Solo in pochi si ricorderanno
delle vecchie serie Disney a livello “Tv del pomeriggio”. C’era Fantasyland per
le storie di fantasia, e c’era Adventurland. Come qui, per le avventure. Certo
diverse ed eterogenee. Ci sono quelle egiziane, ormai finite purtroppo, di
Elizabeth Peters, di recente scomparsa, con un discreto livello in queste
ultime uscite. Ci sono le colonie spagnole di Matilde Asensi, cominciate bene e
finite molto al di sotto del godibile. E c’è la macchina avventurosa della
ditta Cussler, quasi sempre avvincente, quasi sempre ben fatta, come in questa
che tramo oggi. Ed allora benvenuti a tutti nel regno dell’avventura…
Elizabeth Peters “Il fulmine di Sethos” TEA euro 9
[A: 15/04/2012– I: 22/10/2013 – T: 25/10/2013] - &&&
[tit. or.: He Shall Thunder in the Sky; ling. or.: inglese; pagine: 436; anno 2000]
Questo
è l’ultimo volume trovabile in Italia della fortunata serie di Amelia Peabody
Emerson e delle sue avventure egiziane. Rimasto a lungo in libreria, ne ho
affettato la lettura alla notizia, spiacevole, che lo scorso agosto, durante le
mie vacanze marocchine, la scrittrice è venuta a mancare all’età di 86 anni. Ci
sono ancora volumi inediti in Italia (ed uno l’ho comperato proprio in Tanzania
durante un viaggio avventuroso). Qui, intanto, la nostra cara Elizabeth aveva
tirato molte somme, facendo confluire e risolvere una lunga serie di misteri
che attraversavano gli ultimi romanzi. Ed inserendo la vicenda in un contesto
reale, come suo solito. Infatti, siamo ormai arrivati al 1915, e la prima
Guerra Mondiale è ben scoppiata. Se ne sentono le influenze anche in Egitto,
che sta sotto il protettorato britannico, mentre alle porte, dal Medio Oriente,
premono i turchi, alleati dei tedeschi. Ci si aspettano grandi scontri
militari, anche se in realtà saranno più nel terreno mediorientale che sul
territorio egiziano (tra l’altro la Peters fa apparire in un cammeo, neanche
tanto lusinghiero, quello che diventerà di lì a poco Lawrence d’Arabia). In
questo contesto la famiglia Emerson al completo torna in Egitto per un altro
semestre di scavi. Sono tutti presenti, il professore che conduce gli scavi a
Giza, trova una statua in una tomba intonsa, e si persuade non di aver trovato
qualche nuovo scavo interessante, ma che ci sia qualcuno che invii dei segnali.
La nostra Amelia, che riporta i fatti, che tenta di proteggere i suoi, anche se
non può stare dappertutto (intanto ha già 62 anni, secondo la cronologia dei
romanzi). La bella Nefer, figlia adottata, reduce dalle sfortune di un matrimonio
affrontato per ripicca (e per sbaglio), mentre continua ad amare il bel Ramses.
Ed il giovane Emerson, ovviamente, ama anche lui Nefer, ma (come in tutte le
situazioni “inizio novecento”) difficile è esternare sentimenti diretti. E
tutto poi congiura a dividere i due giovani. La guerra, cui Ramses dà giudizi
sprezzanti, non volendo partire volontario, ma dove, di nascosto, sta lavorando
ai Servizi Segreti inglesi, nel tentativo (riuscito) di sventare la minaccia
turca. Ma l’ostilità palese della comunità verso le posizioni della famiglia
Emerson, rendono sempre più difficile la vita a Nefer. E sempre più facile a
quel “demente voglioso di donne” che è il cugino Percy. Uno dei veri cattivoni
della saga. Che fa finta di essere buono, ma che 1. Trama con il nemico; 2.
Mette in cinta prostitute per poi lasciarle; 3. Faceva credere che la figlia
illegittima fosse di Ramses; 4. È anche in combutta con qualche d’un altro.
