In omaggio all’uscita dell’ultimo
libro di Lucarelli (di cui no ci occupiamo), ne faccio un omaggio al grande
giallista americano, visto, infatti, che ci occupiamo di un “full” Connelly con
ben 3 episodi incentrati su Hieronymous Bosch, ed un romanzo isolato, puro
giallo anche se, come confesso tra poco, non è tra le cose top che ho letto, né
in generale, né dell’autore. E cominciamo pure dall’unico non Bosch.
Michael Connelly “Utente sconosciuto” Piemme euro 11 (in realtà,
scontato 8,25 euro)
[A: 01/09/2012 – I:
03/02/2013 – T: 06/02/2013]
[tit. or.: Chasing the Dime; ling. or.: inglese; pagine: 364; anno 2002]
Perché ancora una volta il vizio
di tradurre “a muzzo” i titoli originali? Forse l’autore aveva intenzione di
dare qualche segnale, e se questo si perde nella traduzione ne diamo, ora e ancora,
colpa alle scellerate politiche editoriali. Passando dall’originale “Alla
caccia del centesimo”, che fa allusione al lavoro di ricerca del protagonista,
Henry Pierce, chimico molecolare, alle prese con una ricerca di connettori
molecolari capaci, in un futuro, di creare computer della grandezza di un centesimo,
al motore che da origine agli avvenimenti che si concatenano nel libro, quando
appunto a Pierce, dovendo cambiare casa per rottura di rapporto, viene
assegnato un numero di telefono corrispondente ad una prostituta che lavora “in
rete”. Capirete senza dubbio che l’ottica si sposta, anche se è pur vero che il
romanzo lavora su questi due binari paralleli. Da un lato il progetto Proteus,
fiore all’occhiello di Pierce, che per questa ricerca sacrifica la sua vita
privata (tanto che rompe con la bella Nicole). Progetto teso alla costruzione
delle basi di connettori molecolari, in grado di aggregarsi (in un prossimo
futuro) in computer tendenzialmente piccolissimi, e che potrebbero essere
innestati anche in modo sottocutaneo, interagendo direttamente con gli organi
della persona senza bisogno di porte e di cavi. Un’idea che, spinta ai suoi
estremi limiti, potrebbe anche consentire di diagnosticare e curare mali della
persona (del tipo un sensore diabetico interno che rilascia, una volta
raggiunti i livelli di guardia, le giuste dosi di insulina). Progetto in via di
traguardo, ma anche costoso ed alla ricerca di soldi. Motore primo di Proteus è
appunto Pierce, che, stressato e pieno anche di problemi che nelle prime pagine
non riusciamo ad immaginare, si lascia coinvolgere in questa strana vicenda
delle telefonate misteriose al presunto vero utente del numero, l’escort di
lusso Lilly. Scopriremo ad un certo punto che Henry aveva una sorella più
grande che fece il percorso di Lilly, ma che finì male (con un colpo di
collegamento che a Connelly è congeniale, veniamo a sapere che Isabelle, la
sorella, è una delle donne uccise dal serial killer soprannominato “Fabbricante
di bambole” che Bosch, eroe principe di Connelly, scopre in uno dei romanzi che
lo vedono protagonista; questo sempre per cercare un’unità di visione intorno
alle attività, poliziesche e criminali, che si svolgono in quel di Los
Angeles). Henry si sente quindi in dovere di cercare Lilly. E comincia questa
indagine, aiutato dall’amico di gioventù Cody, scoprendo una sodale di Lilly,
poi degli appartamenti, ed alla fine, un letto insanguinato. Si rivolge alla
polizia, ma tutti gli indizi (che per andare avanti nella ricerca non ha certo
usato guanti di velluto) sembrano portare a lui come possibile colpevole di una
possibile morte. Connelly ben maneggia la tensione, facendo progredire le
indagini da un lato, e la preparazione dello show alla ricerca dei soldi
dall’altro. Peccato che il mondo delle escort online sia veramente “duro”, e
Pierce viene pestato alla grande. Ciò non gli impedisce di fare un figurone con
i finanziatori. Ma subito dopo (e finalmente) si ferma a riflettere. Perché
casualmente scopre un box a suo nome (come i box della “Bionda di cemento”,
caro il mio scrittore, qualche invenzione in più, please), con dentro il corpo
di Lilly; ed è un box affittato da sei mesi, ben prima dello scatenarsi del
telefono. Allora, forse, c’è qualcuno che lo vuole incastrare. Chi sarà? Le
industrie farmaceutiche in subbuglio? Nicole (unica a conoscere la storia di
Isabelle) che si è venduta al nemico? Cody, hacker informatico, ma con troppi
collegamenti strani? Dopo una prima parte un po’ in sordina e che trascina un
po’ troppo per le lunghe il lettore, si arriva così alla parte “adrenalinica”,
che finalmente coinvolge, che comincia a fare intravedere soluzioni diverse, e
prospettive diverse su tutto quanto è successo nelle prime 260 pagine. Facendo
quindi risalire il libro ad una dignitosa posizione di giusta lettura: niente
di travolgente, ma neanche niente di troppo scontato e sciocco. Certo, Connelly
ci ha abituato a romanzi di tono migliore e di maggiori complicazioni. Pur
tuttavia, ci accontentiamo e ce lo teniamo, in attesa di tornare ai principali
eroi dei suoi romanzi, Harry Bosch in testa.
