Eh, sì! Una settimana
massimamente dedicata a Massimo Carlotto ed alla sua scrittura. Ben tre suoi
libri: l’ultimo dell’Alligatore (ed è anche l’ultimo che ho letto), un giallo
“che pone problemi” (sulla pena da scontare) ed un noir, veramente noir (e
veramente ben scritto). Nell’intermezzo anche l’ultima prova dell’ottimo
Sandrone, con un Gorilla che anche lui (come tutti noi) cresce. E, forse, come
tutti noi, non matura (ripensando a Battiato).
Massimo Carlotto “L’oscura immensità della morte” E/O euro 8 (in
realtà, scontato a 6 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 31/07/2012 – T: 02/08/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 183;
anno: 2004]
Un tipico romanzo di Carlotto,
tipico per i caratteri e i sentimenti, anche se più cinico e disilluso dei
grandi romanzi dell’Alligatore. Quelli (oltre alla persona Carlotto, conosciuta
anni ed anni fa ad un dibattito alla libreria Odradek) furono i momenti che mi
appassionarono alla sua scrittura disincantata e quindi realistica. E dopo le
esperienze in carcere, queste sensazioni si sono approfondite e meglio
delineate. Qui Carlotto usa una trama priva di fronzoli per porre una domanda
secca e feroce (alla luce di tante vicende che ci hanno colpito negli ultimi
decenni, la sua, Sofri, Battisti, tanto per citarne qualcuna): per concedere la
grazia quanto è necessario il parere della vittima (o degli eredi della
stessa)? Questa la domanda di fondo che s’intreccia sulla vicenda dei destini
incrociati di Silvano e Raffaello. Il secondo, insieme ad ignoto complice,
durante una rapina balorda, uccide la moglie e il figlio di otto anni del
primo. Condannato all’ergastolo, dopo quindici anni di carcere discretamente
duro (che non ha voluto fare il nome del complice fuggito con i soldi) scopre
di avere il cancro e fa domanda di grazia per curarsi (e/o morire) fuori dal
carcere. Questa domanda fa sì che la riordinata vita di Silvano venga sconvolta
di nuovo. Gli viene chiesto il parere sulla grazia, e ciò fa in modo che lui
ritorni a chiedersi chi sia Raffaello. E torni ad indagare sia sui motivi della
richiesta (è vero pentimento? Silvano ben presto si accorge di no, che è solo
un pretesto per uscire dal carcere, ritrovare il complice e fuggire in Brasile
per morire sì, ma facendo la bella vita) sia sul famigerato complice sfuggito e
sfuggente. Silvano piomba così in un delirio da giustiziere all’Alberto Sordi.
Riesce a trovare il complice, ora sposato, pentito del passato da balordo, e
gestore di un bar e di una lavanderia. S’insinua nella sua vita, la sconvolge,
riesce a carpire i segreti del falso pentimento del bandito. E costruisce un
immenso ed inaspettato piano di vendetta. Inaspettato perché il tizio ci sembra
niente di che, invece riesce a mettere sul piatto un castello di cause ed
effetti ben congeniato. Scrive una lettera di semi-perdono per dare parere
positivo all’uscita dal carcere di Raffaello, si costruisce una seconda vita
abbordando una bella signora, circuendola per costruirsi alibi, uccide in modo
efferato il secondo complice e la moglie, e si presenta all’appuntamento con il
carcerato in uscita, rivelandogli tutto e lasciandolo con un palmo di naso.
Certo Silvano non ha fatto i conti con due cose: la sua coscienza e il
commissario Valiani, che è molto insospettito dalla scomparsa dei due, che
negli ultimi tempi erano stati visti frequentare Silvano. Ma la coscienza si
può acquietare con una buona dosa di tranquillanti. Il commissario no. E
nonostante tutte le precauzioni prese dal nostro giustiziere, Valiani riesce ad
ipotizzare tutta una serie di prove indiziarie, che sembrano convergere su
Silvano. Il bello della scrittura e dell’idea di Carlotto è il finale a
sorpresa, che spiazza un po’ il lettore disattento, e fa riflettere sulle altre
tematiche care a Carlotto. L’inutilità di un certo tipo di carcere repressivo e
non rieducativo. La possibile o impossibile umanità delle persone. I sensi di
colpa ed il modo di gestirli, dentro e fuori il carcere. Tornando a richiudersi
sulla domanda iniziale. E sulla risposta che darei io. La giustizia non è un
fatto privato. Io, gestore della giustizia, in base a delle considerazioni
etiche sul comportamento delle persone, posso prendere delle decisioni che io,
in quanto coinvolto, parte in causa della vicenda, non prenderei mai. Se
qualcuno uccidesse una persona a me cara, sono ragionevolmente certo di non
poterla perdonare, mai. Ma questo è il mio privato. Insomma, un romanzo
discreto costruito su di una domanda interessante (discreto anche perché ci
sono delle scivolate di truculenza che mi lasciano freddino).
