E vorrei sottolineare la seconda
parola piuttosto che la prima. La mia libreria è piena (e assai) di gialli et
similia di autori italiani. E spesso nel passato, Mondadori offriva il primo
palcoscenico per questi autori, soventi di buon interesse. Ribadisco invece
che, da quando c’è la gestione Costanzo della collana, la resa è andata sempre
più calando. Non che non ci siano autori promettenti (come Andrea Franco), o
autori storici (come Annamaria Fassio). Ma autori vecchi e nuovi (come Lenzi e
la Musneci) si adagiano su trame leggere, poco incisive, quando non sentite e
risentite. Come dire, purtroppo.
Andrea Franco “L’odore del peccato” Mondadori euro 4,90
[A: 08/10/2013– I: 15/12/2013 – T: 17/12/2013] - &&&
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[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 173;
anno 2013]
Un
buon esordio per un giovane scrittore; anche se poi non è un esordio e Andrea
Franco è “anche” scrittore, oltre ad essere musicista (e sicuramente giovane,
dati i suoi 35 anni). Intanto, però, risolleva le sorti del giallo italiano le
cui penultime letture non mi avevano soddisfatto. Non le ultime, che Carlo
Giordano è stato interessante. Poi, ripeto, non è neanche un esordio né per i
libri né per il personaggio. Franco ha infatti pubblicato il primo libro nel
2008. E Monsignor Verzi è comparso già nel racconto “L’odore del dolore”,
uscito nell’antologia “Giallo 24” di Mondadori a gennaio. Ma questo che ho
appena finito di leggere, si alza un po’ (come detto), e non è un caso che sia
stato risultato vincitore del Premio Tedeschi (che ha sempre dato buone prove
nelle ultime 5 edizioni, almeno). La sapiente scrittura di Franco ci conduce
così, se non alla nascita, al consolidamento di un buon personaggio, e ad una
trama che si colloca diligentemente in un corretto solco storico. Ecco, questi
già due buoni elementi. Siamo al 16 giugno del 1846, data dell’elezione a
pontefice di Pio IX, papa Mastai per i romani. Ed è altrettanto vero che
l’imperatore Federico di Germania tentò di bloccarne l’ascesa al soglio
pontificio, tramite il cardinale di Milano, che però non giunse in tempo a
Roma. Tralasciando le disquisizioni storiche (che pur sarebbero di interesse),
su questa tela si tesse l’intreccio “giallo” pensato da Franco. Un prete al
seguito del cardinale viene ucciso. Date le premesse è interesse forte del papa
risolvere il problema, e togliere ogni velo al mistero. Si affida quindi al
simpatico monsignore. Ed alla sua peculiarità: quella di sentire gli odori. Qui
Franco scivola un po’ su solchi già noti, anche se ne fa usi diversi. Non dico
tanto di rifarmi a "Il Profumo" di Suskind, quanto, mutando per non
cambiare, alla dote peculiare del commissario Ricciardi del bravo de Giovanni.
Questi sente le ultime parole dei morti di morte violenta. Verzi sente gli
odori, le loro persistenze, soprattutto in particolari momenti topici. Ed è sul
corpo del povero don Pasquale che appunto sente un odore particolare, pungente
ma fragrante. Ma il Papa lo incarica di svolgere un’inchiesta sulla vicenda, ed
oltre a questa traccia, don Attilio deve seguire le normali trafile
poliziesche. Viene messo su un Ufficio Inchieste, dove gli viene affiancato il
simpatico don Giani, sempliciotto all’inizio, poi invece con uscite
illuminanti, che servono a don Verzi per focalizzare i suoi pensieri. Tanto che
alla fine mi sembrano quasi un Conan Doyle in minore, con profumo d’incenso.
