E già, visto che Edinburgh pian
pianino si avvicina, ecco che ci immergiamo nuovamente nelle atmosfere scozzesi
di Ian Rankin e del suo detective John Rebus. Come già altrove scrissi, una
bella epopea, che, insieme alle atmosfere soft di McCall Smith, mi ha dato un
senso di quello che spero troverò. Qui abbiamo poi ben tre storie di Rebus, che
fino a poco fa dovevano essere le ultime, anche se ho letto che lo scrittore
scozzese vuole riprendere in mano l’ispettore (o forse l’ha già fatto). In coda
torniamo ad altri luoghi a me cari, con un romanzo d’ambiente portoghese, d’interesse
anche perché non si svolge a Lisbona.
Ian Rankin “Indagini incrociate” TEA euro 10 (in realtà, scontato a
8,50 euro)
[A: 28/04/2012– I: 05/09/2013
– T: 09/09/2013] - &&&&
e ½
[tit. or.: Fleshmarket Close; ling. or.: inglese; pagine: 467; anno 2004]
Ritorna
l’amato John Rebus con il sergente Siobhan Clarke di rinforzo e tutta
l’Edimburgo che ci aspettiamo in sottofondo. Siamo al 15° libro dedicato al
dolente poliziotto scozzese, sui 18 che in totale gli sono stati dedicati.
Rimarchiamo anche che di questi solo 13 sono stati pubblicati in italiano. E visto
che stiamo parlando di scrittura seriale, veniamo subito alle notizie positive.
Rankin, come non molti autori, riesce a progredire nelle storie senza farci
rimpiangere di non aver letto i libri precedenti. Non ci sono rimandi
incomprensibili, anzi, con facilità riusciamo ben presto a farci un’idea del
nostro ispettore. Divorziato, con figlia grande, lontana e non presente, molto
dedito alle passioni scozzesi: birra e whiskey, tanto che a volte a me da un
po’ fastidio l’abuso che ne fa. Anche se non cade più (almeno in questo libro)
in trance alcooliche. Fa squadra con il sergente Clarke, con la quale sono più
che compagni, amici, e forse (se non ci fosse qualche anno di troppo di
differenza) anche qualcosa in più. C’è sempre tra loro una quasi tensione sessuale.
Tanto che, da veri amici, sono contenti e gelosi se frequentano altro. Come
l’ispettore Les Young per la Clarke o come Caro Quinn per John. Altro elemento
che ho trovato molto positivo è l’attualizzazione delle storie. Non più
soltanto gialli di ambiente, ma ambienti veri, reali (grande si sente ancora la
lezione dei maestri svedesi degli anni sessanta), che ci portano nel presente e
nelle sue contraddizioni. Non a caso parliamo di un libro che ha meno di dieci
anni, quindi direi quasi contemporaneo. E ci si sente tutta l’attualità: la
crisi economica, il cercare mille mestieri per sbarcare il lunario, il degrado
delle periferie, i violenti e femminicidi presenti in tutte le latitudini, i rigurgiti neo qualcosa dei razzisti di
tutte le risme. Ma anche e soprattutto, il problema dell’immigrazione, sia
quella legale che quella clandestina. La Scozia dei primi anni del secolo come
l’Italia degli ultimi venti anni. Veniamo quindi allo scenario intricato che ci
presenta Rankin. Intanto i tagli all’economia stanno smembrando le varie forze
di polizia per cui Shiv e John si trovano sbattuti in stazioni periferiche e
divisi come squadra. Nel quartiere di Knoxland (uno tra i più degradati di
Edimburgo) viene ucciso un immigrato clandestino (e se ne occupa John) e
vicino, al Fleshmarket Close vengono ritrovati due scheletri (e se ne occupa
Shiv, che cerca di aiutare anche il ritrovamento della scomparsa Isabel,
sorella di una donna sucida dopo lo stupro presente in molti libri fa). Sono queste
le indagini incrociate del titolo, che però si incentra appunto sul luogo perno
della vicenda, il Fleshmarket del titolo inglese. Ma più che il giallo in sé,
che questa volta ha veramente un tono minore, è tutto il contesto, la vita,
come direbbe Camilleri, che esce dalle pagine a fare da padrone. E benché le
indagini si incrocino, non avranno una soluzione univoca, anche se John e Shiv
si aiuteranno a vicenda, fino a terminare con una solenne bevuta a casa di
John, preludio di qualche altra cosa, che però qui ancora non avviene. Sul
fronte dei clandestini, c’è la parte migliore, dal punto di vista umano. La
descrizione dei Centri di Accoglienza, terribili ovunque. La “cattiveria”,
anche gratuita di chi ha il potere. L’inerme lotta degli immigrati, regolari e
non, che non trovano protezione da nessuno. Si apre un dibattito che anche qui
in Italia non è facile da portare avanti: che fare con il clandestino che fugge
da situazioni di pericolo in casa propria? Come distinguere la fuga dall’asilo
politico? Il morto di John si scopre essere un curdo, perseguitato in Turchia,
ma non creduto in Scozia, tanto che lo vogliono rimpatriare con la famiglia.
