domenica 27 gennaio 2013

Investigando - 27 gennaio 2013


Tra Milano e Roma, ma fermandoci con piacere in Toscana. Altre trame italiane, di autori vecchi e nuovi. Di pronta lettura, come si dice di vini buoni anche se non di corpo. E rovesciando l’inveterata abitudine di cominciare dai vini più leggeri, cominciamo invece con il testo più riuscito, quello che ci riporta nella pineta versiliana, a far tifo per i vecchietti del BarLume e del suo proprietario Massimo (con una chicca sul caffè che vi lascio gustare goccia a goccia). Poi, purtroppo, caliamo. Sia con lo stesso Malvaldi, in una vicenda che poco avvince, sia con il giornalista Foschi (anche se il commissario Attila mi sta simpatico), per risalire un po’ nella vicenda imbastita da Grazia Verasani per il detective Giorgia.
Marco Malvaldi “La carta più alta” Sellerio euro 13 (in realtà, scontato 9,75 euro)
[A: 19/01/2012 – I: 01/11/2012 – T: 03/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 198; anno: 2012]
Ho già detto e ripetuto che trovo i romanzi di Malvaldi gradevoli e con una serie di elementi che me li rendono cari. L’autore, simpatico chimico pisano. Il protagonista, barrista (come ci tiene a sottolineare) nonché matematico mancato, ma per scelta. Il coro dei vecchietti, contraltari di Massimo e sempre pronti a dargli una mano (in genere per farlo cadere). La location (come dicono gli sceneggiatori), quella Pineta in quel della Versilia che ognuno si immagina dove vuole, ma che comunque non dista mai troppo da Forte dei Marmi. Nonché, appunto, alcuni particolari, posti qua e là, che forse ai più non dicono, ma che a me suscitano risonanze varie. Come in questo caso (del romanzo poi se ne parla più in là), l’accenno al Kopi Luwak, il più costoso caffè al mondo. Per chi non lo conoscesse è un tipo di caffè prodotto in Indonesia con le bacche di caffè, ingerite, parzialmente digerite e defecate dallo zibetto delle palme. Io l’ho assaggiato in uno strano bar di Bruxelles, che ha praticamente tutte le miscele prodotte al mondo. In effetti, ha un gusto particolarmente morbido ed accattivante (anche se si vende a prezzi esorbitanti, lì ad esempio a 9 euro la tazzina). Malvaldi ne fa un accenno, ed a me suonano le campane del ricordo. Ma veniamo ora al romanzo. La storia è abbastanza semplice, anche se il nostro buon chimico riesce ad imbastirla bene. Ora vi ricordo che ci sono i famosi “anziani” dediti alle briscole al bar. Tra questi Aldo, il ristoratore cui bruciò il locale ed è in cerca di nuove sistemazioni. Vorrebbe accettare l’offerta del Foresti ma vuole notizie sull’affidabilità del posto. Posto ottenuto a prezzi stracciati da tal Carratori, poco dopo morto. Si attiva quindi la ricerca delle cause di tale morte, tra l’altro avvenuta una ventina di anni prima. E come in un cold case di televisiva memoria, si accumulano indizi. Si trova uno strano suicidio del dottore che aveva in cura il Carratori. Che muore sembra per un tumore. Poi si scopre che il tumore non c’era, ma che veniva curato con pesanti chemioterapie che ne hanno causata un’intossicazione chimica. E qui esce fuori il lato “chimico” del nostro scrittore. Che, in effetti, per la soluzione al problema usa tutte le armi del chimico. Ma non è poi quello ciò che intriga. Sì, è interessante il percorso che Massimo il barrista fa, ma anche l’indotto: la storia della famiglia Carratori che si intreccia con quella della Pineta. Le storie parallele ed intersecantesi: il commissario Fusco, l’incidente di Massimo, l’incontro con il simpatico ortopedico Cesare, la villetta bifamiliare con odore di fritto, il ritorno della bella Tiziana. Nonché, sempre, i vecchi giocatori. Nonno Ampelio e le sue letture (da non dimenticare l’Ecclesiaste tradotto da De Luca e lo stesso sentimento che sembra provare Malvaldi rispetto alla scrittura di Erri: scrittura difficile e da interpretare). Il Remediotti e il Del Tacca, e le loro partite a briscola. Il rifiuto di Massimo di servire cappuccini il pomeriggio (deontologia professionale del bar). Tra briscole, biliardi, discussioni ed agnizioni, si scorrono via via tutte le possibili soluzioni, per arrivare a quella giusta. Ma, ripeto, è tutto l’insieme quello che dà tono al romanzo. Insomma uno zibaldone pieno di spunti (e rimando sopra a quelli sul caffè indonesiano), scorrevole. Aspettiamo allora che i romanzi del BarLume si convertano presto in una serie televisiva (ne hanno tutte le caratteristiche positive). Ed aspettiamo anche l’ultimo romanzo in uscita in questi giorni di inizio novembre.
