domenica 15 giugno 2014

Bellaneide - 15 giugno 2014

Se fossimo in un ambiente “enologico” vi parlerei di una verticale di libri del simpatico medico e scrittore quasi – comasco. Cioè di una serie di suoi libri analoghi (stesso vitigno) ma differenziati nel tempo. I primi tre sono delle monoculture, la prima forse un po’ troppo invecchiata (andava stappata prima). La seconda migliora, ma solo perché rinforzata, come fosse un Primitivo di Manduria liquoroso. La terza, probabilmente, la migliore del lotto. Di pronta beva, con un leggero retrogusto di mandorle e fichi. Il quarto invece sarebbe un tentativo ibrido, come quando si tenta di piantare dello shiraz in altura. Un esperimento poco riuscito. Tuttavia Andrea Vitali è sempre capace di creare atmosfere, e, fuor di metafora, quattro libri quasi – veloci, di letture sparse per quasi otto mesi. E senza dubbio di quelle che non deludono mai (troppo).
Andrea Vitali “La modista” Garzanti s.p. (regalo collettivo Almaviva)
[A: 07/05/2013– I: 09/11/2013 – T: 10/11/2013] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 385; anno 2008]
Qual è lo strano destino dei libri? Un autore scrive per anni libri, non aulici, ma certamente godibili e leggibili. Riceve riconoscimenti, tributi ed altri omaggi, tra cui un doveroso premio per il complesso della sua opera e della sua ambientazione comasca. E poi ricevi un premio per il meno riuscito dei propri libri. Sì, perché questa modista, storia di guardia e ladri come recita il sottotitolo, ha ricevuto nel 2008 il Premio Ernest Hemingway (certo premio minore, assegnato in quel di Lignano Sabbiadoro). Perché questo, pur essendo una discreta scrittura, in linea con quanto Vitali scrive da sempre, non è particolarmente riuscito. Uno dei marchi distintivi e positivi della sua scrittura è, infatti, quello di incentrare la vicenda su di un personaggio e poi creare un carosello di avvenimenti all’intorno. Qui, sembrava che Anna Montani, la modista del titolo, fosse quel centro. Un personaggio intrigante dei primi anni ’50. Bella figliola, cameriera, poi operaia nell’opificio, infine (con l’aiuto del losco Gargassa) proprietaria di un negozio di scampoli e merceria, da lei definito “di moda”. Ma il losco finisce in prigione e sparisce. Da chi farsi “proteggere” allora? Prima dall’Eugenio Pochezza. Ma questi ha una madre incombente da cui non si riesce a distaccare. Allora dal maresciallo Carmine Accadi, siciliano trapiantato nelle brume del Nord. Tipico esempio di arroganza e supponenza nascosta dietro ai simboli del potere. Che non ne imbrocca una, facendosi tirare più volte le orecchie dai superiori a Como. Infine, con lo spazzino ex-guardia notturna Firmato Bicicli. Tutto vano. La modista Anna rimane sola, ed ha l’unico colpo di coda nel vendicarsi del Pochezza quando questi convola a giuste nozze con la bella Ersilia (che però è solo bella, e si rivelerà una arpia in casa, in questo aiutata dalla madre Olga). Letto in quest’ottica sembrerebbe aver senso. Ma questa è la mia lettura dei fatti che vengono immersi nel brodo della quotidianità di Bellano. Dove forse riesce ad emergere l’appuntato Assunto Marinara, carabiniere atipico perché del luogo, e conoscitore e solutore di fatti e misfatti. Però essendo del luogo ha anche l’empatia con i poveri ladri, e spesso li lascia andare. Come lascia andare il Picchio, quando questi ruba dal tabaccaio. Per poi fermarlo quando sembra (ma in realtà no) rubare in farmacia dalle sorelle Gerbera e Austera Petracchi. Che invece lo avevano usato per loro loschi bisogni sessuali. Tanto loschi che una volta scoperti dovranno lasciare il paese. O forse il Bicicli stesso, inutilmente guardia che non arresta mai nessuno. Tanto che il suo protettore, il sindaco Amedeo Balbiani si vedrà costretto a declassarlo a spazzino pur di toglierselo