Massimo Carlotto “Alla fine di un giorno noioso” E/O euro 9
[A: 30/05/2012 – I: 15/09/2012 – T: 18/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 177;
anno: 2009]
Volete leggere un nero veramente
nero? Siete nel posto giusto. Non siamo più dai lati consolatori e scanzonati dell’Alligatore
(speriamo che ritorni prima o poi). Non siamo nelle ricordanze delle fughe e
delle latitanze (e queste speriamo non tornino mai). Ritorna invece il
personaggio del cattivo di 10 anni fa. Quel Giorgio Pellegrini che, in
“Arrivederci, amore ciao”, ne faceva di cotte e di crude. Lasciando amaro e
scontentezza. Ora, se vogliamo, il personaggio è forse più crudele. Ma siamo
noi, “carichi d’anni e d’avventura”, che forse ci scandalizziamo di meno.
Trovandosi a leggere un romanzo in cui sono riuscito a non immedesimarmi in
nessun personaggio (e non è facile). Massimo ci fa rimanere esterni, guarda con
occhio da entomologo in un mondo che pure ben conosce. E vediamo cattiverie e
lotte senza quartiere, ma sono riuscito a vederle come pura espressione di un
mondo, in cui non mi ci ritrovo. E che spero finisca nell’implodere su se
stesso. Dalla canzone di Caterina Caselli, passiamo (anche se non esplicitamente)
ad un ritornello di Lucio Battisti (“donna tu sei mia”). Pellegrini si è
riciclato nel sottobosco della politica. Ha aperto un ristorante. Si affida ad
un politicante per la gestione dei soldi in surplus, fornendogli base per
traffici e appalti, nonché escort di lusso, ed altri “favori”. Ha una moglie
che sottomette e soggioga completamente alla sua volontà (e non si capisce cosa
ci trovi Martina in lui). Qualche scopata di contorno, ed un’amante ancora più
sottomessa e disponibile della moglie. Questo mondo viene mandato in pezzi,
quando Pellegrini si rende conto che il politico lo sta fregando. Prima
sottraendogli 2 milioni di euro. E poi vendendolo alla mafia calabrese che sta
cercando di esportare nel Veneto quanto accumulato dai loschi traffici lombardi
(qui Carlotto riprende in tono romanzato quanto Saviano ci fa toccare con mano
nelle sue inchieste sulle infiltrazioni mafiose al Nord). Ed allora scatta la
molla della vendetta. Che non si arresta di fronte a niente ed a nessuno.
Utilizza prostitute, ex-mafiosi russi, militanti allo sbando di rivoluzioni
africane, loschi albanesi. Uccide, tortura, sacrifica amici ed amori
sull’altare della costruzione di una vendetta articolata, che alla fine lo vede
trionfare su molti fronti. Ci saranno morti sul campo, ma Pellegrini non ne ha
alcuna sensibilità. Sarà un quasi trionfo. Tornerà a gestire il ristorante. Si
disfa del giro delle escort, ormai troppo sputtanato. Taglia i ponti con russi
ed albanesi. Riesce a scatenare i carabinieri verso i calabresi. Ed a sconfiggerli.
Non vincerà sul fronte politico, perché l’onorevole, benché bastonato e rimesso
in riga, ha troppe alleanze dietro la schiena. Tuttavia per il nostro cattivone
va bene così. Quasi tutti quelli più malvagi di lui pagano il fio. Ma Carlotto
è troppo ben conoscitore del mondo reale, per sapere che i “buoni” non
vinceranno mai. Ed anche se il nostro non è il buono della situazione, non
potrà che avere vittorie parziali. Rimane, pervasa per tutte le quasi 200
pagine del libro, quella cattiveria di cui sopra. Quel modo sprezzante dei
protagonisti di trattare le donne (bene o male tutte puttane). Quel modo
irritante di trattare i rapporti umani, tutti sul tono a chi frega o ruba di
più e meglio. Ma forse è proprio questo che ci vuole comunicare Massimo: la
cattiveria attuale e l’impossibilità di uscirne. E lo dipinge con bravura.