L’inchiesta porta poi do Verzi ad indagare sulle ultime ore del morto. E su
dove alloggiava. Qui facciamo il secondo buon incontro, con madre Rebecca, la
giovane Madre Superiore degli alloggi ecclesiastici. Che spiano una serie di
strade a don Verzi (cos’ha fatto il prete, dov’è stato, con chi ha litigato),
ma soprattutto instaurandosi tra i due un rapporto di stima, basato sul comune
intendere del proprio ruolo come missione verso i poveri ed il prossimo in
genere, e non come elemento di comando. In questa Roma di metà Ottocento,
cammina don Attilio sempre seguendo tracce di personaggi e di storie
(eliminando ad uno ad uno possibili scenari che avrebbero portato all’uccisione
del prete) ed anche tracce di odori. C’è una bella scena di confronto tra don
Giani e don Verzi, sul fatto che, non conoscendo la provenienza di tutti gli
odori del mondo, sia difficile per il nostro “naso da tartufi” associare odore
ad oggetti. Ma ci si riuscirà. E seguendo le tracce di un profumo, si arriverà
ad una donna che aveva chiesto aiuto al prete per evitare un matrimonio
combinato, suscitando però gelosie nel futuro possibile marito. Sia verso il
prete morto sia verso un altro prete, dalla donna indicato come suo nascosto
spasimante. Il confronto tra tutte le versioni della notte fatale, porterà alla
soluzione del problema. Lasciando definitivamente fuori la politica dalla
tragica morte. Ed in un idilliaco epilogo, don Attilio e suor Rebecca, si
confidano l’un l’altro, lasciando presagire un futuro di buona e fruttuosa
amicizia. Ecco, la trama gialla non è il massimo ed un po’ affrettato il
finale. Come leggermente troppo insistiti i tentativi di abbinamento tra odori
e figure demoniache. Ma la lettura è godibile, e, spero, seriabile. Un piccolo
post-scriptum personale: c’è un personaggio minore, frate amanuense, cui don
Verzi affida delle scritture. Si chiama frate Attenni, ed ogni volta che lo
incontro penso ai mitici sponsor della mia blues band preferita: i Niente di
Precyso. Chissà se si avrà il tempo di tornarci su.
“È vero che nella vita non conta quello che
fai, ma come lo fai.” (159)
Annamaria Fassio “Controcorrente” Mondadori euro 4,90
[A: 02/08/2013– I: 31/01/2014 – T: 02/02/2014] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 186;
anno 2013]
È
un po’ di tempo che non tornavo sulla scrittrice genovese e sulle imprese della
sua “banda” di poliziotti. Sono contento quindi di ritrovare il commissario
capo Erica Franzoni e il vicequestore Antonio Maffina. Una nuova storia, un
nuovo capitolo. Si procede e si cresce (si invecchia?). Perché molti sono ormai
i libri che la Fassio dedica alla coppia. Li abbiamo visti ad inizio carriera,
con altre storie alle spalle. Poi il loro amore “segreto”, la carriera che
procede, i due anni di Maffina in riabilitazione dopo la sparatoria. Ora vivono
insieme, e, tanto per dare un tocco al tutto, e visto che hanno un po’ di anni
di differenza, entrambi che sembra abbiano anche nuove pulsioni. Soprattutto la
più giovane Erica, attratta dal nuovo arrivato Max Rigon. Serve di tutto per
dare condimento alla storia, diciamo al contorno, alla vicenda umana. Come le
altre micro - vicende, ad esempio quella dell’ispettrice Ida Merenghini con il
padre parkinsoniano e la badante colombiana. Ed anche la storia è ben ingrossata,
in particolare per farci entrare i nuovi cattivi. Ovunque si sa avanza la mafia
russa, anche se qui i cattivi sono ucraini. E come in altre storie (penso ad
Heinichen o De Cataldo), cattivi legati a filo multiplo a quel coacervo di possibilità
del male che rimane per tutti Chernobyl. Volendo semplificare, comunque,
c’erano una volta dei sodali ucraini, trovatisi nel corso della vita su sponde
disparate. Nestor nella polizia, Dimitrij nella mafia e Viktor solitario Robin
Hood. Viktor ha una figlia, che con la moglie emigra in Italia. Raisa, la
moglie, finisce ben presto in carcere per droga, ed Olga viene affidata ad una
famiglia italiana. Tutto si muove dalla scomparsa di Olga sedicenne. Nessuna
traccia, una lettera che annuncia la sua fuga verso l’Ucraina, dove non
arriverà mai. E subito si complica prima con la morte di un esibizionista, tal
Francesco. Della cui uccisione si incolpa la matura Leonia, scoprentesi poi
contabile di un bordello per adolescenti, che sicuramente aveva avuto tra le
ospiti la giovane Olga. Ma anche la bella Linda (ma quell’inciso con la canzone
di Battisti ce lo potevate risparmiare…). Studentessa di lingue, tra cui il
russo, che capta qualcosa dei magheggi degli ucraini. In particolare
dell’intesa tra Dorian il teppistello e Adriatico, gestore di un circo con uno
strano giro di organi animali. Non a caso entrambi ucraini. Per questo Linda
viene uccisa a colpi di bastone, con ferite simili a quelle di Francesco. Ed
altrettanto analoghe a quelle che procurano la morte ad un piccolo spacciatore,
Esteban, figlio della badante di cui sopra. L’azione, ogni tanto, si sposta in
Ucraina, dove, e non è un caso, si sta organizzando una vendita di materiale
radioattivo. Che Dimitrij cerca di vendere agli arabi, senza sapere che sono
americani in copertura. Che Dorian cerca di intercettare, utilizzando le bande
di Adriatico. Che Viktor cerca di sconfiggere, coinvolgendo il poliziotto
Nestor. Ci stupiamo che ne uscirà fuori un massacro colossale, dove l’unico a
salvarsi sarà proprio Viktor. Che aspetta sempre la figlia. Che nel bordello
trova anche il padre adottivo, pedofilo mancato e stupratore di adolescenti.