Lui fugge, la moglie e i figli no. Lui si batte, unisce le forze con delle
studentesse senegalesi, trova (da buon giornalista com’è in patria)
collegamenti per scoprire chi gestisce i traffici. E tenta di salvarsi con un
piccolo ricatto. Che finisce male per lui. Che Rebus ricostruisce, passo dopo
passo, aiutato da alcuni buoni (la Caro di cui sopra, un’alternativa che si
batte per gli immigrati, che sembra poter nascere una storia, ma che poliziotto
e alternativo non possono avere futuro). E dal cattivo, quel Big Ger di 3 libri
fa, che si cercò di incastrare, e che qui si muove nell’ombra, maneggiando i
cattivi (fornendo clandestini rifugi) e buoni (fornendo indicazioni per
incastrare i cattivi). Ma solo per vendicarsi di alcuni torti antichi.
Riusciranno John e Shiv ad incastrarlo? Sul fronte degli scheletri, che ben
presto si scoprono fasulli, si innesta la storia di Isabel, della sorella, e
del suo stupratore David. Uscito dopo 3 anni di carcere, ma ancora e
completamente dedito allo stalking verso le donne. Però farà una brutta fine, e
sarà il secondo omicidio che dovranno affrontare i nostri. Immergendosi nel
mondo delle ballerine da night, della pornografia e analoghe nefandezze. Dove
questo mondo si innesta con il cattivo di cui sopra, che un night-club nefando
gestisce. Alla fine ritroveremo la scomparsa Isabel innamorata del padrone del
locale dove vennero ritrovati i cadaveri. Cadaveri usati dai trafficanti di
clandestini per spaventare i cinesi (se ti ribelli, farai quella fine). Padrone
che cerca di sfruttare i cadaveri per inventarsi un business di “Ghost tour”,
come ne esistono tanti ad Edimburgo. E che è coinvolto nella non rimpianta fine
di David. Ma è coinvolto lui o protegge l’amata Isabel? Alcuni punti li
lasciamo in sospeso che se vi dico tutto, che lo leggete a fare? Ripeto, per
finire la lunga trama, che mi è piaciuta la dolente atmosfera che Rankin
descrive nella sua crepuscolare città, che riflette il momento attuale in tutte
le parti del mondo occidentale.
Ian Rankin “Dietro quel delitto” TEA euro 9,60 (in realtà, scontato a
8,16 euro)
[A: 29/06/2012– I: 22/11/2013
– T: 24/11/2013] - &&&&
[tit. or.: The Naming of the Dead; ling. or.: inglese; pagine: 477; anno 2006]
Dietro quel delitto c’è molto, ma
anche poco, che la parte centrale, quella più propria di Rankin (e di Rebus) è
la denominazione dei morti. Cioè quello snocciolare i nomi delle persone morte,
che John (e poi anche Shiv) continuano per tutto il libro a declamare. Fatta
questa premessa filologica, veniamo al romanzo, dove il nostro amico scrittore
di Edimburgo ci fa seguire Rebus verso la fine della sua carriera di ispettore.