di torno. O il sindaco stesso, con la sua passione per la caccia. Meglio il torvo maresciallo siculo, ossessionato dalle donne e dallo scarico puzzolente dei suoi gabinetti. Stupenda l’immagine sua che si alza dal letto con la retina in testa, veri salti indietro di sessanta anni. E ce ne sono decine di altri, di piccoli bozzetti cittadini, usciti dalla penna di questo atipico medico condotto, che sui suoi foglietti di lavoro in attesa dei pazienti dell’ambulatorio, continua a tratteggiare persone e cose di questa cittadina in riva al lago di Como. Piacevole è quell’ultima cartina in ex ergo, dove finalmente si possono seguire i luoghi delle vicende, e capirne i modi ed i percorsi. Dalla caserma dei Carabinieri alla casa della modista, dalla Farmacia al caffè dell’Imbarcadero, dal Municipio all’Osteria del Ponte. E le persone che vi passano la vita, con quei talmente inventati da essere veri. Che solo chi si chiama realmente così può passeggiare per Bellano. Firmato, Assunto, Ersilia, Eutrice. Quanti sono i personaggi di Vitali usciti da questa e dagli almeno quindici libri dedicati alla saga di Bellano. Tutti realmente falsi. Potendo ribadire un concetto già espresso, quando Vitali risale al ventennio fascista, la verve e le situazioni imbarazzanti che si svolgono intorno al lago di Como sono intriganti ed umoristicamente gradite. Quando comincia ad avvicinarsi al presente, si sente un calo nella scrittura. Come in questa modista, romanzo senza centro, gradevole, scorrevole, ma forse dimentichevole.
Andrea Vitali “Il meccanico Landru” Garzanti euro 11,60 (in realtà, scontato a 9,86 euro)
[A: 29/06/2012– I: 11/11/2013 – T: 12/11/2013] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 370; anno 2010]
Anche se non a livello del miglior Vitali, questo secondo romanzo, letto a ruota del precedente, mi è sembrato decisamente migliore. Ed ho anche capito perché: in realtà è una “second edition”, come si dice in gergo. Cioè Vitali ha preso un racconto lungo di quasi venti anni prima, e lo ha trasformato in romanzo. Aggiornando, tagliando, cucendo e mettendo tutto in una prosa in linea con le altre sue uscite. Il secondo elemento che rende più gradevole la scrittura, è (come spesso da me sottolineato) l’ambientazione negli anni trenta, che a Vitali riesce meglio nelle descrizioni e negli spunti umoristici. In realtà siamo proprio nel 1930, ed in quel di Bellano si intrecciano nuove storie, catalizzate dall’arrivo di un simpatico mascalzone “alla Vitali”. Come dice appunto il titolo, il meccanico Angelici Landru, così battezzato dal padre in quanto la madre (una delle sue tante donne) gli stava sugli zebedei. Abbiamo quindi la storia di Maddalena, trasferitasi dalla Sardegna in quanto promessa di un bellanese, che prima di sposarla muore. Si trova così senza arte né parte alla balia dei fratelli cattivi. Ma viene “salvata” dal parroco, che riesce a farne innamorare Otello Personnini, messo comunale nonché difensore centrale della squadra di calcio locale. Il quale stava per dichiararsi a Mirandola, una delle belle del paese (l’altra, l’Augusta è non solo bella ma anche un po’ p…ella). Ma Mirandola è farfallona, anche senza affondare, e sembra girare intorno a Landru. Così Otello la molla, e si appiccica a Maddalena. Con problemi di sposalizi vari, che per problemi di eredità prenderà tutto il patrimonio chi si sposerà prima tra lui e la sorella Emilia. Lei, integerrima segretaria dell’opificio bellanese, che tuttavia cade con tutte e due le gambe nella rete di Landru. Che la irretisce con le promesse di una fuga d’amore in Argentina. Promesse che portano Emilia non solo a svuotare il suo conto postale, ma anche a tentare una truffa con i buoni pasto dell’opificio. Ovviamente la truffa sarà messa a tacere, ma Emilia verrà licenziata. E non avrà neanche la