domenica 27 aprile 2014

Gialli Mondadori - 27 aprile 2014

E vorrei sottolineare la seconda parola piuttosto che la prima. La mia libreria è piena (e assai) di gialli et similia di autori italiani. E spesso nel passato, Mondadori offriva il primo palcoscenico per questi autori, soventi di buon interesse. Ribadisco invece che, da quando c’è la gestione Costanzo della collana, la resa è andata sempre più calando. Non che non ci siano autori promettenti (come Andrea Franco), o autori storici (come Annamaria Fassio). Ma autori vecchi e nuovi (come Lenzi e la Musneci) si adagiano su trame leggere, poco incisive, quando non sentite e risentite. Come dire, purtroppo.
Andrea Franco “L’odore del peccato” Mondadori euro 4,90
[A: 08/10/2013– I: 15/12/2013 – T: 17/12/2013] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 173; anno 2013]
Un buon esordio per un giovane scrittore; anche se poi non è un esordio e Andrea Franco è “anche” scrittore, oltre ad essere musicista (e sicuramente giovane, dati i suoi 35 anni). Intanto, però, risolleva le sorti del giallo italiano le cui penultime letture non mi avevano soddisfatto. Non le ultime, che Carlo Giordano è stato interessante. Poi, ripeto, non è neanche un esordio né per i libri né per il personaggio. Franco ha infatti pubblicato il primo libro nel 2008. E Monsignor Verzi è comparso già nel racconto “L’odore del dolore”, uscito nell’antologia “Giallo 24” di Mondadori a gennaio. Ma questo che ho appena finito di leggere, si alza un po’ (come detto), e non è un caso che sia stato risultato vincitore del Premio Tedeschi (che ha sempre dato buone prove nelle ultime 5 edizioni, almeno). La sapiente scrittura di Franco ci conduce così, se non alla nascita, al consolidamento di un buon personaggio, e ad una trama che si colloca diligentemente in un corretto solco storico. Ecco, questi già due buoni elementi. Siamo al 16 giugno del 1846, data dell’elezione a pontefice di Pio IX, papa Mastai per i romani. Ed è altrettanto vero che l’imperatore Federico di Germania tentò di bloccarne l’ascesa al soglio pontificio, tramite il cardinale di Milano, che però non giunse in tempo a Roma. Tralasciando le disquisizioni storiche (che pur sarebbero di interesse), su questa tela si tesse l’intreccio “giallo” pensato da Franco. Un prete al seguito del cardinale viene ucciso. Date le premesse è interesse forte del papa risolvere il problema, e togliere ogni velo al mistero. Si affida quindi al simpatico monsignore. Ed alla sua peculiarità: quella di sentire gli odori. Qui Franco scivola un po’ su solchi già noti, anche se ne fa usi diversi. Non dico tanto di rifarmi a "Il Profumo" di Suskind, quanto, mutando per non cambiare, alla dote peculiare del commissario Ricciardi del bravo de Giovanni. Questi sente le ultime parole dei morti di morte violenta. Verzi sente gli odori, le loro persistenze, soprattutto in particolari momenti topici. Ed è sul corpo del povero don Pasquale che appunto sente un odore particolare, pungente ma fragrante. Ma il Papa lo incarica di svolgere un’inchiesta sulla vicenda, ed oltre a questa traccia, don Attilio deve seguire le normali trafile poliziesche. Viene messo su un Ufficio Inchieste, dove gli viene affiancato il simpatico don Giani, sempliciotto all’inizio, poi invece con uscite illuminanti, che servono a don Verzi per focalizzare i suoi pensieri. Tanto che alla fine mi sembrano quasi un Conan Doyle in minore, con profumo d’incenso. L’inchiesta porta poi do Verzi ad indagare sulle ultime ore del morto. E su dove alloggiava. Qui facciamo il secondo buon incontro, con madre Rebecca, la giovane Madre Superiore degli alloggi ecclesiastici. Che spiano una serie di strade a don Verzi (cos’ha fatto il prete, dov’è stato, con chi ha litigato), ma soprattutto instaurandosi tra i due un rapporto di stima, basato sul comune intendere del proprio ruolo come missione verso i poveri ed il prossimo in genere, e non come elemento di comando. In questa Roma di metà