domenica 22 marzo 2015

Langdon, Haller o Bosch? - 22 marzo 2015

Cioè, oggi ci si scontra con due maestri del genere, autori di best-seller l’uno (Connelly) e di un long-seller l’altro (Brown). Si attendeva il ritorno di quest’ultimo sulla “scena del crimine”. E, come immaginavo, il ritorno è in minore, ben scritto forse, ma un pochino sotto la sufficienza. Il grande Michael, invece, viaggia un po’ più in alto, anche se, dopo più di venti romanzi, mi aspettavo sinceramente qualcosa di meglio. Comunque, Connelly ai punti, e Bosch per l’affetto, sono decisamente avanti.
Michael Connelly “Il respiro del drago” Piemme euro 13
[A: 03/08/2013– I: 29/08/2014 – T: 30/08/2014] - &&&
[tit. or.: Nine Dragons; ling. or.: inglese; pagine: 357; anno 2009]
Siamo al ventesimo libro del maestro che entra nella mia libreria e che leggo con immutato piacere. Avrete però notato qualche punto di gradimento in mano, che, in effetti, mi sembra un libro per così dire “di passaggio”. In tutti i seriali (libri, tv, ed altro) ogni tanto c’è quasi la necessità di mettere a posto qualcosa, di chiudere dei capitoli, insomma, “di far pulizia”. Ovviamente Connelly è maestro anche in questo, e ci confeziona comunque un libro gradevole, con qualche spunto interessante. Ma in fondo deve trovare il modo di risolvere il nodo Eleanor, la fiamma ex-moglie di Harry. Che si è trasferita ad Hong Kong con la loro figlia Matilde. Allora, andare su e giù tra HK e LA appesantisce le trame. L’autore allora comincia confezionando una finta rapina ai danni di un negozio gestito da un immigrato cinese, che maschera almeno (se non altro) le vessazioni che la mafia cinese detta Triade infligge alle comunità all’estero. Muovendosi al solito come un elefante, il nostro Harry Bosch riesce ad emarginare il suo socio Isaac (la Omicidi in America gira sempre in coppia) troppo permissivo, prendere contatto con il dipartimento di poliziotti d’origine cinese per capire i traffici della Triade e mettere in difficoltà figlia ed ex-moglie di là dall’Oceano. Qualcuno, infatti, rapisce Matilde, ed Harry, pensando sia collegato alle morti americane, si precipita ad HK, dove, in un giorno di 37 ore, tra l’arrivo e la partenza di un aereo della Catahy, riesce a risolvere molto ed a fare molto casino. Con l’aiuto delle sue conoscenze nei vari dipartimenti, decifra un video con le immagini del rapimento di Matilde, aiutato da Eleanor e dal suo nuovo compagno, irrompe nell’hotel del rapimento, dove vengono assaliti da una banda di vietnamiti. Nel conflitto a fuoco, la donna muore (e così ce la togliamo di torno). Nella confusione, riesce ad ottenere l’indirizzo del ragazzo presunto rapitore della figlia. Ma nella casa troverà solo altri morti, ma non la figlia. Seguendo le tracce di un cellulare trovato per caso, risale ai veri rapitori, che volevano la ragazza per trapianti illegali di organi. Prima che venga imbarcata clandestinamente per chissà dove, uccide un altro po’ di cattivi, libera Matilde e con lei ritorna a LA. Dove capisce che la Triade c’entra poco con il morto, e che quindi le due vicende sono scollegate tra loro. Tramite tutta una serie di ragionamenti con il cino-detective e con l’aiuto di una nuova tecnica per il riconoscimento delle impronte anche sui bossoli delle pallottole, comprende che il vero responsabile della morte del negoziante è il figlio. Anzi, per essere esatto, i figli, che la mente è la sorella maggiore. Ovviamente mentre capisce tutto ciò, Isaac, ignaro del più, nel tentativo di arrestare il giovane, viene coinvolto in un conflitto a fuoco ed ha la peggio. C’è tempo anche per vedere un cammeo in cui compare Mickey Haller, il fratellastro di Bosch, che usa le sue capacità da avvocato di prima linea, per sbaragliare i tentativi di ingabbiare le attività di Harry e di accusarlo di una serie di uccisioni in quel di Cina. Quindi, come si diceva, un episodio di transizione, alla fine del quale ci troviamo: Harry senza un socio ingombrante che ne rallenta l’azione, Harry senza più una ex-moglie di difficile gestione, Harry con una figlia che si trasferisce con lui a Los Angeles (e qui vedremo come riuscirà a cavarsela Connelly nel futuro, sparirà anche Matilde o Harry troverà una nuova fiamma?), Mickey che compare nelle vicende di Harry così come Harry in quelle di Mickey (e forse in un futuro lavoreranno insieme?). Per finire, due note, una positiva una no. La prima deriva dalla passione di Connelly per il jazz, e dalla citazione di un trombettista che avevo amato nei primi anni Settanta, e che pensavo pochi ricordassero: il polacco Tomasz Stanko, le cui incisioni ricercavo nelle prime incursioni polacche con il grande Giuzzo. La seconda è una bella tirata d’orecchi a chi ha deciso il titolo italiano, che stravolge il senso dell’originale (e forse chi ha deciso il titolo non ha avuto imbeccate da chi ha letto il libro). Perché i Nove Dragoni sono la traduzione in inglese di Kowloon, nome di uno dei malfamati quartieri di Hong Kong, dove si svolge molta parte dell’azione cinese di Harry, dove vive la figlia Matilde, dove la stessa conosce il poco raccomandabile Qing, diciassettenne che inscenerà il rapimento, per poi esserne travolto (ed ucciso). Ed i nove sono rappresentati dagli otto picchi montuosi che circondano il quartiere, essendo il nono l’imperatore stesso. Allora, da dove viene il respiro del titolo? Ed un drago non è un dragone! Inoltre nella copertina viene raffigurato un “9” che brucia. Quale ne sarebbe il significato recondito? Insomma, come mai, nel 90% delle volte, il marketing italiano prende delle toppe così clamorose?