Marco Malvaldi “Milioni di milioni” Sellerio euro 13 (in realtà, scontato 11,05 euro)
[A: 01/11/2012 – I: 07/11/2012 – T: 09/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 196; anno: 2012]
Peccato. Una buona occasione un po’ sprecata che meritava qualcosa di meglio. Intanto, avendo visto l’avviso di uscita da Feltrinelli, l’ho comperato a scatola chiusa (come tutti i libri di Malvaldi sino ad ora). Purtroppo, non come speravo ed auguravo qualche riga sopra, non è una storia di Massimo Viviani e del BarLume. Sempre storia contornata di giallo, come le sue migliori, ma anche come l’unica finora senza i vecchietti a me cari (quella che per protagonista vede nientemeno che il Pellegrino Artusi). Sempre con battute o momenti che suscitano sorrisi ed ironiche riflessioni. Ma senza il BarLume c’è poco barlume (che finezza di scrittura, eh amici!). Qui si cerca di fare una qualche riflessione su qualche tema come dire “laterale” seppur presente nella cosmogonia di Malvaldi. Intanto la sempre presente, seppur latente, riflessioni tra scientifico e letterario. Qui cristallizzati nelle due figure centrali di ricercatori sul campo: Piergiorgio, genetista appassionato di Mendel, e Margherita, genealogista e filologa. Si incontrano – scontrano quando vanno appunto a fare una ricerca sull’origine della forza delle persone originarie nel piccolo paese immaginario di Montesodi Marittimo (apro una doverosa parentesi, di pubblicità trasversale: il paese in quanto Marittimo non esiste, ma esiste Montesodi ed è una riserva chiantistica della famiglia Frescobaldi, e ci si domanda perché ci sia il marchio del Chianti Gallo Nero in copertina, quando in tutto il romanzo il vino c’entra solo perché si fanno cene pantagrueliche, ma non ha nessun ruolo, neanche lontanamente marginale; forse i “milioni di milioni” del titolo sono anche parte degli euro di sponsorizzazione?). Piergiorgio fa ricerca sul DNA delle persone ed in parallelo Margherita cerca di rintracciare le vie di trasmigrazioni familiari attraverso l’archivio parrocchiale. In un piccolo paese, una piccola scintilla come questa genera subito discussioni ed ipotesi. Si vedono persone fisiognomicamente simili far parte di famiglie diverse. C’è poco per far accendere un fuoco. Aggiungendo a tutto, la presenza di un aitante prete di colore, di un sindaco tentato dalla carriera verso Roma, con moglie anelante alla fuga dall’ostico paese, della di loro domestica, bellina e organista di chiesa sopraffina. Nonché la vecchia maestra, che tutti conosce e che ospita il Piergiorgio. Visto che di giallo si tratta, un dì di tormenta nevosa che blocca il paese e la gente nelle case, viene uccisa l’anziana maestra. Si tratta quasi del famigerato “delitto in una stanza chiusa”. Perché poi tutti i (pochi) colpevoli hanno alibi, isolati e/o incrociati. Dalla presenza contemporanea in luoghi diversi dal delitto, alle certificate malattie, con tanto di medico attestante. L’unico che non ha un alibi è il nostro Piergiorgio, che ben presto viene sospettato dal solerte maresciallo. I due stranieri in Montesodi allora uniscono le forze e con indagini parallele, cominciano ad accumulare indizi. La tenuta di proprietà della maestra. Il figlio che ne vuole fare agriturismo. La concessione che ne vuole dare ad un suo compaesano, guarda caso con figlio di faccia identica a lui, e guarda caso con moglie figlia del maresciallo. La tenuta che il sindaco cacciatore voleva frequentare impedito dal giovane. La moglie del sindaco che lo vuole più deputato che bracconiere. La ragazza di casa invaghitasi del bel prete negro. Insomma tutti hanno un alibi ma tutti (sembra) abbiano interesse alla morte della maestra. I nostri smonteranno alibi fasulli e faranno una non ovvia luce su tutto. Sia sulla morte. E sia sulla genesi della forza paesana. Ci si aspettava di più nei rapporti tra i due, che non oltrepassano mai il livello di fantasia. Purtroppo senza spiegarne i motivi. Piergiorgio troppo timido? Margherita già impegnata? Tutte domande su cui il nostro autore sfortunatamente glissa. Lasciandoci un romanzetto dal sapore allegro, di facile lettura, senza che però ne rimanga troppa traccia nei nostri cuori. Tornando alle metafore vitivinicole, è come un rosso giovane di una tenuta antica. Prometterebbe belle bevute lasciandolo sapientemente invecchiare. Invece lo beviamo così, appena spillato. Un po’ di euforia vien fuori. Ma passa presto. Caro Marco, spero si torni presto in pineta! 
