martedì 25 dicembre 2012

Natale! - 25 dicembre 2012


Vi avevo promesso saggi, e saggi continuano, anche in questa giornata dal riposo obbligato. E saggi in tema, sia chiaro, che servono a fluidificare il pensiero. E magari a scambiarsi altre idee. Avevo cominciato con Carlo Maria Martini, una figura complessa che mi ha sempre incuriosito approfondire. Ma poi è scoppiata la bellezza delle parole di padre Arturo Paoli, cui rimando per brevità e chiarezza (e soprattutto a chi ha pratica di deserti). Chiudono questo Natale due libri combattivi: un buon De Luca su alcune figure femminili ed un libro che non mi è piaciuto di Paolo Flores.
Carlo Maria Martini “Il Discorso della Montagna” Mondadori euro 9,50
[A: 01/09/2012 – I: 10/09/2012 – T: 12/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 143; anno: 2006]
Incuriosito dalla figura del Cardinale Martini, ho trovato quest’occasione per approfondirne un aspetto, che tocca anche altre curiosità ed interessi. Pur conoscendone figura ed atteggiamenti, la cosa che più mi aveva colpito è stato quel ritirarsi a Gerusalemme, dopo aver (nei fatti o forse solo nel mio immaginario) rifiutato la possibile investitura papale. A motivo, credo, dell’incipiente malattia. E nelle pieghe del pensiero, mi venivano immagini della grande città, dei suoi grandi contrasti, e delle grandi sensazioni che sempre ne ho avuto in questi venti anni passati dalla prima visita, e scanditi da successivi e graditi ritorni. Ora che, come disse Giovanni Paolo II, “è tornato tra le braccia del Padre”, mi sono incuriosito nel saperne di più. Stimolato anche dall’interessante articolo di Vito Mancuso su “La Repubblica” (e su alcune risposte nella rubrica di Augias) dove si stigmatizzava il tentativo, precoce e solerte, di imbavagliare il pensiero del Cardinale in questa o quella trama del mare tranquillo. Così come si fece, ma con più tempo a disposizione, con Don Mazzolari, Don Milani, o il grande amico di mio padre, Padre Turoldo. Ma non mi interessa (e sicuramente non sono in grado di) entrare in queste querelle. Anche approfondendo il pensiero e gli scritti citati, non sarei in grado di parlarne con bricioli d’interesse maggiori degli articoli stessi. Mi sono invece imbattuto, casualmente certo, ma il caso è sempre frutto di una qualche volontà, in uno scritto esegetico di un passo evangelico. Riportante l’analisi che durante un ciclo di preghiere tenutosi poco tempo prima della morte, il Cardinale essendo già tornato in Italia, svolgeva sul tema del “Discorso della Montagna”. Il libricino è agile, ed anche ben congegnato. Inizia riproducendo il testo del discorso, così come viene dal Vangelo di Marco. Poi le analisi che ne fa il Cardinale. Chiudendo con alcune omelie successive al corso, ma ad esso coeve. Per ovvi motivi di capacità, non sono comunque in grado di entrare nel dettaglio delle cose dette, per confutarle, per approvarle, anche solo per darne riporto critico e analitico. Posso dire solo le sensazioni che hanno suscitato, andando a guardare, un poco defilato, la figura di un uomo, per altri versi celebrato. Si parla delle tesi politiche del Cardinale, di prese di posizione, caute ma ferme. Non so. Qui vorrei sottolineare una sensazione di calma e di pace che esce dalle sue parole scritte, e che ne rallegra la lettura. Pur affrontando un testo che viene considerato tra i più politici di tutti e quattro i Vangeli, ne fa una disamina talmente lucida e calzante, che ce lo presenta come testo vivo. Ne costruisce la genesi, notando come solo Marco ne riporti l’integrale aspetto, ove in altri si rimandano solo cenni. Ci fa vedere con poche e felici parole, l’uomo assiso sulle rive del Giordano, contornato dagli Apostoli, la folla a digradare la collina. Uomo che non sta dettando Leggi, che