Ottocento, cammina don Attilio sempre seguendo tracce di personaggi e di storie (eliminando ad uno ad uno possibili scenari che avrebbero portato all’uccisione del prete) ed anche tracce di odori. C’è una bella scena di confronto tra don Giani e don Verzi, sul fatto che, non conoscendo la provenienza di tutti gli odori del mondo, sia difficile per il nostro “naso da tartufi” associare odore ad oggetti. Ma ci si riuscirà. E seguendo le tracce di un profumo, si arriverà ad una donna che aveva chiesto aiuto al prete per evitare un matrimonio combinato, suscitando però gelosie nel futuro possibile marito. Sia verso il prete morto sia verso un altro prete, dalla donna indicato come suo nascosto spasimante. Il confronto tra tutte le versioni della notte fatale, porterà alla soluzione del problema. Lasciando definitivamente fuori la politica dalla tragica morte. Ed in un idilliaco epilogo, don Attilio e suor Rebecca, si confidano l’un l’altro, lasciando presagire un futuro di buona e fruttuosa amicizia. Ecco, la trama gialla non è il massimo ed un po’ affrettato il finale. Come leggermente troppo insistiti i tentativi di abbinamento tra odori e figure demoniache. Ma la lettura è godibile, e, spero, seriabile. Un piccolo post-scriptum personale: c’è un personaggio minore, frate amanuense, cui don Verzi affida delle scritture. Si chiama frate Attenni, ed ogni volta che lo incontro penso ai mitici sponsor della mia blues band preferita: i Niente di Precyso. Chissà se si avrà il tempo di tornarci su.
“È vero che nella vita non conta quello che fai, ma come lo fai.” (159)
Annamaria Fassio “Controcorrente” Mondadori euro 4,90
[A: 02/08/2013– I: 31/01/2014 – T: 02/02/2014] - && e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 186; anno 2013]
È un po’ di tempo che non tornavo sulla scrittrice genovese e sulle imprese della sua “banda” di poliziotti. Sono contento quindi di ritrovare il commissario capo Erica Franzoni e il vicequestore Antonio Maffina. Una nuova storia, un nuovo capitolo. Si procede e si cresce (si invecchia?). Perché molti sono ormai i libri che la Fassio dedica alla coppia. Li abbiamo visti ad inizio carriera, con altre storie alle spalle. Poi il loro amore “segreto”, la carriera che procede, i due anni di Maffina in riabilitazione dopo la sparatoria. Ora vivono insieme, e, tanto per dare un tocco al tutto, e visto che hanno un po’ di anni di differenza, entrambi che sembra abbiano anche nuove pulsioni. Soprattutto la più giovane Erica, attratta dal nuovo arrivato Max Rigon. Serve di tutto per dare condimento alla storia, diciamo al contorno, alla vicenda umana. Come le altre micro - vicende, ad esempio quella dell’ispettrice Ida Merenghini con il padre parkinsoniano e la badante colombiana. Ed anche la storia è ben ingrossata, in particolare per farci entrare i nuovi cattivi. Ovunque si sa avanza la mafia russa, anche se qui i cattivi sono ucraini. E come in altre storie (penso ad Heinichen o De Cataldo), cattivi legati a filo multiplo a quel coacervo di possibilità del male che rimane per tutti Chernobyl. Volendo semplificare, comunque, c’erano una volta dei sodali ucraini, trovatisi nel corso della vita su sponde disparate. Nestor nella polizia, Dimitrij nella mafia e Viktor solitario Robin Hood. Viktor ha una figlia, che con la moglie emigra in Italia. Raisa, la moglie, finisce ben presto in carcere per droga, ed Olga viene affidata ad una famiglia italiana. Tutto si muove dalla scomparsa di Olga sedicenne. Nessuna traccia, una lettera che annuncia la sua fuga verso l’Ucraina, dove non arriverà mai. E subito si complica prima con la morte di un esibizionista, tal Francesco. Della cui uccisione si incolpa la matura Leonia, scoprentesi poi contabile di un bordello per adolescenti, che sicuramente aveva avuto tra le ospiti la giovane Olga. Ma anche la bella Linda (ma quell’inciso con la canzone di Battisti ce lo potevate risparmiare…). Studentessa di lingue, tra cui il russo, che capta qualcosa dei