Visto che non siamo ancora
partiti per la Scozia (ma sappiamo che ci si andrà, più prima che poi, vero?),
ed a valle di una segnalazione trasversale (come segnalo nella prima trama),
eccoci ad occupare di questo scrittore scozzese e delle sue lunghe storie che
hanno per protagonista John Rebus, poliziotto di Edimburgo. Ho recuperato la
prima, grazie alle decisioni editoriali di TEA, ed alcune intorno alla decima
storia, dove peraltro si sono svolte già molte avventure del nostro commissario,
passato tra divorzi, amori e dolori. Rimane da citare una scrittura onesta, ed
una buona resa (soprattutto da un certo punto delle storie in poi) delle
atmosfere scozzesi (forse a volte si indugia un po’ troppo sull’alcool, ma
credo sia connaturato al luogo dei romanzi).
Ian Rankin “Cerchi e croci” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65
euro)
[A: 30/09/2012– I:
26/02/2013 – T: 01/03/2013]
[tit. or.: Knots & Crosses; ling. or.: inglese; pagine: 255; anno 1987]
E
siamo finalmente giunti alla lettura del primo romanzo dello scrittore scozzese
dedicato all’ispettore John Rebus. Ricordo, più che altro per me, il percorso
che mi ha avvicinato a Rankin. Pur avendolo visto negli scaffali delle librerie
romane, non lo avevo preso in considerazione, fino a che il suo nome non è
uscito fuori in un romanzo di un altro scrittore scozzese, Alexander McCall
Smith, nel corso di una delle storie dedicate ad Isabelle la filosofa -
investigatrice. E compare citato come un grande scrittore delle atmosfere di
Edimburgo. Messo sull’avviso mi è capitato un suo romanzo (credo il decimo)
della serie di Rebus. L’ho trovato giusto (come ne scrissi), belle atmosfere,
bella descrizione ed interessante intreccio. Con la mia solita maniacale
passione, ho quindi cercato nel tempo di ricostruirne la bibliografia. E
con piacere ho notato questa riproposizione, da parte della serie TEA Mystery,
del primo libro della serie. Quindi preso e, con i dovuti tempi, letto. Il
libro non parte subito, e forse, come un diesel, si muove per le 200 e passa
pagine con un piglio interessante ma non (scusate il bisticcio) spigliato.
Certo, dobbiamo fare la conoscenza dei personaggi, collocarli nel loro punto
storico e personale. E questo richiede tempo. Mentre cominciamo tutto ciò,
muoiono delle ragazzine intorno ai dodici anni. Muoiono strangolate, ma su di
loro non viene commesso nessun abuso sessuale, cosa alquanto atipica, se ci si
trovasse davanti ad un serial killer. Tutto pian pianino scorre, anche lungo il
fiume e tra i pub. Rebus si impegna ma non riesce a trovare connessioni.
Scopriamo che è divorziato, che ha una figlia, dodicenne anche lei, di nome
Samantha, e che sta iniziando una storia con una poliziotta addetta alle relazioni
pubbliche, la bella Gill.
Scopriamo anche che riceve lettere anonime. E ben presto noi,
onniscienti lettori, capiamo che ci sono forti connessioni con le morti. Un
altro killer che lascia indizi al poliziotto perché possa essere scoperto? Una
sfida? E mentre andiamo scoprendo i personaggi, ci si rivela anche il passato
di John. Che viene dall’esercito, risultando uno dei migliori del suo corso.
Che viene scelto, con un numero sempre ristretto di altri, per entrare nelle
forze speciali. Che subisce un addestramento duro, specifico, e che spezza la
volontà a tutti, forse riducendone qualcuno alla follia. Follia che John e
Gordon, il suo amico rivale, cercano di cavalcare giocando a mente al gioco che
in inglese si chiama “Knots & crosses” (che appunto, come dice il titolo
italiano, sono cerchi e croci) ed in italiano “Tris”. Un gioco che ricordiamo
bene, sia dall’infanzia, che dal bellissimo film “War Games”, dove viene usato
per “impallare” un computer, che alla fine sputa quella bellissima sentenza
pacifista: "l'unico modo per vincere una guerra è... non farla!" E
John Rebus, quando scopre la brutalità di tutto ciò, decide di lasciare
l’esercito, e di fare il poliziotto “per riparare qualche torto della vita”. Il
primo spiraglio per avvicinarci alla soluzione è fornito da un matematico
inglese che telefona a Rebus dicendogli che la soluzione deriva da un acrostico
che sembra essere l’unico legame tra le vittime. Illuminazione. Ma anche paura,
che a questo punto Rebus capisce di essere al centro esatto della storia. Con
tutti che gli danno addosso, e con Gill che pensa anche alla possibilità che
John sia uno schizofrenico con una doppia personalità. Quale sarà la verità?
