Sia per la mai poco lodata
collana di Laterza, sia per un libro che non è di viaggi, ma che ci fa viaggiare,
nel mondo e nella coscienza (ma sempre contromano). Mentre volano auguri per
tutti nella giornata di tutti i Santi, ci imbattiamo in due interessanti itinerari
itineranti (con Fossati sul CD) nel nord Tirreno, tra una Liguria che ancora non
conosco bene, ed una Versilia che ho imparato a conoscere. Poi un libro, quasi
da carnet di viaggio per visitare e guardare con altri occhi gli splendori siciliani
(e riflettere anche sugli uomini). Ed infine, un sentito omaggio, girando per
il mondo ad aiutare la gente, con forza e con coerenza.
Rosella Postorino “Il mare in salita” Laterza euro 10 (in realtà,
scontato 8,50 euro)
[A: 02/11/2011 – I: 01/07/2012 – T: 03/07/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 180;
anno: 2011]
Non è facile tramare quando si
conosce l’autore dello scritto. Certo la mia conoscenza di Rosella non può
essere paragonata a quella con il professor Luciano (di cui prima o poi si dovrà
parlare per qualche suo nuovo libro) o dell’amica Roby (e della sua “Bolla”).
Più sul versante dell’Agnello. Che con la Postorino ho condiviso non un
viaggio, ma alcune sessioni del corso di Rebibbia ed un convegno al Museo di
Criminologia. Devo dire che comunque preferisco la sua scrittura, che risulta
più asciutta del parlato. E dico anche che questo scritto è ben inserito nella
collana Contromano di Laterza, di cui tanto ho parlato e bene. Una collana che
riesce a sfornare libri che ti mettono voglie: di leggere, di girare, di
viaggiare. E questo non è da meno, riuscendo a comunicare un senso (personale
quanto vogliamo) ad un pezzo d’Italia quanto mai bello e interessante. Quella
che viene univocamente indicato come “Riviera dei fiori”. Quel pezzo d’Italia,
tra Genova e la Francia, incentrato sulla sua città più nota (Sanremo) ma che,
sopra e intorno, ha tanti altri luoghi, che Rosella ci presenta quasi facendoci
partecipi di una gita in macchina, magari in una delle mezze stagioni che non
esistono più. Partendo dal suo vissuto di emigrante dalla natia Calabria, ci
conduce sulla costa da Sanremo ad Imperia. Ma non dimentica, e noi con lei,
tutte quelle cittadine e borghi che ne costituiscono l’entroterra (e l’ossatura
storica). Mescolando pubblico e privato, facciamo una rapida ripassata di
luoghi e situazioni, ognuna pronta a risvegliare echi, vicini o lontani. Proprio
a cominciare da Sanremo, strangolata ma esaltata dal suo famoso festival (che
tutti, prima o poi hanno visto, e non prendiamoci in giro; tanto che si è fatto
il tifo per il giovane Guazzone l’ultimo febbraio). Certo, chi ci vive o ci ha
vissuto intorno ha ricordi altri rispetto a noi semplici osservatori televisivi
(a proposito, Rosella, il tuo Lorenzo Zecchino è tornato nella natia Puglia e
continua a cantare e fare serate, ma solo intorno a Foggia). Ricordi di
cantanti, serate, tappeti. E fiori, tanti fiori (per cui poi non ci si può
esimere dal ricordare e citare Calvino). E poi scendendo sulla costa, Taggia e
Arma di Taggia con la sua (unica) spiaggia, la mussoliniana Imperia, che meglio
ricordano i locali come Porto Maurizio. Fino alla deamicisiana Oneglia. Ma come
si fa poi, non salire insieme a lei e Livio verso la magica Apricale e le sue
serate del Teatro della Tosse all’aperto. O Dolceacqua dal nome così evocativo.