L’altro che stava mettendo quei reperti sulla strada di Amelia e Radcliffe. Ed
è proprio Amelia che, collegando fatti e parole, risale all’idea, non tanto
peregrina, che questo misterioso fantasma non sia altro che Sethos, il
criminale che da una dozzina di libri imperversa (direttamente o in modo traverso)
sulla famiglia Emerson. La “mente criminale” come la chiama Amelia, origine di
mille furti e malversazioni, ma che ha sempre detto che non avrebbe torto un
capello a lei ed alla sua famiglia. Nel momento cruciale, dopo che Percy riesce
a sopraffare (essendo in soprannumero) Ramses, e tenta di ucciderlo,
l’irruzione dell’esercito crea scompiglio. Confusione nella quale Percy cerca
anche di sparare a Nefer, ma viene colpito a morte da Sethos. Il quale, a sua
volta, viene colpito dai turchi che spalleggiano Percy. E morendo di fronte a
tutta la famiglia Emerson capiamo finalmente il mistero. Non che non avessimo
avuto indizi in tal senso, che sembra sempre la stessa storia da Sherlock
Holmes in poi. Sethos non è altri che un fratello bastardo di Radcliffe, avuto
dal padre con una persona diversa dalla madre. Ed allontanato ben presto dalle
case paterne. Desideri di rivincita e vendetta, e quant’altro. Ma poi si
innamora anche lui di Amelia, e succede quello che abbiamo visto in questi
dodici romanzi. Per fortuna tutte queste parentesi aperte negli ultimi tre ora
sono chiuse. E Nefer e Ramses (questo lo posso dire, che sta anche scritto su
Wikipedia) convolano a giuste nozze. D’ora in poi sarà difficile che tiri le
orecchie ai traduttori, che se si leggerà di Amelia sarà in inglese. Ma anche
qui, sto fulmine che tuona dal cielo, perché appiccicarlo a Sethos? Tiriamo un
sospiro, ed andiamo avanti, ringraziando la non più presente per quello che ha
scritto e per quello che ne ho letto.
Clive & Dirk Cussler “Alba di fuoco” TEA euro 9 (in realtà,
scontato a 7,65 euro)
[A: 29/06/2012– I: 18/11/2013 – T: 20/11/2013] - &&&
[tit. or.: Crescent Dawn; ling. or.: inglese; pagine: 512;
anno 2010]
Un
corposo ma scorrevole esempio della letteratura avventurosa, dove la ditta
Cussler dà dei punti a quasi tutti gli improvvisati scrittori del genere. Ormai
ben conosciamo il metodo di scrittura di questa premiata ditta. In tutte o
quasi le sue varianti (non a caso ho in libreria ben 38 volumi dell’ottantenne californiano):
questa (inserita nel filone classico delle avventure di Dirk Pitt, giunte al
21° episodio), quelle dei NUMA files (dove agisce in prima persona Kurt Austin,
sorta di alter-ego di Pitt), quelle degli OREGON files (incentrati sul capitano
Juan Cabrillo), nonché le nuove serie con Isaac Bell o i coniugi Fargo. Ed
abbiamo seguito l’evolversi di Pitt durante gli anni. Prima solo elemento di
spicco della NUMA, di cui sale i gradini fino a diventarne, nelle ultime
avventure, il direttore, al posto del capitano Sundaker, passato invece nel ruolo
politico di vice-presidente degli Stati Uniti. E fino a ricongiungersi con i
suoi figli perduti, i gemelli Summer e Dirk jr., che ora lo seguono
nell’organizzazione e ne sono attori sempre più in prima persona. Riconosciamo
anche i meccanismi classici: prologo che viene da lontano, che innesta una
problematica, la quale porta dei cattivi a comportarsi tali ed i nostri, in
vario modo, ad ostacolarli, e, generalmente, a riportare un discreto successo.
Elementi collaterali quasi sempre presenti sono poi un cammeo di Cussler stesso
che, alla moda di Hitchcock, compare in un qualche punto della storia ed una (o
più) storie d’amore tra qualcuno dei nostri e qualche bellezza locale. Tutto
viene rispettato, con qualche piccola variante (perché le varianti fanno si che
si possano rifare cose simili senza troppe ripetizioni). I prologhi sono due,
anche se poi ne scopriremo i collegamenti, e danno vita a due filoni di storia
che si intrecciano per poi unificarsi nel finale. E dato che ormai Pitt è
convolato a giuste nozze con la bella Loren, la storia c’è l’ha Dirk jr., ma,
come quelle in giovinezza del padre, anche queste destinate a finire male.