Riuscirà Rebus a dimostrare la sua innocenza ed a salvare l’unica persona a cui
tiene realmente? Ai lettori l’ardua sentenza, noi ci accontentiamo di questo
inizio di assaggio scozzese, tra nebbie, alcolici e pub, non ancora in quelle
atmosfere alla Cronin che trovo in scritti successivi di Rankin, ma sicuramente
con la posa di una base interessante per una serie (vero cari amici di
Fox-Crime?).
“John faceva collezione di libri che poi non
leggeva. In passato no, aveva sempre letto tutto quello che comprava, ma ormai
… era diventato più critico, non era più disposto a sorbirsi sino alla fine un
tomo che non gli piacesse veramente: la sua pazienza durava al massimo dieci pagine.”
(49)
“- Quanti anni ha tua figlia? … - Va per i
dodici. – Un’età difficile. – Perché, ce n’è una facile?” (82)
Ian Rankin “Fine partita” TEA euro 9
[A: 15/04/2012– I: 18/04/2013 – T: 21/04/2013]
[tit. or.: The Falls; ling. or.: inglese; pagine: 509;
anno 2001]
Sono passati quattordici anni dal
primo libro sull’ispettore Rebus, e questa è la 12^ inchiesta che ci propone
l’autore. Delle dieci che intercorrono, credo di averne letta una tempo fa, e
molte, invece, non sono neanche state tradotte. Ma Rankin sa maneggiare le sue
storie, e non ci dà il tempo di rimpiangere le puntate perse. L’ispettore John
Rebus è lì, al centro della scena. E intorno si dipanano storie e soprattutto,
come già detto, Edimburgo, la sua geografia, la sua aria scozzese, ed i suoi
pub. E la geografia di Rebus stesso: la vita privata, con l’idea dell’ex-moglie
ormai scomparsa da tempo dalle storie, e quella della figlia, vittima nei libri
di mezzo di un qualche incidente ma che non compare qui, e quella pubblica, il
lavoro, il nuovo capo, ora una donna (non facile essere donna a capo di un
dipartimento…), la sua squadra, con Eileen (sua partner in precedenti storie)
pian piano che scende in secondo piano, e Siobhan (che si pronuncia “scivaun”)
che invece sale quasi a suo alter ego, con le stesse manie di John (a parte
l’alcool) e la stessa determinazione. Compare inoltre una simpatica Jean che
sembra entrare un po’ negli affetti del tenebroso ispettore. La storia prende
le mosse dalla scomparsa di una ragazza di venticinque anni, di buona famiglia
(padre banchiere, molto più interessato ai soldi che al resto, moglie “da
tappezzeria” e patrigno socio del padre e forse qualcosa in più) e di buon
fidanzato (David, di famiglia irlandese, una volta violento, ma in seguito ad
avvenimenti che non sappiamo, redento). Compare anche un anatomopatologo in
pensione, vicino di cassa della scomparsa Flip che forse sa più di quanto sembra.
La storia si fa densa quando da un lato scopriamo che Flip era appassionata di
giochi di ruolo via internet e dall’altro compare una piccola bara intagliata
con dentro una bambola. Del primo filone si incarica Siobhan, e qui i traduttori
devono fare miracoli di spiegazioni. Che il role-play va avanti a forza di
enigmi, ovviamente intraducibili, che costringono il traduttore ad usare
l’inglese, con lunghe spiegazioni in italiano. Come per uno degli ultimi indizi
che in inglese inizia con “Add Camus to ME Smith…” per collegare un libro di
Camus (“La caduta” in inglese “The fall”) con Mark E. Smith il cantante di un
gruppo scozzese che si chiamava “The fall”, per ottenere “the falls” (le
cascate) che è: 1. il titolo originale del libro, 2. il posto dove viene
ritrovata la piccola bara e 3. un luogo vicino alla casa natale di Flip.
Intraducibile, direi. Intanto la bara trovata alla cascata viene collegata con
altre bare trovate su luoghi o vicino a luoghi di misteriose scomparse o
misteriosi delitti. Ed il tutto, a sua volta collegato ad una serie di
altrettanto piccole bare, trovate in un luogo di Edimburgo detto “Arthur’s
Seat” (e guarda caso si riferisce a Re Artù, ci saranno cose da vedere in città…).
