Tra Milano e Roma, ma fermandoci
con piacere in Toscana. Altre trame italiane, di autori vecchi e nuovi. Di
pronta lettura, come si dice di vini buoni anche se non di corpo. E rovesciando
l’inveterata abitudine di cominciare dai vini più leggeri, cominciamo invece
con il testo più riuscito, quello che ci riporta nella pineta versiliana, a far
tifo per i vecchietti del BarLume e del suo proprietario Massimo (con una
chicca sul caffè che vi lascio gustare goccia a goccia). Poi, purtroppo,
caliamo. Sia con lo stesso Malvaldi, in una vicenda che poco avvince, sia con
il giornalista Foschi (anche se il commissario Attila mi sta simpatico), per
risalire un po’ nella vicenda imbastita da Grazia Verasani per il detective
Giorgia.
Marco Malvaldi “La carta più alta” Sellerio euro 13 (in realtà,
scontato 9,75 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 01/11/2012 – T: 03/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 198;
anno: 2012]
Ho già detto e ripetuto che trovo
i romanzi di Malvaldi gradevoli e con una serie di elementi che me li rendono
cari. L’autore, simpatico chimico pisano. Il protagonista, barrista (come ci
tiene a sottolineare) nonché matematico mancato, ma per scelta. Il coro dei
vecchietti, contraltari di Massimo e sempre pronti a dargli una mano (in genere
per farlo cadere). La location (come dicono gli sceneggiatori), quella Pineta
in quel della Versilia che ognuno si immagina dove vuole, ma che comunque non
dista mai troppo da Forte dei Marmi. Nonché, appunto, alcuni particolari, posti
qua e là, che forse ai più non dicono, ma che a me suscitano risonanze varie.
Come in questo caso (del romanzo poi se ne parla più in là), l’accenno al Kopi
Luwak, il più costoso caffè al mondo. Per chi non lo conoscesse è un tipo di
caffè prodotto in Indonesia con le bacche di caffè, ingerite, parzialmente
digerite e defecate dallo zibetto delle palme. Io l’ho assaggiato in uno strano
bar di Bruxelles, che ha praticamente tutte le miscele prodotte al mondo. In
effetti, ha un gusto particolarmente morbido ed accattivante (anche se si vende
a prezzi esorbitanti, lì ad esempio a 9 euro la tazzina). Malvaldi ne fa un
accenno, ed a me suonano le campane del ricordo. Ma veniamo ora al romanzo. La
storia è abbastanza semplice, anche se il nostro buon chimico riesce ad imbastirla
bene. Ora vi ricordo che ci sono i famosi “anziani” dediti alle briscole al
bar. Tra questi Aldo, il ristoratore cui bruciò il locale ed è in cerca di
nuove sistemazioni. Vorrebbe accettare l’offerta del Foresti ma vuole notizie
sull’affidabilità del posto. Posto ottenuto a prezzi stracciati da tal Carratori,
poco dopo morto. Si attiva quindi la ricerca delle cause di tale morte, tra
l’altro avvenuta una ventina di anni prima. E come in un cold case di
televisiva memoria, si accumulano indizi. Si trova uno strano suicidio del
dottore che aveva in cura il Carratori. Che muore sembra per un tumore. Poi si
scopre che il tumore non c’era, ma che veniva curato con pesanti chemioterapie
che ne hanno causata un’intossicazione chimica. E qui esce fuori il lato
“chimico” del nostro scrittore. Che, in effetti, per la soluzione al problema
usa tutte le armi del chimico. Ma non è poi quello ciò che intriga. Sì, è
interessante il percorso che Massimo il barrista fa, ma anche l’indotto: la
storia della famiglia Carratori che si intreccia con quella della Pineta. Le
storie parallele ed intersecantesi: il commissario Fusco, l’incidente di
Massimo, l’incontro con il simpatico ortopedico Cesare, la villetta bifamiliare
con odore di fritto, il ritorno della bella Tiziana. Nonché, sempre, i vecchi
giocatori. Nonno Ampelio e le sue letture (da non dimenticare l’Ecclesiaste
tradotto da De Luca e lo stesso sentimento che sembra provare Malvaldi rispetto
alla scrittura di Erri: scrittura difficile e da interpretare). Il Remediotti e
il Del Tacca, e le loro partite a briscola. Il rifiuto di Massimo di servire
cappuccini il pomeriggio (deontologia professionale del bar). Tra briscole,
biliardi, discussioni ed agnizioni, si scorrono via via tutte le possibili
soluzioni, per arrivare a quella giusta. Ma, ripeto, è tutto l’insieme quello
che dà tono al romanzo. Insomma uno zibaldone pieno di spunti (e rimando sopra
a quelli sul caffè indonesiano), scorrevole. Aspettiamo allora che i romanzi
del BarLume si convertano presto in una serie televisiva (ne hanno tutte le
caratteristiche positive). Ed aspettiamo anche l’ultimo romanzo in uscita in
questi giorni di inizio novembre.