Si sente sia l’aria stanca di chi ha ormai scritto libri su libri (questo è il
16°) sia del nostro eroe, ormai vicino alla pensione. Tuttavia l’intreccio ha
spunti di interesse, per i versanti sociali e personali della vicenda. Intanto
Rankin ha la bella idea di inserire le gesta dei nostri nel contesto del G8 di
Edimburgo dei primi giorni di luglio del 2005. Questo dà del mordente alla
vicenda stessa, ma consente soprattutto allo scrittore di fare un po’ di
critica su come viene gestito il summit, sia dai protagonisti che dagli
antagonisti (stupenda l’immagine di Bush, della sua passeggiata in bicicletta e
del suo capitombolo). E permette a Rankin di scrivere qualche riga un po’ più
politica, che non guasta. Anche se lo spunto del G8 serve a far risaltare la
presupponenza dei vertici polizieschi, e le connivenze che i vertici stessi
hanno verso personaggi ai limiti della legalità. Cose note, ma (gli svedesi insegnano)
sempre ben accette in un contesto popolare. Altre frecce vengono da Rankin
scagliate contro chi si comporta in modo violento verso le donne, sia
fisicamente che moralmente. Al centro, infatti, ci sono dei morti che
risultano, dopo un congruo numero di indagini, essere violenti e tutti più o
meno condannati per attentati verso le donne. C’è anche un sottosegretario che
muore, non si capisce se per suicidio o per incidente. C’è la di lui sorella,
in forza alla polizia londinese, ma più che altro intenta ad infiltrarsi tra
gli antagonisti, per riprenderne le mosse, con reportage fotografici, di altro
utilizzo. John e Shiv tentano di muoversi in questa gran confusione, con i
soliti piedi di elefante che pestano i piedi a tutti per cercare di far luce. E
che si accompagnano anche a personaggi poco raccomandabili, sempre nell’intento
della verità. Ma dov’è, questa verità? Che i violenti uccisi non li rimpiange
nessuno. Tanto che anche l’ispettrice Ellen, con sorella appena divorziata da
un marito violento, e con un debole per il nostro Rebus, non sembra volerli
aiutare, pur avendo informazioni utili. Shiv, poi, è dilaniata tra l’indagine e
l’aiuto ai suoi genitori, un po’ alternativi, che si trovano inopinatamente nel
casino degli scontri. Dove risalta anche la figura di un politico locale, che
ha buon gioco nel calmare le acque pubblicamente, per poi gettare legna sul
fuoco di nascosto. Un personaggio ambiguo, che farà anche lui una brutta fine
dopo la scoperta di sue relazioni extra-coniugali con… E questo non lo dico. Ma
torna ai nostri, che tra una pinta di birra ed un whisky al malto, mettano
assieme uno dopo l’altro i pezzi del rompicapo. Come poteva sembrare
dall’inizio, i morti non sono uguali, ed è una tecnica usuale, che uno è il
bersaglio e gli altri una cortina fumogena. Ed uno dei morti potrebbe essere
implicato nella morte della madre del suicida di cui sopra. E la sorella poliziotto
sembra sparire negli attacchi dinamitardi alla metropolitana di Londra,
avvenuti in contemporanea. Rebus riesce tuttavia a presentarci uno scenario
plausibile, che spiega i perché ed i come di tutte le morti. Soltanto con prove
indiziarie, tanto che non ci saranno seguiti (se non per la morte del politico,
che poco entrava nel contesto). E tuttavia, l’ispettore ed il sergente hanno talmente
“rotto le uova” che nel finale vengono anche sospesi in attesa di accertamenti.
Si sente, come detto, nella penna di Rankin la fatica di portare ancora avanti
la storia. Sembra come cercare un modo elegante di finire. E questo è un dubbio
che viene sovente ai creatori di personaggi seriali. Come finire? Far finire
prima il personaggio o prima la scrittura? Terminare come Conan Doyle che dopo
aver fatto morire Sherlock lo risuscita a furor di popolo e come Vazquez Montalban
che muore prima che Pepe Carvalho raggiunga il suo estremo? Dubbi irrisolti.