Che si rifugia nella tana di Francesco. Ma che succede quando questi muore? E
perché Dorian scappa con il circo? E come mai Dimitrij lo denuncia invece di
proteggerlo? E soprattutto, perché Leonia si è accusata dell’uccisione di
Francesco quando nessuno glielo aveva chiesto? Sarà che forse anche lei è
ucraina? Maffina, seguendo le tracce della morte di Linda, e Franzoni, seguendo
quelle di Olga, convergono alla soluzione (abbastanza ovvia) del caso. Che alla
fine lascia sul terreno molti più morti di quanti siano morti in realtà. La
materia è forse un po’ troppo articolata, e ci si perde un po’. La tecnica
della Fassio è ben collaudata, con flash-back, diari ed altre accortezze da
abili maneggiatori del genere. Una lettura andante, magari davanti ad un
camino, con una grappa, e qualche dolcetto invernale. Non molto di più.
Umberto Lenzi “Delitti a Cinecittà” Mondadori euro 4,90
[A: 07/09/2013– I: 03/02/2014 – T: 04/02/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 187;
anno 2008]
Un
libro che ha degli spunti di interesse, però più sul piano esterno al giallo
cui si ascrive come collana. Intanto, pur essendo del 2008, solo lo scorso
anno, per dar lustro al più che ottantenne autore, viene pubblicato nei Gialli
Mondadori. L’autore, infatti, non è un giallista, ma un ben noto regista,
seppur di polizieschi (e non solo), e spesso violenti. Lenzi ha firmato nella
sua carriera film come “Napoli violenta” o “Milano odia”, ha lanciato attori di
cult come Maurizio Merli o Tomas Milian. Ora, che difficilmente torna sul set
(l’ultimo film è di venti anni fa), si ricicla, un po’ alla Camilleri, come
autore. Purtroppo, come i suoi film “poliziotteschi”, anche il giallo che firma
non ha una gran trama. Anche qui, il punto di interesse è l’ambiente in cui si
svolge la trama. Siamo, infatti, per gran parte del libro, negli studi di
Cinecittà. Siamo nel mese di aprile del 1940 (e non a marzo come dice la
quarta), si sentono arrivare i clamori della guerra. Ma le ricostruzioni degli
ambienti cinematografici, con tutti i cammei che girano intorno ai
protagonisti, sono di sicura efficacia (e devo dire, per quanto ne conosca, di
giusta ambientazione). C’è Blasetti che gira “La corona di ferro”, con Gino
Cervi, Massimo Girotti ed Elisa Cegani che si aggirano tra le quinte. C’è il
suo aiuto regista, l’ottimo Renato Castellani. E poi entrano ed escono dai
teatri di posa, Vittorio De Sica che sta girando il suo primo film da regista
(il misconosciuto “Due dozzine di rose scarlatte”), e Totò alle prese con “San
Giovanni decollato” (e qui Lenzi eccede un po’ nella macchiettistica, inscenando
un duetto tra il Principe ed un poliziotto, che usando i toni del comico
risulta un po’ forzato). La cosa migliore, è il protagonista, l’investigatore
Bruno Astolfi, squattrinato ma ben introdotto nell’ambiente. Non solo, ma anche
“in odore di eresia”, allontanato dalla Polizia per non aver preso la tessera
del Fascio e con un fratello morto in Spagna a difendere la Repubblica dai
franchisti. Accanto, la cosa peggiore. Che a chiedere il suo intervento è una
coppia di attori, poi famigerata per altre vicende. Luisa Ferida è minacciata
di morte, e varie volte attentano alla sua vita. E Osvaldo Valenti reclama i
servizi di Astolfi. Peggiore perché Lenzi ne tratteggia un risvolto umano quasi
piacente. Non che si sappia tutta la verità, ma l’appoggio incondizionato al
regime dei due, la loro successiva adesione alla Repubblica di Salò, nonché la
quasi certa partecipazione, almeno di Valenti, alla famigerata Banda Koch, non
ne fanno certo personaggi su cui appuntare le simpatie come sarebbe necessario
