domenica 16 giugno 2013

Almost Bosch - 16 giugno 2013

In omaggio all’uscita dell’ultimo libro di Lucarelli (di cui no ci occupiamo), ne faccio un omaggio al grande giallista americano, visto, infatti, che ci occupiamo di un “full” Connelly con ben 3 episodi incentrati su Hieronymous Bosch, ed un romanzo isolato, puro giallo anche se, come confesso tra poco, non è tra le cose top che ho letto, né in generale, né dell’autore. E cominciamo pure dall’unico non Bosch.  
Michael Connelly “Utente sconosciuto” Piemme euro 11 (in realtà, scontato 8,25 euro)
[A: 01/09/2012 – I: 03/02/2013 – T: 06/02/2013]
[tit. or.: Chasing the Dime; ling. or.: inglese; pagine: 364; anno 2002]
Perché ancora una volta il vizio di tradurre “a muzzo” i titoli originali? Forse l’autore aveva intenzione di dare qualche segnale, e se questo si perde nella traduzione ne diamo, ora e ancora, colpa alle scellerate politiche editoriali. Passando dall’originale “Alla caccia del centesimo”, che fa allusione al lavoro di ricerca del protagonista, Henry Pierce, chimico molecolare, alle prese con una ricerca di connettori molecolari capaci, in un futuro, di creare computer della grandezza di un centesimo, al motore che da origine agli avvenimenti che si concatenano nel libro, quando appunto a Pierce, dovendo cambiare casa per rottura di rapporto, viene assegnato un numero di telefono corrispondente ad una prostituta che lavora “in rete”. Capirete senza dubbio che l’ottica si sposta, anche se è pur vero che il romanzo lavora su questi due binari paralleli. Da un lato il progetto Proteus, fiore all’occhiello di Pierce, che per questa ricerca sacrifica la sua vita privata (tanto che rompe con la bella Nicole). Progetto teso alla costruzione delle basi di connettori molecolari, in grado di aggregarsi (in un prossimo futuro) in computer tendenzialmente piccolissimi, e che potrebbero essere innestati anche in modo sottocutaneo, interagendo direttamente con gli organi della persona senza bisogno di porte e di cavi. Un’idea che, spinta ai suoi estremi limiti, potrebbe anche consentire di diagnosticare e curare mali della persona (del tipo un sensore diabetico interno che rilascia, una volta raggiunti i livelli di guardia, le giuste dosi di insulina). Progetto in via di traguardo, ma anche costoso ed alla ricerca di soldi. Motore primo di Proteus è appunto Pierce, che, stressato e pieno anche di problemi che nelle prime pagine non riusciamo ad immaginare, si lascia coinvolgere in questa strana vicenda delle telefonate misteriose al presunto vero utente del numero, l’escort di lusso Lilly. Scopriremo ad un certo punto che Henry aveva una sorella più grande che fece il percorso di Lilly, ma che finì male (con un colpo di collegamento che a Connelly è congeniale, veniamo a sapere che Isabelle, la sorella, è una delle donne uccise dal serial killer soprannominato “Fabbricante di bambole” che Bosch, eroe principe di Connelly, scopre in uno dei romanzi che lo vedono protagonista; questo sempre per cercare un’unità di visione intorno alle attività, poliziesche e criminali, che si svolgono in quel di Los Angeles). Henry si sente quindi in dovere di cercare Lilly. E comincia questa indagine, aiutato dall’amico di gioventù Cody, scoprendo una sodale di Lilly, poi degli appartamenti, ed alla fine, un letto insanguinato. Si rivolge alla polizia, ma tutti gli indizi (che per andare avanti nella ricerca non ha certo usato guanti di velluto) sembrano portare a lui come possibile colpevole di una possibile morte. Connelly ben maneggia la tensione, facendo progredire le indagini da un lato, e la preparazione dello show alla ricerca dei soldi dall’altro. Peccato che il mondo delle escort online sia veramente “duro”, e Pierce viene pestato alla grande. Ciò non gli impedisce di fare un figurone con i finanziatori. Ma subito dopo (e finalmente) si ferma a riflettere. Perché casualmente scopre un box a suo nome (come i box della “Bionda di cemento”, caro il mio scrittore, qualche invenzione in più, please), con dentro il corpo di Lilly; ed è un box affittato da sei mesi, ben prima dello scatenarsi del telefono. Allora, forse, c’è qualcuno che lo vuole incastrare. Chi sarà? Le industrie farmaceutiche in subbuglio? Nicole (unica a conoscere la storia di Isabelle) che si è venduta al nemico? Cody, hacker informatico, ma con troppi collegamenti strani? Dopo una prima parte un po’ in sordina e che trascina un po’ troppo per le lunghe il lettore, si arriva così alla parte “adrenalinica”, che finalmente coinvolge, che comincia a fare intravedere soluzioni diverse, e prospettive diverse su tutto quanto è successo nelle prime 260 pagine. Facendo quindi risalire il libro ad una dignitosa posizione di giusta lettura: niente di travolgente, ma neanche niente di troppo scontato e sciocco. Certo, Connelly ci ha abituato a romanzi di tono migliore e di maggiori complicazioni. Pur tuttavia, ci accontentiamo e ce lo teniamo, in attesa di tornare ai principali eroi dei suoi romanzi, Harry Bosch in testa.