L’ambiente in cui ci si muove è il bacino del Medio Oriente (e poi ci tornerò
alla fine), tra Turchia, stretta tra pulsioni laiche ed aneliti
fondamentalisti, Israele e Cipro. Si comincia con una galea romana trasportante
qualcosa di importante affondata da pirati nelle acque di Cipro, si prosegue
con una nave inglese, l’Hampshire, che salta in aria durante la prima guerra
mondiale mentre a bordo c’è il famoso Lord Kitchner. La storia poi passa ai
giorni nostri dove due fratelli turchi, pronipoti dell’ultimo sultano, tentano
di destabilizzare la situazione mediorientale, da un lato mettendo bombe a
destra e manca, dall’altro trafugando reliquie religiose maomettane e ebraico -
cattoliche. In queste ultime vesti i due cattivoni si scontrano con Dirk Pitt
ad Istanbul (durante un furto nel museo del Topkapi) e con Dirk jr. in Israele,
durante il furto di papiri che dovrebbero indicare la posizione della nave di
cui sopra. Benché i furti riescano, i nostri Pitt continuano ad avere sospetti
e premonizioni. Soprattutto il giovane, che si innamora della bella archeologa
Sophie, che però muore nel tentativo riuscito di salvare Gerusalemme da uno
scoppio che avrebbe fatto saltare in aria la Moschea di Al-Aqsa. Nel frattempo,
la gemella Summer indaga con l’amica Joyce sulla morte di Kitchner. Qui i
Cussler coniugano realtà storica con un po’ di fantasia, facendo risalire lo
scoppio della nave da un tentativo di impedire al Lord inglese di rendere pubblico
un papiro contenente la descrizione di cosa conteneva la nave romana affondata.
Papiro avuto (invenzione) durante la (reale) permanenza di Kitchner in
Palestina. Per fare il botto finale, i fratelli Celik rubano allora una nave
israeliana, la imbottiscono di esplosivo e la lanciano contro il ponte di
Galata ad Istanbul (e che emozione ripensarci ora dopo esserci tornati). Ma
Pitt ed il suo fido aiutante Giordino faranno in modo di sventare la terribile
minaccia (questa la parte avventurosa spinta tipica della scrittura della
ditta). Morti i turchi cattivi, e sedati gli aneliti fondamentalisti, rimane da
scoprire la nave romana ed il suo contenuto. Summer scopre il papiro del Lord,
che parla di “reliquie di Gesù”, Dirk sr. scopre dove, a Cipro, è affondata la
nave, e trovatala, viene affrontato dal resto della banda di Celik, che nel
frattempo è stata assoldata da un miliardario israeliano anche lui cattivello.
Sarà Dirk jr. a sgominarli, vendicando Sophie. Il tutto finisce con una bella
mostra fittizia dove i resti del Cristo sono in realtà le ossa di Giuseppe di
Arimatea, salvate dal Santo Sepolcro dalla bella figura di Sant’Elena, la madre
di Costantino. Insomma, un bel mix di realtà storica, fanta-archeologia e story
fiction, che si legge con gusto, magari mangiando cioccolata e bevendo un rhum,
in queste sere da prodromi invernali. Un’ultima cosa: ma perché “Alba di fuoco”
vi sarete domandati? E me lo sono chiesto anche io, dato che il titolo inglese
parla sì di alba (“dawn”) associandola però al termine “crescent” che, come
ognuno sa, indica appunto il territorio mediorientale (e quindi si poteva
tradurre con alba mediorientale). Io ipotizzo che sia, nelle intenzioni degli
autori, un cenno trasversale alle nascenti “primavere arabe”, legando i termini
temporali di inizio (inizio giorno, inizio stagioni) al nodo centrale della
vicenda legata al fondamentalismo arabo e alla sua possibile manipolazione da
parte di forze ostili. Quand’è che i traduttori si daranno un po’ da fare per
farsi una cultura che non sia solo marketing?
“Scorgendo un ebreo armeno in attesa ad un
semaforo pedonale accanto ad un etiope dalla tunica bianca e a un palestinese
con la kefiah, capì che stava calpestando una porzione di terra unica al
mondo.” (311) [una delle più belle e sintetiche descrizioni di Gerusalemme!]
Matilde Asensi “La congiura di Cortés” BUR euro 8,90 (in realtà,
scontato a 7,57 euro)
[A: 13/12/2013– I: 24/03/2014 – T: 26/03/2014] - &
[tit. or.: La conjura de
Cortés; ling. or.: spagnolo; pagine: 395; anno 2012]
Finalmente
abbiamo messo la parola fine a questa trilogia caraibica narrata dalla spagnola
Asensi. Era ora. Il primo libro, “Terra Ferma” aveva qualche interesse (la
novità, la donna mascherata da uomo per sopravvivere nell’ambiente dei pirati).
Il secondo, “La vendetta di Siviglia” comincia a mostrare segni di resa
(l’ambiguità uomo – donna annega presto, scontata è la vendetta del titolo).