Tanto che ritengo uno dei migliori libri che ho letto nell’ultimo periodo. Un
libro di cui non sottoscriverei neanche un passaggio, ma che è ben scritto e
raggiunge lo scopo per cui è stato confezionato. Sempre e comunque laudi allo
scrittore. Anche se ormai, nelle note biografiche, scompaiono quei tratti che
ne avevano in un certo senso favorito i primi passi. Ma ormai è uno scrittore a
tutto tondo, e per quello va ricordato e giudicato.
Sandrone Dazieri “La bellezza è un malinteso” Mondadori euro 9,50 (in
realtà scontato 7,13 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 01/10/2012 – T: 04/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 279;
anno: 2012]
Una nuova (l’ultima?) avventura
del Gorilla. Non credo di dire cose nuove, quando confermo che: 1. Dazieri mi
piace come scrive; 2. Il Gorilla e il Socio li trovo una buona invenzione letteraria,
che unisce una serie di elementi positivi per le storie (un eroe spaccato in
due risulta sicuramente più umanamente concepibile, ed altre amenità); 3. Me lo
immagino sempre con la faccia di Claudio Bisio, anche se il film che ne hanno
tratto non mi è sembrato particolarmente riuscito. Detto questo, la storia ha
qualche elemento interessante, e, purtroppo, anche qualche elemento di
stanchezza. Bellissima l’invenzione del titolo come proveniente da un’opera di
Damien Hirst (non vi dico l’opera, ricordo solo che Hirst è l’autore di “The
Skull”, un teschio tempestato di diamanti, ed altre opere …). E degna di nota
la trama ed il susseguirsi degli eventi. Un filo logico che parte, si svolge ed
ha una fine. Senza perdersi nel frattempo. Uno svolgimento che ultimamente si
perde in molte opere, anche ritenute di livello. Le parti meno in linea con le
aspettative sono quelle dove Sandrone-Gorilla denuncia un po’ di stanchezza,
quasi che si sia stancato di fare/essere il Gorilla. È sposato, e questo crea
ansie e nuove aspettative (chissà se un giorno vedremo la comparsa di un
piccolo “gorillino”?). Il Socio è sempre più marginalizzato nelle operazioni
(fa solo il “lavoro sporco”), e, contrariamente a tutte le altre prove, lo vediamo
in azione anche in soggettiva (prima ne conoscevamo le azioni solo a
posteriori). Quasi, appunto, che ci sia all’orizzonte una scissione definitiva,
un recupero dell’integrità psicoanalitica del personaggio. Non so, ma queste
parti sono più deboli. Mentre nel complesso la storia regge, e regge bene.
Sandrone è ormai una specie di perito per le Assicurazioni, anche se sempre
border line con le attività da investigatore privato che aveva prima. Durante
una ricerca per dei piccoli furti, il possibile colpevole si getta sotto la
Metro. Questo crea un comprensibile shock in Sandrone, che comincia a sentire
sensi di colpa a tutto tondo. E nonostante sia sconsigliato, comincia ad
indagare. Certo, viene aiutato ad un certo punto dall’intervento di
un’imprecisata Betty, che gli mette pulci nell’orecchio dopo avergli mostrato
il video della metro, in cui il suicida, prima del salto, parla con una
ragazza. Da lì parte un grosso filone d’indagine, che porta a molte
complicazioni, ed a molti colpi di scena. Con pazienza il Gorilla collega
questi furti, ed il suicidio del ladruncolo, con la morte della madre della
ragazza del video, con la storia della ragazza stessa e del suo internamento in
un ospedale psichiatrico, alla rapina in una villa dell’hinterland milanese, al
furto di un’opera d’arte di Hirst (quella di cui sopra), con le vicende di una
piccola televisione privata, di un televenditore di patacche, per arrivare ad
un collettivo di donne tese all’aiuto di altre donne messe in pericolo da maschi
violenti e sopraffattori. Dove si ritrova con la Betty di cui sopra. Dove
scopre la vera storia della ragazza Elena. Il tutto inseguito, almeno da metà
libro in poi, da personaggi che vogliono la sua testa (e quella della moglie) e
che scopriamo (ma questo è molto facile) facciano parte di reparti speciali
della polizia. Alla fine tutto (o quasi) si risolve per il meglio (almeno per
Sandrone e sua moglie Olga), ognuno ricevendo il corrispettivo di quanto ha
investito (cattiveria verso cattiveria, bontà verso bontà). Sandrone non
rinuncia (e noi con lui) alla denuncia di situazioni non ortodosse: i cattivi
soggetti che possono esserci (anche) nelle forze dell’ordine, la violenza sulle
donne, la violenza sui minori, il rapporto tra medicina tradizionale e non
(dove anche noi siamo concordi nell’essere più importante curare che altre
sovrastrutture). Come detto non è sempre bilanciato, ma è sempre piacevole, non
ti staccheresti più dalla pagina. E non è commento da poco.