dalla storia. Storia in sé come detto banalotta. Si cerca di colpire la Ferida,
in quanto un anno prima l’automobile di proprietà di Valenti ha investito ed
ucciso la giovane comparsa Giuliana. Valenti ha un alibi, ma l’assassino non lo
sa. Sa però che erano in due sull’auto. E scoperto il secondo in un attore di
mezza tacca, lo fa ben presto fuori. E viene uccisa anche la compagna di
questi, fioraia in quel di Littoria. Ben presto Astolfi si convince che deve essere
un amante di Giuliana. Intercetta il fidanzato, ma è un ladruncolo da quattro
soldi, ben presto depennato dalla lista. Lista dove rimane ai primi posti,
Enzo, la controfigura di Osvaldo. Che aveva una storia con una figurinista,
licenziata poco prima dalla Ferida. E che quindi poteva serbare rancore. Quando
anche Enzo muore, Astolfi deve arrendersi all’evidenza: l’assassino è un altro.
E la menomazione che cita la zia di Giuliana, fa andare tutto a posto. Peccato
che l’assassino compaia in qualche scena, ma in modo irrilevante. Così come nei
film di Lenzi, dove il nocciolo da seguire non è la trama in sé, a volte spesso
un pretesto per le sparatorie e la violenza (e non è un caso che Lenzi piaccia
molto a Tarantino!). Insomma, un buon lavoro di ricostruzione ed un sentito
omaggio al cinema e a Cinecittà, ma un romanzo solo sufficiente. Anche se, e lo
ribadisco, alcuni elementi della sceneggiatura accrescono il senso di
immersione nell’epoca: la Lancia Ardea guidata dalla Ferida, le canzoni citate,
il doppio kummel, le stradine del centro, la descrizione di Piazza Re di Roma e
della lunga Tuscolana per arrivare a Cinecittà. Purtroppo tuttavia ci sono errori
anche qui: non esiste nessuna Alfa 2000, ma un’Alfa 2300, e nel periodo citato
la Roma non subì nessun rigore contro, ma solo uno a favore messo a segno dal
mitico argentino Miguel Angel Pantò (certo che io a volte sono uno scassapalle,
eh…).
Marzia Musneci “Lune di sangue” Mondadori euro 4,90
[A: 10/02/2013– I: 11/02/2014 – T: 11/02/2014] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 222;
anno 2013]
Ad
un anno esatto dall’acquisto, e dato che per colpa di un’influenza debilitante
sto praticamente chiuso in casa cercando di farmela passare, ho letto, e direi
divorato questo secondo libro della simpatica ex-attrice, ex-tante altre
attività, che vive ai Castelli Romani, e che dopo il simpatico “Doppia
indagine” del 2011, ritorna in campo con l’omoiniziali Matteo Montesi. E se da
un lato ritroviamo con simpatia lo scanzonato investigatore, e vediamo con
piacere che prosegue (e per il meglio) la sua storia con l’agente Cristiana, è
meno coinvolgente sia l’impianto della trama, sia il fatto che la storica Rete,
che aveva consentito a Matteo di risolvere il precedente caso, qui si nomina
qua e là, ma fa veramente poco. La storia, anche sta volta, si svolge ai
Castelli. Con qualche puntatina verso San Lorenzo. Il tutto innescato dal
ritrovamento di un cadavere senza mani, con tante pugnalate e nudo, ritrovato
in una grotta, per altro adusa a riti tra il satanico ed il bucolico. Mentre
Cristiana si occupa del morto, Matteo è convinto da Valentino, amico
giornalista, ad occuparsi del ritrovamento di un ritratto di una bellissima donna, Vittoria, pare attribuito al pittore tedesco
Friedrich Overbeck (e questo è reale, che il dipinto della bella Vittoria si
trova al museo di Monaco, e Vittoria era talmente bella che anche Goethe ne aveva
un ritratto nel suo studio). Ad ingaggiarlo una discendente di questa, Arianna,
un po’ sbandata con la madre che continua a foraggiarle la vita, non ultimo un
pub di tendenza a San Lorenzo, il Vittoria C. Anni prima Arianna aveva avuto
