domenica 6 gennaio 2013

Commissari - 06 gennaio 2013


Cominciamo ora, in questa epifania che tutte le feste si porta via, le trame del nuovo anno. E con due commissari: la ripresa, dopo tanti anni di purgatorio, del commissario Bordelli del fiorentino Vichi, e la nuova prepotente entrata del commissario Berté, per merito della penna di un poliziotto sotto pseudonimo, che si cela sotto il nome di Emilio Martini. Delle prove oneste, e molto leggibili (soprattutto quelle di Martini), anche se non eccelse. Ma segnano un buon inizio soft per questo 2013.
Marco Vichi “Una brutta faccenda” TEA euro 8,60 (in realtà, scontato 6,88 euro)
[A: 11/06/2011 – I: 13/09/2012 – T: 15/09/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 243; anno: 2003]
Dopo molti anni ritorno a visitare il commissario Bordelli, ed anche Marco Vichi, di cui per altro ho letto e tramato altre prove. In anni pre-trame lessi il primo episodio, carino, ben ambientato, ben scritto. Insomma piacevole. Poi percorsi altre letture, lasciando nel libricino delle ricerche la traccia di ritrovarne le fila. Ma ne saltai episodi, mi ritrovai a non avere più quel filo. E per un po’ è rimasto lì, ad aspettare di essere riannodato. Ora che sono diventato “reader addicted”, e che accumulo nella libreria libri e ordini di lettura, ho modo di ritornare su questo ulteriore esempio di buon giallo italiano. Questo è il secondo episodio, e, per chi non conoscesse il plot, cerchiamo di inquadrarlo. Il commissario si muove a Firenze (primo punto a favore), l’azione si svolge nei primi anni sessanta (primo episodio nell’estate del ’63, questo secondo nel ’64), Bordelli ha da poco superato la cinquantina (secondo punto a favore), guida uno scassatissimo Maggiolino Volkswagen (terzo). Ha una sua assidua confidente, donna del rilassamento e delle chiacchiere, nell'ex-prostituta Rosa, che forse vorrebbe qualcosa di più, ma per ora è e rimane una bella amicizia. Ben conosce il sottobosco della malavita fiorentina, che tratta con umanità, e ne è ricambiato. È stato soldato, e dopo l’8 settembre, partigiano. Ed in questi due primi episodi ogni tanto riaffiorano brandelli di guerra e di lotta. Anzi, qui le tematiche legate alla guerra assumono anche un ruolo interessante, motore e mentore della storia. Anzi delle storie. Che il commissario viene coinvolto in due indagini: da un lato, quella più dura e coinvolgente, laddove vengono uccise bambine tra gli 8 ed i 10 anni, strangolate, e segnate con un morso sulla pancia. Dall’altra, indagando intorno ad una strana villa sulle colline fiorentine, viene ucciso il suo confidente Casimiro. A lungo, Bordelli, aiutato dal fido Piras, una giovane recluta figlio di Gavino, commilitone di guerra e di guerriglia, rimastogli amico e sodale, cerca qualche bandolo nella matassa delle morti giovanette. Ma, a parte il modus operandi che ne indica un serial killer, non riesce ad andare avanti. Si consola allora con visite all’amica Rosa, e pranzi o cene dall’amico cuoco Totò (e poi dal suo sostituto pro-tempore, il fido Botta, di cui si riporta una succulenta ricetta di braciole di maiale al latte e pomodoro). Avanza invece nella ricerca dell’assassino di Casimiro, imbattendosi nei militanti ebrei della “Colomba Bianca”, un’organizzazione legata al Centro Wiesenthal e che si occupa delle ricerche di criminali nazisti sfuggiti alla cattura. Qui Vichi divaga un po’, andando verso quel tono minore che mi fa dare un giudizio complessivo solo sufficiente allo scritto. Ha una storia con la bella (e giovane) Milena, che farà ingelosire non poco la Rosa. Ma scavando a destra e sinistra, rinvangando, collegando, ed anche sbagliando, alla fine riesce a trovare il bandolo della matassona, che fa quadrare un po’ tutti i cerchi del romanzo (e questo lo sospettavamo già dal secondo omicidio). Vichi non è consolatorio, e non punta (giustamente) a facili happy end. Un piccolo spaccato di cronaca, la soluzione dei misteri (almeno per noi lettori, che per quelli dentro la pagina qualcosa rimane oscuro). Forse Bordelli fuma un po’ troppe sigarette (se ne rimane intossicati anche solo leggendole), ma a me è simpatico, perché pensa, legge. Così come legge il suo aiutante Piras, capace di citare Seneca (non usuale da poliziotto del ’64). Una piccola reprimenda all’estensore delle note: non è un romanzo sul boom industriale dell’Italia degli anni ’60, come viene sottolineato. Si parla soltanto, in una pagina e mezza, della lavatrice e del suo avvento nelle case italiane. Un po’ poco per farne un mini-saggio economico. Meglio rimanere sul lato umano. Ed aspettare altre letture del Commissario.