Per poi finire, passati i Molini di Triora, nella diatriba tra Dolcedo e
Moltedo sul possesso di un quadro, che si dice sia un Van Dyck. O della scuola
sua. Ma di certo Van Dyck lì si rifugiò per sue storie d’amore. Perché il mare
in Liguria, come ci sottolinea Rosella, è un mare difficile, in salita, senza
né gli spiaggioni adriatici, né le insenature tirreniche. Un mare che lotta con
le colline, in lingua locale “bricchi”. Insomma, una bella cavalcata, piena
anche di storia e di storie. Piena di gesta risorgimentali, di mazziniani in
fuga, di partigiani ed altro (commovente il pezzo dedicato a Felice Cascione,
autore dei versi di “Fischia il vento”…). Un libro da compitare mentre ci si
aggira per la Riviera dei Fiori e per i bricchi (non dimenticando che oltre la
storia c’è anche il presente, i cinesi, gli extra, e via discorrendo). Meno mi
sono piaciuti gli incipit dei capitoli, dove, per introdurre i luoghi, Rosella
racconta brevi storie “tematiche”. Le ho trovate un po’ forzate, ed aspettavo
con gusto che finissero per potermi gustare le descrizioni. E le chiacchierate
che immaginavo si facessero andando in giro. Per poi proseguire, verso l’Italia
e la Toscana, magari fermandosi (finalmente) a vedere la nonnesca Varazze.
“Mia madre … recita a menadito
le poesie che ha imparato alle elementari.” (27)
“Mi chiedo da anni … dov’è che si baciano i ragazzini romani? …” (145)
Roberto Alajmo “L’arte di annacarsi” Laterza euro 9,50 (in realtà,
scontato 7,13 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 07/07/2012 – T: 14/07/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 274;
anno: 2011]
“Un viaggio in Sicilia” come dice
argutamente il sottotitolo. E di questo si tratta. Una lunga cavalcata per
luoghi, personaggi e storie della Sicilia cui vogliamo bene e che abbiamo
imparato ad amare in tante e tante visite. Ma prima di addentrarci nei luoghi,
un cenno al bel titolo.”Annacarsi” viene da “naca” culla. Ma non è cullarsi. È
un modo di muoversi portando al minimo la fatica. Come ci spiega Alajmo,
sarebbe fare il massimo del movimento con il minimo dello spostamento. Ed è
un’immagine bella e forte che ci rimanda molti dei luoghi che si è visitato.
Allora partiamo, con questo libro a mo’ di Bedaeker, non per cercare le cose
note, che appunto a questo servirebbe un Bedaeker, ma per guardarle con occhio
altro. E magari per scoprirne di diverse. Lasciamo i racconti e gli spunti ad
Alajmo (poi ci si tornerà), per ora mettiamoci davanti alla piantina a inizio libro,
cominciando a rinvangare. Facendo un po’ come l’autore, saltando di qua e di
là. Dalle Eolie, che videro un’estate di gommoni e canzoni, scendendo al golfo
di Tindari dove qualcuno imparò ad andare in bicicletta. Muoviamoci verso
Palermo, saltando posti poco noti, se non ripensando a Castelbuono ed alla
manna della Torregrossa. Saltiamo anche Polizzi, o Nicosia, per arrivare a Palermo.
Palermo città del cuore, tanto amata per politici motivi in gioventù e poi
odiata e poi riscoperta, con Piazza Garibaldi, il mercato di Ballarò, il pane
co’ a meuza, la Kalsa, fino alla bellissima ed aulentissima chiesa di Santa
Maria alla Catena. Da Palermo a Trapani, ecco risvegliarsi la memoria antica,
il primo viaggio con mio padre, la 124, a vomitare tutto il tempo. La scoperta
della Valle del Belice, l’incontro con Danilo Dolci, e Gibellina e Mazara e
Trapani stessa. Purtroppo non Segesta, e neanche Erice, la cui descrizione nel
libro mi prende e mi fa voler riprendere il viaggio (passando anche per Mozia,
sia chiaro). Traghetto per Favignana, dopo due giorni in 500 (la macchina) con
l’amico Luciano e gli altri (e due gomme forate vicino a Lagonegro). Scendiamo
bordeggiando il Canale di Sicilia. Di là del mare, Tunisi. In mezzo la figlia
del vento, Pantelleria, e l’assolata e non dimentica Lampedusa. Fermiamoci un
poco ai tempi di Agrigento, lasciando la città alle spalle. Città orrenda,
quindi bellissima perché da lì si vedono i tempi, ma non la città, quindi… E
ricordo del maggio di traversata in treno, lunghissimo e bellissimo, da Palermo
ad Agrigento, passando attraverso l’erica di Racalmuto (e leggendo Sciascia).