Michael Connelly “La città delle ossa” Piemme euro 11 (in realtà,
scontato 8,25 euro)
[A: 01/09/2012 – I:
23/02/2013 – T: 24/02/2013]
[tit. or.: City of Bones; ling. or.: inglese; pagine: 393; anno 2002]
Buono, anche se sono d’accordo
con un poliziotto che ad un certo punto urla al nostro amato Bosch: “Ma tu
porti veramente sfiga!”. Siamo ad un nuovo episodio incentrato con il nostro
poliziotto preferito di L.A., l’inconfondibile Harry Bosch. Qui, il maestro del
thriller si misura con una struttura abbastanza usata in televisione, quella
del “cold case”: in un boschetto, nel Laurel Canyon che ci riporta alle musiche
di John Mayall, viene trovato uno scheletro di un bambino, vecchio di almeno
venti anni. Un impianto classico, direi, che Bosch affronta secondo i parametri
usuali: ricerca delle date delle ossa, segni particolari, ricerche in archivio
e via discorrendo. Ma non sarebbe Connelly se non ci mettesse tutto l’impianto
dei suoi procedural thriller. Nelle indagini viene coinvolta una recluta del
Distretto, Julia Brasher. Carina ed interessante, tanto che Bosch (ormai
dimenticata Eleanor e le belle dei precedenti episodi) non può fare a meno di
filarla un po’. Nasce così un interessante rapporto (lo scambio tra i due delle
rispettive parentesi di vita che li hanno portati a questo punto) è
interessante, sia per le luci che getta sulla psicologia del nostro paladino,
sia sulle motivazioni che trova un brillante avvocato di lasciare tutto e di
dedicarsi a fare la poliziotta. Ovviamente, il tutto complicato che Bosch è un
superiore di Julia, e queste tipologie di rapporti non sono ben viste presso la
polizia americana. Bosch ed il suo fido compagno Edgar intanto procedono nelle
indagini. Trovano un pedofilo pentito che sembra essere coinvolto, ma della
vicenda se ne impadroniscono i media, ed il tizio pensa bene di impiccarsi.
Finalmente, ma casualmente, trovano una traccia a seguito di una segnalazione
di una donna, che dice potrebbe essere il fratello scomparso appunto in quegli
anni. Indagini ed interrogatori si susseguono, ed anche qui, pagina dopo pagina
(ma con un po’ di fatica, che la prima parte non riesce a decollare), Bosch
comincia a farsi una fotografia dei possibili avvenimenti. Trovando prima la
conferma dell’identità, poi trovando il padre, ormai alcolizzato che vive in
una roulotte (ed è uno stile di vita comune in America, vedi il bellissimo film
di Altman …), ed identificando anche un ragazzo che conosceva lo scomparso, ma
che ora è ai limiti della legge, tra droga e furtarelli. Proprio il ritrovamento
di Stokes fa precipitare gli avvenimenti, accelerare il ritmo e rende l’ultima
parte del libro meglio congeniata ed appassionante. Nel tentativo di fermare
Stokes, Julia spara accidentalmente ed il proiettile di rimbalzo la uccide (da
cui l’urlo delle prime righe). Il padre alcolizzato allora si autodenuncia come
autore dell’omicidio, perché pensa che sia stata la figlia Sheila; la quale sa
che non è stato il padre, il cui unico scopo (all’epoca dei fatti) era
insidiare lei (e forse qualcosa in più). A questo punto, Bosch si ferma, che
tutto sta andando a carte quarantotto. Quanti sono gli indiziati, quindi? C’è
il padre, ovviamente, ma c’è anche Sheila (che confessa essere lei ad aver
maltrattato il fratello, anche se non per ucciderlo), c’è Stokes, che forse sa
più di quanto sembra, e c’è il pedofilo morto, presso cui trovano lo skate del
morto. La maestria di Connelly è la solita di presentare tutti i finali
possibili, e poi imboccarne uno. Che porterà alla soluzione del caso, anche se
(costante che ritroviamo) il colpevole non è detto che possa avere la punizione
che si merita (lo lascio dubitativo, così potete scoprirlo da voi). Certo, la
fine è dolente, con il nostro Hieronymous che pensa a tutte le brutture che ha
visto in questi anni, a tutte le persone care che ha visto morire. E non
basteranno i dischi di Bill Evans a calmarlo. E noi ci domandiamo con lui: sarà
la fine delle storie di Bosch? Speriamo di no, che, con tutti i suoi alti e
bassi, la qualità media della scrittura di Connelly è comunque alta ed a me
gradita.
