sabato 8 dicembre 2012

Carlotto e il Gorilla - 02 dicembre 2012


Eh, sì! Una settimana massimamente dedicata a Massimo Carlotto ed alla sua scrittura. Ben tre suoi libri: l’ultimo dell’Alligatore (ed è anche l’ultimo che ho letto), un giallo “che pone problemi” (sulla pena da scontare) ed un noir, veramente noir (e veramente ben scritto). Nell’intermezzo anche l’ultima prova dell’ottimo Sandrone, con un Gorilla che anche lui (come tutti noi) cresce. E, forse, come tutti noi, non matura (ripensando a Battiato).
Massimo Carlotto “L’oscura immensità della morte” E/O euro 8 (in realtà, scontato a 6 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 31/07/2012 – T: 02/08/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 183; anno: 2004]
Un tipico romanzo di Carlotto, tipico per i caratteri e i sentimenti, anche se più cinico e disilluso dei grandi romanzi dell’Alligatore. Quelli (oltre alla persona Carlotto, conosciuta anni ed anni fa ad un dibattito alla libreria Odradek) furono i momenti che mi appassionarono alla sua scrittura disincantata e quindi realistica. E dopo le esperienze in carcere, queste sensazioni si sono approfondite e meglio delineate. Qui Carlotto usa una trama priva di fronzoli per porre una domanda secca e feroce (alla luce di tante vicende che ci hanno colpito negli ultimi decenni, la sua, Sofri, Battisti, tanto per citarne qualcuna): per concedere la grazia quanto è necessario il parere della vittima (o degli eredi della stessa)? Questa la domanda di fondo che s’intreccia sulla vicenda dei destini incrociati di Silvano e Raffaello. Il secondo, insieme ad ignoto complice, durante una rapina balorda, uccide la moglie e il figlio di otto anni del primo. Condannato all’ergastolo, dopo quindici anni di carcere discretamente duro (che non ha voluto fare il nome del complice fuggito con i soldi) scopre di avere il cancro e fa domanda di grazia per curarsi (e/o morire) fuori dal carcere. Questa domanda fa sì che la riordinata vita di Silvano venga sconvolta di nuovo. Gli viene chiesto il parere sulla grazia, e ciò fa in modo che lui ritorni a chiedersi chi sia Raffaello. E torni ad indagare sia sui motivi della richiesta (è vero pentimento? Silvano ben presto si accorge di no, che è solo un pretesto per uscire dal carcere, ritrovare il complice e fuggire in Brasile per morire sì, ma facendo la bella vita) sia sul famigerato complice sfuggito e sfuggente. Silvano piomba così in un delirio da giustiziere all’Alberto Sordi. Riesce a trovare il complice, ora sposato, pentito del passato da balordo, e gestore di un bar e di una lavanderia. S’insinua nella sua vita, la sconvolge, riesce a carpire i segreti del falso pentimento del bandito. E costruisce un immenso ed inaspettato piano di vendetta. Inaspettato perché il tizio ci sembra niente di che, invece riesce a mettere sul piatto un castello di cause ed effetti ben congeniato. Scrive una lettera di semi-perdono per dare parere positivo all’uscita dal carcere di Raffaello, si costruisce una seconda vita abbordando una bella signora, circuendola per costruirsi alibi, uccide in modo efferato il secondo complice e la moglie, e si presenta all’appuntamento con il carcerato in uscita, rivelandogli tutto e lasciandolo con un palmo di naso. Certo Silvano non ha fatto i conti con due cose: la sua coscienza e il commissario Valiani, che è molto insospettito dalla scomparsa dei due, che negli ultimi tempi erano stati visti frequentare Silvano. Ma la coscienza si può acquietare con una buona dosa di tranquillanti. Il commissario no. E nonostante tutte le precauzioni prese dal nostro giustiziere, Valiani riesce ad ipotizzare tutta una serie di prove indiziarie, che sembrano convergere su Silvano. Il bello della scrittura e dell’idea di Carlotto è il finale a sorpresa, che spiazza un po’ il lettore disattento, e fa riflettere sulle altre tematiche care a Carlotto. L’inutilità di un certo tipo di carcere repressivo e non rieducativo. La possibile o impossibile umanità delle persone. I sensi di colpa ed il modo di gestirli, dentro e fuori il carcere. Tornando a richiudersi sulla domanda iniziale. E sulla risposta che darei io. La giustizia non è un fatto privato. Io, gestore della giustizia, in base a delle considerazioni etiche sul comportamento delle persone, posso prendere delle decisioni che io, in quanto coinvolto, parte in causa della vicenda, non prenderei mai. Se qualcuno uccidesse una persona a me cara, sono ragionevolmente certo di non poterla perdonare, mai. Ma questo è il mio privato. Insomma, un romanzo discreto costruito su di una domanda interessante (discreto anche perché ci sono delle scivolate di truculenza che mi lasciano freddino).