nella tradizione ebraica del tempo necessitano enfasi oratoria e portamento in piedi. Sta sottolineando, per i suoi, per quelli che hanno varcato la soglia e sono i suoi collaboratori nella costruzione del Regno, quali siano regole e doveri. Chi bisogna guardare. Da cosa farsi scudo. Cosa temere. L’analisi risulta forte e ben motivata. Sono i confratelli vicini che devono vigilare affinché siano privilegiati i poveri, gli affamati, coloro che hanno sete di giustizia. Una costruzione del discorso retoricamente stupenda, che Marco costruisce anch’essa come una salita ed una discesa, ponendo al culmine del monte, la preghiera cardine, il Padre Nostro. Il Cardinale Martini con poche parole e ben lucide, ogni volta riesce a descrivere ciò che vuole dire, ed a farlo capire. Sicuramente c’è ben altro, al di là della mia percezione e comprensione. Tuttavia è questo che mi ha colpito, e mi ha fatto riflettere. Una persona con una visione chiara e netta della sua vita e della sua missione. Mi aspetto che anche altri suoi scritti, magari “più politici” abbiano la stessa lucidità. Non ho interesse ora in questa direzione. Credo che le mie domande abbiano avuto una loro risposta. Ed una loro collocazione. Ritengo infine, che sia una lettura che distenda l’animo, permettendogli di affrontare altre e più dure prove.
“Non c’è pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono. E aggiungo: non c’è perdono senza un po’ di amore del nemico.” (100)
“L’amore si dimostra … quando occorre superare un ostacolo.” (134)
Arturo Paoli “La pazienza del nulla” Chiarelettere euro 8
[A: 16/09/2012 – I: 18/09/2012 – T: 20/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 111; anno: 2012]
Un libro entrato in sordina nella mia biblioteca, guidato da due parole: il nulla presente nel titolo, unito alla prima riga della quarta di copertina “Il deserto è la cornice del nulla”. Attirano come una calamita, tant’è che l'ho letto quasi subito. E subito si è imposto per altre qualità. Intanto quella dell’autore, don Arturo Paoli, che non conoscevo, e cui rendo già omaggio nella sua imminente festa: il 30 novembre di quest’anno compirà 100 anni. Una figura strana di prelato, nato in quel di Lucca, laureatosi in lettere e, pare, avviato alla carriera universitaria. Poi qualche accadimento privato (che non so e che non ci interessa), unito alla frequentazione di quel retto uomo che fu Giorgio La Pira, lo spingono verso il sacerdozio. Difficile, soprattutto nei primi anni, poi nella guerra, dove a lungo si prodiga per salvare ebrei dalla deportazione (tant’è che è stato insignito dell’onorificenza dei “Giusti di Israele”). Poi Roma, l’Azione Cattolica, gli scontri con Gedda, e quindi l’esilio verso missioni sudamericane. E sulla nave, l’incontro di svolta con uno dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld. Già altrove parlai di questo strano francese, prima tenente della guardia in missione marocchina, poi convertito e dedicatosi alla meditazione, al ritiro in un eremo vicino a Tamanrasset, e indi alla frequentazione ed all’aiuto verso gli algerini, e soprattutto i nomadi del deserto. Don Paoli decide di entrare nei Piccoli Fratelli. Vive la seconda metà degli anni Cinquanta in Algeria. Poi comincia a fondare piccole comunità di Fratelli e Sorelle di de Foucauld, tornando in Sud America. Argentina, Brasile ed infine Venezuela. Sempre dalla parte degli umili, sempre perseguitato dalle dittature sudamericane. Infine novantenne, ritornato nella lucchesia natia. Ho voluto parlare a lungo della sua figura, che queste pagine ne sono intrise e non sarebbero comprese senza questo volto che ci guarda dalle sue esperienze. Pagine di riflessioni, a volte lontane dal mio sentire. A volte molto e molto vicine. Intanto per quell’affetto