“Sapeva che era sempre facile prendersela con qualcuno, ma non era
giusto. In fondo, tutti erano padroni di scegliere la propria strada. Ogni
individuo poteva essere influenzato dagli altri, ma la scelta finale era sempre
sua.” (259)
“Immagino che sia impossibile conoscere a fondo un’altra persona, vero?
Forse uno si illude di sapere come è fatta, le si avvicina al punto di fare
l’amore, ma anche quando si raggiunge quest’intimità, non si sa mai quello che
l’altro di porta dentro.” (262)
Michael Connelly “Lame di luce” Piemme euro 10
[A: 25/04/2012 – I: 25/04/2013 – T: 26/04/2013]
[tit. or.: Lost light; ling. or.: inglese; pagine: 346; anno 2003]
Appena ci si adagio sugli allori,
pensando di aver capito Connelly ed il suo modo di scrivere, ed appena si
inizia a leggere un nuovo romanzo, pensando di entrare in modo tranquillo nel
mondo californiano di Harry Bosch … ecco che ci ritroviamo in una dimensione
diversa da quella che ci si aspettava. Mi aspettavo di tornare alla Divisione
Rapine e Omicidi di Hollywood, con la squadra di Bosch, soprattutto la
simpatica Kiz, e di addentrarci in un nuovo caso che avrebbe messo alla frusta
Harry e la piramide poliziesca. Invece… cominciamo che Connelly ci comunica che
Bosch si è dimesso. Fuori dalla polizia, dopo 28 anni di lotte. Fuori senza
quasi salutare, tanto che i “vecchi” amici non se lo filano più. Ma Bosch ha
sempre qualcosa dentro, quel senso verso la giustizia che lo aveva sorretto in
tutte le traversie. E, cosa per me fondamentale, uno sviscerato amore per la
musica (imperdibili le prime pagine con Art Pepper al clarinetto), tanto che si
mette anche a studiare il sassofono. Tutto poi gli serve per tornare a pensare
a quanto non è riuscito a concludere. Ed è la morte di una certa Angela Benton
che gli rimane nella testa. Con tutto il contorno che non si era riuscito a
“dirimere”. La Benton è assistente di produzione in uno studio di cinema.
Uccisa forse per motivi sessuali. Bosch va sul set, dove assiste ad una rapina
con sparatoria. Era un film thriller, ed il regista voleva soldi veri per una
rapina. Ovvio che la rapina c’è davvero. Muore il responsabile della sicurezza
della banca, e viene ferito l’assistente bancario. Ed i soldi spariscono.
L’inchiesta sulla rapina viene affidata a due poliziotti, che dieci mesi dopo
vengono falciati durante una rapina. Uno muore l’altro rimane paraplegico.