“La gente sono persone … Smetta di dire ‘la gente’. Dica ‘le persone’. Può sembrare una questione dialettica, ma non lo è. … La gente è stupida, le persone ragionano. La gente è indifferente, le persone ti aiutano. Oppure ti affogano, ma comunque interagiscono. Finché uno riesce a pensare agli altri come persone, a vederle come persone, riesce a non rimanere indifferente.” (139)
Paolo Foschi “Delitto alle Olimpiadi” E/O euro 14
[A: 10/11/2012 – I: 19/11/2012 – T: 20/11/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno: 2012]
Ancora un giornalista prestato alla scrittura ed in particolare gialla. Siamo sul versante del Corriere della Sera, ed il nostro giovane (sui quarantacinque) autore non ha (ancora) né il successo né il battage dei suoi colleghi di Repubblica (vedi ad esempio Colaprico su tutti, e Massimo Lugli in buona posizione). Sarà inoltre che scrive da poco (mi risultano due libri usciti), quindi ancora con della strada davanti. Una strada comunque che mi sembra possa essere interessante (stavo per dire in discesa, data la tematica affrontata). Foschi è un figlio dei tempi moderni, quindi niente commissari all’antica, o indagini fuori dai ranghi. Qui abbiamo un saldo ispettore di polizia, dal nome accattivante, Igor Attila. Per ribellione alla famiglia benestante, prima si dedica al pugilato, conquistando la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Seul (ma doveva essere d’oro, che hanno fatto vincere un coreano; vicenda che prende in controluce lo scontro tra l’italiano Vincenzo Nardiello ed il coreano Park Si-Hun, dove il coreano fu scandalosamente fatto vincere), poi, presa la laurea in legge, invece di lavorare nello studio paterno, si arruola in Polizia. Dove, per una serie di circostanze strambe (all’italiana, direi), si trova alla guida di un reparto, Polizia Sportiva. Reparto simpatico, dove conosciamo i vari personaggi tutti ex-sportivi o para-sportivi. Che viene messo da parte in quanto le inchieste sul doping sembrano essere troppo scottanti. Il nostro Igor (che sta macerandosi nell’ultima delusione amorosa, e che ritorna periodicamente sui suoi tre amori: la moto, la chitarra, e le canzoni italiane, di cui canticchia ritornelli ad ogni piè sospinto) viene all’improvviso rimesso in pista, alla vigilia delle Olimpiadi di Londra, per la morte della bella Marinella, campionessa italiana e speranza dell’ostacolismo nostrano. Ed ovviamente anche i sospettati fanno parte degli olimpionici. In particolare i due “amanti” di Marinella, il precedente Antonio e l’attuale Francesco. Un tempo amici, ora decisamente in rotta. Anche se entrambi gareggiano negli 800 metri e con probabilità di successo, secondo il nostro autore (ora anche qui, il Foschi fa una bella forzatura, dato che un bianco europeo non gareggia a livelli di eccellenza mondiale nel doppio giro di pista da almeno 10 anni). I due sono abbastanza antipatici nel loro complesso e potrebbero aver commesso il fatto. Ma non ci sono (ancora) circostanze che incastrano. Si sviluppano storie parallele (il mondo intorno al commissariato che sta a piazza Vittorio, la solidarietà tra i poliziotti ex-sportivi, ma anche le loro rivalità, l’arrivo di una simpatica ispettrice che scombussola qualche ispettore, la storia d’amore che tritura il morale del nostro Igor, i rapporti con i superiori, e via discorrendo). Non ultima la trasferta di Attila a Londra al seguito della squadra, dove, se da un lato proverà i rinnovati dolori dell’immotivata sconfitta di 24 anni prima, dall’altra troverà il bandolo della matassa, tra doping e rancori. Ed avrà modo di riservarci anche una sorpresa finale, che dà un ulteriore tocco di simpatia al personaggio. Per questo attendiamo l’uscita di un nuovo episodio (che so dovrebbe essere forse già in libreria). E sottolineiamo la scorrevolezza dello scritto, dove le capacità giornalistiche sono un aiuto e non un freno allo scorrere della storia. O forse dovremo dire il contrario, se avessimo l’opportunità di leggere i suoi articoli. Perché quelli di Colaprico li leggo e sono piacevoli come i suoi scritti.