Michael Connelly “La città delle ossa” Piemme euro 11 (in realtà, scontato 8,25 euro)
[A: 01/09/2012 – I: 23/02/2013 – T: 24/02/2013]
[tit. or.: City of Bones; ling. or.: inglese; pagine: 393; anno 2002]
Buono, anche se sono d’accordo con un poliziotto che ad un certo punto urla al nostro amato Bosch: “Ma tu porti veramente sfiga!”. Siamo ad un nuovo episodio incentrato con il nostro poliziotto preferito di L.A., l’inconfondibile Harry Bosch. Qui, il maestro del thriller si misura con una struttura abbastanza usata in televisione, quella del “cold case”: in un boschetto, nel Laurel Canyon che ci riporta alle musiche di John Mayall, viene trovato uno scheletro di un bambino, vecchio di almeno venti anni. Un impianto classico, direi, che Bosch affronta secondo i parametri usuali: ricerca delle date delle ossa, segni particolari, ricerche in archivio e via discorrendo. Ma non sarebbe Connelly se non ci mettesse tutto l’impianto dei suoi procedural thriller. Nelle indagini viene coinvolta una recluta del Distretto, Julia Brasher. Carina ed interessante, tanto che Bosch (ormai dimenticata Eleanor e le belle dei precedenti episodi) non può fare a meno di filarla un po’. Nasce così un interessante rapporto (lo scambio tra i due delle rispettive parentesi di vita che li hanno portati a questo punto) è interessante, sia per le luci che getta sulla psicologia del nostro paladino, sia sulle motivazioni che trova un brillante avvocato di lasciare tutto e di dedicarsi a fare la poliziotta. Ovviamente, il tutto complicato che Bosch è un superiore di Julia, e queste tipologie di rapporti non sono ben viste presso la polizia americana. Bosch ed il suo fido compagno Edgar intanto procedono nelle indagini. Trovano un pedofilo pentito che sembra essere coinvolto, ma della vicenda se ne impadroniscono i media, ed il tizio pensa bene di impiccarsi. Finalmente, ma casualmente, trovano una traccia a seguito di una segnalazione di una donna, che dice potrebbe essere il fratello scomparso appunto in quegli anni. Indagini ed interrogatori si susseguono, ed anche qui, pagina dopo pagina (ma con un po’ di fatica, che la prima parte non riesce a decollare), Bosch comincia a farsi una fotografia dei possibili avvenimenti. Trovando prima la conferma dell’identità, poi trovando il padre, ormai alcolizzato che vive in una roulotte (ed è uno stile di vita comune in America, vedi il bellissimo film di Altman …), ed identificando anche un ragazzo che conosceva lo scomparso, ma che ora è ai limiti della legge, tra droga e furtarelli. Proprio il ritrovamento di Stokes fa precipitare gli avvenimenti, accelerare il ritmo e rende l’ultima parte del libro meglio congeniata ed appassionante. Nel tentativo di fermare Stokes, Julia spara accidentalmente ed il proiettile di rimbalzo la uccide (da cui l’urlo delle prime righe). Il padre alcolizzato allora si autodenuncia come autore dell’omicidio, perché pensa che sia stata la figlia Sheila; la quale sa che non è stato il padre, il cui unico scopo (all’epoca dei fatti) era insidiare lei (e forse qualcosa in più). A questo punto, Bosch si ferma, che tutto sta andando a carte quarantotto. Quanti sono gli indiziati, quindi? C’è il padre, ovviamente, ma c’è anche Sheila (che confessa essere lei ad aver maltrattato il fratello, anche se non per ucciderlo), c’è Stokes, che forse sa più di quanto sembra, e c’è il pedofilo morto, presso cui trovano lo skate del morto. La maestria di Connelly è la solita di presentare tutti i finali possibili, e poi imboccarne uno. Che porterà alla soluzione del caso, anche se (costante che ritroviamo) il colpevole non è detto che possa avere la punizione che si merita (lo lascio dubitativo, così potete scoprirlo da voi). Certo, la fine è dolente, con il nostro Hieronymous che pensa a tutte le brutture che ha visto in questi anni, a tutte le persone care che ha visto morire. E non basteranno i dischi di Bill Evans a calmarlo. E noi ci domandiamo con lui: sarà la fine delle storie di Bosch? Speriamo di no, che, con tutti i suoi alti e bassi, la qualità media della scrittura di Connelly è comunque alta ed a me gradita.
