domenica 23 giugno 2013

Edimburgo (prima o poi) - 23 giugno 2013

Visto che non siamo ancora partiti per la Scozia (ma sappiamo che ci si andrà, più prima che poi, vero?), ed a valle di una segnalazione trasversale (come segnalo nella prima trama), eccoci ad occupare di questo scrittore scozzese e delle sue lunghe storie che hanno per protagonista John Rebus, poliziotto di Edimburgo. Ho recuperato la prima, grazie alle decisioni editoriali di TEA, ed alcune intorno alla decima storia, dove peraltro si sono svolte già molte avventure del nostro commissario, passato tra divorzi, amori e dolori. Rimane da citare una scrittura onesta, ed una buona resa (soprattutto da un certo punto delle storie in poi) delle atmosfere scozzesi (forse a volte si indugia un po’ troppo sull’alcool, ma credo sia connaturato al luogo dei romanzi).
Ian Rankin “Cerchi e croci” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 30/09/2012– I: 26/02/2013 – T: 01/03/2013]
[tit. or.: Knots & Crosses; ling. or.: inglese; pagine: 255; anno 1987]
E siamo finalmente giunti alla lettura del primo romanzo dello scrittore scozzese dedicato all’ispettore John Rebus. Ricordo, più che altro per me, il percorso che mi ha avvicinato a Rankin. Pur avendolo visto negli scaffali delle librerie romane, non lo avevo preso in considerazione, fino a che il suo nome non è uscito fuori in un romanzo di un altro scrittore scozzese, Alexander McCall Smith, nel corso di una delle storie dedicate ad Isabelle la filosofa - investigatrice. E compare citato come un grande scrittore delle atmosfere di Edimburgo. Messo sull’avviso mi è capitato un suo romanzo (credo il decimo) della serie di Rebus. L’ho trovato giusto (come ne scrissi), belle atmosfere, bella descrizione ed interessante intreccio. Con la mia solita maniacale passione, ho quindi cercato nel tempo di ricostruirne la bibliografia. E con piacere ho notato questa riproposizione, da parte della serie TEA Mystery, del primo libro della serie. Quindi preso e, con i dovuti tempi, letto. Il libro non parte subito, e forse, come un diesel, si muove per le 200 e passa pagine con un piglio interessante ma non (scusate il bisticcio) spigliato. Certo, dobbiamo fare la conoscenza dei personaggi, collocarli nel loro punto storico e personale. E questo richiede tempo. Mentre cominciamo tutto ciò, muoiono delle ragazzine intorno ai dodici anni. Muoiono strangolate, ma su di loro non viene commesso nessun abuso sessuale, cosa alquanto atipica, se ci si trovasse davanti ad un serial killer. Tutto pian pianino scorre, anche lungo il fiume e tra i pub. Rebus si impegna ma non riesce a trovare connessioni. Scopriamo che è divorziato, che ha una figlia, dodicenne anche lei, di nome Samantha, e che sta iniziando una storia con una poliziotta addetta alle relazioni pubbliche, la bella Gill. Scopriamo anche che riceve lettere anonime. E ben presto noi, onniscienti lettori, capiamo che ci sono forti connessioni con le morti. Un altro killer che lascia indizi al poliziotto perché possa essere scoperto? Una sfida? E mentre andiamo scoprendo i personaggi, ci si rivela anche il passato di John. Che viene dall’esercito, risultando uno dei migliori del suo corso. Che viene scelto, con un numero sempre ristretto di altri, per entrare nelle forze speciali. Che subisce un addestramento duro, specifico, e che spezza la volontà a tutti, forse riducendone qualcuno alla follia. Follia che John e Gordon, il suo amico rivale, cercano di cavalcare giocando a mente al gioco che in inglese si chiama “Knots & crosses” (che appunto, come dice il titolo italiano, sono cerchi e croci) ed in italiano “Tris”. Un gioco che ricordiamo bene, sia dall’infanzia, che dal bellissimo film “War Games”, dove viene usato per “impallare” un computer, che alla fine sputa quella bellissima sentenza pacifista: "l'unico modo per vincere una guerra è... non farla!" E John Rebus, quando scopre la brutalità di tutto ciò, decide di lasciare l’esercito, e di fare il poliziotto “per riparare qualche torto della vita”. Il primo spiraglio per avvicinarci alla soluzione è fornito da un matematico inglese che telefona a Rebus dicendogli che la soluzione deriva da un acrostico che sembra essere l’unico legame tra le vittime. Illuminazione. Ma anche paura, che a questo punto Rebus capisce di essere al centro esatto della storia. Con tutti che gli danno addosso, e con Gill che pensa anche alla possibilità che John sia uno schizofrenico con una doppia personalità. Quale sarà la verità? Riuscirà Rebus a dimostrare la sua innocenza ed a salvare l’unica persona a cui tiene realmente? Ai lettori l’ardua sentenza, noi ci accontentiamo di questo inizio di assaggio scozzese, tra nebbie, alcolici e pub, non ancora in quelle atmosfere alla Cronin che trovo in scritti successivi di Rankin, ma sicuramente con la posa di una base interessante per una serie (vero cari amici di Fox-Crime?).