Questo terzo ed ultimo si trascina inanellando pagine senza una vera tensione.
Facciamo un breve riepilogo: la giovane Catalina, in viaggio verso il Nuovo
Mondo, si trova la nave affondata da pirati e si salva su di un’isola (novella
Robinson). Quando viene ritrovata, per sopravvivere, si traveste da ragazzo,
usando il nome Martin e viene adottata dal buon Esteban. Nel Nuovo Mondo, tra
una lotta e l’altra, Martin - Catalina cresce, la sua fortuna prospera (anche
attraverso un po’ di sana pirateria). Finché non si mette di traverso alla potente
famiglia Curvo, che spadroneggia e taglieggia i locali. La sua famiglia si
ribella, ma viene prima imprigionata, poi viene ucciso in carcere a Siviglia il
padre. La nostra giura vendetta, ed uccide, uno dopo l’altro, i quattro
fratelli e sorelle Curvo. L’ultimo in duello, che le ferisce e poi le toglie
l’occhio sinistro. Qui comincia questo terzo libro, con gli ultimi due Curvo
che tornano nel Nuovo Mondo per vendicarsi. Quasi ci riescono, ma lei si salva
per miracolo. I Curvo fanno però prigioniero Alonso, cui la sua parte donna –
Catalina sembra propendere. Comincia una nuova saga di vendetta. Aiutata dalla
fortuna da lei accumulata, allestisce una nuova grande nave da battaglia,
insegue i Curvo, libera Alonso che è veramente mal ridotto dalla tortura
subita. Nel frattempo, abbordando una nave di passaggio, trova cinque nobili
spagnoli spiantati che si recano nel Nuovo Mondo. In poche pagine risolve il
mistero: hanno una mappa del tesoro di Hernan Cortés, che servirebbe ai Curvo
ed ai loro accoliti per fomentare una rivolta contro il Re di Spagna. Il quale,
tramite un suo messo, offre a Catalina la remissione di tutti i suoi debiti con
la giustizia, ed il ripristino del suo status nobiliare, se questa lo aiuta a
sedare la rivolta. Per decifrare la mappa, Catalina si rivolge ad un
discendente matrilineare di Montezuma, che le indica il luogo del tesoro:
Cuernavaca. Dopo qualche decina di pagine inutili, i nostri trovano il tesoro,
e non soltanto. Riescono a sbaragliare ed imprigionare gli ultimi Curvo.
Aiutati da un santone Maya, decifrano tutto il decifrabile. Poi, in una delle
scene più cruente, Catalina finisce la sua vendetta alla maniera Maya,
strappando il cuore dal petto del nemico. Fatta la vendetta, trovato il tesoro,
sventato anche un tentativo del viceré di sequestrare una parte dello stesso
per i suoi interessi personali, la nostra bella viene omaggiata nella capitale
della Nuova Spagna, la sfolgorante città di Mexico-Tethiuacan. Dimenticavo, nel
frattempo Alonso si è rimesso, ed i due si sono anche sposati. alla fine
tornano nei loro possedimenti di Terra Ferma, omaggiano i di lei genitori morti
entrambi (la Madre ultima per mano dell’ultimo Curvo prima che questi morisse),
regalano una fortuna al traduttore delle mappe. Insomma, tutto per il meglio, e
vissero felici e contenti. Spero che la Asensi ci risparmi un prossimo futuro
dove magari nasceranno figli alla bella Catalina. Perché la scrittrice spagnola
ha una fluente scrittura, che ho abbondantemente sottolineato ed apprezzato in
scritti come “L’ultimo Catone” o “L’origine perduta”. Qui ormai si perde. Non
c’è nessun soprassalto di coinvolgimento. Si legge e passa via, anche piuttosto
in fretta. Anche come romanzo d’avventura è molte spanne al di sotto di Cussler,
di una Peters, anche di un Wilbur Smith (pur se di questi poco ho letto).
Volendo inoltre far vedere che si è documentata, inanella una decine di pagine
finali con vicende degli anni intorno al 1605 – 1612, anni teatro della
vicenda. Peccato che non li abbiano rivisti, dato che a pagina 3 del compendio
i moriscos abbandonano la Spagna nel 1608 ed a pagina 6 gli stessi partono per
l’Africa nel 1609. Una concordanza no, eh, o magari una rilettura? Niente. Da dimenticare
in fretta.