“Sapeva che era sempre facile prendersela con qualcuno, ma non era giusto. In fondo, tutti erano padroni di scegliere la propria strada. Ogni individuo poteva essere influenzato dagli altri, ma la scelta finale era sempre sua.” (259)
“Immagino che sia impossibile conoscere a fondo un’altra persona, vero? Forse uno si illude di sapere come è fatta, le si avvicina al punto di fare l’amore, ma anche quando si raggiunge quest’intimità, non si sa mai quello che l’altro di porta dentro.” (262)
Michael Connelly “Lame di luce” Piemme euro 10
[A: 25/04/2012 – I: 25/04/2013 – T: 26/04/2013]
[tit. or.: Lost light; ling. or.: inglese; pagine: 346; anno 2003]
Appena ci si adagio sugli allori, pensando di aver capito Connelly ed il suo modo di scrivere, ed appena si inizia a leggere un nuovo romanzo, pensando di entrare in modo tranquillo nel mondo californiano di Harry Bosch … ecco che ci ritroviamo in una dimensione diversa da quella che ci si aspettava. Mi aspettavo di tornare alla Divisione Rapine e Omicidi di Hollywood, con la squadra di Bosch, soprattutto la simpatica Kiz, e di addentrarci in un nuovo caso che avrebbe messo alla frusta Harry e la piramide poliziesca. Invece… cominciamo che Connelly ci comunica che Bosch si è dimesso. Fuori dalla polizia, dopo 28 anni di lotte. Fuori senza quasi salutare, tanto che i “vecchi” amici non se lo filano più. Ma Bosch ha sempre qualcosa dentro, quel senso verso la giustizia che lo aveva sorretto in tutte le traversie. E, cosa per me fondamentale, uno sviscerato amore per la musica (imperdibili le prime pagine con Art Pepper al clarinetto), tanto che si mette anche a studiare il sassofono. Tutto poi gli serve per tornare a pensare a quanto non è riuscito a concludere. Ed è la morte di una certa Angela Benton che gli rimane nella testa. Con tutto il contorno che non si era riuscito a “dirimere”. La Benton è assistente di produzione in uno studio di cinema. Uccisa forse per motivi sessuali. Bosch va sul set, dove assiste ad una rapina con sparatoria. Era un film thriller, ed il regista voleva soldi veri per una rapina. Ovvio che la rapina c’è davvero. Muore il responsabile della sicurezza della banca, e viene ferito l’assistente bancario. Ed i soldi spariscono. L’inchiesta sulla rapina viene affidata a due poliziotti, che dieci mesi dopo vengono falciati durante una rapina. Uno muore l’altro rimane paraplegico. Bosch comincia a studiare il caso. E subito i suoi ex cercano di bloccarlo con le buone. Va dal paraplegico, che gli fornisce informazioni a pezzi. Ma scopre che un’agente della sezione informatica, Lily Gessler, li aveva avvertiti di anomalie nei numeri di serie delle banconote rubate. Bosch cerca la Gessler, e scopre che è scomparsa, pochi giorni prima che i due poliziotti venissero falcidiati. E scopre che la Gessler era la donna di Roy Lindell (un FBI che avevamo trovato quattro storie fa, rimasto in amicizia con Bosch). Per soprammercato, una delle banconote viene rinvenuta in una valigia che un terrorista filo-arabo cerca di trafugare in Messico. D’altra parte siamo nel post-2001, ed il terrorismo ci sguazza bene. Quindi, benché non più poliziotto, e solo con una licenza da detective, ed avendo sempre tutti contro (d’altronde c’è abituato), il nostro continua ad indagare. E visto che siamo in clima di revival, prima ritrova Janis, un tempo pubblico ministero con cui aveva risolto un caso, ed ora avvocato, che lo “protegge”. Poi ritrova addirittura la mitica Eleanor, l’unica donna che lui ha amato, il suo unico proiettile (vedi la citazione sotto). Sta ancora a Las Vegas, si guadagna la vita giocando