magheggi degli ucraini. In particolare dell’intesa tra Dorian il teppistello e Adriatico, gestore di un circo con uno strano giro di organi animali. Non a caso entrambi ucraini. Per questo Linda viene uccisa a colpi di bastone, con ferite simili a quelle di Francesco. Ed altrettanto analoghe a quelle che procurano la morte ad un piccolo spacciatore, Esteban, figlio della badante di cui sopra. L’azione, ogni tanto, si sposta in Ucraina, dove, e non è un caso, si sta organizzando una vendita di materiale radioattivo. Che Dimitrij cerca di vendere agli arabi, senza sapere che sono americani in copertura. Che Dorian cerca di intercettare, utilizzando le bande di Adriatico. Che Viktor cerca di sconfiggere, coinvolgendo il poliziotto Nestor. Ci stupiamo che ne uscirà fuori un massacro colossale, dove l’unico a salvarsi sarà proprio Viktor. Che aspetta sempre la figlia. Che nel bordello trova anche il padre adottivo, pedofilo mancato e stupratore di adolescenti. Che si rifugia nella tana di Francesco. Ma che succede quando questi muore? E perché Dorian scappa con il circo? E come mai Dimitrij lo denuncia invece di proteggerlo? E soprattutto, perché Leonia si è accusata dell’uccisione di Francesco quando nessuno glielo aveva chiesto? Sarà che forse anche lei è ucraina? Maffina, seguendo le tracce della morte di Linda, e Franzoni, seguendo quelle di Olga, convergono alla soluzione (abbastanza ovvia) del caso. Che alla fine lascia sul terreno molti più morti di quanti siano morti in realtà. La materia è forse un po’ troppo articolata, e ci si perde un po’. La tecnica della Fassio è ben collaudata, con flash-back, diari ed altre accortezze da abili maneggiatori del genere. Una lettura andante, magari davanti ad un camino, con una grappa, e qualche dolcetto invernale. Non molto di più.
Umberto Lenzi “Delitti a Cinecittà” Mondadori euro 4,90
[A: 07/09/2013– I: 03/02/2014 – T: 04/02/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 187; anno 2008]
Un libro che ha degli spunti di interesse, però più sul piano esterno al giallo cui si ascrive come collana. Intanto, pur essendo del 2008, solo lo scorso anno, per dar lustro al più che ottantenne autore, viene pubblicato nei Gialli Mondadori. L’autore, infatti, non è un giallista, ma un ben noto regista, seppur di polizieschi (e non solo), e spesso violenti. Lenzi ha firmato nella sua carriera film come “Napoli violenta” o “Milano odia”, ha lanciato attori di cult come Maurizio Merli o Tomas Milian. Ora, che difficilmente torna sul set (l’ultimo film è di venti anni fa), si ricicla, un po’ alla Camilleri, come autore. Purtroppo, come i suoi film “poliziotteschi”, anche il giallo che firma non ha una gran trama. Anche qui, il punto di interesse è l’ambiente in cui si svolge la trama. Siamo, infatti, per gran parte del libro, negli studi di Cinecittà. Siamo nel mese di aprile del 1940 (e non a marzo come dice la quarta), si sentono arrivare i clamori della guerra. Ma le ricostruzioni degli ambienti cinematografici, con tutti i cammei che girano intorno ai protagonisti, sono di sicura efficacia (e devo dire, per quanto ne conosca, di giusta ambientazione). C’è Blasetti che gira “La corona di ferro”, con Gino Cervi, Massimo Girotti ed Elisa Cegani che si aggirano tra le quinte. C’è il suo aiuto regista, l’ottimo Renato Castellani. E poi entrano ed escono dai teatri di posa, Vittorio De Sica che sta girando il suo primo film da regista (il misconosciuto “Due dozzine di rose scarlatte”), e Totò alle prese con “San Giovanni decollato” (e qui Lenzi eccede un po’ nella macchiettistica, inscenando un duetto tra il Principe ed un poliziotto, che usando i toni del comico risulta un po’ forzato). La cosa migliore, è il protagonista, l’investigatore Bruno Astolfi, squattrinato ma ben introdotto nell’ambiente. Non solo, ma anche “in odore di eresia”, allontanato dalla Polizia per non aver preso la tessera del Fascio e con un fratello morto in Spagna a difendere la Repubblica dai