E queste bare sembrano essere collegate alle attività criminali ottocentesche
di una celebre coppia di furfanti edimburghesi: i famigerati Burke ed Hare,
fornitori di cadaveri ai medici per i loro studi. E quando i cadaveri
scarseggiano decidono di procurarsene direttamente attraverso omicidi. Beh, un
bel calderone di informazioni, dove si intrecciano enigmi (d’altra parte, come
tirarsi indietro quando uno fa Rebus di cognome), ricerche storiche sul passato
di Edimburgo ed altre amenità scozzesi, whiskey e birra a fiumi. Non ultima, e
forse anche questa per me interessante, la passione di John per la musica, con
la casa dove manca da mangiare ma c’è sempre qualcosa sul CD. Possono essere
classici del pop, nuove leve, REM, Clash, folk singer, Jimi Hendrix, fino ad
arrivare a sconosciute glorie locali. Ma questa è una parte che mi intriga
molto (forse qualcuno ricorda che sono anche appassionato di musica?...).
Intreccio dopo intreccio, dopo aver continuato a farmi girare per la città,
John e Siobhan arrivano alle loro conclusioni. Che coincidono, anche se quella
di Rebus è più completa, includendo una risposta a tutte le bare, a tutte le
morti, ed anche a quella di Flip (che nel frattempo è stata ritrovata
strangolata). Continuo a dire che, se non l’ha fatto, Fox-Crime avrebbe da
guadagnare a crearne un serial. Intanto io me ne godo la lettura, l’anima
scozzese e la voglia di arrivarci. Vero?
“- Con tutte le domande che ti porti in giro … perché non lasci che
qualcuno ti offra delle risposte? – Forse perché preferisco le domande?” (161)
“Si era allontanato da così tante amicizie, nella vita, preferendo
l’unica compagnia di se stesso nelle serate in poltrona accanto alla finestra
del soggiorno in penombra.” (173)
“Se fare carriera significa perdere una parte di sé, a S., la cosa non
interessava.” (472)
Ian Rankin “Casi sepolti” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 01/01/2013– I:
22/04/2013 – T: 24/04/2013]
[tit. or.: Resurrection Men; ling. or.: inglese; pagine: 468; anno 2002]
L’appetito vien mangiando, e
quindi, come le ciliegie, un Rebus tira l’altro. Prima piccola critica, anche
se veniale, ai titolatori della TEA. L’originale inglese parla di “uomini
resuscitati”, intesi come poliziotti che, dopo aver fatto errori o altre
stupidità, vengono inviati ad una scuola di rieducazione, dove o verranno
reintegrati o mandati in pensione anticipata. Certo, i suddetti, per rinverdire
il lavoro di squadra, si occupano di vecchi casi, come dice il titolo. Ma non è
quello il nocciolo della vicenda. L’impianto generale, al solito, si basa su di
un doppio binario. L’ispettore Rebus è mandato in missione segreta alla scuola,
perché si sospetta che due o tre elementi lì per rieducarsi abbiano fatto un
colpo cinque anni prima e stiano per goderne i frutti. Per mandarlo lì, Rebus
viene sollevato dal caso che sta seguendo, che diventa quindi di proprietà del
sergente Siobhan (appena promossa): un gallerista ucciso vicino alla sua casa
senza apparenti motivi. Questa volta c’è poca atmosfera cittadina, poca
Edimburgo. Anche se, in compenso, c’è un po’ di Glasgow e qualche accenno di
Dundee. Sempre ben accetti per tenere viva l’idea di partire verso la Scozia.