consolazione di Musante, il capostazione di lei invaghitosi, che, quando lei si mette sulle piste di Landru, decide di chiedere il trasferimento nella natia Agrigento. Il tutto si intreccia viepiù anche con la storia dell’opificio, dove Landru e cinque meccanici devono installare nuove macchine. Che renderanno più veloce il lavoro, ma che costringeranno il direttore a qualche licenziamento. Ma prima che arrivino le macchine, i meccanici scatenano una rissa in paese. A fronte di volte e giravolte, i meccanici verranno condannati e poi licenziati. Meno il Landru, che rimane in paese a fare il galletto con le donne, a rubacchiare a destra e a manca. Ed a cercare di fuggire con il malloppo. Peccato … Ma questa parte non ve la svelo (anche se nel contesto della scrittura, risulta essere troppo velocemente descritta, quasi fosse un passaggio poco importante, mentre penso andava meglio trattata). Rimane, e percorre tutto il romanzo, l’atteggiamento del segretario del Partito e della sua legione di Fasci di combattimento. Aurelio Pasta cerca di portare avanti il vessillo fascista, ma Vitali riesce a mettergli i bastoni tra le ruote, mandando all’aria sempre i suoi piani. Che durante la rissa, invece di sedarla stava con una donnina. Poi, invece di passare sotto silenzio, denuncia i meccanici, facendo uno sgarbo ai padroni dell’opificio. Quindi interviene sbugiardando l’opificio stesso nel momento dell’installazione delle macchine. Indi vuol dare “una purga” al Landru (ai suoi occhi colpevoli di tutte le sue sfortune), ma questi scappa aiutato dall’Emilia. E poi si scopre essere un buon centravanti, così che Aurelio lo ingaggia per la partita con gli odiati vicini di Dervio. Ma sempre l’Emilia avverte Landru che dopo la partita sarà arrestato per lo scandalo dei buoni pasto. Lui ci mette una pezza, lasciando Aurelio in casini tali che verrà licenziato da segretario. E non troverà altro che mettersi a lavorare all’opificio, lasciando il bastone della vittoria allo sgusciante Pennati. Che ovviamente riuscirà a passare indenne fascismo e guerra, tanto che nel finale, salirà in comune con un fazzoletto rosso al collo. Troviamo quindi al fine quelli che erano i segni distintivi del miglior Vitali (coralità, centralità dei personaggi, umorismo), anche se (come ribadito) non ai livelli delle sue prove migliori (La figlia del podestà, ad esempio). Comunque da leggere in scioltezza e rilassamento.
Andrea Vitali “Galeotto fu il collier” Garzanti s.p. (regalo collettivo Almaviva 2013)
[A: 07/05/2013– I: 02/06/2014 – T: 05/06/2014] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 394; anno 2012]
Ed eccoci finalmente tornati al buon Vitali e ad uno degli ultimi libri ricevuti come gentile omaggio lo scorso anno, per la grande festa. E siamo anche, fortunatamente, nel lato del miglior Vitali, quello delle storie ambientate negli anni Trenta, in una provincia italiana dal fascismo tipico, quello un po’ dentro ed un po’ fuori. Quella dai tanti personaggi umani, come spesso li sa cogliere il nostro medico condotto. Quella dai tanti nomi strani che, solo per il fatto di esserci, ci riportano indietro nel tempo, molto indietro. Come dimenticare, infatti, Lidio, Anita, Olghina, Eufemia, tanto per citare i primi che vengono in mente. E come lasciare da parte alcuni dei personaggi ricorrenti delle storie di Bellano, come il maresciallo Maccadò o il brigadiere Efisio Mannu? Anche la storia è ben sorretta dalle nostre macchiette lacustri, ognuna con un suo ruolo ed un suo spazio bello e preciso. Da un lato seguiamo la travolgente storia del (forse) geometra Lidio, oppresso da una madre insopportabile, e quindi pronto a cercare fughe dal territorio casalingo, senza metterci molta testa. L’occasione iniziale la dà la visita estiva di una comitiva svizzera, dove furoreggia la bella