franchisti. Accanto, la cosa peggiore. Che a chiedere il suo intervento è una coppia di attori, poi famigerata per altre vicende. Luisa Ferida è minacciata di morte, e varie volte attentano alla sua vita. E Osvaldo Valenti reclama i servizi di Astolfi. Peggiore perché Lenzi ne tratteggia un risvolto umano quasi piacente. Non che si sappia tutta la verità, ma l’appoggio incondizionato al regime dei due, la loro successiva adesione alla Repubblica di Salò, nonché la quasi certa partecipazione, almeno di Valenti, alla famigerata Banda Koch, non ne fanno certo personaggi su cui appuntare le simpatie come sarebbe necessario dalla storia. Storia in sé come detto banalotta. Si cerca di colpire la Ferida, in quanto un anno prima l’automobile di proprietà di Valenti ha investito ed ucciso la giovane comparsa Giuliana. Valenti ha un alibi, ma l’assassino non lo sa. Sa però che erano in due sull’auto. E scoperto il secondo in un attore di mezza tacca, lo fa ben presto fuori. E viene uccisa anche la compagna di questi, fioraia in quel di Littoria. Ben presto Astolfi si convince che deve essere un amante di Giuliana. Intercetta il fidanzato, ma è un ladruncolo da quattro soldi, ben presto depennato dalla lista. Lista dove rimane ai primi posti, Enzo, la controfigura di Osvaldo. Che aveva una storia con una figurinista, licenziata poco prima dalla Ferida. E che quindi poteva serbare rancore. Quando anche Enzo muore, Astolfi deve arrendersi all’evidenza: l’assassino è un altro. E la menomazione che cita la zia di Giuliana, fa andare tutto a posto. Peccato che l’assassino compaia in qualche scena, ma in modo irrilevante. Così come nei film di Lenzi, dove il nocciolo da seguire non è la trama in sé, a volte spesso un pretesto per le sparatorie e la violenza (e non è un caso che Lenzi piaccia molto a Tarantino!). Insomma, un buon lavoro di ricostruzione ed un sentito omaggio al cinema e a Cinecittà, ma un romanzo solo sufficiente. Anche se, e lo ribadisco, alcuni elementi della sceneggiatura accrescono il senso di immersione nell’epoca: la Lancia Ardea guidata dalla Ferida, le canzoni citate, il doppio kummel, le stradine del centro, la descrizione di Piazza Re di Roma e della lunga Tuscolana per arrivare a Cinecittà. Purtroppo tuttavia ci sono errori anche qui: non esiste nessuna Alfa 2000, ma un’Alfa 2300, e nel periodo citato la Roma non subì nessun rigore contro, ma solo uno a favore messo a segno dal mitico argentino Miguel Angel Pantò (certo che io a volte sono uno scassapalle, eh…).
Marzia Musneci “Lune di sangue” Mondadori euro 4,90
[A: 10/02/2013– I: 11/02/2014 – T: 11/02/2014] - && e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 222; anno 2013]
Ad un anno esatto dall’acquisto, e dato che per colpa di un’influenza debilitante sto praticamente chiuso in casa cercando di farmela passare, ho letto, e direi divorato questo secondo libro della simpatica ex-attrice, ex-tante altre attività, che vive ai Castelli Romani, e che dopo il simpatico “Doppia indagine” del 2011, ritorna in campo con l’omoiniziali Matteo Montesi. E se da un lato ritroviamo con simpatia lo scanzonato investigatore, e vediamo con piacere che prosegue (e per il meglio) la sua storia con l’agente Cristiana, è meno coinvolgente sia l’impianto della trama, sia il fatto che la storica Rete, che aveva consentito a Matteo di risolvere il precedente caso, qui si nomina qua e là, ma fa veramente poco. La storia, anche sta volta, si svolge ai Castelli. Con qualche puntatina verso San Lorenzo. Il tutto innescato dal ritrovamento di un cadavere senza mani, con tante pugnalate e nudo, ritrovato in una grotta, per altro adusa a riti tra il satanico ed il bucolico. Mentre Cristiana si occupa del morto, Matteo è convinto da Valentino, amico giornalista, ad occuparsi del ritrovamento di un ritratto di  una bellissima donna,  Vittoria, pare attribuito al pittore tedesco Friedrich Overbeck (e questo è reale, che il dipinto della bella Vittoria si trova al museo di