Elizabeth Peters “Tomb of the Golden Bird” Robinson euro 12
[A: 08/10/2013– I: 10/05/2014 – T: 14/05/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 442;
anno 2006]
Come
sopra detto, ecco l’ultimo capitolo della saga di Amelia Peabody. Non l’ultimo
scritto dalla purtroppo scomparsa scrittrice (che scrisse un ultimo romanzo ma
collocato temporalmente prima di questo), ma l’ultimo come eventi temporali dei
nostri amici egittologi, e probabilmente l’ultimo che ne leggerò, essendo
presenti tra il fulmine di cui sopra e questo altri 4 libri non tradotti in italiano.
Ma credo che ormai sia sufficiente. E questo romanzo chiude realmente tutte le
possibili parentesi aperte durante la storia. Chiudendo anche con un momento
importante per la storia dell’archeologia e dell’Egitto. Siamo, infatti, nel
1922, e precisamente in quel novembre in cui Howard Carter scoprì la tomba di
Tutankhamon (appunto l’uccello d’oro del titolo). Questa è la parte archeologica
del racconto: la scoperta della tomba, il litigio tra Emerson e Carter, di modo
che viene giustificata l’assenza dei nostri dagli scavi (non essendo personaggi
storici sarebbe stata una bella forzatura), ma anche i metodi di ritrovamento,
le catalogazioni, i dissidi tra cercatori privati (come erano Carter e Lord
Carnavon) e le autorità, soprattutto il futuro Museo Egizio. Su questa
ossatura, che procede un po’ per proprio conto, anche in tono minore, salvo
qualche appunto sparso su cui torno tra poco, si innesta la vicenda del filone
“giallo – avventura” che caratterizzano questi romanzi. Gli appunti riguardano
solo la diatriba tra Carter e i giornalisti, dopo che Lord Carnavon vende
l’esclusiva al Times, e la figura dell’uccellino che porta fortuna a Carter, ma
che viene poi ucciso da un cobra (simbolo reale) quasi a prefigurare la famosa
maledizione di Tutankhamon (che in realtà non esiste, visto che le persone
della spedizione moriranno tutto dai quindici ai sessanta anni dopo, eccetto
Lord Carnavon, morto tre mesi dopo per una puntura infetta). La storia appunto
vede il ritorno di Sethos, che ormai sappiamo essere Seth il fratellastro di
Emerson. Si pensava fosse morto, invece era solo ferito gravemente. E torna con
una storia di complotti che lo costringono a far perdere le proprie tracce, ma
solo travestendosi come aiutante di Amelia. I cattivi vogliono un codice
cifrato che lui (di cui sappiamo anche essere una spia del servizio segreto
britannico) ha trafugato in Siria. E per ottenerla minacciano peste e corna su
tutta la famiglia Emerson. Non solo i nostri due eroi, ma il figlio Ramses che
ormai ha sposato (ed era ora) la bella Nefret, ed i due nipoti, i gemelli David
John e Charla. Ovviamente, per rendere più completa la possibile confusione,
tornano dall’Inghilterra l’amico fidato David (ora anche parente, dopo il matrimonio
con Lia, figlia del fratello di Radcliffe) accompagnato dalla figlia adottiva
Sennia. E per non farci mancare nulla, arriva anche Margaret, giornalista
nonché moglie di Sethos. Ci sono le usuali scene di fughe, ritrovamenti, morti
accidentali (ad un cattivo scoppia una bomba mentre cerca di portarla nella
Valle dei Re), viaggi tra Luxor ed il Cairo in treno (e qualcuno forse se lo ricorda…).