innato che ho provato per i Piccoli Fratelli, quando andai a vedere l’ultimo eremo di de Foucauld in Algeria. Lì, su quel picco  a 2000 metri sopra il deserto. Quell’immagine, unite alle parole di don Paoli hanno riportato alla mente (ed anche sulla pelle) quelle sensazioni che solo il deserto dà, e solo chi ha vissuto il deserto può capire. Quel nulla pieno di tutto, cui abbandonare la testa perché possa andare di pensiero in pensiero, per ricollegarsi a sé, per tirar fuori motivazioni e voglie. Arturo Paoli estende questo nulla, ad altri nulla ed altri pensieri (soprattutto argentini) inizialmente un po’ fuorvianti per me. Ma la potente descrizione della figura della sua amica Nelly, non credente piena di curiosità, di empatia, poi “desaparacida”, rimane vibrante come grido di angoscia e di dolore verso tutta un’epoca che ancora non ha finito di scavare il suo dolore. Infine quell’altra immagine, quella delle carovane del deserto. Come non immedesimarsi nel guardare i cammelli partire, e noi con loro. E quel cammello, sciolto dai basti, che se ne va per le sabbie, solitario. Il beduino che lo lascia andare. Cammello che a sera torna, si riavvicina, con il cammelliere che non lo sgrida ma gli parla con voce calma. Bisogno di comunità. Che il giorno dopo, quel cammello sarà il primo a cercare il carico. E un altro si allontana. Girando nel cerchio della vita. Don Paoli mette tanto altro in questi suoi brevi commentari, altro che un po’ riporto a guisa di commento esso stesso, un po’ lascio lì, non avendo, non sapendo, non potendo interpretarlo più a fondo. Alla fine son ben contento di averlo letto, ed ora, a poca distanza dal commento sul “Discorso della Montagna” fatto dal cardinale Martini. Libri di riflessioni. Non al vertice massimo, che qua e là mi manca qualcosa, qualche sensazione. Ma sicuramente un suggerimento di lettura e pensamento.
“Solo lì [nel deserto], lontanissimi dalla mandria, si può rinascere come esseri coraggiosamente e personalmente pensanti.” (VIII)
“Tutte le persone che hanno voluto incontrare Dio veramente avevano sentito la necessità del deserto.” (5)
“Il deserto è il luogo dove non si è forzati a scegliere, non c’è nulla da scegliere, perché lì solo il tempo avviene.” (21)
“L’uguaglianza è già tradita quando è dono che viene dall’alto. … Gesù non ha predicato l’uguaglianza, si è fatto uguale.” (43)
“Nelly … era capace di vivere la relazione affettivamente senza possedere, cioè senza cercare di trattenere oltre il suo limite, la gioia che ogni forma d’amore genera, e senza rifiutare la tristezza che nasce quando l’amore ha superato il limite della gioia.” (47)
“Quando cade a pezzi il personaggio, non c’è bisogno di cercare l’umiltà, basta essere veri.” (72)
“Posso fare a meno dell’amico, ma non posso fare a meno dell’amicizia.” (74)
“Marx annotava nei suoi scritti giovanili che non è affatto facile lasciarsi amare.” (75)
“In ogni amore – quando è vero e non è una burla – deve potersi dire: ‘Se non ti avessi incontrato sarei vissuto lo stesso, ma ora non posso più vivere senza di te.’” (93)
Erri De Luca “Le sante dello scandalo” Giuntina euro 8,50
[A: 18/10/2012 – I: 23/10/2012 – T: 23/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 60; anno: 2011]