Monaco, e Vittoria era talmente bella che anche Goethe ne aveva un ritratto nel suo studio). Ad ingaggiarlo una discendente di questa, Arianna, un po’ sbandata con la madre che continua a foraggiarle la vita, non ultimo un pub di tendenza a San Lorenzo, il Vittoria C. Anni prima Arianna aveva avuto una storia con un tossico, l’aveva “redento”, e Gualtiero, per ringraziamento, l’aveva mollata ed aveva sposato Irene. Arianna era stata mollata anche poco prima da tal Alex (ma vuoi vedere…). Anche Gualtiero viene fatto fuori, e con la stessa modalità del primo morto. Poiché tutto ruota intorno ad Arianna, le strade investigative di Matteo e Cristiana non potranno che incrociarsi. E cominciare ad indagare anche sul giro degli adepti di Diana (cosa facilissima trovare intorno al lago di Castel Gandolfo, così perfetto, e così pieno di storie risalenti a Roma antica, ed anche prima). Si imbattono così nella strana figura di Lorena, una sacerdotessa in capo, ma più che altro, innamoratissima di Arianna, e che cerca di proteggere in tutti i modi. Soprattutto nel locale di San Lorenzo, dove, ogni volta che ci va Matteo o parte della sua Rete, si imbattono sempre in tre loschi figuri che hanno tutta l’intenzione di coinvolgere il locale in qualche giro losco. Dato che porti, aeroporti e stazioni stanno diventando difficili, i clan stanno iniziando ad usare il trasporto su ruote. Ed allora cosa meglio di San Lorenzo, con il suo scalo dedicato a camion ed affini? Intanto, Valentino viene quasi ucciso, e confessa a Matteo che sta seguendo una pista di camorra, che porterà a clamorose rivelazioni. Lorena viaggia sul filo del rasoio, organizzando, oltre che ritiri spirituali, anche serate da scambisti (e tutto all’ombra dei Castelli Romani). Ed anche questa attività viene disturbata dai cattivi. Ormai Mat e Cri viaggiano di concordia, anche se un poliziotto è sempre un poliziotto, e deve dar conto al proprio capo, che tonto non è. La situazione precipita quando, per proteggere Arianna, Lorena fa la voce grossa al pub, ed i camorristi la uccidono, e rapiscono Arianna. Cristiana è di vedetta e li segue. Matteo capisce che c’è sotto qualcosa di grosso e tramite il cellulare acceso di Cri scopre dove sono andati a finire. Perché ormai Valentino ha mollato parte dell’inchiesta. Ci sono due clan che si danno fastidio. Ed Alex era figlio del capo di uno dei due clan. Forse voleva restare pulito, ma per piegare Ari, lo fanno fuori al pub, tagliandogli le mani. Ari e Lorena, per sviare le indagini, lo portano nella grotta, dove li vede Gualtiero. Durante un alterco con i cattivi, a Lorena sfugge questo dettaglio, e così Gualtiero è servito. Intanto, Valentino  si stava avvicinando troppo al centro dei problemi, e così si spiega l’attentato che subisce. Ed il padre di Alex, per controllare la vicenda, da mesi sta in incognito sul luogo, e scopriremo che… Ovviamente Matteo quando arriva, scopre che Cristiana è stata anch’essa presa, ed anche lui viene stordito e messo fuori combattimento. Fortuna che la polizia è ben vicina e sta per fare irruzione, ma prima, arriva il padre vendicativo e … Tutta questa parte la lascio all’immaginazione di voi buoni lettori. Ma come vedete, la trama è poca cosa, qualcosa per cercare di farne un hard boiled alla romana senza tanto riuscirci. Meglio le schermaglie tra i nostri due eroi, con Cri che vuole andare a Quantico a fare un corso di profiling (ma solo lì lo fanno, in tutto il mondo?), oppure, in alternativa, vuole un figlio con Matteo. Non vi dico la soluzione di quest’ultimo rebus. Ripeto solo, come dissi due anni fa: onesta scrittura, piacevole lettura, forse un po’ più di grinta non avrebbe guastato.
Chiusi in casa, assediati da torme di pellegrini cantanti, scrivo queste righe ritemprandomi dalle vacanze scozzesi, aspettando un week-end campagnolo e programmando l’estate. Un deserto tunisino si affaccia all’orizzonte. Per il resto vedremo. 

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