Massimo Carlotto “L’amore del bandito” E/O euro 9,50
[A: 13/05/2012 – I: 12/10/2012 – T: 14/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 189;
anno: 2009]
Stava quasi per aver il massimo
dei voti. Una storia interessante, ben scritta, situazioni che stimolano
riflessioni su persone e cose, il ritorno di Marco Buratti detto l’Alligatore.
Tante buone frecce, che sono ben tirate dall’arco di Carlotto. C’è solo quel
qualcosa che non mi convince e che lascia alla fine il libro tra quelli belli e
degni di essere letti. Non tra i Top assoluti della mia personale catena di
lettura (facile analogia visto che leggere è cibo per la mia mente). Allora,
come auspico nella precedente trama di Carlotto, torna a muoversi tra le pagine
l’Alligatore. Anche se, come tutti, anche per Marco gli anni passano, e lo
scanzonato affrontare la vita lascia il passo a più meditate azioni. Per lui,
ma anche per i suoi sodali storici: Max la Memoria, il mago degli archivi, e
Beniamino Rossini, il bandito d’onore. Max ormai sempre più intorno ai suoi
fornelli. Beniamino ritiratosi a Punta Sabbioni con il suo grande amore Sylvie.
E Marco, lasciato dalla sua compagna storica Virna, galleggia tra Calvados ed
il locale che ha tirato su, per bere bene ed ascoltare il suo amato blues. In
questo quadretto pre-pensionistico, arriva la tempesta a sconvolgere la vita.
Rapiscono Sylvie, con la minaccia di ucciderla se i tre non si dedicano alla
ricerca degli autori di un misterioso furto di droga presso dei locali della
Narcotici. Su questa trama gialla, Massimo ha la capacità di innestare
sapientemente alcune descrizioni ed analisi dei mutamenti della malavita nel
Nord-Est (ricordiamo ancora il buon libro sempre di Carlotto e Marco Videtta).
Ambienti fuori della legalità, dove all’inizio tentarono di installarsi i
maghrebini. Ma questi erano ancora ladri gentili, solo troppo legati al
commercio di fumo non legale, e sicuramente poco propensi all’uso smodato delle
armi. Con l’apertura delle frontiere ad Est, a poco a poco, sono arrivati gli
slavi, e soprattutto i serbi reduci dai massacri della guerra civile
nell’ex-Jugoslavia. Personaggi che pensano e sparano, e che alle spalle hanno
tutto quel castello di tresche ed intrighi in cui sono sopravvissuti in patria
per decenni. E lo sfruttano, prendendo in breve tempo il sopravvento. Ora
minacciati da una nuova ondata, quella dei kosovari. Degli slavi con pericolose
propaggini albanesi. Dove questi non pensano più. Ed all’inizio vengono anche
aiutati da forze dell’ordine poco lungimiranti, in versione anti-serba. Ma
tutto sfuggirà di mano. E non potrà essere che così. I nostri all’inizio cercano
di starne fuori (prima di Sylvie) che Marco si è sempre rifiutato di farsi
coinvolgere nelle storie di droga. Ma poi si deve salvare la bella. E mettono
in piazza tutte le loro capacità, tutti i loro contatti. Mettono anche in
pericolo le loro vite, tanto che, dopo aver recuperato Sylvie, devono sparire.
