o costruita) di capacità
letteraria. Non è facile saper maneggiare trame complesse, ci si lascia sfuggire
particolari e situazioni. Ma se Catoni è alla sua prima opera, benché si avvii
già verso la sessantina, è scusabile, e comprensibile. In altri momenti, un
editor come fu Laura Grimaldi per Mondadori, ne avrebbe
asciugato prolissità ed incongruenze. Cose che non fa e non sa fare il nostro Costanzo.
Massimo Siviero “Caponapoli” Mondadori euro 4,90
[A: 04/05/2012 – I: 30/08/2012 – T: 02/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 188;
anno: 2012]
La
rete mi dice che Massimo Siviero è un settantenne giornalista napoletano, che
scrive su “Il Mattino”, che ha pubblicato qualche libro giallo e che di gialli
è appassionato. Perché comincio così una trama, che ormai non parlo più di
biografie, se non servono a spiegare il testo e sempre nel suo contesto? Perché
è l’unica cosa positiva che riesco a pensare per questa nuova ed incresciosa
prova dei Gialli Mondadori di Maurizio Costanzo. Forse il Siviero pensa di
essere un buon giallista o un buon scrittore, ma forse se rifiutasse di firmare
questa insulsa prova. Spero, e gli auguro, di essere un buon giornalista, che
Napoli ne merita. Qual è l’operazione furbetta e poco riuscita che si inventa
il nostro? Che sicuramente di gialli e noir ne ha letti tanti. Si inventa una
storiella “hard-boiled” che sarebbe stata interessante uscita dalla penna di
Chandler o Hammett, ma che qui da subito la corda. Troppo facile e scontato,
immaginare che Napoli sia una città violenta, una Los Angeles sotto il Vesuvio.
Troppo facile ironizzare sui mali della città: malaffare, costruzioni abusive,
malasanità, bassi invivibili, prostitute, ed altre cartucce, che a mala pena
potremmo definire “mezze”. Si prende un giornalista radiato e lo si fa
diventare detective (incontrato in circa 32 gialli americani ed uno
giapponese). Lo si fa incontrare con una bella che lo mette nei guai (“Il
falcone maltese”?). E si imbastisce una trametta con qualche morto e qualche
finto mistero. Per non farci mancare nulla aggiungiamo: un’amichetta innamorata
del detective ma senza speranza, un amico suonatore di jazz, un ispettore
incapace, due killer che sembrano la controfigura cattiva di Stanlio e Ollio,
un medico legale ubriacone (e che facciamo un salto anche verso “Ombre
Rosse”?), una spruzzata di extra-comunitari buoni, una maitresse con debiti di
riconoscenza, qualche personaggio che vira verso il sado-maso. Si tenta anche di
far vedere che si conosce Napoli (e forse sono le uniche righe passabili, le
passeggiate sopra e sotto Montecalvario, via Toledo ed altri luoghi a me per
altro cari in altri contesti), e si battezza con il titolo l’Ospedale luogo del
nocciolo della vicenda, facendo l’occhiolino a chi sa che le chiese e il
chiostro di Caponapoli fanno parte del complesso degli Incurabili. E che vi si
radunava l’Accademia degli Oziosi con Giovanni Battista Marino in testa.
Sarebbe un bel mix, fosse trattato con ironia e senso del ridicolo. Ma l’ironia
è assente, e rimane solo uno stanco sorriso. Si vuole ironizzare sui mali di
Napoli, e non si scalfisce neanche un’unghia superficiale. Sono tutte
macchiette. Un giallo alla Pulcinella, ma senza la cattiveria e la dolenza che
aveva la maschera per sfidare i potenti con il ghigno delle sue bravate
clownesche. Si cerca anche un finale “alla Dan Brown” con ridicole consorterie
sotterranee e collegamenti con il mondo greco. Il giallo è inutile, che si
capisce dalla terza pagina che sarà il cattivo finale. L’ironia non cresce. La
scrittura è quella finta che ammicca al lettore, cercando di coinvolgerlo in
ridanciane situazioni (crolli, sparatorie al buio, ed altre americanate poco
riuscite). E si arriva velocemente alla fine, senza risolvere nulla in realtà
(che sappiamo bene, in Italia va sempre tutto così, parole, parole, ma non si
risolve nulla; con quella idea sottesa che tanto va tutto male e non ci sarà
mai nulla che cambierà; tanto vale cercare di sopravvivere). Una delle letture
più deprimenti degli ultimi anni, che sconsiglio anche a chi voglia provare di
cambiare i miei giudizi. Tanto che mi fermo qui. Non riesco neanche a parlarne
molto. È un libro che si legge d’un fiato, e si dimentica appena chiusa
l’ultima pagina.