Helga, che coinvolge Lidio in settimane di passione rovente. Tornata di là delle Alpi, il nostro pensa a come ricongiungersi con la bella. E quale colpo di fortuna, quando, messo mano ad un lavoro di ristrutturazione di una vecchia casa (lavoro accettato dalla madre sottocosto, per l’industria padronale che stava andando in crisi), trova un piccolo tesoro di monete d’oro del tre-quattrocento, probabilmente veneziane. L’idea balsa subito al nostro, dopo averne fatto constatare l’autenticità: esportarle in Svizzera di nascosto, venderle e vivere da nababbo con la bella Helga. Intanto deve por mano alla prima parte, e trovare qualche “buon contrabbandiere” (uno spallone, come si dice in gergo) disposto al trasferimento. Mentre va avanti questa parte, troviamo il muratore Campesi, che trova cinque monete sfuggite a Lidio. Una la vende e comincia a sollevarsi un po’ dalla quotidiana povertà. Ma la seconda la ingoia il figlioletto. E solo l’intervento del professor Cerruti riesce a salvarlo. Ed il professore sequestra la moneta, che, vista dalla bella moglie Olghina, si appresta a diventare il centro di un prezioso collier. Che l’Olghina è la bella del paese, insoddisfatta del professore (probabilmente impotente), passata per mesi nel letto del bancario Davanzati, che scoperto è stato presto mandato via da Bellano dal professore stesso. Ed all’Olghina il professore non nega nulla. Come nulla si riesce a negare ad Anita, la moglie del muratore, concupita dal segretario locale del fascio. Ma senza possibilità di riuscita. In questo intreccio di comparsa e scomparsa di monete d’oro, si innescano da un lato i carabinieri, con Maccadò e Mannu costretti, obtorto collo, ad indagare sulla provenienza delle stesse. Dall’altro un losco figuro, Sisinnio, (forse dell’OVRA) arrivato per sventare il contrabbando verso la Svizzera. Intanto, per sviare i sospetti della madre, Lidio accetta di fare il promesso della brutta Eufemia, nipote del professore. Tanto Lidio sa che, una volta i gioielli all’estero, lascerà tutto per una vita di Helga e champagne. Con maestria, lungo le tortuose pagine ed i contrafforti del lago di Como, Vitali ci conduce per mano alla complicazione ed allo scioglimento delle vicende. Lo spallone si avvia a portare le monete, ma, per non essere disturbato da Sisinnio, lo riempie di purganti, lasciandolo sull’orlo di una crisi dissenterica quasi mortale (chi si ricorda Triscina?). Ma una volta a Zurigo, Helga fa maramao a Lidio e si tiene le monete. Sisinnio, uscito vivo dal “cesso dolente” decide di farsi frate per penitenza, e consegna al brigadiere suo co-insulare la lista dei cattivi. Lo spallone fugge in Svizzera. Anita ed il marito muratore recuperano le tre monete rimaste, che consentiranno di mandare a scuola il figlio piccolo. Il professore costringe quindi Lidio a sposare, come promesso, la brutta Eufemia. Intanto, le rivelazioni di Sisinnio consentono di arrestare Helga e di recuperare le monete, che verranno devolute ad un convento e alla ricostruzione di edifici di pubblica utilità del comune. E Lidio, perdute le speranze di tornare da Helga, non perderà molto tempo per accorgersi che può trovare una piacevole consolazione con la disponibile Olghina. Insomma, la solita sarabanda “alla Schnitzler” delle opere migliori di Vitali, con qualche puntata critica verso malcostumi, dell’epoca certo, ma in fondo universali. E qualche bella caratterizzazione dei personaggi, anche quelli di sfondo e di contorno, che spesso le pagine migliori escono proprio dall’avvicendarsi di questi fogli di provincia. Come fossero piccole cronache uscite da una vecchia “Domenica del Corriere”. E si risale verso la parte più interessante della produzione di Vitali, come le opere sopra citate. Una lettura che starebbe bene sorseggiando the dopo un bel bagno turco.