Marco Malvaldi “Milioni di milioni” Sellerio euro 13 (in realtà,
scontato 11,05 euro)
[A: 01/11/2012 – I: 07/11/2012 – T: 09/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 196;
anno: 2012]
Peccato. Una buona occasione un
po’ sprecata che meritava qualcosa di meglio. Intanto, avendo visto l’avviso di
uscita da Feltrinelli, l’ho comperato a scatola chiusa (come tutti i libri di
Malvaldi sino ad ora). Purtroppo, non come speravo ed auguravo qualche riga
sopra, non è una storia di Massimo Viviani e del BarLume. Sempre storia
contornata di giallo, come le sue migliori, ma anche come l’unica finora senza
i vecchietti a me cari (quella che per protagonista vede nientemeno che il
Pellegrino Artusi). Sempre con battute o momenti che suscitano sorrisi ed
ironiche riflessioni. Ma senza il BarLume c’è poco barlume (che finezza di
scrittura, eh amici!). Qui si cerca di fare una qualche riflessione su qualche
tema come dire “laterale” seppur presente nella cosmogonia di Malvaldi. Intanto
la sempre presente, seppur latente, riflessioni tra scientifico e letterario.
Qui cristallizzati nelle due figure centrali di ricercatori sul campo:
Piergiorgio, genetista appassionato di Mendel, e Margherita, genealogista e
filologa. Si incontrano – scontrano quando vanno appunto a fare una ricerca
sull’origine della forza delle persone originarie nel piccolo paese immaginario
di Montesodi Marittimo (apro una doverosa parentesi, di pubblicità trasversale:
il paese in quanto Marittimo non esiste, ma esiste Montesodi ed è una riserva
chiantistica della famiglia Frescobaldi, e ci si domanda perché ci sia il
marchio del Chianti Gallo Nero in copertina, quando in tutto il romanzo il vino
c’entra solo perché si fanno cene pantagrueliche, ma non ha nessun ruolo,
neanche lontanamente marginale; forse i “milioni di milioni” del titolo sono
anche parte degli euro di sponsorizzazione?). Piergiorgio fa ricerca sul DNA
delle persone ed in parallelo Margherita cerca di rintracciare le vie di
trasmigrazioni familiari attraverso l’archivio parrocchiale. In un piccolo
paese, una piccola scintilla come questa genera subito discussioni ed ipotesi.