Questo sì un libro veloce, che si legge in un giorno da metropolitana. Ed un libro che merita un giudizio multiplo: per l’argomento, per lo svolgimento, per la scrittura. E non li ho messi a caso, ma in ordine di giudizio e piacere decrescente. L’argomento scelto è interessante e stimolante: presentare/narrare 5 figure femminili della Bibbia, laddove il Libro non è che poi sia tanto pieno di rimarchevoli figure del gentil sesso. E su di loro torneremo. Lo svolgimento, invece, comincia a non essere altrettanto né dirompente, né accattivante. Una volta scelto il tema, infatti, lo si svolge un po’ approssimativamente. Dei capitoletti dedicati ad ognuna delle cinque donne, qualche passaggio dotto. Un elzeviro in punta di penna nell’idea di dialogo tra Sant’Anna e Miriam, quasi un retaggio dell’altro libro, quello tutto dedicato alla Madre. Forse se ne potevano trarre spunti più articolati. Anche se piace la chiusa, che parla e si dedica ad altro, e ve la lascio tutta da scoprire. Infine, la scrittura risente alquanto del “deluchismo”. Quella tentazione di far sapere quanto si sa, con citazioni linguisticamente corrette, ma altamente illeggibili. Certo, Erri è un fine filologo, conoscitore (a quanto ne so) di ebraico et similia. E questa sua conoscenza è giustamente posta a spiegare fatti e situazioni che acquistano sensi altri, o più profondi o più intriganti, se ne seguiamo il percorso evolutivo. Ma lo fa con quel distacco che lo rende ai miei occhi troppo narciso per farmelo piacere. Qui dove avrebbe potuto essere scorrevole, si incarta sulle parole. E per fortuna il libro è veramente breve, tanto da poter sopportare questi passaggi narrativamente poco felici. Ma chi sono queste protagoniste? Sono cinque, come detto. Riprendiamo allora le parole dello scrittore. La prima si vestì da prostituta per offrirsi all’uomo desiderato. La seconda era prostituta di mestiere e tradì il suo popolo. La terza si infilò di notte sotto le coperte di un vedovo e si fece sposare. La quarta fu adultera, tradì il marito che venne fatto uccidere dal suo amante. L’ultima restò incinta prima delle nozze e il figlio non era dello sposo. Tutto nasce dall’elenco delle generazioni che da Abramo portano a Ieshu/Gesù. Quarantadue, come le tappe che portano gli ebrei dall’Egitto alla Terra Promessa. Ed in questo elenco, declinato al maschile, queste sono le sole cinque donne che compaiono. Tamar la Cananea, Rahav di Gerico, Rut la Moabita, Bat Sheva/Betsabea sposa prima di Uria l’ittita e poi del re David, infine Miriam la madre di Ieshu/Gesù. E sono interessanti le storie delle nostre cinque donne. Già sappiamo che, come linea generale, la donna non è che fosse in cima ai pensieri ed alle azioni dell’umanità in quei tempi. Serviva per lo più come riproduzione. Se poi avesse cervello, non si sa, né sembra fosse importante. La prima novità della Bibbia è stata anche quella di consentire ad alcune di queste donne di comparire all’aperto (certo 5 su 42 non è una percentuale esaltante). Si vede inoltre (purtroppo a volte si intuisce solo) che queste donne fanno delle scelte. Tamar e Rut perseguono il loro fine di conquistare il posto che spetta loro, anche travestendosi da donne perdute (unica alternativa per comparire come persona). Rahav (o meglio Raab come siamo abituati a conoscerla) prostituta lo è già, ma scegliendo la “vera religione”, fa un passo, decisivo, verso l’esterno del buco nero cui si inghiottivano le donne (lo stesso che farà Miriam di Magdàla circa 1500 anni dopo). Betsabea è forse quella meno consapevole (sembra) che soggiace alla passione del re David, e dopo peripezie ed inganni ed uccisioni, con lui genererà Salomone/Shlomò (che in arabo si dice Solimano, omonimo califfo dell’età tarda, autore di alcune delle più belle mosche turche). Non entro nel merito delle parti dedicate da De Luca a Miriam la madre di Ieshu, cui il nostro più di una pagina qui e altrove ha dedicato. Ripeto e chiudo: l’idea era (è) buona, anche se forse andava meglio specificata sul perché della scelta di tali “donne”. E non su altre (seppur poche)  che prima di Abramo, abbiamo Miriam la sorella di Mosè, ad esempio, ed altre che più dotti di me sanno. Rimane l’ambivalenza di De Luca tra buone idee e la sua forte personalità, che solo se tenuta a bada produce opere significative.