Insomma, la nostra brava scrittrice non ci fa mancare nulla. Anche perché il
periodo storico è veramente turbolento. L’Inghilterra cerca di allentare il
controllo nella regione, ormai troppo oneroso, per mantenerlo solo verso l’Iraq
ed il petrolio di Re Faysal. I nazionalisti egiziani, futuri Fratelli
Mussulmani, cercano di convincere David ad unirsi a loro per cacciare Re Fuad I
d’Egitto. I servizi segreti tessono le trame (come faceva, fa e farà in
contemporanea per tutto il medio - oriente Lawrence d’Arabia). Tutta la storia
vivacchia un po’, cercando di portarci a credere l’esistenza di complotti anche
con la Francia, impersonata dall’esile disegnatrice Suzanne. Pur rimanendo per
quasi tutto il libro un po’ sullo sfondo, la nostra Amelia è ben presente, e
sarà lei, che con uno scatto finale, metterà tutti i puntini sulle “i” del
romanzo. Riesce a decifrare il messaggio (per pura fortuna), lo comunica al
capo di Seth che lo utilizza per debellare il complotto. Ma nel frattempo
questi aveva deliberatamente messo in pericolo proprio Seth, che decide di abbandonare
anche questa pericolosa strada e tornare a fare il civile nonché il marito a
tempo pieno di Margaret. David non viene coinvolto dai torbidi nazionalisti, e
può tornare in patria da Lia con Sennia. Ramses e Nefret, visto che hanno in
cantiere un nuovo figlio, decidono di trasferirsi stabilmente nella capitale,
dove i gemelli potranno andare a scuola. Soli, ma sempre più innamorati,
Peabody ed Emerson rimarranno a gestire qualche scavo, viaggiare con la loro
barca sul Nilo e continuare ad invecchiare. Un unico punto poco gestito
dall’autrice è proprio l’età. Dal primo libro, sappiamo che Amelia è nata nel
1852, conosce e sposa Emerson nel 1884, e tre anni dopo hanno il loro unico
figlio Ramses. Quindi, ora che siamo nel 1922, Amelia ha settanta anni
(anagraficamente) ma si comporta ancora (socialmente ma soprattutto quando si
trova sola con il marito) come una splendida cinquantenne. Ma ormai la storia è
finita. Da altre fonti sappiamo che Amelia morirà quasi novantenne all’inizio
della seconda guerra mondiale. Degli altri non si avrà più traccia. Rimarrà il
ricordo delle capacità archeologiche di Emerson (chiamato dagli arabi “Padre
delle Imprecazioni”, e si può comprenderne il motivo), del figlio Walter Ramses
(soprannominato “Fratello dei Demoni” per le sue abilità nei travestimenti) e
della nuora Nefret (soprannominata “Luce d’Egitto” per la sua bellezza). Come
detto, Elizabeth Peters è morta lo scorso anno, quindi è una storia che ha la
sua fine. Definitiva. E ne sono contento, pur nel dispiacere di non leggere più
altre righe che mi riportavano ai bei panorami egiziani.
Secondo appuntamento di giugno, trovate
quindi in allegato una buona medicina per consolarsi da amori predestinati (e
magari finiti) e per godere di amori predestinati (e poi congiuntisi per sempre).
Come spesso tra la fine di un viaggio e l’attesa di altro, ci si trova un po’
stanchi e magari ad altro pensosi. Allora chiudiamo qui.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
GIUGNO 2014
Dopo aver passato in rassegna
qualche problematica giovanile (adolescenti & co in particolare), stiamo
crescendo ed avvicinandoci a malesseri più generalizzati. Ed allora andiamo con
i primi problemi amorosi.
AMORE PREDESTINATO
Noi, Evgenij Zamjatin
L'amante di Lady Chatterley, D. H. Lawrence
A volte è chiaro per tutti, tranne che per
voi, che il vostro amore è destinato a finire. Beati nella vostra bolla d'amore,
non vedete al di là della luce perlata che vi circonda. Un amore nato sotto una
cattiva stella – come quelli di Tristano e Isotta, Cathy e Heathcliffe, Tess e Angel
Giare – è uno spettacolo terribile. La sventurata coppia, tuttavia, non si
rende conto che la loro bolla presto scoppierà. Una volta trafitta la membrana,
però, anche quegli amanti si accorgeranno della loro follia; è arrivato il
momento di ricorrere alla nostra cura – quando l'amore è in piena agonia.
La vostra storia potrà anche essere condannata
al fallimento, mai però come quella degli sventurati protagonisti di Noi di Evgenij Zamjatin. D-503 (lui) e I-330
(lei): possono incontrarsi solo in segreto perché vivono nello Stato Unico, una
società guidata dal «Benefattore» che controlla ogni aspetto della vita umana.
Ognuno svolge la propria attività dietro una parete di vetro, per poter essere
sempre tenuto d'occhio. D-503 e I-330 si danno appuntamento per la prima volta
nell'angolo opaco di un edificio.
A poco a poco, I-330 rivela a D-503 che fa
parte di un gruppo clandestino che vuole abbattere il muro che separa lo Stato
Unico dal mondo esterno. Ogni tanto riusciamo a scorgere qualcuna delle persone
che abitano al di là del muro, libere, coperte di peli. Il piano di fuga, alimentato
dall'intensità della loro passione, ci fa sperare nel loro futuro. Zamjatin,
però, scriveva ispirandosi alla sua esperienza nella Russia dell'inizio del XX
secolo, un paese in cui il suo romanzo fu messo al bando per parecchi anni - e
sappiamo che lo Stato Unico pullula di spie... Leggere Noi vi consolerà del fatto che non vi siete accorti in tempo
dell'inizio della fine.