Si vedono persone fisiognomicamente simili far parte di famiglie diverse. C’è
poco per far accendere un fuoco. Aggiungendo a tutto, la presenza di un aitante
prete di colore, di un sindaco tentato dalla carriera verso Roma, con moglie
anelante alla fuga dall’ostico paese, della di loro domestica, bellina e
organista di chiesa sopraffina. Nonché la vecchia maestra, che tutti conosce e
che ospita il Piergiorgio. Visto che di giallo si tratta, un dì di tormenta
nevosa che blocca il paese e la gente nelle case, viene uccisa l’anziana
maestra. Si tratta quasi del famigerato “delitto in una stanza chiusa”. Perché
poi tutti i (pochi) colpevoli hanno alibi, isolati e/o incrociati. Dalla
presenza contemporanea in luoghi diversi dal delitto, alle certificate
malattie, con tanto di medico attestante. L’unico che non ha un alibi è il
nostro Piergiorgio, che ben presto viene sospettato dal solerte maresciallo. I
due stranieri in Montesodi allora uniscono le forze e con indagini parallele,
cominciano ad accumulare indizi. La tenuta di proprietà della maestra. Il
figlio che ne vuole fare agriturismo. La concessione che ne vuole dare ad un
suo compaesano, guarda caso con figlio di faccia identica a lui, e guarda caso
con moglie figlia del maresciallo. La tenuta che il sindaco cacciatore voleva
frequentare impedito dal giovane. La moglie del sindaco che lo vuole più
deputato che bracconiere. La ragazza di casa invaghitasi del bel prete negro.
Insomma tutti hanno un alibi ma tutti (sembra) abbiano interesse alla morte
della maestra. I nostri smonteranno alibi fasulli e faranno una non ovvia luce
su tutto. Sia sulla morte. E sia sulla genesi della forza paesana. Ci si aspettava
di più nei rapporti tra i due, che non oltrepassano mai il livello di fantasia.
Purtroppo senza spiegarne i motivi. Piergiorgio troppo timido? Margherita già
impegnata? Tutte domande su cui il nostro autore sfortunatamente glissa.
Lasciandoci un romanzetto dal sapore allegro, di facile lettura, senza che però
ne rimanga troppa traccia nei nostri cuori. Tornando alle metafore
vitivinicole, è come un rosso giovane di una tenuta antica. Prometterebbe belle
bevute lasciandolo sapientemente invecchiare. Invece lo beviamo così, appena
spillato. Un po’ di euforia vien fuori. Ma passa presto. Caro Marco, spero si
torni presto in pineta!
“La gente sono persone … Smetta di dire ‘la gente’. Dica ‘le persone’.
Può sembrare una questione dialettica, ma non lo è. … La gente è stupida, le
persone ragionano. La gente è indifferente, le persone ti aiutano. Oppure ti
affogano, ma comunque interagiscono. Finché uno riesce a pensare agli altri
come persone, a vederle come persone, riesce a non rimanere indifferente.”
(139)
Paolo Foschi “Delitto alle Olimpiadi” E/O euro 14
[A: 10/11/2012 – I: 19/11/2012 – T: 20/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 169;
anno: 2012]
Ancora un giornalista prestato
alla scrittura ed in particolare gialla. Siamo sul versante del Corriere della
Sera, ed il nostro giovane (sui quarantacinque) autore non ha (ancora) né il
successo né il battage dei suoi colleghi di Repubblica (vedi ad esempio
Colaprico su tutti, e Massimo Lugli in buona posizione). Sarà inoltre che
scrive da poco (mi risultano due libri usciti), quindi ancora con della strada
davanti. Una strada comunque che mi sembra possa essere interessante (stavo per
dire in discesa, data la tematica affrontata). Foschi è un figlio dei tempi
moderni, quindi niente commissari all’antica, o indagini fuori dai ranghi. Qui
abbiamo un saldo ispettore di polizia, dal nome accattivante, Igor Attila. Per
ribellione alla famiglia benestante, prima si dedica al pugilato, conquistando
la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Seul (ma doveva essere d’oro, che hanno