Godiamoci intanto questi scampoli di bella scrittura. E mandiamo a mente la
topografia di Edimburgo, in attesa del viaggio.
“Se aveva perso la testa …, la sfigata era solo lei. D’altro canto lo
era sempre stata, no? ‘Però sono simpaticissima’, borbottò tra sé.” (418)
Ian Rankin “Partitura finale” TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8,50
euro)
[A: 01/01/2013– I: 06/01/2014
– T: 08/01/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: Exit Music; ling. or.: inglese; pagine: 427; anno 2007]
E
siamo così arrivati al 17° e supposto ultimo libro dell’ispettore Rebus. Dico
supposto in quanto, nell’idea dello scrittore, doveva proprio finire qui, ma ho
visto in libreria recentemente un nuovo libro che si proponeva come “il ritorno
di Rebus”. Vedremo. Intanto, la colonna sonora abituale accompagna l’uscita di
scena di John Rebus, in questi ultimi dieci giorni prima della pensione. Ovviamente
non poteva mancare un ultimo caso, ben complicato, utile anche a Rankin per
cercare di chiudere tutte (o quasi) le parentesi aperte nei primi sedici libri.
E per rimarcare, se ce ne fosse bisogno, i caratteri peculiari di Rebus, delle
sue indagini, delle sue manie, e della sua città. Quell’Edimburgo che ci
aspetta per Pasqua. Intanto, pur non essendo il migliore della serie,
senz’altro risale la china rispetto al deludente romanzo precedente. Sia nella
trama (almeno nell’intreccio delle possibilità) sia nei personaggi. Certo, non
ci aspettiamo che cambi Rebus (sempre un po’ alticcio, anche se meno di Harry
Hole, e sempre molto antagonista verso burocrati e leccapiedi). O che cambi
Shiv Clarke, la sua partner e prosecutrice in pectore della serie (ma credo che
non sarà così). E questa volta di morti ce ne sono due o forse tre, con un
intreccio mortifero di potere e malaffare (ma guarda un po’ cosa ti va a
pensare Rankin!). Il morto che scatena le danze è un poeta russo dissidente,
forse rifugiatosi per altri motivi in Scozia. Peccato che muoia proprio durante
una visita di una delegazione di magnati russi intenti a prospettare futuri
investimenti in loco (e mi verrebbe da dire, attenti amici scozzesi, a non fare
la fine di Riccione o della Versilia…). Il poeta era stato in giro per
conferenze, registrato da uno strano tecnico del suono, maniaco delle riprese
live. Tecnico che poco dopo muore nel rogo della sua casa di registrazione, bruciando
insieme a molti suoi nastri. Le complicazioni politiche arrivano ben presto: i
russi sono sponsorizzati dai nazionalisti scozzesi e da una banca d’affari, il
più malavitoso tra i russi (tal Andropov, nomen omen) è anche in contatto con
una nostra vecchia conoscenza, quel Cafferty che regge le sorti di buona parte
dei traffici loschi di Edimburgo. Tra gli scagnozzi di Cafferty c’è un certo
Sol che guarda caso è il fratello di Todd, che invece fa il poliziotto, ed è
aggregato alla squadra di Rebus - Clarke in vista del pensionamento di John.