a carte, e si comporta in modo misterioso, un po’ sfuggendo, un po’ cercando Harry. Ma questa è una storia diversa, una storia d’amore che (forse) vedremo sviluppata in altre storie (questa è la nona storia di Bosch e mi risulta sia arrivato alla 18^). Invece, con tutti contro (polizia, FBI, amici, e chi più ne ha…), Bosch si spulcia tutti gli incartamenti. E trova un bandolo. Trova un filo che lega la morte della Benton, la rapina sul set, la scomparsa della Gessler, la sparatoria contro i due poliziotti. Nel solito finale un po’ troppo “catartico” tutti (o molti) nodi vengono al pettine. I cattivi trovano il fio delle loro colpe. Bosch dovrà accettare dei compromessi (in fondo, ormai è solo un detective protetto solo da un avvocato). Ma la costruzione è degna, le forze dell’ordine fanno la loro solita cattiva figura (non a caso, Connelly cita spesso anche il caso Rodney King), e Bosch prende un volo per il Nevada… Insomma, bella storia, bel ritmo, e buona l’idea di complicarci la vita. Vedremo che cosa ti inventerai d’altro, caro Connelly.
“Era una donna sola, in cerca di affetto. Per me andava bene. Siamo tutti così” (75)
“Avevo dato a qualcuno delle speranze che dentro di me sapevo benissimo di non poter mantenere. Era un errore, anche se si basava su delle buone intenzioni.” (77)
“Io credo nella teoria dell’unico proiettile. Ci si può innamorare molte volte, ma c’è un unico proiettile con inciso un nome. E se sei abbastanza fortunato da venire colpito da quell’unico proiettile, puoi star certo che la ferita non guarirà più. … Nel cuore le cose non finiscono mai.” (119)
Michael Connelly “Il poeta è tornato” Piemme euro 11,50 (in realtà scontato a 8,65 euro con Feltrinelli+)
[A: 01/09/2012 – I: 10/06/2013 – T: 12/06/2013]
[tit. or.: The Narrows; ling. or.: inglese; pagine: 392; anno 2004]
Un libro in un buono stile Connelly, ma abbiamo letto di meglio del nostro. Buono anche il tentativo di doppio registro alternando soggettiva di Bosch e oggettiva, senza uno schema fisso (tanto che a volte le scritture si avvicendano all’interno di uno stesso capitolo). Intanto, credo che nella mente dello scrittore questo sia stato concepito come un libro di passaggio, un libro che cerca di chiudere alcune delle tante parentesi che Connelly apre nel mondo della polizia e della pattuglia investigativa FBI di Los Angeles e dintorni. Prima di entrare nel vivo, cerchiamo di riassumere lo stato dell’arte delle vicende: Bosch da un paio di libri si è dimesso dalla polizia, lavora come investigatore privato (con successi alterni), ha ritrovato il suo grande amore Eleanor che è tornata a vivere di poker a Las Vegas (e non è più il suo grande amore) ed ha scoperto di avere con lei una figlia. Degli altri avevamo lasciato Terry McCaleb sempre attento ai profili di killer e compagnia, ma sempre più in crisi con la salute; Rachel Willing, dopo i successi delle avventure per incastrare Backus il Poeta, a causa di alcuni errori, inviata per punizione nel Dakota (e dov’è?); e Backus scomparso ma (probabilmente) non morto come si credeva. Nel solito stile di Connelly, vediamo quindi nascere alcuni filoni di vicende: muore Terry, ma la vedova Graciela non è convinta ed incarica l’amico ed ex-poliziotto Harry di indagare. E Bosch scopre tracce strane: il furto di un GPS dalla barca, una ricerca su alcune persone scomparse nell’area di Las Vegas, fotografie che ritraggono un losco figuro con cappello da baseball ed una foto di un posto che si chiama Zzyzx (piccola parentesi per dare atto a Connelly scrupolo e verità; il posto esiste, si trova a 160 chilometri a sud di