fatto vincere un coreano; vicenda che prende in controluce lo scontro tra
l’italiano Vincenzo Nardiello ed il coreano Park Si-Hun, dove il coreano fu
scandalosamente fatto vincere), poi, presa la laurea in legge, invece di
lavorare nello studio paterno, si arruola in Polizia. Dove, per una serie di
circostanze strambe (all’italiana, direi), si trova alla guida di un reparto,
Polizia Sportiva. Reparto simpatico, dove conosciamo i vari personaggi tutti
ex-sportivi o para-sportivi. Che viene messo da parte in quanto le inchieste
sul doping sembrano essere troppo scottanti. Il nostro Igor (che sta macerandosi
nell’ultima delusione amorosa, e che ritorna periodicamente sui suoi tre amori:
la moto, la chitarra, e le canzoni italiane, di cui canticchia ritornelli ad
ogni piè sospinto) viene all’improvviso rimesso in pista, alla vigilia delle
Olimpiadi di Londra, per la morte della bella Marinella, campionessa italiana e
speranza dell’ostacolismo nostrano. Ed ovviamente anche i
sospettati fanno parte degli olimpionici. In particolare i due “amanti” di
Marinella, il precedente Antonio e l’attuale Francesco. Un tempo amici, ora
decisamente in rotta. Anche se entrambi gareggiano negli 800 metri e con
probabilità di successo, secondo il nostro autore (ora anche qui, il Foschi fa
una bella forzatura, dato che un bianco europeo non gareggia a livelli di
eccellenza mondiale nel doppio giro di pista da almeno 10 anni). I due sono
abbastanza antipatici nel loro complesso e potrebbero aver commesso il fatto.
Ma non ci sono (ancora) circostanze che incastrano. Si sviluppano storie parallele
(il mondo intorno al commissariato che sta a piazza Vittorio, la solidarietà
tra i poliziotti ex-sportivi, ma anche le loro rivalità, l’arrivo di una
simpatica ispettrice che scombussola qualche ispettore, la storia d’amore che
tritura il morale del nostro Igor, i rapporti con i superiori, e via
discorrendo). Non ultima la trasferta di Attila a Londra al seguito della
squadra, dove, se da un lato proverà i rinnovati dolori dell’immotivata
sconfitta di 24 anni prima, dall’altra troverà il bandolo della matassa, tra
doping e rancori. Ed avrà modo di riservarci anche una sorpresa finale, che dà
un ulteriore tocco di simpatia al personaggio. Per questo attendiamo l’uscita
di un nuovo episodio (che so dovrebbe essere forse già in libreria). E
sottolineiamo la scorrevolezza dello scritto, dove le capacità giornalistiche
sono un aiuto e non un freno allo scorrere della storia. O forse dovremo dire
il contrario, se avessimo l’opportunità di leggere i suoi articoli. Perché
quelli di Colaprico li leggo e sono piacevoli come i suoi scritti.
“Il [suo]dono naturale era il senso dell’orientamento. Poi qualche
stronzo aveva inventato i navigatori satellitari. E il suo dono si era
svalutato in un giorno del cento percento.” (101)
Grazia Verasani “Cosa sai della notte” Feltrinelli euro 13 (in realtà,
scontato a 9,75 euro)
[A: 01/11/2012 – I: 16/12/2012 – T: 18/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 221;
anno: 2011]
Direi di saltare a piè pari gli
infausti commenti che ci rifila la quarta di copertina (Cantini vs Scarpetta?
Ma siamo seri), e stendiamo un velo pietoso sulla commercializzazione del
marchio FOX tramite Feltrinelli (operazione di mercato, per consentire anche un
battage ai film-action basati sulle sue storie). Fatti questi due
imprescindibili distinguo, direi che la nuova storia della simpatica emiliana
si mantiene sui caratteri di gradevolezza anche se non di stravolgente intensità.
Sempre discretamente piena di buone idee, anche allargando la ristretta sfera
del filone di indagine, a volte (e questo è uno di questi casi) l’indagine
stessa è prevedibilmente portata verso conclusioni già ipotizzabili. Qui, la
nostra investigatrice è alle prese con un cold case di ingarbugliate origini.