Paolo Flores D’Arcais “Gesù” Add editore euro 5 (in realtà, scontato 3,75 euro)
[A: 18/10/2012 – I: 24/10/2012 – T: 25/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 127; anno: 2011]
Pensavo decisamente meglio, anche se le mie riserve preventive sull’autore già mi avevano frenato al momento dell’acquisto. Perché ben conosco il buon Paolo, ed ho sempre pensato che fosse tropo intellettuale per i miei gusti. Non che ci sia a priori niente di riprovevole, ma, a volte, è il modo di esserlo che porta su strade a me veramente poco consone. Sempre grandi destino dei fratelli, che invece ricordo ancora i modi e gli scherzi con il di lui fratello Alberto. Ma torniamo, che si divaga. Insomma, già dalla confezione e dal titolo mi ero storto. Perché notavo anche nel sottotitolo (l’invenzione del Dio cristiano) un tentativo di colpire qualcosa, di fare un libro di rottura, di demolire, ed altre intellettuali costruzioni. Mi aspettavo invece un libro che fosse più rigorosamente filologico. Certo, non mi aspettavo un conoscitore delle costruzioni linguistiche alla De Luca, ma neanche un mero compilatore di tesi storiche, tese ad accumularsi per sostenere la propria tesi. Mi aspettavo, ripeto, una disamina del periodo storico, delle figure storiche, o comunque delle ipotesi sulla storicità degli avvenimenti, anche se non pensavo potesse e/o riuscisse ad entrare nel merito. Invece il nostro Flores parte in quarta sulla sua idea (che a priori non è neanche peregrina) della figura di questo predicatore ebreo, motore di vicende di una forza gigantesca, ma la cui forza si sarebbe poi mostrata grazie ai suoi “discepoli”. Anche se, e qui si apre un bel dibattito cui forse non sono ancora preparato, Flores indica con una buona dovizia di particolari la scissione che si ebbe nella seconda metà del primo secolo (scissione poi altamente mascherata) tra pietrini e paolini, tra coloro che preferivano/perseguivano la diffusione della fede all’interno della comunità ebraica (seguaci di Giacomo e Pietro), e coloro che spingevano per espandersi maggiormente al di fuori in vece di tale comunità (seguaci di Paolo). Ed elenca fonti e citazioni sul personaggio ebreo predicatore itinerante, messo a morte dai Romani in un momento incerto poco dopo quello che viene identificato con l’anno 30 d.C.. Ma la maggior parte degli sforzi dell’autore è dedicata, nella prima parte, ad una diatriba alla lontana con il Gesù del libro di Ratzinger, diatriba astiosa e di scarso costrutto. Che si spiega leggendo le note in prefazione, dove appunto la prima parte apparve come articolo proprio in quanto recensione del libro di Benedetto XVI. Poi continua per altrettante pagine sempre con quell’aria da saputello: Gesù era ebreo e non cristiano; Gesù non ha mai detto di essere il Messia; Gesù predicava la fine di un mondo (quello fariseo dell’ebraismo allora imperante) e la venuta di qualche altra cosa. Ma dette queste sentenze non le esplora, non entra nei dettagli. Si tiene lontano dai discorsi sulla fede (ed è ovvio nonché corretto). Continuando a rimestare tra le diatribe interne ai seguaci di Gesù. Insomma, alla fine, mi trovo a parlarne poco, che poco dice, e poco convince. Non amo i proclami, da qualsiasi parte vengano. E se mi dici qualcosa, mi devi anche convincere. Non riesco a crederti solo per il tuo (supposto) carisma. Meglio tornare a rileggere le ultime notizie di Ieshu scritte dal combattuto De Luca.
“La ricerca della verità storica può essere più forte dell’obbedienza dogmatica.” (8)
Ed ancora c’è chi già parte, e chi è partito, chi tra poco ritorna e chi è sempre presente anche quando non c’è. Ed infine, sentendo vere e mie le parole di don Paoli sull’amicizia, non posso che festeggiare gli amici che ci sono e quelli che ci saranno con un augurio di buone feste, un abbraccio

Nessun commento:

Posta un commento