Ma ora Rankin sembra avere più voglia di criticare polizia e poliziotti (sia
corrotti che incapaci). E criticare anche i metodi dei suddetti, spesso
gratuitamente violenti. Come sono violenti i rieducandi: l’ispettore Gray che
non perde occasione di menare le mani, sia con i delinquenti sia con John verso
cui nutre un atavico risentimento, o i sergenti Jazz e Alan, spesso in comunella
con Gray. Per complicare la vicenda della rieducazione, il tenente che li deve
educare (viene costretto?) decide di usare un caso di alcuni anni prima che,
guarda la combinazione, aveva visto l’ispettore Rebus in uno dei suoi momenti
peggiori. Rebus che per invogliare i tre ad uscire allo scoperto decide di svelare
una partita segreta di coca che transita dall’antidroga. Peccato che della
notizia ne venga a conoscenza del boss della zona, il cattivo Big Ger. Ci si
inserirà? Intanto Big Ger deve anche guardarsi da Siobhan che cerca di
coinvolgerlo nella morte del gallerista (che non era certo uno stinco di
santo). Ed il gallerista per il suo ultimo viaggio sale su un taxi di una compagnia
privata, gestita da un’ex-prostituta (forse del giro di Big Ger) che certamente
conosceva Jazz dai tempi di Dundee. Ma il giro delle ex-prostitute è completato
da Laura, l’ultima passione del gallerista, che lavora in un locale “privè”,
dove viene uccisa dall’ex-marito geloso, che guarda caso è anche l’autista di
Big Ger. Intanto il caso sepolto, rivela l’allora comportamento poco ortodosso
di Rebus, che, in mancanza di prove cercava di farsi vendetta da solo su un
tizio che aveva stuprato la moglie di un canonico, cieca e poi suicida. In
questo aiutato dalla feccia di Glasgow. Sembrano tante storie separate ma
magicamente Rankin le fa confluire in un disegno univoco. Siobhan e John riusciranno
a dimostrare i tratti comuni e ad assicurare una parte dei cattivi alla
giustizia. Qualche poliziotto corrotto o poco onesto avrà il giusto guiderdone
(come quelli dell’Antidroga, che sembravano controfigure dei soliti Stanlio e
Ollio). Verranno risolti tutti i casi, magari intorno ad una pinta di birra, ad
un whiskey, ad un blood mary, ad un gin tonic e valanghe di IPA per chi guida
(certo i traduttori dovrebbe fare un piccolo sforzo in favore di noi poveri
lettori; IPA sta per “India Pale Ale”, una birra di tipo leggero che però in
Inghilterra è usata come sinonimo di bitter, per preservare dall’alcool i
guidatori della serata). Questa volta rimane un
po’ in ombra il capo dipartimento Gill. Ed ha interventi marginali la
bella Jean, che nel romanzo precedente sembrava aver conquistato il cuore di
John. Stanno ancora insieme, ma sembrano come allentarsi i legami precedenti.
D’altra parte non è facile conviver con uno come John; probabilmente anche lui
stesso lo fa a fatica. A consuntivo, una prova decente, una buona critica sociale,
anche se poca Scozia e poca atmosfera fuori dai commissariati di polizia.
Comunque continua ad essere pregevole la continua citazione di colonne sonore
poco frequentate, ma sicuramente affascinanti, per noi musicofili (tipo Dirt
degli Stooges dall’album Fun House cantata da Iggy Pop: un mito!).
“[allo Zombie bar] si ascoltava roba tipo trance o ambient,
e la lavagna del menu offriva huevos rancheros … e per snack attack
niente di meno che blini russi e baba ghanoush.” (182) [imperdibile!]
Ian Rankin “Una questione di sangue” TEA euro 8,90
[A: 13/06/2012– I: 28/04/2013 – T: 30/04/2013]
[tit. or.: A Question of Blood; ling. or.: inglese; pagine: 450; anno 2003]
Continuiamo quindi a muoverci
verso la Scozia, anche se solo con la fantasia. E seguiamo ancora il nostro
John Rebus, ispettore sempre più solitario e sempre più “piccolo piccolo”, sembrerebbe
per citare un film di Alberto Sordi. Protegge i suoi come una leonessa al
pascolo. Così fa con l’agente Siobhan Clarke, ormai stabilmente alter-ego e
Rebus in minore della serie. D’altra parte siamo al quattordicesimo episodio.