“John faceva collezione di libri che poi non leggeva. In passato no, aveva sempre letto tutto quello che comprava, ma ormai … era diventato più critico, non era più disposto a sorbirsi sino alla fine un tomo che non gli piacesse veramente: la sua pazienza durava al massimo dieci pagine.” (49)
“- Quanti anni ha tua figlia? … - Va per i dodici. – Un’età difficile. – Perché, ce n’è una facile?” (82)
Ian Rankin “Fine partita” TEA euro 9
[A: 15/04/2012– I: 18/04/2013 – T: 21/04/2013]
[tit. or.: The Falls; ling. or.: inglese; pagine: 509; anno 2001]
Sono passati quattordici anni dal primo libro sull’ispettore Rebus, e questa è la 12^ inchiesta che ci propone l’autore. Delle dieci che intercorrono, credo di averne letta una tempo fa, e molte, invece, non sono neanche state tradotte. Ma Rankin sa maneggiare le sue storie, e non ci dà il tempo di rimpiangere le puntate perse. L’ispettore John Rebus è lì, al centro della scena. E intorno si dipanano storie e soprattutto, come già detto, Edimburgo, la sua geografia, la sua aria scozzese, ed i suoi pub. E la geografia di Rebus stesso: la vita privata, con l’idea dell’ex-moglie ormai scomparsa da tempo dalle storie, e quella della figlia, vittima nei libri di mezzo di un qualche incidente ma che non compare qui, e quella pubblica, il lavoro, il nuovo capo, ora una donna (non facile essere donna a capo di un dipartimento…), la sua squadra, con Eileen (sua partner in precedenti storie) pian piano che scende in secondo piano, e Siobhan (che si pronuncia “scivaun”) che invece sale quasi a suo alter ego, con le stesse manie di John (a parte l’alcool) e la stessa determinazione. Compare inoltre una simpatica Jean che sembra entrare un po’ negli affetti del tenebroso ispettore. La storia prende le mosse dalla scomparsa di una ragazza di venticinque anni, di buona famiglia (padre banchiere, molto più interessato ai soldi che al resto, moglie “da tappezzeria” e patrigno socio del padre e forse qualcosa in più) e di buon fidanzato (David, di famiglia irlandese, una volta violento, ma in seguito ad avvenimenti che non sappiamo, redento). Compare anche un anatomopatologo in pensione, vicino di cassa della scomparsa Flip che forse sa più di quanto sembra. La storia si fa densa quando da un lato scopriamo che Flip era appassionata di giochi di ruolo via internet e dall’altro compare una piccola bara intagliata con dentro una bambola. Del primo filone si incarica Siobhan, e qui i traduttori devono fare miracoli di spiegazioni. Che il role-play va avanti a forza di enigmi, ovviamente intraducibili, che costringono il traduttore ad usare l’inglese, con lunghe spiegazioni in italiano. Come per uno degli ultimi indizi che in inglese inizia con “Add Camus to ME Smith…” per collegare un libro di Camus (“La caduta” in inglese “The fall”) con Mark E. Smith il cantante di un gruppo scozzese che si chiamava “The fall”, per ottenere “the falls” (le cascate) che è: 1. il titolo originale del libro, 2. il posto dove viene ritrovata la piccola bara e 3. un luogo vicino alla casa natale di Flip. Intraducibile, direi. Intanto la bara trovata alla cascata viene collegata con altre bare trovate su luoghi o vicino a luoghi di misteriose scomparse o misteriosi delitti. Ed il tutto, a sua volta collegato ad una serie di altrettanto piccole bare, trovate in un luogo di Edimburgo detto “Arthur’s Seat” (e guarda caso si riferisce a Re Artù, ci saranno cose da vedere in città…). E queste bare sembrano essere collegate alle attività criminali ottocentesche di una celebre coppia di furfanti edimburghesi: i famigerati Burke ed Hare, fornitori di cadaveri ai medici per i loro studi. E quando i cadaveri scarseggiano decidono di procurarsene direttamente attraverso omicidi. Beh, un bel calderone di informazioni, dove si intrecciano enigmi (d’altra parte, come tirarsi indietro quando uno fa