Annamaria Fassio “Terra bruciata” Mondadori euro 4,90
[A: 06/06/2012 – I: 29/09/2012 – T: 30/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 184;
anno: 2012]
Siamo ancora, e per fortuna, sul
versante per me migliore delle scritture poliziesche della Fassio. Quelle con
al centro l’ispettrice Franzoni e il commissario Maffina. Nell’ultimo episodio,
or non è guari (e che avrete letto in trama poco sopra), i due erano stati
crivellati di colpi, ma tuttavia salvi. Anche se Maffina è conciato male.
Tant’è che sta a riposo, ed è defilato anche in questa storia. L’unica cosa
uscita dalla sparatoria, è il palesamento del rapporto tra i due che ora,
finalmente, vivono insieme. Non senza qualche perplessità e contraccolpo. Ma
tant’è. Qui la storia s’impernia su due vite falsamente parallele. Un ispettore
di Alessandria, tal Graziano, mediocre questurino in cerca di gloria, per la
quale non esita a far scattare la sua rabbia repressa. Tanto da uccidere a mani
nude un povero drogato. E l’alto borghese Maria Vittoria. Insoddisfatta e
sclerata, una notte prende la pistola del marito, lo uccide, uccide i loro due
figli e fugge nella notte. Scatenando anche lei la sua rabbia repressa. Fuori
di testa come una cucuzza, si lascia intorno una scia di morti violente. Dico
falsamente parallele, che ben diverse sono le radici dei malesseri, anche se
alla fine convergono nel far male a tutti. E quando il Graziano si mette sulle
tracce di Mavi, una volta trovata, non potrà che decidere di unire le loro
forze (si fa per dire) per una storia che potrà durare due ore o due giorni, ma
che non potrà che finire come ci aspettiamo finisca fin dalla seconda pagina.
Si tratta di vedere quante persone ci lasceranno la pelle. E saranno non solo
tante, ma ben intrecciate nei loro destini. Non a caso, ci si aggira nei
triangoli tra Liguria, Basso Piemonte e brandelli emiliani. Ed il loro
intreccio darà qualche sorpresa finale (una delle poche che non ci si aspettava
all’inizio). Questo il plot dove s’inserisce la Franzoni, che ancora
convalescente torna sulla scena, cercando di coordinare indagini ed idee. Un
po’ come un fiume che convoglia acque diverse nel suo andare verso il mare, la
nostra scrittrice fa una specie di sommario di tanti avvenimenti e storie degli
episodi passati, che qui ritornano con personaggi maggiori o minori. Che Lorenzo,
il marito della Mavi, era entrato in una delle inchieste precedenti, come
trafficante in navi poco chiare. Mistero risolto da Maffina con l’aiuto di una
prostituta di colore (con la quale il convalescente commissario ora questore
ogni tanto s’intrattiene eufemisticamente parlando). Che il magistrato delle
indagini si è messo con una simpatica ex-ispettrice francese, anch’essa
comparsa in altra storia (quella sopra citata), dolorosamente coinvolta dalla
morte della figlia drogata. E via confusionando. La bravura della Fassio nel
“procedural thriller” come si dovrebbe chiamare questo romanzo sull’onda delle
bellissime pagine di Ed McBain, è proprio quella di presentare con brevi tratti
altri personaggi del mondo poliziottesco. Come l’agente Dalmasso che passo dopo
passo arriva a scoprire tutte le magagne dell’ispettore Graziano. Come il
commissario Abbondanza, l’unico che fino alla fine spera che Graziano non sia
coinvolto. Cala invece quando cerca di descrivere Maria Vittoria, che,
insoddisfazione a parte, non si capisce bene perché si avvii sulla china del
delitto gratuito. Piacevoli, invece, gli intarsi musicali con le citazioni di
Tom Waits e, soprattutto, dei Baustelle. Alla fine, non una grande storia, ma
leggibile in una sera piovosa di campagna, nonostante i tentativi finali di
chiosa del nostro Costanzo che continua ad arringarci nelle due paginette
finali come se fosse ancora sui palchi televisivi. Speriamo in altri ritorni.
Intanto
certo, un po’ di relax, che tra un mese esatto è Natale. Quattro settimane che
passano di volata, pieni di impegni e di appuntamenti. Poi una quinta siamo già
a Capodanno e si vedrà se si resta a lavorare o meno. Ed una sesta,
sicuramente, via dalla pazza folla…
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