una storia con un tossico, l’aveva “redento”, e Gualtiero, per ringraziamento,
l’aveva mollata ed aveva sposato Irene. Arianna era stata mollata anche poco
prima da tal Alex (ma vuoi vedere…). Anche Gualtiero viene fatto fuori, e con
la stessa modalità del primo morto. Poiché tutto ruota intorno ad Arianna, le
strade investigative di Matteo e Cristiana non potranno che incrociarsi. E
cominciare ad indagare anche sul giro degli adepti di Diana (cosa facilissima
trovare intorno al lago di Castel Gandolfo, così perfetto, e così pieno di
storie risalenti a Roma antica, ed anche prima). Si imbattono così nella strana
figura di Lorena, una sacerdotessa in capo, ma più che altro, innamoratissima
di Arianna, e che cerca di proteggere in tutti i modi. Soprattutto nel locale
di San Lorenzo, dove, ogni volta che ci va Matteo o parte della sua Rete, si
imbattono sempre in tre loschi figuri che hanno tutta l’intenzione di
coinvolgere il locale in qualche giro losco. Dato che porti, aeroporti e
stazioni stanno diventando difficili, i clan stanno iniziando ad usare il
trasporto su ruote. Ed allora cosa meglio di San Lorenzo, con il suo scalo
dedicato a camion ed affini? Intanto, Valentino viene quasi ucciso, e confessa
a Matteo che sta seguendo una pista di camorra, che porterà a clamorose rivelazioni.
Lorena viaggia sul filo del rasoio, organizzando, oltre che ritiri spirituali,
anche serate da scambisti (e tutto all’ombra dei Castelli Romani). Ed anche
questa attività viene disturbata dai cattivi. Ormai Mat e Cri viaggiano di
concordia, anche se un poliziotto è sempre un poliziotto, e deve dar conto al
proprio capo, che tonto non è. La situazione precipita quando, per proteggere
Arianna, Lorena fa la voce grossa al pub, ed i camorristi la uccidono, e rapiscono
Arianna. Cristiana è di vedetta e li segue. Matteo capisce che c’è sotto
qualcosa di grosso e tramite il cellulare acceso di Cri scopre dove sono andati
a finire. Perché ormai Valentino ha mollato parte dell’inchiesta. Ci sono due
clan che si danno fastidio. Ed Alex era figlio del capo di uno dei due clan.
Forse voleva restare pulito, ma per piegare Ari, lo fanno fuori al pub,
tagliandogli le mani. Ari e Lorena, per sviare le indagini, lo portano nella
grotta, dove li vede Gualtiero. Durante un alterco con i cattivi, a Lorena
sfugge questo dettaglio, e così Gualtiero è servito. Intanto, Valentino si stava avvicinando troppo al centro dei
problemi, e così si spiega l’attentato che subisce. Ed il padre di Alex, per
controllare la vicenda, da mesi sta in incognito sul luogo, e scopriremo che… Ovviamente
Matteo quando arriva, scopre che Cristiana è stata anch’essa presa, ed anche
lui viene stordito e messo fuori combattimento. Fortuna che la polizia è ben
vicina e sta per fare irruzione, ma prima, arriva il padre vendicativo e …
Tutta questa parte la lascio all’immaginazione di voi buoni lettori. Ma come
vedete, la trama è poca cosa, qualcosa per cercare di farne un hard boiled alla
romana senza tanto riuscirci. Meglio le schermaglie tra i nostri due eroi, con
Cri che vuole andare a Quantico a fare un corso di profiling (ma solo lì lo
fanno, in tutto il mondo?), oppure, in alternativa, vuole un figlio con Matteo.
Non vi dico la soluzione di quest’ultimo rebus. Ripeto solo, come dissi due
anni fa: onesta scrittura, piacevole lettura, forse un po’ più di grinta non avrebbe
guastato.
Chiusi in casa, assediati da
torme di pellegrini cantanti, scrivo queste righe ritemprandomi dalle vacanze
scozzesi, aspettando un week-end campagnolo e programmando l’estate. Un deserto
tunisino si affaccia all’orizzonte. Per il resto vedremo.
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