Anche l'amore tra Lady Chatterley e il
guardiacaccia Mellors sembra destinato al fallimento. Non solo Connie è sposata
- con Sir Clifford, paralitico e impotente, a cui è legata mentalmente ma non fisicamente
- ma è anche un'aristocratica, mentre Mellors è un «cittadino comune», per
usare un termine dell'epoca. Come per ricordare a lei (o, più probabilmente, a
noi) l'abisso che li separa, Mellors ogni tanto si abbandona al suo marcato dialetto
del Derbyshire. In modo molto assennato, Mellors è intimorito quando i due
iniziano la loro relazione appassionata e profondamente sessuale, perché riesce
a vederne tutte le complicazioni. In confronto, l'appello di Connie affinché
lui non rinunci a lei sembra ingenuo, e il lettore non può non vedere che il
loro legame, anche se profondo, è altrettanto precario del matrimonio di Connie,
seppure in senso inverso. I due amanti sono legati fisicamente, ma non hanno
nulla da dirsi.
D. H. Lawrence, tuttavia, confonde le
aspettative del lettore. Connie, una volta risvegliata da Mellors, che sa
arrivare alla «donna che ha dentro», inizia a considerare il legame
intellettuale con Clifford come «solo tante parole» e da quel momento non ha
più dubbi. Alla fine del romanzo li guardiamo aspettare – Mellors che il
proprio divorzio sia finalizzato, Connie che Sir Clifford le restituisca la sua
libertà. Il futuro è come sospeso davanti a loro, ancora fuori portata, ma Connie
aspetta un bambino da Mellors, e dopo aver rivelato al mondo il loro amore
sembra che non possano più tornare indietro.
E se c'è speranza per Lady Chatterley e
Mellors, beh, forse anche voi non dovreste essere così pessimisti sul vostro
amore, dopo tutto.
Bugiardino
Il
libro russo è ormai sepolto nella mia giovinezza fantascientifica, lì dove si
leggeva tutto solo se “para-scientifico”, “fanta-sociologico”, e compagnia
bella. Quei tempi degli Asimov, dei Bradbury, ma anche dei Pohl, dei Vonnegut
jr. ma anche dei Lem e dei Zamjatin. Siamo, come scrittura, sempre negli anni
Venti. Ma lasciamo l’amore senza speranza dei nostri amici russi, e concentriamoci
sul coevo Lawrence, che invece ho letto da poco.
David Herbert Lawrence “L'amante di Lady
Chatterley” Repubblica Novecento euro 4,90
[31
luglio 2011]
Un classicissimo finalmente letto
tutto. Molto datato in alcuni punti. Ma alla fine si legge e dà alcuni spunti.
Anzi, andrebbe comunque letto. Infatti, se da una parte è un libro polemico contro
l’aristocrazia inglese ed il suo vuoto mondo di privilegi che stanno finendo
(ma non risparmia nessuno, certo non i minatori e la classe lavoratrice in
genere, ma su questo ci si ritorna), dall’altro alcune pagine “di sesso” sono
poetiche e delicate. Ma come, direte, un libro che veniva censurato per la sua
volgarità ed il suo esplicito parlare? Prima di tutto, sono passati novanta
anni, e ben altro esplicito parlare abbiamo dovuto sorbire. Lawrence anzi è
poetico con le sue infuocate scene di sesso, per poi scivolare nel climax delle
chiacchiere intorno a John Thomas e Lady Jane (che non sono il nome dei due
protagonisti, che si chiamano Oliver e Constance, ma …). Secondo poi, veniva
censurato con la scusa del sesso, ma perché era un libro che metteva in crisi i
rapporti tra le classi sociali. Come (!), una Lady che si innamora di un
guardiacaccia, e per questo amore sfida il mondo immoto della caccia alla volpe
e del tè delle cinque! Questo sì che non si doveva vedere. Anche perché le
prime 100 pagine sono quelle che con più forza attaccano il mondo dei lord. Una
per tutte, la scena degli aristocratici che parlano a ruota libera durante un
dopo cena, anche di funzioni corporali, ma quando Connie interviene hanno un
modo di fastidio, che mi ricorda tanto le scene nordafricane con il maschilista
che rivolgendosi all’unica donna che sapeva parlare inglese (e che gli teneva
testa) l’apostrofa con uno “Shut up, woman!”. Stessa sensibilità ad un secolo