Ripassando Pirandello ad Agrigento, compulsando Camilleri andando verso il
trionfo barocco dove sta la mia grande amica Marina: Scicli, Modica, Ragusa,
Noto. E come scordare la scalinata di ceramiche di Caltagirone? La cioccolata
di Modica, che comperavo quando ancora i produttori erano due. La bellezza
delle cattedrali di San Giorgio: l’inarrivabile di Modica (ma perché Alajmo
scordasti Quasimodo?) e quella di Ibla (che tanta fatica fece fare sotto il
sole). Non ho visto Pachino, ma adoro Ortigia più che Siracusa. E voglio bene
anche alla via Etnea di Catania (solo perché mi porta a quel chiosco dove bere
sale, limone e selz, uno sballo!). E finalmente sono totalmente, completamente
d’accordo con Alajmo su Taormina. Una città bellissima, da vedere d’inverno in
giorno feriale. E possibilmente assistendo all’alba dal Teatro greco ed al
tramonto nella folle villa della marchesa Trevelyan. Ecco, il giro s’è finito,
si arriva a Messina, città che non conosco né voglio conoscere. Ma queste sono
(alcune) delle mie storie, più belle ed intriganti quelle dello scritto. Con i
misteri, le sorprese, i gusti culinari, il mare e i monti. Finisco con un
personale grazie di avermi fatto scoprire il termine “ubris”, io che non so di
greco, per indicare eventi del passato che influiscono negativamente sul
presente. Un libro da gustare per chi è già stato in Sicilia. Un libro che
stimola per chi (mischinello) ancora non è sbarcato sull’isola.
“Per riuscire efficacemente a spremersi un brufolo, bisogna prima
procurarsi uno specchio e avere il coraggio di guardarci dentro.” (16)
“La tolleranza ... non rappresenta un traguardo soddisfacente. Si
tollera qualcuno perché non se ne può fare a meno, e in ogni caso con una
riserva mentale.” (45) (tolleranza vs. rispetto)
“I matti sono un monito ai sedicenti normali … basta poco per scivolare
dall’altra parte della razionalità.” (165)
“Dell’essenziale ci manca tutto, del superfluo non ci facciamo mancare
nulla.” (187)
“Alla morte non c’è rimedio, ed esiste solo a posteriori. Come faceva
notare Marcel Duchamp, a morire sono sempre gli altri.” (197)
“La siesta … è la difesa dell’uomo contro il tempo … è il frigorifero
dell’anima. Lavorare con trenta, quaranta gradi è qualcosa di controindicato,
che qualsiasi persona dotata di intelligenza cercherà di evitare in ogni modo
possibile.” (250)
Fabio Genovesi “Morte dei Marmi” Laterza euro 12 (in realtà, scontato a
10,20 euro)
[A: 29/06/2012 – I: 04/09/2012 – T: 05/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 140;
anno: 2012]
Già di base parte per essere un
buon libro: collana sui luoghi di Laterza, giovane scrittore con un paio di
libri alle spalle, località descritta/vissuta: Forte dei Marmi. Da questa buona
partenza, si sviluppa un libro non esilarante, ma di certo con qualche punto di
sorriso. Soprattutto si sviluppa una narrazione che percorre luoghi che mi
furono cari, e che son rimasti nella memoria. Vogliamo parlare delle focaccine
di Valè? Ci aggiungiamo la libreria Giannelli? Se poi al tutto colleghiamo Vittoria
Apuana, Querceta, Serravezza, non possiamo che arrivare a livelli (almeno di
memoria) impagabili ed alti. Guardiamo, anche, verso la fine, di metterci là
sul pontile, forse a cercar la Corsica, per poi tornare passeggiando
lentamente, verso la piazzetta, dare un’occhiata alle vetrine (lo shop-watching
di Fabio), ed imboccare via Mazzini, salutare Lucrezia, la barista all’angolo.
Così, mentre leggevo i ricordi e le elucubrazioni di Genovesi, riandavo ai miei
ricordi ed ai miei pensieri. Trovandomi in sintonia con (quasi) tutto lo
scritto. La grande rabbia dell’invasione russa, Forte dei Marmi come icona dei
propri ricordi (Mina e la Capannina, tanto per dirne una), la contrapposizione
tra locali e forastieri (turisti in genere, ma non solo stanziali, anche di
passo e di voliera, come direbbe il fine dicitore). Certo, il rischio di
un’elencazione gozzaniana (del tipo Nostalgia Canaglia…)
è forte, ed ogni tanto anche il nostro giovane scrittore ci fa qualche
scivolata. Ma quando lo riconosci, sai che la scivolata verrà perdonata. E così
è. Ma, nostalgia a parte, il libro, pur nella veloce cavalcata tra ricordi e
pensieri, pone alcune piccole domande, che faccio mie, e sulle quali stavo
riflettendo durante la lettura. La prima riguarda proprio quell’invasione di
soldi che ha portato (e porta) russi ed altri ex d’Oltre Cortina, ad invadere
(e con che cafoneria) i nostri mondi. Prima hanno colonizzato Rimini. Poi,
attraversato l’Appennino, eccoli lì, euro alla mano, a comprare, abbattere e
ricostruire con uno stile dove er Piotta sarebbe un lord inglese. Ho visto con
i miei occhi buttare giù villini liberty, per tirar su costruzioni a due piani,
con colonne doriche, piscine di forme improbabili, marmi slavati, statue
dorate, ed altre inimmaginabili oscenità. Come dice Fabio, si presenta un
russo, chiede il prezzo, tu gli dici uno sproposito, e lui ti offre il doppio.