Rebus di cognome), ricerche storiche sul passato di Edimburgo ed altre amenità scozzesi, whiskey e birra a fiumi. Non ultima, e forse anche questa per me interessante, la passione di John per la musica, con la casa dove manca da mangiare ma c’è sempre qualcosa sul CD. Possono essere classici del pop, nuove leve, REM, Clash, folk singer, Jimi Hendrix, fino ad arrivare a sconosciute glorie locali. Ma questa è una parte che mi intriga molto (forse qualcuno ricorda che sono anche appassionato di musica?...). Intreccio dopo intreccio, dopo aver continuato a farmi girare per la città, John e Siobhan arrivano alle loro conclusioni. Che coincidono, anche se quella di Rebus è più completa, includendo una risposta a tutte le bare, a tutte le morti, ed anche a quella di Flip (che nel frattempo è stata ritrovata strangolata). Continuo a dire che, se non l’ha fatto, Fox-Crime avrebbe da guadagnare a crearne un serial. Intanto io me ne godo la lettura, l’anima scozzese e la voglia di arrivarci. Vero?
“- Con tutte le domande che ti porti in giro … perché non lasci che qualcuno ti offra delle risposte? – Forse perché preferisco le domande?” (161)
“Si era allontanato da così tante amicizie, nella vita, preferendo l’unica compagnia di se stesso nelle serate in poltrona accanto alla finestra del soggiorno in penombra.” (173)
“Se fare carriera significa perdere una parte di sé, a S., la cosa non interessava.” (472)
Ian Rankin “Casi sepolti” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 01/01/2013– I: 22/04/2013 – T: 24/04/2013]
[tit. or.: Resurrection Men; ling. or.: inglese; pagine: 468; anno 2002]
L’appetito vien mangiando, e quindi, come le ciliegie, un Rebus tira l’altro. Prima piccola critica, anche se veniale, ai titolatori della TEA. L’originale inglese parla di “uomini resuscitati”, intesi come poliziotti che, dopo aver fatto errori o altre stupidità, vengono inviati ad una scuola di rieducazione, dove o verranno reintegrati o mandati in pensione anticipata. Certo, i suddetti, per rinverdire il lavoro di squadra, si occupano di vecchi casi, come dice il titolo. Ma non è quello il nocciolo della vicenda. L’impianto generale, al solito, si basa su di un doppio binario. L’ispettore Rebus è mandato in missione segreta alla scuola, perché si sospetta che due o tre elementi lì per rieducarsi abbiano fatto un colpo cinque anni prima e stiano per goderne i frutti. Per mandarlo lì, Rebus viene sollevato dal caso che sta seguendo, che diventa quindi di proprietà del sergente Siobhan (appena promossa): un gallerista ucciso vicino alla sua casa senza apparenti motivi. Questa volta c’è poca atmosfera cittadina, poca Edimburgo. Anche se, in compenso, c’è un po’ di Glasgow e qualche accenno di Dundee. Sempre ben accetti per tenere viva l’idea di partire verso la Scozia. Ma ora Rankin sembra avere più voglia di criticare polizia e poliziotti (sia corrotti che incapaci). E criticare anche i metodi dei suddetti, spesso gratuitamente violenti. Come sono violenti i rieducandi: l’ispettore Gray che non perde occasione di menare le mani, sia con i delinquenti sia con John verso cui nutre un atavico risentimento, o i sergenti Jazz e Alan, spesso in comunella con Gray. Per complicare la vicenda della rieducazione, il tenente che li deve educare (viene costretto?) decide di usare un caso di alcuni anni prima che, guarda la combinazione, aveva visto l’ispettore Rebus in uno dei suoi momenti peggiori. Rebus che per invogliare i tre ad uscire allo scoperto decide di svelare una partita segreta di coca che transita dall’antidroga. Peccato che della notizia ne venga a conoscenza del boss della zona, il cattivo Big Ger. Ci si inserirà? Intanto Big Ger deve anche guardarsi da Siobhan che cerca di coinvolgerlo nella morte del gallerista (che non era certo uno stinco di santo). Ed il gallerista per il suo ultimo viaggio