Non solo, Sol è il ragazzo di Nancy, quella che ha trovato il poeta morto. E
Nancy usa come alibi una sua visita a Gill, ragazza sbandata, dedita a droghe e
porno scivolate anche un po’ registrate. La quale Gill è anche figlia del capo
della banca di cui sopra. E tanto per chiudere il cerchio il nonno di Sol “il
cattivo” e Todd “il buono” è stato anche il primo piccolo criminale che Rebus
ha mandato in galera nella sua lunga carriera. Il poeta morto, tra l’altro,
viene trovato vicino ad un grande parcheggio custodito senza che il guardiano
dica di aver visto qualcosa. Il numero due della banca d’affari è poi molto
intimo di Andropov, il quale è anche preoccupato perché ex-amico del poeta, gli
augura la morte durante il reading registrato dal tecnico. Ed alla fine,
Cafferty viene massacrato e ridotto in fin di vita (forse morirà?) da qualcuno
che per farlo tenta di incastrare il nostro ispettore. Ma proprio questo ultimo
atto, benché faccia sospendere Rebus fino a poche ore dalla pensione, consente
al nostro di effettuare i collegamenti giusti, di trovare prove seppur
indiziarie. E di farci vedere, insieme a Shiv che fino alla fine è dalla sua
parte, che probabilmente i morti sono collegati da un filo rosso, che tuttavia
può portare ad assassini differenziati. Su questo abbandono la trama, scolando
l’ultima pinta do birra insieme al nostro ormai ex-ispettore. Non so dire se
affronterò il ritorno di Rebus, ma questa lunga serie è decisamente uno dei
migliori affreschi, per me che ne sono fuori, della vita scozzese. Unita al
contraltare buonista di McCall Smith, ci dà una visione globale delle nebbie
scozzesi, dei pub, della vita dei quartieri malfamati, e dei quartieri bene. Ci
fa andare dal Golden Miles, al Fife, all’Arthur’s Seat, portandoci un affresco
a tutto tondo della vita locale. E dei contrasti, di potere ma anche di
intelletto, fra chi usa il proprio cervello per una vita quanto meno etica, se
non corretta, e chi, lì come qui, come in Russia (tanto per ribadire i toponimi
maggiori degli scritti) uso il potere solo e soltanto per il suo bene
personale. E quando non basta il potere, ci si aggiungono comportamenti
criminosi. Alla fine, tutte le parentesi si chiudono (Rebus e tutti i suoi
morti, ed i suoi carcerati, Rebus e il potere, Rebus e Cafferty). Rimane solo
in sospeso quel trasporto che potevano avere John e Shiv se non fossero legati
da rapporti di lavoro e divisi dall’età. Peccato non aver risolto quest’ultimo
rebus (ah, ah, ah).
Francisco José Viegas “Un cielo troppo blu” Beat euro 9
[A: 19/10/2013– I: 27/12/2013
– T: 30/12/2013] - &&&
[tit. or.: Um
ceu demasiado azul; ling. or.: portoghese; pagine: 261; anno 1995]
Un
altro portoghese entra nelle mie letture, spinto dai bei ricordi estivi. Peccato
non averlo scoperto già a Lisbona. Peccato, inoltre, che le sue scritture siano
datate. Non tra i più noti all’estero, ma direttore della Casa Pessoa, Viegas è
un mi dicono buon giornalista lusitano, attualmente direttore di una rivista
chiamata “Ler” (Leggere). Negli anni Novanta, ha imbastito alcuni romanzi
polizieschi, come si direbbe ora, d’ambiente. Non tanto e solo portoghese, ma
forse d’atmosfera, quasi (se fossimo al cinema) rivisitando con l’occhio del
grande De Oliveira le scorribande nel tempo del primo Wenders. Questo fa si che
l’andamento dello scritto (e della lettura) sia alternante e cullato da ritmi
che non vengono dalle indagini, pur presenti. Ma dai personaggi e dal loro
muoversi nella scena locale. Innanzi tutto, dovrei far una tirata d’orecchi
agli estensori di note in copertina ed in quarta, dove si citano appunti i suoi
scritti come aventi protagonista l’ispettore Jaime Ramos. In realtà, seppur
Ramos ha una parte importante e centrale, c’è un coprotagonista, il
vice-ispettore Filipe Castanheira, che non solo partecipa alle indagini, ma che
in questo romanzo dà delle spinte decisive verso la possibile soluzione. Di converso,
elemento di interesse collaterale del romanzo è l’ambientazione non lisbono –
centrica della vicenda. A sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che il
Portogallo è anche altro. È Porto, dove vive e lavora Ramos. E sono le Azzorre,