Massimo Carlotto “Alla fine di un giorno noioso” E/O euro 9
[A: 30/05/2012 – I: 15/09/2012 – T: 18/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 177; anno: 2009]
Volete leggere un nero veramente nero? Siete nel posto giusto. Non siamo più dai lati consolatori e scanzonati dell’Alligatore (speriamo che ritorni prima o poi). Non siamo nelle ricordanze delle fughe e delle latitanze (e queste speriamo non tornino mai). Ritorna invece il personaggio del cattivo di 10 anni fa. Quel Giorgio Pellegrini che, in “Arrivederci, amore ciao”, ne faceva di cotte e di crude. Lasciando amaro e scontentezza. Ora, se vogliamo, il personaggio è forse più crudele. Ma siamo noi, “carichi d’anni e d’avventura”, che forse ci scandalizziamo di meno. Trovandosi a leggere un romanzo in cui sono riuscito a non immedesimarmi in nessun personaggio (e non è facile). Massimo ci fa rimanere esterni, guarda con occhio da entomologo in un mondo che pure ben conosce. E vediamo cattiverie e lotte senza quartiere, ma sono riuscito a vederle come pura espressione di un mondo, in cui non mi ci ritrovo. E che spero finisca nell’implodere su se stesso. Dalla canzone di Caterina Caselli, passiamo (anche se non esplicitamente) ad un ritornello di Lucio Battisti (“donna tu sei mia”). Pellegrini si è riciclato nel sottobosco della politica. Ha aperto un ristorante. Si affida ad un politicante per la gestione dei soldi in surplus, fornendogli base per traffici e appalti, nonché escort di lusso, ed altri “favori”. Ha una moglie che sottomette e soggioga completamente alla sua volontà (e non si capisce cosa ci trovi Martina in lui). Qualche scopata di contorno, ed un’amante ancora più sottomessa e disponibile della moglie. Questo mondo viene mandato in pezzi, quando Pellegrini si rende conto che il politico lo sta fregando. Prima sottraendogli 2 milioni di euro. E poi vendendolo alla mafia calabrese che sta cercando di esportare nel Veneto quanto accumulato dai loschi traffici lombardi (qui Carlotto riprende in tono romanzato quanto Saviano ci fa toccare con mano nelle sue inchieste sulle infiltrazioni mafiose al Nord). Ed allora scatta la molla della vendetta. Che non si arresta di fronte a niente ed a nessuno. Utilizza prostitute, ex-mafiosi russi, militanti allo sbando di rivoluzioni africane, loschi albanesi. Uccide, tortura, sacrifica amici ed amori sull’altare della costruzione di una vendetta articolata, che alla fine lo vede trionfare su molti fronti. Ci saranno morti sul campo, ma Pellegrini non ne ha alcuna sensibilità. Sarà un quasi trionfo. Tornerà a gestire il ristorante. Si disfa del giro delle escort, ormai troppo sputtanato. Taglia i ponti con russi ed albanesi. Riesce a scatenare i carabinieri verso i calabresi. Ed a sconfiggerli. Non vincerà sul fronte politico, perché l’onorevole, benché bastonato e rimesso in riga, ha troppe alleanze dietro la schiena. Tuttavia per il nostro cattivone va bene così. Quasi tutti quelli più malvagi di lui pagano il fio. Ma Carlotto è troppo ben conoscitore del mondo reale, per sapere che i “buoni” non vinceranno mai. Ed anche se il nostro non è il buono della situazione, non potrà che avere vittorie parziali. Rimane, pervasa per tutte le quasi 200 pagine del libro, quella cattiveria di cui sopra. Quel modo sprezzante dei protagonisti di trattare le donne (bene o male tutte puttane). Quel modo irritante di trattare i rapporti umani, tutti sul tono a chi frega o ruba di più e meglio. Ma forse è proprio questo che ci vuole comunicare Massimo: la cattiveria attuale e l’impossibilità di uscirne. E lo dipinge con bravura. Tanto che ritengo uno dei migliori libri che ho letto nell’ultimo periodo. Un libro di cui non sottoscriverei neanche un passaggio, ma che è ben scritto e raggiunge lo scopo per cui è stato confezionato. Sempre e comunque laudi allo scrittore. Anche se ormai, nelle note biografiche, scompaiono quei tratti che ne avevano in un certo senso favorito i primi passi. Ma ormai è uno scrittore a tutto tondo, e per quello va ricordato e giudicato.