sale su un taxi di una compagnia privata, gestita da un’ex-prostituta (forse del giro di Big Ger) che certamente conosceva Jazz dai tempi di Dundee. Ma il giro delle ex-prostitute è completato da Laura, l’ultima passione del gallerista, che lavora in un locale “privè”, dove viene uccisa dall’ex-marito geloso, che guarda caso è anche l’autista di Big Ger. Intanto il caso sepolto, rivela l’allora comportamento poco ortodosso di Rebus, che, in mancanza di prove cercava di farsi vendetta da solo su un tizio che aveva stuprato la moglie di un canonico, cieca e poi suicida. In questo aiutato dalla feccia di Glasgow. Sembrano tante storie separate ma magicamente Rankin le fa confluire in un disegno univoco. Siobhan e John riusciranno a dimostrare i tratti comuni e ad assicurare una parte dei cattivi alla giustizia. Qualche poliziotto corrotto o poco onesto avrà il giusto guiderdone (come quelli dell’Antidroga, che sembravano controfigure dei soliti Stanlio e Ollio). Verranno risolti tutti i casi, magari intorno ad una pinta di birra, ad un whiskey, ad un blood mary, ad un gin tonic e valanghe di IPA per chi guida (certo i traduttori dovrebbe fare un piccolo sforzo in favore di noi poveri lettori; IPA sta per “India Pale Ale”, una birra di tipo leggero che però in Inghilterra è usata come sinonimo di bitter, per preservare dall’alcool i guidatori della serata). Questa volta rimane un  po’ in ombra il capo dipartimento Gill. Ed ha interventi marginali la bella Jean, che nel romanzo precedente sembrava aver conquistato il cuore di John. Stanno ancora insieme, ma sembrano come allentarsi i legami precedenti. D’altra parte non è facile conviver con uno come John; probabilmente anche lui stesso lo fa a fatica. A consuntivo, una prova decente, una buona critica sociale, anche se poca Scozia e poca atmosfera fuori dai commissariati di polizia. Comunque continua ad essere pregevole la continua citazione di colonne sonore poco frequentate, ma sicuramente affascinanti, per noi musicofili (tipo Dirt degli Stooges dall’album Fun House cantata da Iggy Pop: un mito!).
“[allo Zombie bar] si ascoltava roba tipo trance o ambient, e la lavagna del menu offriva huevos rancheros … e per snack attack niente di meno che blini russi e baba ghanoush.” (182) [imperdibile!]
Ian Rankin “Una questione di sangue” TEA euro 8,90
[A: 13/06/2012– I: 28/04/2013 – T: 30/04/2013]
[tit. or.: A Question of Blood; ling. or.: inglese; pagine: 450; anno 2003]
Continuiamo quindi a muoverci verso la Scozia, anche se solo con la fantasia. E seguiamo ancora il nostro John Rebus, ispettore sempre più solitario e sempre più “piccolo piccolo”, sembrerebbe per citare un film di Alberto Sordi. Protegge i suoi come una leonessa al pascolo. Così fa con l’agente Siobhan Clarke, ormai stabilmente alter-ego e Rebus in minore della serie. D’altra parte siamo al quattordicesimo episodio. Ormai molti caratteri sono stabili. Rebus, ovviamente, solitario, spesso con una birra in mano (quando non qualcosa di più; ma quanto bevono gli scozzesi?), che conosce tutti, che ormai è stanco, ma che non smette mai di ragionare e di mettersi di traverso sulla strada dei cattivi. Siobhan, con le sue paure, le sue fobie (ora ha anche attacchi di panico), con la sua dedizione totale a John (ma nascerà mai qualcosa tra i due?). Gli altri della “Lothian and Borders” (la polizia territoriale scozzese): il capo Gill (ormai presa nelle alte sfere), l’ispettore Bobby (sempre pronto a dare una mano), quelli della narcotici e quelli della disciplinare (sempre presenti se c’è di mezzo Rebus, che deraglia spesso e volentieri). Come ci abitua da alcuni episodi a questa parte, Rankin mescola un po’ le carte, presenta diversi scenari criminali o criminosi, facendo poi sempre (o quasi) convergere tutto in uno scenario univoco. In questa questione di sangue (una volta tanto si