Ma da dove vengono tutti questi soldi? Mafie? Contrabbandi? Oli e Petroli?
Misteri! Ma l’impressione è che non ci sia proprio tutta questa pulizia dietro.
Il secondo è l’incontro-scontro tra Vip e Mezzi Vip. E la loro trasformazione
nel tempo. Si rimaneva un dì, ai tempi delle discussioni di piazza con Romano
Battaglia, a vedere personaggi famosi scivolare incogniti, che quello era una
specie di limbo. Tutti siamo famosi, quindi è cafone ostentarlo. Poi cresce
l’ondata di mezzi Vip, quelli per cui l’importante è apparire, non essere.
Quelli che per una passata televisiva sono pronti a vendere la famiglia (o a
vendere se stesse). E che invadono il Forte, con la caciara della loro
presenza. Il Vip ora fa il manager di grandi industrie, si tiene appartato e
non è di facciata (ha i soldi, ma anche qualche capacità di giudizio). Ma
curiosamente, è lo stesso Vip, che riconosce il tamarro televisivo, e ne fa le
lodi. Un giorno qualcuno mi spiegherà l’arcano. Con al centro una parentesi,
che ci attanaglia il core. Ma perché esiste qualcuno che ai propri figli mette
nomi così “improbabili”, tanto che poi si avranno dei Nathan Falco Briatore o
dei David Lee Buffon? In fondo e comunque, però, è sempre un canto d’amore per
la Versilia, e per questa terra stretta tra mare e monte, piena di quei marmi
che riempiono il mondo di bellezza e luminosità (dalle sculture di Michelangelo
alle colonne della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme). E per questo ringrazio
Fabio, il suo scritto, e chi mi ha fatto conoscere posti incantatati come Pietrasanta.
“Se uno scrive, allora per forza deve fare delle robe strane” (129)
“”La vita degli adulti è questa, si dicono cose che non si pensano, se
ne promettono altre che non manterremo, e questo funziona perché è un gioco
chiaro a chi parla e a chi ascolta, è un tacito accordo per potersi dire addio
e far finta che sia un arrivederci. (130)
Gino Strada “Pappagalli verdi” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà,
scontato 5,20 euro)
[A: 24/07/2012 – I: 13/09/2012 – T: 14/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 157;
anno: 1998]
Deve essere un periodo in cui si
cercano gli altri, perché ecco, a poca distanza da Pincio (di cui parlerò in
altre trame), un altro libro nato da un suggerimento. E non ci si meraviglierà,
quindi, se ringrazio Roby per averlo messo nella sua lista “must”; d’altra
parte mi sembrava immancabile tra i suoi libri. Tra i miei, non so. È senza
dubbio un libro forte, ma perché il contenuto delle azioni di Emergency è
forte, a prescindere di quello che si dice e si fa. D’altro canto è anche un
libro in un certo senso “mancato”: non dice, non spiega Gino di sé stesso.
Forse non era questa l’intenzione, ma a me sarebbe piaciuto, ogni tanto,
qualche pensiero in più. Certo ci sono riflessioni, ma, almeno nel mio
immaginario, navigano più su quello che so che su quello che c’è scritto. E
questo non è un bel commento per un libro. D’altra parte, è anche un libro di
quindici anni fa, quando l’esperienza Emergency era agli inizi, e forse Gino
Strada aveva anche bisogno di scaricare sulla carta, aiutato e sorretto dai
tanti mentori che ha intorno, tutte le tensioni che si accumulano in un
mestiere difficile, pericoloso. Ma, per fortuna, necessario ed impagabile. In
maniera molto personale, lo accosto ai libri di pensieri e viaggi di Laterza.