Bosch comincia a studiare il caso. E subito i suoi ex cercano di bloccarlo con
le buone. Va dal paraplegico, che gli fornisce informazioni a pezzi. Ma scopre
che un’agente della sezione informatica, Lily Gessler, li aveva avvertiti di
anomalie nei numeri di serie delle banconote rubate. Bosch cerca la Gessler, e
scopre che è scomparsa, pochi giorni prima che i due poliziotti venissero
falcidiati. E scopre che la Gessler era la donna di Roy Lindell (un FBI che
avevamo trovato quattro storie fa, rimasto in amicizia con Bosch). Per soprammercato,
una delle banconote viene rinvenuta in una valigia che un terrorista filo-arabo
cerca di trafugare in Messico. D’altra parte siamo nel post-2001, ed il
terrorismo ci sguazza bene. Quindi, benché non più poliziotto, e solo con una
licenza da detective, ed avendo sempre tutti contro (d’altronde c’è abituato),
il nostro continua ad indagare. E visto che siamo in clima di revival, prima
ritrova Janis, un tempo pubblico ministero con cui aveva risolto un caso, ed
ora avvocato, che lo “protegge”. Poi ritrova addirittura la mitica Eleanor,
l’unica donna che lui ha amato, il suo unico proiettile (vedi la citazione
sotto). Sta ancora a Las Vegas, si guadagna la vita giocando a carte, e si comporta
in modo misterioso, un po’ sfuggendo, un po’ cercando Harry. Ma questa è una
storia diversa, una storia d’amore che (forse) vedremo sviluppata in altre
storie (questa è la nona storia di Bosch e mi risulta sia arrivato alla 18^).
Invece, con tutti contro (polizia, FBI, amici, e chi più ne ha…), Bosch si
spulcia tutti gli incartamenti. E trova un bandolo. Trova un filo che lega la
morte della Benton, la rapina sul set, la scomparsa della Gessler, la
sparatoria contro i due poliziotti. Nel solito finale un po’ troppo “catartico”
tutti (o molti) nodi vengono al pettine. I cattivi trovano il fio delle loro
colpe. Bosch dovrà accettare dei compromessi (in fondo, ormai è solo un
detective protetto solo da un avvocato). Ma la costruzione è degna, le forze
dell’ordine fanno la loro solita cattiva figura (non a caso, Connelly cita
spesso anche il caso Rodney King), e Bosch prende un volo per il Nevada… Insomma,
bella storia, bel ritmo, e buona l’idea di complicarci la vita. Vedremo che
cosa ti inventerai d’altro, caro Connelly.
“Era una donna sola, in cerca di affetto. Per me andava bene. Siamo
tutti così” (75)
“Avevo dato a qualcuno delle speranze che dentro di me sapevo benissimo
di non poter mantenere. Era un errore, anche se si basava su delle buone
intenzioni.” (77)
“Io credo nella teoria dell’unico proiettile. Ci si può innamorare
molte volte, ma c’è un unico proiettile con inciso un nome. E se sei abbastanza
fortunato da venire colpito da quell’unico proiettile, puoi star certo che la
ferita non guarirà più. … Nel cuore le cose non finiscono mai.” (119)
Michael Connelly “Il poeta è tornato” Piemme euro 11,50 (in realtà
scontato a 8,65 euro con Feltrinelli+)
[A: 01/09/2012 – I:
10/06/2013 – T: 12/06/2013]
[tit. or.: The Narrows; ling. or.: inglese; pagine: 392; anno 2004]
Un libro in un buono stile Connelly,
ma abbiamo letto di meglio del nostro. Buono anche il tentativo di doppio
registro alternando soggettiva di Bosch e oggettiva, senza uno schema fisso
(tanto che a volte le scritture si avvicendano all’interno di uno stesso
capitolo). Intanto, credo che nella mente dello scrittore questo sia stato
concepito come un libro di passaggio, un libro che cerca di chiudere alcune
delle tante parentesi che Connelly apre nel mondo della polizia e della
pattuglia investigativa FBI di Los Angeles e dintorni. Prima di entrare nel
vivo, cerchiamo di riassumere lo stato dell’arte delle vicende: Bosch da un
paio di libri si è dimesso dalla polizia, lavora come investigatore privato
(con successi alterni), ha ritrovato il suo grande amore Eleanor che è tornata
a vivere di poker a Las Vegas (e non è più il suo grande amore) ed ha scoperto
di avere con lei una figlia. Degli altri avevamo lasciato Terry McCaleb sempre
attento ai profili di killer e compagnia, ma sempre più in crisi con la salute;
Rachel Willing, dopo i successi delle avventure per incastrare Backus il Poeta,
a causa di alcuni errori, inviata per punizione nel Dakota (e dov’è?); e Backus