Sandrone Dazieri “La bellezza è un malinteso” Mondadori euro 9,50 (in realtà scontato 7,13 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 01/10/2012 – T: 04/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 279; anno: 2012]
Una nuova (l’ultima?) avventura del Gorilla. Non credo di dire cose nuove, quando confermo che: 1. Dazieri mi piace come scrive; 2. Il Gorilla e il Socio li trovo una buona invenzione letteraria, che unisce una serie di elementi positivi per le storie (un eroe spaccato in due risulta sicuramente più umanamente concepibile, ed altre amenità); 3. Me lo immagino sempre con la faccia di Claudio Bisio, anche se il film che ne hanno tratto non mi è sembrato particolarmente riuscito. Detto questo, la storia ha qualche elemento interessante, e, purtroppo, anche qualche elemento di stanchezza. Bellissima l’invenzione del titolo come proveniente da un’opera di Damien Hirst (non vi dico l’opera, ricordo solo che Hirst è l’autore di “The Skull”, un teschio tempestato di diamanti, ed altre opere …). E degna di nota la trama ed il susseguirsi degli eventi. Un filo logico che parte, si svolge ed ha una fine. Senza perdersi nel frattempo. Uno svolgimento che ultimamente si perde in molte opere, anche ritenute di livello. Le parti meno in linea con le aspettative sono quelle dove Sandrone-Gorilla denuncia un po’ di stanchezza, quasi che si sia stancato di fare/essere il Gorilla. È sposato, e questo crea ansie e nuove aspettative (chissà se un giorno vedremo la comparsa di un piccolo “gorillino”?). Il Socio è sempre più marginalizzato nelle operazioni (fa solo il “lavoro sporco”), e, contrariamente a tutte le altre prove, lo vediamo in azione anche in soggettiva (prima ne conoscevamo le azioni solo a posteriori). Quasi, appunto, che ci sia all’orizzonte una scissione definitiva, un recupero dell’integrità psicoanalitica del personaggio. Non so, ma queste parti sono più deboli. Mentre nel complesso la storia regge, e regge bene. Sandrone è ormai una specie di perito per le Assicurazioni, anche se sempre border line con le attività da investigatore privato che aveva prima. Durante una ricerca per dei piccoli furti, il possibile colpevole si getta sotto la Metro. Questo crea un comprensibile shock in Sandrone, che comincia a sentire sensi di colpa a tutto tondo. E nonostante sia sconsigliato, comincia ad indagare. Certo, viene aiutato ad un certo punto dall’intervento di un’imprecisata Betty, che gli mette pulci nell’orecchio dopo avergli mostrato il video della metro, in cui il suicida, prima del salto, parla con una ragazza. Da lì parte un grosso filone d’indagine, che porta a molte complicazioni, ed a molti colpi di scena. Con pazienza il Gorilla collega questi furti, ed il suicidio del ladruncolo, con la morte della madre della ragazza del video, con la storia della ragazza stessa e del suo internamento in un ospedale psichiatrico, alla rapina in una villa dell’hinterland milanese, al furto di un’opera d’arte di Hirst (quella di cui sopra), con le vicende di una piccola televisione privata, di un televenditore di patacche, per arrivare ad un collettivo di donne tese all’aiuto di altre donne messe in pericolo da maschi violenti e sopraffattori. Dove si ritrova con la Betty di cui sopra. Dove scopre la vera storia della ragazza Elena. Il tutto inseguito, almeno da metà libro in poi, da personaggi che vogliono la sua testa (e quella della moglie) e che scopriamo (ma questo è molto facile) facciano parte di reparti speciali della polizia. Alla fine tutto (o quasi) si risolve per il meglio (almeno per Sandrone e sua moglie Olga), ognuno ricevendo il corrispettivo di quanto ha investito (cattiveria verso cattiveria, bontà verso bontà). Sandrone non rinuncia (e noi con lui) alla denuncia di situazioni non ortodosse: i cattivi soggetti che possono esserci (anche) nelle forze dell’ordine, la violenza sulle donne, la violenza sui minori, il rapporto tra medicina tradizionale e non (dove anche noi siamo concordi nell’essere più importante curare che altre sovrastrutture). Come detto non è sempre bilanciato, ma è sempre piacevole, non ti staccheresti più dalla pagina. E non è commento da poco.