Emilio Martini “La regina del catrame” Corbaccio euro 8,90
[A: 04/10/2012 – I: 10/10/2012 – T: 11/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 125; anno: 2012]
Ho già detto che sono curioso? E soprattutto curioso di gialli ed affini? Ed in particolare di gialli ed affini italiani? Mi sa che ormai lo sapete a memoria. Tuttavia, nel momento in cui sullo scaffale della Mondadori (e solo lì l’ho trovato) appare questo libro, come resistere? Casa editrice: CORBACCIO, del gruppo GEMS. Cioè uno dei satelliti che compongono uno dei punti forti della mia libreria (in termini qualitativi sicuramente): Longanesi, Salani, Guanda, Garzanti, TEA, Ponte alle Grazie, Chiarelettere, Bollati Boringhieri. Insomma, già un passo avanti. Poi si parla di un nuovo commissario, ma prima di addentrarci nel protagonista, c’è da soffermarsi sull’autore. Il nome è ignoto. E tale rimarrà dopo lunghe ricerche. Che in realtà è uno pseudonimo, sotto qui si nasconde probabilmente (così dicono i blog letterari) un poliziotto (o categoria similare). Un bel gioco ad incastro, un poliziotto che scrive romanzi su un commissario che scrive racconti! Sembra di essere tornati al film da poco goduto, anche se non eccelso su uno scrittore che scrive un libro su uno scrittore che ruba un libro (“The Words” con un’ottima parte di Jeremy Irons). Veniamo allora al romanzo. Incentrato su di un poliziotto milanese, di origini calabre, trasferito (non si sa ancora perché, ma immaginiamo …) a Genova. Poliziotto, anzi vice-questore, strambo. Poco più che quarantenne, con capelli lunghi raccolti a coda di cavallo, da poco lasciatosi con la magrissima Patty (sì, perché a lui le donne piacciono “magre e stronze”). Buon mix, quindi. Amante della cucina (anche se non raggiunge le vette di Montalbano sul pesce o di Sarti Antonio sul caffè), lo seguiamo in alcuni abbordaggi della cucina ligure. Soprattutto la panunta, le trofie al pesto e le verdure ripiene. Già ci viene l’acquolina in bocca. Inoltre, tocco interessante, quando deve concentrarsi, tira fuori il suo computer e scrive racconti. Interessante, nella fattispecie, il romanzo che s’intreccia sulla morte di una sessantenne un po’ sopra le righe, avvenuta ai Bagni di Lungariva e la storia del capitano Vasco su di un porta-container oceanico, in balia della burrasca e di un maniaco assassino. È una storia breve, forse serve anche da inquadrare i vari “tipi” presenti. Il commissario, appunto. Poi il suo aiutante, il giovane Parodi, ben radicato nel territorio e nella sua “identità ligure”. La signora Marzia, dove il commissario sta a pensione e che forse cerca di “avvicinarsi” alle sue solitudini. Peccato che rispetto ai criteri di Berté, invece di essere magra e stronza, è grassoccia e simpatica. Vedremo gli sviluppi. E poi l’identità dei luoghi appunto. Tra l’altro, è un periodo (si sa che casi e coincidenze poi nascondono anche altro) che mi imbatto in saggi e romanzi che toccano proprio questo problema. Così pesantemente in Bauman, o in Maalouf che sto terminando in questi giorni. Ma anche, in modo leggero, nel Prévost da poco terminato. Qui di nuovo. Calabresi che emigrano a Milano. Milanesi che vengono trasferiti a Genova. Tanto per parlare dei protagonisti. E poi anche la storia, di questa ape regina dei poveri, che si dà a pochi momenti di felicità, con compagnie maschili anche poco rassicuranti. Senza parenti vicini, solo una nipote, che scopriremo essere un po’ sanguisuga ed anche scemetta, turlupinata da un bellimbusto che pensa solo a giocarsi i soldi che racimolano dalla vecchia (si fa per dire) zia. Ci sono tanti elementi che concorrono, e che possono dare una svolta alla vicenda. Martini ne sceglie uno (che non vi dico) ed alla fine chiude questo “aperitivo di commissario”. Che, nel complesso, non ci è dispiaciuto. Forse la parte meno sostenibile è quella dei racconti del commissario, che va bene ci siano, ma che, nei brani che ne riporta, non sembra abbiano tanta carne al fuoco. Salutiamo in ogni caso una nuova simpatica entrata.