Ormai molti caratteri sono stabili. Rebus, ovviamente, solitario, spesso con
una birra in mano (quando non qualcosa di più; ma quanto bevono gli scozzesi?),
che conosce tutti, che ormai è stanco, ma che non smette mai di ragionare e di
mettersi di traverso sulla strada dei cattivi. Siobhan, con le sue paure, le
sue fobie (ora ha anche attacchi di panico), con la sua dedizione totale a John
(ma nascerà mai qualcosa tra i due?). Gli altri della “Lothian and Borders” (la
polizia territoriale scozzese): il capo Gill (ormai presa nelle alte sfere),
l’ispettore Bobby (sempre pronto a dare una mano), quelli della narcotici e
quelli della disciplinare (sempre presenti se c’è di mezzo Rebus, che deraglia
spesso e volentieri). Come ci abitua da alcuni episodi a questa parte, Rankin
mescola un po’ le carte, presenta diversi scenari criminali o criminosi, facendo
poi sempre (o quasi) convergere tutto in uno scenario univoco. In questa
questione di sangue (una volta tanto si lascia il titolo originale ed a
ragione, che uno dei morti è nipote a Rebus, uno dei feriti è in conflitto con
il padre, la sorella di un morto collude con il suddetto, e una dark-baby
intrallazza un po’ con tutti) c’è una strage in una scuola: due alunni uccisi
ed un ferito con l’assalitore suicida. L’altro fatto di sangue è la morte in un
rogo di Martin, uno stalker di Siobhan, visto per l’ultima volta in compagnia
di John, che per metà libro avrà le mani ustionate (qualcuno collegherà gli
episodi, ma può essersi John fatto giustizia da solo?). Bobby guida le indagini
sulla scuola, e visto l’inabilità di John, questi gli viene assegnato come
aiuto, con Siobhan come autista. Inoltre il suicida faceva parte della SAS, la
squadra speciale che ricordiamo bene dal primo libro della serie, come fosse un
mito per John, ma che non riuscì ad entrarci. Hardman (questo l’assalitore) era
anche patito delle armi e delle barche. Aveva amici, ma soprattutto David,
provetto aviatore. Ed organizzava bevute a casa sua, dove partecipava James, lo
studente ferito ma non ucciso. James che ha un padre politico ed imbecille, ed
ha una cotta per Teri, ragazza goth (in Italia spesso tradotto con dark, anche
se è più “gotico” appunto). Teri che va a letto con Hardman ed ha un sito web
frequentato da Davis e Alan, i due ragazzi morti. Teri che è anche la sorella
di un giovane morto in un incidente di macchina dove fu coinvolto Davis. Poi si
scopre che Hardman conosceva un certo Jackson, malandrino procuratore di armi a
tutta la contea. Jackson che ha una storia con Roxane. Che guarda caso era
invece la donna fissa di Martin, lo stalker morto. Un calderone che la metà
basta. Complicato dal fatto che due spioni della SAS mettono a tutti i bastoni
tra le ruote. Che John si innervosisce sempre più, soprattutto quando sa o
immagina Siobhan in pericolo (vuoi vedere…). Ma al solito, colpo di scena dopo
colpo di scena, anche se non eclatanti come in altre scritture (c’è sempre
quell’aria scozzese che ottunde un po’ tutto), i nostri buoni riescono a
scoprire molti altarini. Che James non è così buono come sembra e che Hardman non
è così cattivo. Che la droga forse non c’entra con i viaggi in motoscafo tra la
Scozia e l’Olanda. Ma forse c’entra il diamantino al collo di Teri. E qualcosa
anche c’entra con un disastro aereo in un’isola a metà tra Scozia e Irlanda,
avvenuta qualche giorno dopo il cessate le ostilità con l’IRA. Cosa nascondeva
quell’elicottero? Perché Hardman, dopo aver partecipato alle operazioni di recupero
si dimette dalla SAS? Come fa ad avere tanta disponibilità di denaro? Perché
conosce Jackson? Quale sarà l’anello debole della catena? E Davis degli aerei
che ruolo ha? E John è coinvolto o meno nell’omicidio di Martin? John troverà
la piccola leva che gli permetterà di far partire la valanga, che, più o meno,
travolgerà i cattivi, cercando di non far troppo male ai buoni. Al solito,
buona scrittura, forse qui un filino più lenta del solito; buona introduzione
alla Scozia e ad Edimburgo (ma non credo che riuscirei a bere tanti alcolici).
E la domanda che sorge spontanea a pagina 44: ma che cos’è la festa del Burryman?
Che sappiamo solo, dopo lunghe ricerche in rete, derivare da una pianta in
italiano chiamata Arctium, dalle inflorescenze artigliate che si attaccano ai
vestiti? Qualcuno ne sa?
“Il fatto è che quello che hai nella testa non è sempre la stessa cosa
di quello che fai.” (72)
Come si immaginava, niente
vacanze cubane che non si è raggiunto il minimo sindacale. In compenso (sic) un’assegnazione
per un giro veloce in Islanda tra due settimane (un parallelo, come dice il
gergo tecnico di AnM, che c’è già un viaggio con 18 persone completo, e questo
che per ora ne ha 3, ma …). Vediamo se si riesce ad organizzare, nonostante la stanchezza.
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