Massimo Carlotto “L’amore del bandito” E/O euro 9,50
[A: 13/05/2012 – I: 12/10/2012 – T: 14/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 189; anno: 2009]
Stava quasi per aver il massimo dei voti. Una storia interessante, ben scritta, situazioni che stimolano riflessioni su persone e cose, il ritorno di Marco Buratti detto l’Alligatore. Tante buone frecce, che sono ben tirate dall’arco di Carlotto. C’è solo quel qualcosa che non mi convince e che lascia alla fine il libro tra quelli belli e degni di essere letti. Non tra i Top assoluti della mia personale catena di lettura (facile analogia visto che leggere è cibo per la mia mente). Allora, come auspico nella precedente trama di Carlotto, torna a muoversi tra le pagine l’Alligatore. Anche se, come tutti, anche per Marco gli anni passano, e lo scanzonato affrontare la vita lascia il passo a più meditate azioni. Per lui, ma anche per i suoi sodali storici: Max la Memoria, il mago degli archivi, e Beniamino Rossini, il bandito d’onore. Max ormai sempre più intorno ai suoi fornelli. Beniamino ritiratosi a Punta Sabbioni con il suo grande amore Sylvie. E Marco, lasciato dalla sua compagna storica Virna, galleggia tra Calvados ed il locale che ha tirato su, per bere bene ed ascoltare il suo amato blues. In questo quadretto pre-pensionistico, arriva la tempesta a sconvolgere la vita. Rapiscono Sylvie, con la minaccia di ucciderla se i tre non si dedicano alla ricerca degli autori di un misterioso furto di droga presso dei locali della Narcotici. Su questa trama gialla, Massimo ha la capacità di innestare sapientemente alcune descrizioni ed analisi dei mutamenti della malavita nel Nord-Est (ricordiamo ancora il buon libro sempre di Carlotto e Marco Videtta). Ambienti fuori della legalità, dove all’inizio tentarono di installarsi i maghrebini. Ma questi erano ancora ladri gentili, solo troppo legati al commercio di fumo non legale, e sicuramente poco propensi all’uso smodato delle armi. Con l’apertura delle frontiere ad Est, a poco a poco, sono arrivati gli slavi, e soprattutto i serbi reduci dai massacri della guerra civile nell’ex-Jugoslavia. Personaggi che pensano e sparano, e che alle spalle hanno tutto quel castello di tresche ed intrighi in cui sono sopravvissuti in patria per decenni. E lo sfruttano, prendendo in breve tempo il sopravvento. Ora minacciati da una nuova ondata, quella dei kosovari. Degli slavi con pericolose propaggini albanesi. Dove questi non pensano più. Ed all’inizio vengono anche aiutati da forze dell’ordine poco lungimiranti, in versione anti-serba. Ma tutto sfuggirà di mano. E non potrà essere che così. I nostri all’inizio cercano di starne fuori (prima di Sylvie) che Marco si è sempre rifiutato di farsi coinvolgere nelle storie di droga. Ma poi si deve salvare la bella. E mettono in piazza tutte le loro capacità, tutti i loro contatti. Mettono anche in pericolo le loro vite, tanto che, dopo aver recuperato Sylvie, devono sparire. Marco si rifugia in Svizzera. Max a Fratta Polesine. Beniamino in Libano. Ma le torture, non solo psicologiche, su Sylvie, hanno lasciato pesanti segni. Che si devono rimarginare. Ed in