Emilio Martini “Farfalla nera” Corbaccio euro 8,90
[A: 12/10/2012 – I: 26/10/2012 – T: 27/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 180; anno: 2012]
Subito cotta e mangiata anche la seconda puntata del vicequestore Berté, ed in attesa della prossima terza uscita (dove si spera si sciolga qualche nodo…). Intanto prosegue il calvario sul doppio piano personale e lavorativo del nostro commissario in coda di cavallo. Facile la descrizione del primo, che la grassoccia Marzia a lui sempre piace, ma la Marzia ha un marito, che benché marinaio, a volte ritorna. Come in questo caso. E per tutti i giorni dell’indagine il nostro Gigi continuerà ad avere gastrite e mal di testa. Sebbene all’inizio si allontani, poi verso la fine sembra si riavvicini. Insomma questo è uno dei nodi di cui sopra. A metà strada tra personale e lavorativo, il nostro commissario-scrittore continua nei suoi racconti, per allentare la tensione delle indagini. E qui, devo dire che, passando dai toni fantasiosi a narrativi più concreti, sforna un raccontino niente male. Interpuntato dall’indagine, si fa leggere e ne fa da contrappunto leggero ma bachianamente corretto. E l’indagine? Al solito, come sembra una cifra distintiva del Martini scrittore, c’è una morta, ma quello che più interessa, importa, si sottolinea, è tutto il contorno. Il mondo della vittima, che questa volta è della borghesia ligure, preside di un esclusivo liceo privato. Ben sposata, ma non con matrimonio d’amore. Per cui lei Adelaide cerca conforto tra le braccia dell’ingegnere Nardi, proprietario dell’Istituto scolastico, mentre il marito si consola con la reception – francese – forse escort dell’Hotel del paese. Poi c’è il genero, dissoluto giocatore di golf pieno di debiti ed amanti. Poi c’è il professore licenziato in tronco dalla preside perché sorpreso a baciare un’alunna, pur diciassettenne. Poi c’è l’alunna tipico esempio (a noi ben noto) di ragazzine viziate senza diritture e senza scopi. Poi c’è il ragazzo di Gaia, geloso e lasciato. E poi, tutto intorno, il mondo per bene e con la puzza al naso della borghesia liguro-genevose. Ma Berté si muove bene in questo mondo. Anche se non ci si ritrova (e non sappiamo ancora del perché del trasferimento, altro nodo da sciogliere al più presto). Ma almeno comincia a relazionarsi. Con il sovraintendente Parodi, che diventa il suo primo interlocutore. Con il quale fa un’epica mangiata in un ristorante sulla costa. E con l’agente Belli, Francesca all’anagrafe, che diventa il suo autista preferito, e che lo accompagna negli interrogatori più strani. Insomma, rispetto al primo romanzo, veloce e leggerino, questo secondo, pur mantenendo un tono di superficie, prende di più. Per la vicenda personale del commissario, in attesa che si decida tra magre e stronze o grassocce e sposate. Per i romanzi nei romanzi, o i racconti nei racconti. Insomma per tutta quella”discesa negli abissi” che fa piacere leggere e seguire. A proposito, dimenticavo la farfalla nera del racconto intarsiato, è come detto gradevole, e con un finale a sorpresa che non vi dico ma è da gustare. Così come non vi dico, ovvio, il finale a sorpresa della storia dell’assassinio della sessantenne Adelaide. Ma è ben congeniato, tanto che, benché volessi fare altro, mi ha lasciato inchiodato alla pagina per capirne i meccanismi e le peregrinazioni mentali del nostro vice-questore aggiunto.