di distanza. Certo, Lawrence non è cattivo fino in fondo, che Oliver comunque
ha fatto il soldato, sa parlare bene inglese, in un certo senso “conosce le
buone maniere”. Non è soltanto un “buzzurro con il sesso caliente”. In questo
contesto, un po’ cadenti tutte le lunghe pagine dedicate alle miniere, al
carbone, allo sviluppo industriale, ed altro “politichese”, che, queste sì,
hanno fatto il loro tempo e sono datate. Ma anche l’altro versante ha il suo
interesse, i tormenti di Oliver verso l’altro sesso (e le sue pippe mentali,
diciamocelo pure), la progressiva emancipazione di Constance (che intanto,
benché Lady, aveva già avuto esperienze sessuali prima della Grande Guerra, ed
anche questo faceva scandalo), ed i due contraltari: la finta liberale sorella
Hilda, che non accetta il liberarsi della sorella, e la signora Bolton, che non
vede l’ora che Constance se ne vada per trovare un suo spazio
ancillo-infermiero-erotico presso il povero Clifford, paralizzato dalla vita in
giù. E comunque ci vuole del coraggio a sostenere nel 1928 che anche la donna
deve provare piacere nell’atto sessuale. E che quando si fa sesso, lo si fa in
due ed entrambi devono partecipare, godere, comunicare. Un passo enorme
all’epoca. Quindi un buon libro, con qualche punto in più per l’inquadratura
storica (e quanto di auto-vissuto c’è in tutto ciò scritto dal figlio di un
minatore che sposa una baronessa…), e qualche punto in meno che (e qui ritorna
un altro mio pallino) Lawrence in ogni caso maschio è, e se partecipa e riesce
a render vivi i problemi di Oliver verso l’altro sesso, meno mi convince quando
cerca di spiegare il sentire di Constance (forse solo sulla dolcezza che in
ogni caso deve esserci tra due amanti coglie un segno comune). E gli ultimi
segni negativi, perché non dico dipinga un lieto fine, ma ha verso la fine un atteggiamento
un po’ conciliatorio, lasciando molte cose in sospeso così che ognuno scriverà
il seguito della storia, da dove lui ci lascia, secondo le proprie visioni
pessimiste o ottimiste. Due annotazioni finali: l’ottimo editor, che ha
giustamente messo le note con le poesie inglesi citate da Lawrence, perché ha
lasciato non indicato a pag.204 l’esplicita citazione di Walt Whitman? E poi,
la parte più sanguigna ma anche più tenera dell’amore tra Oliver e Connie è
scritta in dialetto, e la sua traduzione in italiano risulta quanto mai
“fuorviante”. Ma si sa, con Eco, tradurre è tradire…
“Una donna vuole che tu l’apprezzi e che tu le parli … e, allo stesso
tempo, che tu la ami e che tu la desideri… mi sembra che le due cose si
escludano a vicenda.” (63)
“Se la civiltà vuol farci del bene, deve aiutarci a dimenticare i
nostri corpi, e allora il tempo scorrerà piacevolmente.” (84)
“La solitudine andava accettata. Bisognava conviverci …e i momenti in
cui il vuoto si colmava erano da apprezzare. Ma non li si poteva forzare.”
(161)
“- Non potresti vivere senza lavorare? – Io? Forse sì, se intendi
vivere solo della mia pensione. Sì, forse sì. Ma io devo lavorare, se no muoio.
Voglio dire, ho bisogno di avere qualcosa che mi tenga occupato. E non ho il
carattere giusto per un’occupazione in proprio. Deve essere un lavoro che
svolgo per qualcun altro, se no, in un momento di rabbia, poteri mandare tutto
all’aria nel giro di un mese.” (186)
“Quello che non sopporto è l’impudenza idiota, autoritaria di coloro
che governano il mondo. Io odio l’arroganza del denaro e quella di classe.
Quindi, in questo tipo di mondo, che cos’ho da offrire a una donna?” (308)
Conclusioni
Ebbene sì, come non sottolineare
la predestinazione verso l’altro (ma che potevamo ritrovare per esempio anche
in 1984 di Orwell, e tanti altri libri). Con due attenzioni per la somministrazione.
Zamjatin è più verso l’omeopatia, dove curiamo male con male. Mentre Lawrence è
sicuramente allopatico. Meglio l’inglese, anche dopo 90 anni.
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