lascia il titolo originale ed a ragione, che uno dei morti è nipote a Rebus, uno dei feriti è in conflitto con il padre, la sorella di un morto collude con il suddetto, e una dark-baby intrallazza un po’ con tutti) c’è una strage in una scuola: due alunni uccisi ed un ferito con l’assalitore suicida. L’altro fatto di sangue è la morte in un rogo di Martin, uno stalker di Siobhan, visto per l’ultima volta in compagnia di John, che per metà libro avrà le mani ustionate (qualcuno collegherà gli episodi, ma può essersi John fatto giustizia da solo?). Bobby guida le indagini sulla scuola, e visto l’inabilità di John, questi gli viene assegnato come aiuto, con Siobhan come autista. Inoltre il suicida faceva parte della SAS, la squadra speciale che ricordiamo bene dal primo libro della serie, come fosse un mito per John, ma che non riuscì ad entrarci. Hardman (questo l’assalitore) era anche patito delle armi e delle barche. Aveva amici, ma soprattutto David, provetto aviatore. Ed organizzava bevute a casa sua, dove partecipava James, lo studente ferito ma non ucciso. James che ha un padre politico ed imbecille, ed ha una cotta per Teri, ragazza goth (in Italia spesso tradotto con dark, anche se è più “gotico” appunto). Teri che va a letto con Hardman ed ha un sito web frequentato da Davis e Alan, i due ragazzi morti. Teri che è anche la sorella di un giovane morto in un incidente di macchina dove fu coinvolto Davis. Poi si scopre che Hardman conosceva un certo Jackson, malandrino procuratore di armi a tutta la contea. Jackson che ha una storia con Roxane. Che guarda caso era invece la donna fissa di Martin, lo stalker morto. Un calderone che la metà basta. Complicato dal fatto che due spioni della SAS mettono a tutti i bastoni tra le ruote. Che John si innervosisce sempre più, soprattutto quando sa o immagina Siobhan in pericolo (vuoi vedere…). Ma al solito, colpo di scena dopo colpo di scena, anche se non eclatanti come in altre scritture (c’è sempre quell’aria scozzese che ottunde un po’ tutto), i nostri buoni riescono a scoprire molti altarini. Che James non è così buono come sembra e che Hardman non è così cattivo. Che la droga forse non c’entra con i viaggi in motoscafo tra la Scozia e l’Olanda. Ma forse c’entra il diamantino al collo di Teri. E qualcosa anche c’entra con un disastro aereo in un’isola a metà tra Scozia e Irlanda, avvenuta qualche giorno dopo il cessate le ostilità con l’IRA. Cosa nascondeva quell’elicottero? Perché Hardman, dopo aver partecipato alle operazioni di recupero si dimette dalla SAS? Come fa ad avere tanta disponibilità di denaro? Perché conosce Jackson? Quale sarà l’anello debole della catena? E Davis degli aerei che ruolo ha? E John è coinvolto o meno nell’omicidio di Martin? John troverà la piccola leva che gli permetterà di far partire la valanga, che, più o meno, travolgerà i cattivi, cercando di non far troppo male ai buoni. Al solito, buona scrittura, forse qui un filino più lenta del solito; buona introduzione alla Scozia e ad Edimburgo (ma non credo che riuscirei a bere tanti alcolici). E la domanda che sorge spontanea a pagina 44: ma che cos’è la festa del Burryman? Che sappiamo solo, dopo lunghe ricerche in rete, derivare da una pianta in italiano chiamata Arctium, dalle inflorescenze artigliate che si attaccano ai vestiti? Qualcuno ne sa?
“Il fatto è che quello che hai nella testa non è sempre la stessa cosa di quello che fai.” (72)
Come si immaginava, niente vacanze cubane che non si è raggiunto il minimo sindacale. In compenso (sic) un’assegnazione per un giro veloce in Islanda tra due settimane (un parallelo, come dice il gergo tecnico di AnM, che c’è già un viaggio con 18 persone completo, e questo che per ora ne ha 3, ma …). Vediamo se si riesce ad organizzare, nonostante la stanchezza.

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