un lasso di tempo di cinque anni (tanto si spande il romanzo), i tre arrivano a sgominare il massimo dello sgominabile, ed a poter tornare alla luce. Allora dove stanno i punti oscuri? Nella fine, signori miei. Che Carlotto, ad un certo punto, decide di lasciare aperte troppe strade. Come se non si prefigurasse un romanzo, ma già una nuova puntata della serie. E questo non si fa. Non perché non si possano lasciare porte aperte. Ma il sano procedere di un romanzo giallo impone di chiudere la vicenda centrale, ed eventualmente marginalizzare le successive aperture. Così come nelle prime avventure del Commissario Laurenti di Heinichen. Così come, invece, non ha fatto la Cornwell per cinque - sei romanzi di Kay Scarpetta. Finiamo allora con una nota positiva. Dopo aver ribadito che mi piace il modo di presentare l’avanzata della malavita nel tessuto sociale (fa riflettere, e spero che qualche seme germogli qua e là, magari unendo questi divertissement con le analisi di Saviano), abbiamo la speranza che l’Alligatore ed il suo calvados ci facciano ancora compagnia.
Prima trama del mese, e grande messe di titoli settembrini, storicamente tra i più dediti alla lettura. Benché ci siano due prove veramente poco gradite, il mese mi ha visto leggere e gustare alcune punte veramente grandi ed intense: Genovesi e la Versilia, Carlotto (di cui ho appena parlato), Martini e Paoli (di cui parlerà presto), ma soprattutto un grande James Hillmann che mi ha fatto riflettere (e poi se ne parlerà presto), sull’attuale parte della vita mia e di molti miei amici.
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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Massimo Siviero
Caponapoli
Mondadori
4,90
1
2
Matilde Asensi
L’origine perduta
BUR
10,90
3
3
Fabio Genovesi
Morte dei Marmi
Laterza
12
4
4
Isabel Valadão
Loanda
11-17
8
3
5
Francesco Guccini
Dizionario delle cose perdute
Mondadori
10
3
6
Maj Sjowall & Per Wahloo
Terroristi
Sellerio
15
3
7
Carlo Maria Martini
Il Discorso della Montagna
Mondadori
9,50
4
8
Yasmina Khadra
Ce que le jour doit à la nuit
Pocket
8,75
3
9
Gino Strada
Pappagalli verdi
Feltrinelli
6,50
3
10
Marco Vichi
Una brutta faccenda
TEA
8,60
3
11
Valerio Varesi
Le ombre di Montelupo
Sperling
9,50
3
12
Massimo Carlotto
Alla fine di un giorno noioso
E/O
9
4
13
Arturo Paoli
La pazienza del nulla
Chiarelettere
8
4
14
James Hillman
La forza del carattere
Adelphi
12
5
15
Amitav Ghosh
Mare di papaveri
Beat
9
3
16
Marcello Simoni
Il mercante di libri maledetti
Newton Compton
9,90
1
17
Cristiano Cavina
Romagna mia!
Laterza
12
3
18
Maxence Fermine
Amazone
Le livre de poche
6,15
3
19
Viola Di Grado
Settanta acrilico Trenta lana
E/O
9
2
20
Håkan Nesser
Il ragazzo che sognava Kim Novak
Guanda
11
3
21
Annamaria Fassio
Terra bruciata
Mondadori
4,90
3
Chiudiamo riprendendo le ultime frasi buttate là, facendo ancora tanti auguri al mio amico Carlo. Prepariamoci allo sprint finale di questo intenso 2012: ci saranno compleanni importanti, ci sarà il Natale, ci sarà la fine del mondo Maya, ci sarà la fine di questo contratto ormai solo foriero di stanchezza.

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