Emilio Martini “Chiodo fisso” Corbaccio euro 8,90
[A: 10/11/2012 – I: 14/11/2012 – T: 15/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 150; anno: 2012]
Un, due, tre … stella! Come promettevano le pubblicità, ecco a stretto giro l’uscita del terzo romanzo delle inchieste del commissario Berté. Dati i ricordi ancora freschi degli altri, non s’è lasciata passare molta acqua sotto i ponti (pur in questo pre-inverno esondante romano). Subito preso, quindi. E subito letto. Purtroppo la speranza che manifestavo nel tramare il secondo, speranza è restata. Molti i nodi del nostro Berté che avranno tempo di sciogliersi in un (spero prossimo) futuro. Non sapremo ancora i veri motivi del trasferimento punitivo, anche se intuiamo essere legati all’irruenza irrituale del commissario. Già manifesta nel suo andare in giro con capelli lunghi legati a coda. E con lo scarso rispetto di procedure ed altri legami certo burocratici, ma anche salvaguardanti gli altri, i cittadini in primis. E ben gli dice, al nostro, che tra un mal di testa e l’altro, le indagini (sia che siano sue che di altri) le porta a compimento trovando colpevoli e motivazioni. Ma soprattutto continueremo a non sapere dove andrà a parare tra i corni relazionali che lo dilemmano. Tornare dalla magra Patty, verso cui ricade in un momento di solitudine sconfortante. O affrontare la carnosa Marzia, verso cui lo portano affinità di sentimenti, ma che è ben complicatamente messa (cioè sposata, anche se, forse, dubitativa). E questo romanzo, che lo porta di nuovo nella natia Milano, lontano dai placidi ritmi liguri di Lungariva, non aiuterà a portare avanti nessun disvelamento. Tra l’altro, sentiamo già la mancanza degli haiku di Marzia. Ma Bertè dovendosi prendere ferie, lo fa e ritorna nella sua casa milanese. Cercando di marcare con la distanza una voglia di comprendersi. E tornato in via Malpighi, si ritrova non solo in Milano, ma anche a fare i conti con la sua giovinezza. Che per caso si trova sul luogo di un delitto. E l’ucciso non è altro che la sua vecchia conoscenza, Valerio detto lo Svedese per i biondi capelli. Inoltre, sospettata del delitto è la donna di Valerio, anch’essa catapultata nel presente dai giardinetti di piazza Stuparich. È la bella Manuela detta Manu, che tutti in gioventù anelavano di conquistare. Tutti meno Valerio. Mentre lei sempre Valerio cercava. Berté è in ferie, quindi non indaga. Ma le coincidenze lo portano a ripercorrere tutte le tappe di quegli anni ’80, quando si passavano le serate in piazzetta. Là dove c’era appunto lo Svedese, la Manu. E poi Viviana, quella bruttina che non ebbe mai fortuna con gli uomini, e pochi anni dopo si toglie la vita. E Giulio, sempre con la sua mimetica, che ora è entrato in banca. E Gino, sempre serio, sempre un po’ triste, rintanato nel ferramenta dello zio. L’Alessandra, anche lei vistosa, ma sempre la numero due. E ripensa anche a quelli che non ci sono più: il Puccio patito delle moto, improvvisamente scomparso dopo la sparizione del suo mitico Gilera, Rosario, un po’ malavitoso ed un po’ fatto, trovato immerso in un lago di sangue proprio in piazzetta, e Isidoro, ladruncolo sfortunato, anche lui morto, ma in carcere. Le indagini proseguono guidate da altri, ma il nostro, immergendosi negli odori della sua Milano, annusa possibili piste. Scava, rimescola, sente che il nodo è la scomparsa di Manu. Manu di cui tutti erano innamorati. Anche qui c’è il solito contro-altare del racconto, che per concentrazione il nostro scrive quando cerca di sbrigliare il cervello e sbrogliare i nodi. Peccato che questa volta sia un racconto in minore, rispetto alla bella prova della Farfalla prendente. Qui racconta di un tizio che uccide per non separarsi o per accaparrarsi i quadri di un ignoto autore che si firma Soloski. Uccidere per un chiodo fisso che si incista nel cervello. Berté si aggira per i tristi caffè doppi di Milano, non ci porta in nessun ristorante per una delle sue mangiate che ci ristoravano il cervello. Alti e bassi. Ma l’ultima parte prende quota, e avvince il modo ed il perché che trova per risolvere i misteri. Non trova ancora (lo troverà?) i perché delle sue storie amorose. Ma, se vuoi un consiglio, caro commissario, ogni tanto, oltre che pensare, alza la mano, prendi il cellulare, componi un numero. E chiama. Perché come si è detto tante e tante volte, e ve lo ripeto anche in inglese: “If you don’t ask, the answer will be always NO!”. Alla prossima, scrittore Martini.
“Non aveva l’età per le pene d’amore. … Si ritrovava … senza sapere che fare di se stesso. Ora anche con la sensazione di aver trovato la persona giusta, peccato che non fosse la situazione giusta.” (12)
“Aveva ragione sua madre: quando uno nasce lamentoso … continua così anche se vince al totocalcio.” (89)
Si diceva di un inizio soft, per questo nuovo anno. E così sarà. Al ritorno di un piacevole tour nel veneto, tra una Verona shakespeariana ed una Vicenza palladiana, con il contratto terminato da qualche giorno, e con la testa tesa alle programmazioni dei prossimi mesi: impegni, viaggi, palestre, ed altre ludiche attività. Allora un soffice anno a tutti

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