“Il [suo]dono naturale era il senso dell’orientamento. Poi qualche stronzo aveva inventato i navigatori satellitari. E il suo dono si era svalutato in un giorno del cento percento.” (101)
Grazia Verasani “Cosa sai della notte” Feltrinelli euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[A: 01/11/2012 – I: 16/12/2012 – T: 18/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 221; anno: 2011]
Direi di saltare a piè pari gli infausti commenti che ci rifila la quarta di copertina (Cantini vs Scarpetta? Ma siamo seri), e stendiamo un velo pietoso sulla commercializzazione del marchio FOX tramite Feltrinelli (operazione di mercato, per consentire anche un battage ai film-action basati sulle sue storie). Fatti questi due imprescindibili distinguo, direi che la nuova storia della simpatica emiliana si mantiene sui caratteri di gradevolezza anche se non di stravolgente intensità. Sempre discretamente piena di buone idee, anche allargando la ristretta sfera del filone di indagine, a volte (e questo è uno di questi casi) l’indagine stessa è prevedibilmente portata verso conclusioni già ipotizzabili. Qui, la nostra investigatrice è alle prese con un cold case di ingarbugliate origini. La morte di un giovane omosessuale avvenuta tre anni prima, di cui la sorella non riesce a darsi pace. Narrando quindi delle ricerche a ritroso della nostra investigatrice, Grazia Verasani ci racconta qualche settimana della vita emiliana dei nostri eroi. A parte le indagini, su cui si tornerà, c’è la sua segretaria, entrata nel gruppo all’ultimo romanzo, la giovane Genzianella detta Gen, volenterosa ed onnivora lettrice (citazione doverosa, che legge un libro di Giartosio mentre io ne ho appena letto l’ultimo), nonché contraltare in giovane età della disincantata Cantini. Salutiamo Lucio che ormai si è trasferito lontano. E in sottordine seguiamo le alterne vicende del possibile ma improbabile o futuribile amore tra la nostra investigatrice e l’ispettore di polizia, nonché sposato, Bruni, che si attraggono e si respingono già dal precedente libro. Qui la storia si intensifica, e forse si smuoverà dalle sabbie mobili in cui si è impantanata. Comunque, il fulcro della vicenda è la ricostruzione della personalità e delle gesta di Oliver, gay allegro trovato morto e pestato a sangue in una discarica bolognese. La Cantini comincia a ricostruire le mosse e le frequentazioni, e molto dell’ambiente gay emiliano, tra Bologna e Ferrara (che da lì, bassanamente muovevasi il buon Oliver). Conosciamo gli amici di Oliver, alcuni gay spagnoli, due simpatiche lesbiche bolognesi. Veniamo anche noi irretiti dal padrone di casa di Oliver, Simone l’attore ormai fallito, dotato di grande carisma, ma rovinato dalla droga, ed ora, a detta di tutti i conoscenti di Oliver, “uno stronzo”. Andiamo con Giorgia a Ferrara per conoscere l’amico di gioventù, Mario, uno dei pochi non gay della vicenda. E poi gli attori della fatiscente scuola di recitazione, da dove Oliver cercava di far sbocciare un talento che non aveva. Veniamo coinvolti mentalmente nelle sarabande notturne in cerca di corpi e di sesso, senza mai riuscire (o molto raramente) a trovare l’amore. E cominciamo a farci un’idea di questo ragazzo, generoso fino all’altruismo, ma senza mezzi ed affamato di amore. Che si dava per una carezza. Ma che alla fine si innamora, non ricambiato, del tenebroso Simone. E nelle sarabande notturne incappa anche nel cognato, omofobo all’ennesima potenza, che però rimorchia vagonate di giovani squinzie, utilizzando un appartamento bolognese ad Oliver destinato. Ed avviandoci verso il finale abbiamo queste strade da imboccare, ondivagando tra la freddezza e lo sfruttamento del bel Simone e le paure del cognato Cesare. Grazia Verasani conduce bene la danza verso il finale, che per ragioni ovvie passo sotto silenzio. Facendo solo rimarcare che la nostra rimane sempre fedele alla sua etica di fondo, che rimane anche la mia. Dove il più grande peccato è la mancanza di rispetto verso l’altro. Aspettiamo la prossima inchiesta, Giorgia Cantini!
“Sono stanca di gente che finge.” (91)
“Un’attrice straordinaria… Ma poi è caduta come altri nell’equivoco di scambiare l’ammirazione per una forma d’amore … Pensi che dare l’anima basti a farti sentire felice, ma dopo gli applausi la gente torna alla sua vita e tu cominci a chiederti dov’è la tua.” (129)
Grande rullo di tamburi, e settimana che inizia all’insegna di grandi impegni. Questa volta non di lavoro (per fortuna) né di viaggi (purtroppo), ma di casa. Sì perché il vostro tramatore ha deciso di metter mano a qualche (necessario) lavoro di rifacimento (l’arte della manutenzione rimane sempre un mistero). E non sappiamo ancora come ci si riuscirà ad organizzare con comunicazioni e computer. Vedremo. 

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