Marco si rifugia in Svizzera. Max a Fratta Polesine. Beniamino in Libano. Ma le
torture, non solo psicologiche, su Sylvie, hanno lasciato pesanti segni. Che si
devono rimarginare. Ed in un lasso di tempo di cinque anni (tanto si spande il
romanzo), i tre arrivano a sgominare il massimo dello sgominabile, ed a poter
tornare alla luce. Allora dove stanno i punti oscuri? Nella fine, signori miei.
Che Carlotto, ad un certo punto, decide di lasciare aperte troppe strade. Come
se non si prefigurasse un romanzo, ma già una nuova puntata della serie. E
questo non si fa. Non perché non si possano lasciare porte aperte. Ma il sano
procedere di un romanzo giallo impone di chiudere la vicenda centrale, ed
eventualmente marginalizzare le successive aperture. Così come nelle prime
avventure del Commissario Laurenti di Heinichen. Così come, invece, non ha
fatto la Cornwell per cinque - sei romanzi di Kay Scarpetta. Finiamo allora con
una nota positiva. Dopo aver ribadito che mi piace il modo di presentare
l’avanzata della malavita nel tessuto sociale (fa riflettere, e spero che
qualche seme germogli qua e là, magari unendo questi divertissement con le
analisi di Saviano), abbiamo la speranza che l’Alligatore ed il suo calvados ci
facciano ancora compagnia.
Prima trama del mese, e grande
messe di titoli settembrini, storicamente tra i più dediti alla lettura. Benché
ci siano due prove veramente poco gradite, il mese mi ha visto leggere e gustare
alcune punte veramente grandi ed intense: Genovesi e la Versilia, Carlotto (di
cui ho appena parlato), Martini e Paoli (di cui parlerà presto), ma soprattutto
un grande James Hillmann che mi ha fatto riflettere (e poi se ne parlerà
presto), sull’attuale parte della vita mia e di molti miei amici.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Massimo Siviero
|
Caponapoli
|
Mondadori
|
4,90
|
1
|
2
|
Matilde Asensi
|
L’origine perduta
|
BUR
|
10,90
|
3
|
3
|
Fabio Genovesi
|
Morte dei Marmi
|
Laterza
|
12
|
4
|
4
|
Isabel Valadão
|
Loanda
|
11-17
|
8
|
3
|
5
|
Francesco Guccini
|
Dizionario delle cose perdute
|
Mondadori
|
10
|
3
|
6
|
Maj Sjowall & Per Wahloo
|
Terroristi
|
Sellerio
|
15
|
3
|
7
|
Carlo Maria Martini
|
Il Discorso della Montagna
|
Mondadori
|
9,50
|
4
|
8
|
Yasmina Khadra
|
Ce que le jour
doit à la nuit
|
Pocket
|
8,75
|
3
|
9
|
Gino Strada
|
Pappagalli verdi
|
Feltrinelli
|
6,50
|
3
|
10
|
Marco Vichi
|
Una brutta faccenda
|
TEA
|
8,60
|
3
|
11
|
Valerio Varesi
|
Le ombre di Montelupo
|
Sperling
|
9,50
|
3
|
12
|
Massimo Carlotto
|
Alla fine di un giorno noioso
|
E/O
|
9
|
4
|
13
|
Arturo Paoli
|
La pazienza del nulla
|
Chiarelettere
|
8
|
4
|
14
|
James Hillman
|
La forza del carattere
|
Adelphi
|
12
|
5
|
15
|
Amitav Ghosh
|
Mare di papaveri
|
Beat
|
9
|
3
|
16
|
Marcello Simoni
|
Il mercante di libri maledetti
|
Newton Compton
|
9,90
|
1
|
17
|
Cristiano Cavina
|
Romagna mia!
|
Laterza
|
12
|
3
|
18
|
Maxence Fermine
|
Amazone
|
Le livre de poche
|
6,15
|
3
|
19
|
Viola Di Grado
|
Settanta acrilico Trenta lana
|
E/O
|
9
|
2
|
20
|
Håkan Nesser
|
Il ragazzo che sognava Kim Novak
|
Guanda
|
11
|
3
|
21
|
Annamaria Fassio
|
Terra bruciata
|
Mondadori
|
4,90
|
3
|
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