Perché in realtà è un libro anch’esso di viaggi. Ogni capitolo, introdotto da
una cartina che situa la zona di cui si sta parlando, varia nei tanti luoghi di
guerra intorno al globo che Strada ha visitato e poi vissuto ed amato ed ivi
lavorato come “chirurgo di guerra” (questo anche il sotto titolo del libro).
Non sono quindi né viaggi da diporto, né viaggi della speranza. Ma sono
comunque viaggi, di un riparatore. Che così lo vedo. Sarebbe bello poter essere
anche un riparatore di torti, ma per questo ci vuole altro, e ci vuole altra
emergenza. Ad ora ripara corpi, quando è possibile. Ripara pezzi di vita,
girellando intorno a tutti quei punti che sorgono dalle cartine. Perù (belle le
pagine su Ayacucho e dolenti le domande su Sendero Luminoso), Cambogia (dove
tornano domande simili prima di scoprire le realtà diverse dei khmer rossi),
Etiopia, Kurdistan (perché è lì che opera, non Iran, non Iraq), Afghanistan,
Gibuti, Sarajevo, Pakistan. Almeno questi sono i luoghi che ricordo. E dove in
ogni capitolo Gino affonda sempre di più i coltelli nelle piaghe della guerra.
Come dice altrove, “Non sono un pacifista, sono contro la guerra”. Ed in giro
per questi viaggi (continuerò a chiamarli così, anche se sono più interventi
ospedalieri), ogni volta riesce a rinnovare l’orrore. Orrore per le mine
anti-uomo, che purtroppo il più delle volte sono anti-bambino, per le ferite
insensate inflitte a popoli inermi. Per le donne che partoriscono mentre la
città viene bombardata. Per i suoi infermieri che a volte muoiono anche loro.
Per la fortuna che bene o male ha avuto nel corso della sua vita: fare il
mestiere che si è in grado di fare, accordando cervello e cuore. E va bene
anche il modo disordinato di raccontare. Non siamo qui a vedere le bellezze di
Sulemania o Quetta, o Kabul o altre mille località toccate dai guasti della
follia umana. Siamo qui per soffrire empaticamente con i sofferenti. Noi che
non siamo medici, né chirurghi, né infermieri, facciamo quel che possiamo. Se
servisse, siamo pronti. Se non serve, almeno ogni anno diamo del nostro anche
ad Emergency, perché continui a fare quello che fa, e magari lo faccia meglio.
Dicevo, non è un romanzo, né tanto meno un saggio, è un libro in presa diretta
sulla realtà. E questo un po’ si sente nel modo di scrivere, nelle ripetizioni
di situazioni, che se non fossero orrende sarebbero troppo insistite. E pur
essendo di quindici anni fa, è sempre ben intriso d’amore. Per le sue donne:
Teresa, che purtroppo è mancata tre anni fa, e Cecilia, che ora ne ha preso il
posto alla guida di Emergency. Per il suo lavoro. Sperando che riesca sempre ed
ancora, con tutti i problemi, distinguo e contraddizioni a portarlo avanti.
Sperando di riuscire a sconfiggere quei pappagalli verdi, come in alcune zone
del mondo vengono chiamate le mine.
Anche se non domenica, i miei
assidui lettori sanno che “li tramo al dì di festa”. Non solo, dato che siamo
ad inizio mese, vi giro anche le letture, con voti, del mese di agosto. Con due
buoni spunti, il sempre interessante Barbero e il mio caro Auster, e due basse
riuscite, il troppo lodato Gramellini e l’ormai cotto Arbasino.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Massimo Carlotto
|
L’oscura immensità della morte
|
E/O
|
8
|
3
|
2
|
Erik Orsenna
|
Madame Bâ
|
Le livre de poche
|
8,40
|
3
|
3
|
Paul Auster
|
Uomo nel buio
|
Einaudi
|
s.p.
|
4
|
4
|
Pino Cacucci
|
San Isidro Futbòl
|
Feltrinelli
|
6,50
|
3
|
5
|
Massimo Gramellini
|
L’ultima riga delle favole
|
Longanesi
|
s.p.
|
1
|
6
|
Alessandro Barbero
|
Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano
|
Laterza
|
10,50
|
4
|
7
|
Tommaso Pincio
|
Hotel a zero stelle
|
Laterza
|
12
|
3
|
8
|
Qiu Xialong
|
Visto per Shanghai
|
Marsilio
|
12
|
3
|
9
|
Alberto Arbasino
|
La vita bassa
|
Adelphi
|
5,50
|
1
|
10
|
Valter Catoni
|
L’eterna lotta
|
Mondadori
|
4,90
|
2
|
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