Las Vegas, ed è famoso per due motivi: la strada che vi arriva poi prosegue e si perde nel deserto ed il nome è stato ufficializzato come l’ultimo nome dell’alfabeto lessicografico americano). Mentre Harry procede con le sue ricerche, scopriamo che un GPS è stato recapito all’FBI, indirizzandolo a Rachel Willing e con le coordinate di Zzyzx. Rachel era stata, come detto, allontanata, ma viene richiamata come osservatrice e conoscitrice di Backus (che sul GPS ci sono le sue impronte). Ed a Zzyzx si scoprano 11 cadaveri! Ovviamente, Harry converge su Zzyzx, si scontra con l’FBI, si allea con Rachel (visto che anche lei viene usata). E mentre continua a ragionare, va a trovare la figlia a Los Angeles, incontra una misteriosa Jane che presto scompare (ma nello stile di Connelly sono sicuro riapparirà in qualche altra storia), e comincia a vedere un barlume di filo conduttore. Perché (e noi lettori onniscienti lo sappiamo) è veramente il Poeta che muove le fila. Che sembra aver ucciso Terry. Che vuole uccidere qualche altra persona, probabilmente Rachel (sua allieva quando era in FBI, e poi l’unica che ne capì la pericolosità). Harry interpreta gli appunti di Terry (che sembrava, in effetti, aver capito tutto), e trova la base nel deserto di Backus. Ma tutto salta per aria, sembrando che sia morto anche il Poeta. Finale non verosimile. Ed allora seguiamo Harry e Rachel fare un ultimo sforzo mentale, risalire ad una trama complessa che Backus aveva ipotizzato anni prima e che aveva perseguito, mettendo insieme, con intelligenza malefica, indizi, contro-indizi, prove e smascheramenti. E capiscono che Backus ha messo in moto tutto ciò per uccidere l’unico poliziotto che nel precedente romanzo era sfuggito alla sua vendetta. In un finale caotico, ma molto hollywoodiano, tutto va al suo posto, con una feroce lotta tra Bosch e Backus nei canali laterali del fiume di Los Angeles. Veniamo quindi qui alle lamentele per la scarsa considerazione dei marketing italici che preferiscono far abboccare i pesci gialli all’amo del ritorno dell’efferato poeta, mentre il titolo inglese allude agli stretti canali (“Narrows” in inglese) degli affluenti del fiume di Los Angeles, dove appunto si svolge la parte finale e decisiva della storia. Infatti, per i patiti di storie poco note, la città di L.A. fu fondata il 4 settembre 1781, da 44 persone, chiamate “Los Pobladores” che costituirono un insediamento vicino proprio al fiume, battezzandolo (essendo all’epoca tutti spagnoli o di discendenza spagnola) “El Pueblo de Nuestra Señora La Reina de los Ángeles sobre el Río Porciúncula”, facendone in pratica un gemellaggio teorico con Assisi. C’è anche un ultimo sussulto in cui, mentre speravamo che Harry e Rachel potessero avere una storia, addivengono ad una rottura (e non vi dirò il perché). Ma nel frattempo il LAPD (per i non patiti di FoxCrime, il Los Angeles Police Departement), a corto di menti lucide, chiede ad Harry di rientrare in servizio ed Harry … Non ve lo dico, lo vedremo nei prossimi libri. Comunque, gradevoli, leggibili, e (quasi sempre) con qualche spunto per me.
“Mi domandai perché, quando una persona ti dice quello che vorresti sentirti dire, [lo accogli] … sempre con qualche sospetto e riserva.” (309)
Purtroppo comunico al colto ed all’inclita, che il viaggio a Cuba è saltato per mancanza di numero legale. Io continuo ad organizzare altri viaggi, che quest’anno è molto dedicato al muoversi. Sicuramente si parte in Agosto, e con ragionevoli possibilità anche a luglio. Ma vediamo e vi terrò informati. 

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