dove invece s’è trasferito da alcuni anni Castanheira. Entrambi, pur nelle
mutate città e condizioni, con atteggiamenti similari verso la vita. E con un
rapporto problematico con le loro donne. La Rosa di Jaime e la Isabel di
Felipe. Intanto ci scappa il morto, che guarda caso è di famiglia altolocata e
benestante lui stesso. Trovato morto nel bagagliaio della sua auto. Con
pazienza certosina (questa la cifra di Ramos) il nostro ispettore colleziona
informazioni e dati, incontra persone, gira lungo i paesetti della valle del
Douro che hanno visto gli ultimi giorni di João Alves Lopes. Tornato dal
Messico via Madrid, ma non si ferma a casa, prende e risale il fiume. Passa una
notte con due spogliarelliste e mentre una dorma, fa a lungo l’amore con
l’altra. Poi viene trovato cadavere. Viegas centellina le informazioni,
ricostruisce brani della vita di João. Studente ribelle, convivente rivoluzionario,
poi il ritorno a casa, la laurea, convivenze con belle donne, un’agenzia
pubblicitaria di successo a Porto, e, prima della partenza, un ingaggio con una
grande agenzia di Lisbona. Per staccare tra i due lavori, si concede una pausa
in Messico. Ramos allora ne segue le tracce, che lo portano a scoprire come in
Messico ci sia stato con la bella Amélia, “more uxorio” come si direbbe. Poi
uno stacco, quasi una fuga, per pensare in quel di Cuba. Il ritorno, la ricerca
di Amélia, che è una delle due spogliarelliste. E mentre Jaime scopre tutto
questo in America Latina, lasciandosi tentare da una breve storia d’amore con la
simpatica Victoria, Felipe fa altre scoperte. Perché lui in gioventù aveva
conosciuto Amélia, anche lui preso dalla giovane esaltazione del ’75. E sa, e segue,
la pista “amorosa”. Che João era un “sex addicted” anche se di gusto. Felipe
ritrova brani anche della sua gioventù, seguendo gli amori con Lia, Luisa sino
all’algida Aurora, ora a capo dell’agenzia di Lisbona che ha offerto il posto a
João. Sarà al ritorno di Jaime in patria, che i nostri due ispettori
riusciranno a ricostruire tutta la storia, iniziata proprio da quella convivenza
rivoluzionaria di João e Amélia, con João che la lascia quando decide di
scegliere tra sentimento e carriera. Non vi offro tutti i passaggi, per
lasciarvi gustare alcune parti del libro che hanno un buon sapore di letture.
Altre sono più stanche, tanto da non andare oltre un giudizio di media, come
vedete sopra. Una buona riproposta, insomma, della casa editrice Beat (che sta
per Biblioteca degli Editori Associati di Tascabili), la quale prende opere di
una serie di editori non forti del mercato nazionale, riproponendole in
economica. Lodevole e da seguire.
“Ci si deve prendere cura del proprio corpo,
sottoporlo a privazioni, come un padre severo disciplina i propri figli. Ma lui
sarebbe stato un padre senza figli.” (15)
“A cinquant’anni è tardi ormai per dare un
nome alle cose che succedono. Era ingrassato negli ultimi tempi, ma non avrebbe
comprato un abito nuovo. Quelli che aveva gli stavano. … Sapeva anche che non
avrebbe cambiato macchina così presto, dopo aver comprato questa cinque anni
fa.” (127)
“E sarebbero giunti altri ricordi, come …
quei giorni di vacanza … dopo un viaggio … dove era stato alla ricerca di una
storia d’amore e di una coincidenza, due cose che non gli piacevano. Le storie
d’amore, perché si ripetono troppe volte e troppe volte amareggiano e feriscono
e fanno ripetere le stesse parole. Le coincidenze, perché fanno immaginare che
il mondo stesso si ripeta, quale che sia il posto, quale che siano le
circostanze. E ingannano.” (142)
“Nonostante fosse innamorato, come si
sentiva quella notte, vecchio stupido, hai quasi cinquant’anni, una discreta
esperienza in materia, l’agilità di un uomo di quarant’anni suonati, soggiogato
come un vecchio stupido che pensa di essere padrone di sé.” (207)
Pur
notando che i “libricini” di gradimento di questa trama vanno in calando, è pur
sempre una trama di buon livello. Con la quale vi lascio per quindici giorni,
visto che sarà difficile tramare dall’Africa Australe. Ma si sa che il viaggio
viene (quasi) prima di tutto.
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