scomparso ma (probabilmente) non morto come si credeva. Nel solito stile di
Connelly, vediamo quindi nascere alcuni filoni di vicende: muore Terry, ma la
vedova Graciela non è convinta ed incarica l’amico ed ex-poliziotto Harry di
indagare. E Bosch scopre tracce strane: il furto di un GPS dalla barca, una
ricerca su alcune persone scomparse nell’area di Las Vegas, fotografie che ritraggono
un losco figuro con cappello da baseball ed una foto di un posto che si chiama
Zzyzx (piccola parentesi per dare atto a Connelly scrupolo e verità; il posto
esiste, si trova a 160 chilometri a sud di Las Vegas, ed è famoso per due
motivi: la strada che vi arriva poi prosegue e si perde nel deserto ed il nome
è stato ufficializzato come l’ultimo nome dell’alfabeto lessicografico
americano). Mentre Harry procede con le sue ricerche, scopriamo che un GPS è
stato recapito all’FBI, indirizzandolo a Rachel Willing e con le coordinate di
Zzyzx. Rachel era stata, come detto, allontanata, ma viene richiamata come
osservatrice e conoscitrice di Backus (che sul GPS ci sono le sue impronte). Ed
a Zzyzx si scoprano 11 cadaveri! Ovviamente, Harry converge su Zzyzx, si
scontra con l’FBI, si allea con Rachel (visto che anche lei viene usata). E
mentre continua a ragionare, va a trovare la figlia a Los Angeles, incontra una
misteriosa Jane che presto scompare (ma nello stile di Connelly sono sicuro
riapparirà in qualche altra storia), e comincia a vedere un barlume di filo
conduttore. Perché (e noi lettori onniscienti lo sappiamo) è veramente il Poeta
che muove le fila. Che sembra aver ucciso Terry. Che vuole uccidere qualche
altra persona, probabilmente Rachel (sua allieva quando era in FBI, e poi
l’unica che ne capì la pericolosità). Harry interpreta gli appunti di Terry
(che sembrava, in effetti, aver capito tutto), e trova la base nel deserto di
Backus. Ma tutto salta per aria, sembrando che sia morto anche il Poeta. Finale
non verosimile. Ed allora seguiamo Harry e Rachel fare un ultimo sforzo
mentale, risalire ad una trama complessa che Backus aveva ipotizzato anni prima
e che aveva perseguito, mettendo insieme, con intelligenza malefica, indizi,
contro-indizi, prove e smascheramenti. E capiscono che Backus ha messo in moto
tutto ciò per uccidere l’unico poliziotto che nel precedente romanzo era
sfuggito alla sua vendetta. In un finale caotico, ma molto hollywoodiano, tutto
va al suo posto, con una feroce lotta tra Bosch e Backus nei canali laterali
del fiume di Los Angeles. Veniamo quindi qui alle lamentele per la scarsa
considerazione dei marketing italici che preferiscono far abboccare i pesci
gialli all’amo del ritorno dell’efferato poeta, mentre il titolo inglese allude
agli stretti canali (“Narrows” in inglese) degli affluenti del fiume di Los
Angeles, dove appunto si svolge la parte finale e decisiva della storia.
Infatti, per i patiti di storie poco note, la città di L.A. fu fondata il 4
settembre 1781, da 44 persone, chiamate “Los Pobladores” che costituirono un
insediamento vicino proprio al fiume, battezzandolo (essendo all’epoca tutti
spagnoli o di discendenza spagnola) “El Pueblo de Nuestra Señora La Reina de
los Ángeles sobre el Río Porciúncula”, facendone in pratica un gemellaggio teorico
con Assisi. C’è anche un ultimo sussulto in cui, mentre speravamo che Harry e
Rachel potessero avere una storia, addivengono ad una rottura (e non vi dirò il
perché). Ma nel frattempo il LAPD (per i non patiti di FoxCrime, il Los Angeles
Police Departement), a corto di menti lucide, chiede ad Harry di rientrare in
servizio ed Harry … Non ve lo dico, lo vedremo nei prossimi libri. Comunque,
gradevoli, leggibili, e (quasi sempre) con qualche spunto per me.
“Mi domandai perché, quando una persona ti dice quello che vorresti
sentirti dire, [lo accogli] … sempre con qualche sospetto e riserva.” (309)
Purtroppo
comunico al colto ed all’inclita, che il viaggio a Cuba è saltato per mancanza
di numero legale. Io continuo ad organizzare altri viaggi, che quest’anno è
molto dedicato al muoversi. Sicuramente si parte in Agosto, e con ragionevoli
possibilità anche a luglio. Ma vediamo e vi terrò informati.
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