Andrea Vitali “Dopo lunga e penosa malattia” Garzanti euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,42 euro)
[A: 12/03/2014 – I: 07/06/2014 – T: 10/06/2014] - &
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 176; anno 2008]
Credo, probabilmente, il più brutto tra i romanzi da me letti del buon dottore comasco. Come ho detto più volte, Vitali dà il meglio della sua scrittura quando ambienta le sue storie del lago di Como intorno agli anni Trenta. In quelle occasioni, riesce a trovare storie minime ma interessanti, con personaggi autentici, nomi fantasiosi ma che suonano e ci portano in riva al lago. A volte ha anche delle buone uscite quando si imbarca in storie di lungo respiro, seguendo personaggi per molto tempo e molte storie. Qui siamo, probabilmente, intorno agli anni Settanta, la storia è breve (praticamente tutta in una settimana). E non decolla mai. Sembra promettere, ha dei sussulti, ma poi si ferma. Lasciandoci anche qualche amaro in bocca, che non tutto sembra chiaro alla fine. La storia ruota intorno ad un medico condotto, il dottor Lonati, che deve certificare la morte di un suo vecchio amico, il notaio Galimberti. Già sofferente di cuore, il notaio pare soccombere ad un ennesimo attacco. Peccato che abbia i vestiti odoranti di fritto, mentre moglie e figlia giurano che non si è mosso di casa. Peccato che le pastiglie di trinitrina da prendere per gli attacchi si rivelino, dopo un’analisi nata quasi per caso, degli innocenti zuccherini. E che dire dei manifesti che escono il giorno del funerale, riportando la frase del titolo, quella lunga e penosa malattia, che invece al notaio è stata risparmiata. Il nostro dottore, per l’antica amicizia che aveva con il notaio, si fa delle domande cui non solo lui, ma neanche la moglie o la figlia del notaio pare sappiano rispondere. Lonati trova delle tracce: il farmacista gli conferma che le pasticche sono innocue, la figlia del morto gli fa avere un indirizzo di una trattoria di là dal lago dove il notaio potrebbe aver trascorso la sua ultima cena. In compagnia di chi? Indagando senza convinzione e senza un reale accanimento, Lonati mette in fila una serie di indizi. E come dicono i migliori polizieschi, un indizio è casuale, due sono un sospetto, tre una prova. Galimberti aveva forse un’amante? E forse, nella senilità dei sessantenni aveva deciso di lasciare moglie e figli per vivere una fugace giovinezza? Ma perché la moglie scompare? E perché il farmacista compare anche quando non richiesto? Lonati sembra un piccolo uomo travolto dagli avvenimenti. Ed è talmente insicuro e poco “sul pezzo”, che non si confida con l’adorata moglie, la quale, in tutti questi misteri, pensa che ci sia un amante, sì, ma del nostro dottore. Mettendo insieme la trattoria, dei numeri di telefono trovati in un telefono pubblico, la reticenza del vecchio oste, ed altre piccole casualità, Lonati si fa tutta una sua teoria. Ed arriva alla convinzione che sia proprio la moglie del notaio ad aver architettato tutto. Ci si avvia stancamente verso il settimo giorno della storia, che dovrebbe portare alla catarsi finale. Siamo in macchina verso la trattoria del peccato dove li aspetta la moglie del notaio, con la figlia Laura alla guida ed il dottore che espone tutta la sua teoria. Peccato che un personaggio (di cui non rivelo il nome) sia presente in macchina, peccato che faccia una puntura subdola al dottore, per alzargli la pressione e simulare un’altra morte da infarto. E mentre Lonati rantola, Laura spiega (ma si capisce fino ad un certo punto) la matassa aggrovigliata. L’amante del padre che è ben nota, la madre che sa, la presenza di una terza donna (forse quella che ha fatto affiggere i subdoli e fuorvianti manifesti). Insomma, un complottone per impedire al notaio (e si sa che i notai i soldi li hanno) di rovinare la famiglia per suoi piaceri personali. Mentre Lonati rantola, la moglie si macera, Laura ed il misterioso tipo si avvicinano alla trattoria, dalla nebbia del lago sbucano due luci intermittenti. E su queste luci, cala il sipario. Si salva il dottore? I cattivi pagheranno il fio? Chi è il misterioso terzo personaggio? Chi è la prima amante? E Chi è la seconda? Potrei andare avanti, e per molto con i punti interrogativi che lascia in sospeso questo romanzo. E se concordo con il giudizio di Augias che etichetta Vitali come romanziere capace di tenere in mano la penna, devo dire che, se ci si basa su questo scritto, poca strada avrebbe fatto Vitali. A parte il dottore (ma Vitali è anche lui medico condotto, ed almeno questo lo sa ben ritrarre) il resto è sfocato, banale. Non ci si aspetta che i personaggi si chiamino Carlo, Ludovico, Laura, Elsa, Claudia, Mario! Che nomi banali, rispetto ai mitici Ortelia, Olghina, Efisio, Firmato, Assunto, e tutti quei personaggi che hanno fatto viva la saga di Bellano. Speriamo in meglio dottore. E questo saltatelo pure.
Beh, visto che mi si rimprovera di essere troppo stanco in questo periodo, sottolineo che non sono stanco, oggi, che mi aspetta una settimana intensa, coronata dalla visita a Raul e Viviana (di cui non parlo), impreziosita da altre visite di contorno, aspettando un fine settimana di splendido relax (visto che non si parte per la Tunisia, e si aspetta di capire se si parte per la California). Allora, a tutti, un saluto

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