La morte di un giovane omosessuale avvenuta tre anni prima, di cui la sorella
non riesce a darsi pace. Narrando quindi delle ricerche a ritroso della nostra
investigatrice, Grazia Verasani ci racconta qualche settimana della vita
emiliana dei nostri eroi. A parte le indagini, su cui si tornerà, c’è la sua
segretaria, entrata nel gruppo all’ultimo romanzo, la giovane Genzianella detta
Gen, volenterosa ed onnivora lettrice (citazione doverosa, che legge un libro
di Giartosio mentre io ne ho appena letto l’ultimo), nonché contraltare in
giovane età della disincantata Cantini. Salutiamo Lucio che ormai si è trasferito
lontano. E in sottordine seguiamo le alterne vicende del possibile ma improbabile
o futuribile amore tra la nostra investigatrice e l’ispettore di polizia,
nonché sposato, Bruni, che si attraggono e si respingono già dal precedente
libro. Qui la storia si intensifica, e forse si smuoverà dalle sabbie mobili in
cui si è impantanata. Comunque, il fulcro della vicenda è la ricostruzione
della personalità e delle gesta di Oliver, gay allegro trovato morto e pestato
a sangue in una discarica bolognese. La Cantini comincia a ricostruire le mosse
e le frequentazioni, e molto dell’ambiente gay emiliano, tra Bologna e Ferrara
(che da lì, bassanamente muovevasi il buon Oliver). Conosciamo gli amici di
Oliver, alcuni gay spagnoli, due simpatiche lesbiche bolognesi. Veniamo anche
noi irretiti dal padrone di casa di Oliver, Simone l’attore ormai fallito, dotato
di grande carisma, ma rovinato dalla droga, ed ora, a detta di tutti i
conoscenti di Oliver, “uno stronzo”. Andiamo con Giorgia a Ferrara per
conoscere l’amico di gioventù, Mario, uno dei pochi non gay della vicenda. E
poi gli attori della fatiscente scuola di recitazione, da dove Oliver cercava
di far sbocciare un talento che non aveva. Veniamo coinvolti mentalmente nelle
sarabande notturne in cerca di corpi e di sesso, senza mai riuscire (o molto
raramente) a trovare l’amore. E cominciamo a farci un’idea di questo ragazzo,
generoso fino all’altruismo, ma senza mezzi ed affamato di amore. Che si dava
per una carezza. Ma che alla fine si innamora, non ricambiato, del tenebroso
Simone. E nelle sarabande notturne incappa anche nel cognato, omofobo
all’ennesima potenza, che però rimorchia vagonate di giovani squinzie,
utilizzando un appartamento bolognese ad Oliver destinato. Ed avviandoci verso
il finale abbiamo queste strade da imboccare, ondivagando tra la freddezza e lo
sfruttamento del bel Simone e le paure del cognato Cesare. Grazia Verasani conduce
bene la danza verso il finale, che per ragioni ovvie passo sotto silenzio.
Facendo solo rimarcare che la nostra rimane sempre fedele alla sua etica di
fondo, che rimane anche la mia. Dove il più grande peccato è la mancanza di
rispetto verso l’altro. Aspettiamo la prossima inchiesta, Giorgia Cantini!
“Sono stanca di gente che finge.” (91)
“Un’attrice straordinaria… Ma poi è caduta
come altri nell’equivoco di scambiare l’ammirazione per una forma d’amore …
Pensi che dare l’anima basti a farti sentire felice, ma dopo gli applausi la
gente torna alla sua vita e tu cominci a chiederti dov’è la tua.” (129)
Grande rullo di tamburi, e
settimana che inizia all’insegna di grandi impegni. Questa volta non di lavoro
(per fortuna) né di viaggi (purtroppo), ma di casa. Sì perché il vostro
tramatore ha deciso di metter mano a qualche (necessario) lavoro di rifacimento
(l’arte della manutenzione rimane sempre un mistero). E non sappiamo ancora
come ci si riuscirà ad organizzare con comunicazioni e computer. Vedremo.
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