Michael Connelly “L’uomo di paglia” Piemme euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[A: 08/10/2013– I: 27/09/2014 – T: 29/09/2014] - &&&
[tit. or.: The Scarecrow; ling. or.: inglese; pagine: 359; anno 2009]
Alla fine dello stesso anno in cui pubblica la precedente storia con Harry Bosch al centro (anche se come ho detto non eccelsa), Connelly esce con un altro libro. Che ha per protagonista quello che alla fine direi potrebbe essere il suo alter-ego letterario. Ritorna, infatti, al centro dell’azione Jack McEvoy, il cronista di nera al centro del quinto libro di Connelly, il magistrale “Il Poeta”. Anche Connelly, infatti, ha svolto per lungo tempo l’attività di cronista per il “L.A. Times”, per poi staccarsene e cominciare a scrivere libri. Come comincerà Jack, che inizia questo romanzo con il suo licenziamento dal giornale per riduzione di organico. E che finirà, dopo non poche peripezie, non a tornare al giornalismo ma a dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Tuttavia prima di andarsene vuole fare un ultimo scoop, un’ultima inchiesta che lo faccia ricordare e rimpiangere. Affiancato da un’apprendista, Angela, comincia a seguire le piste di un ragazzo negro accusato di aver ucciso una donna bianca per poi nasconderla nel bagagliaio di una macchina. Ci sono delle incongruenze nell’arresto, ma è solo quando Angela, navigando in rete, scopre un delitto simile avvenite due anni prima a Las Vegas che cominciano a suonare dei campanelli. Qui la vicenda si biforca, che mentre seguiamo in soggettiva Jack, ci mettiamo sul collo (metaforicamente) del cattivo, e questo in terza persona. In questa parte, e prendendo spunto da questa, Connelly fa un tuffo, anche se non profondo, nel mondo della rete e delle sue connessioni. Carver, il malvagio “spaventapasseri” (poi ci torneremo sopra questo nome), è infatti addetto alla sicurezza di un centro di gestione dati per conto terzi. Ed è anche un “mago” della rete. Facciamo così un giro tra tecnologie (a me note, ma non è detto per tutti) dove ci sono siti ombra, indirizzi IP nascosti, phising, spamming ed altre “diavolerie” moderne. Carver ha appunto un sito ombra, dove incappa Angela, e da quello scopre che Jack si sta avvicinando a deduzioni per lui pericolose. Con l’aiuto del suo scagnozzo Freddy, tende una trappola ad Angela e la uccide. Nel frattempo manda Freddy a Las Vegas per uccidere Jack. Che però aveva chiesto aiuto alla sua amica Rachel, quella dell’FBI, con cui aveva lavorato ne “Il Poeta”. E Rachel lo salva dalla trappola, anche se Jack si trova isolato da tutto: Carver gli blocca le carte di credito, le password della mail, il telefono. Con l’aiuto di Rachel, tuttavia, riesce a collegare i due casi (la donna di Las Vegas è stata uccisa con le stesse modalità di quella di Los Angeles e nascosta anch’essa in un bagagliaio di una macchina). E quindi a far liberare sia il giovane accusato a Los Angeles, sia il marito dell’altra donna che da un anno stava in prigione. Storia nella storia, Jack e Rachel riannodano il vecchio legame che avevano, e che porterà di nuovo la donna sull’orlo del licenziamento dalle forze dell’ordine. Tuttavia, i collegamenti vari, nonché alcune imperizie di Freddy, consentono di restringere il cerchio verso il sito in Arizona gestito da Carver. Benché controllato dalla polizia, il nostro cattivone riesce a camuffare tutte le eventuali prove a suo carico. Rigirandole verso il suo capo e Freddy. Ucciso e sepolto il capo nel deserto, durante un controllo dell’FBI, manda allo sbaraglio Freddy per cercare di uccidere Rachel. Mossa che (una volta per uno, via) sventa questa volta Jack che, per amore di Rachel, era rimasto in Arizona invece di tornare in California. Ovviamente Freddy muore. E tutto sembra andare nella direzione prevista da Carver. Sennonché, una locandina del Mago di Oz, con i personaggi che ballano, fa scattare una lampadina a Jack. Come ricorderà chi ha visto il film, uno è lo Spaventapasseri, con la faccia coperta da un telo. E con una maschera sono coperti i volti delle donne uccise. E Carver (questo lo sappiamo da Rachel) era chiamato Spaventapasseri in ufficio perché doveva tenere lontano gli uccelli cattivi dai dati informatici. Unite le cose, ci si avvia verso il solito finale “mozzafiato”, anche se meno di altre prove di Connelly. I cattivi vengono messi fuori gioco, Rachel continua la sua carriera in FBI, e Jack (come fece tanti anni fa Connelly) si chiama fuori dal giornale e comincia a scrivere le storie “criminali” che ha vissuto. Non ha una grande suspense, pur riconoscendo la bravura di Connelly. Ed i meccanismi informatici sono a volte trattati in modo un po’ naif per essere avvincenti. Non manca qualche auto-citazione di contorno. Quando Jack va in giro con una Lincoln della televisione, ripensa, e noi con lui, al primo romanzo con protagonista Mickey Haller. Rachel, senza nominarlo, parla della sua storia finita con Bosch. Ma su questo versante credo siamo alla frutta (Connelly dice da alcuni anni di aver messo “Jack nel dimenticatoio”). Aspettiamo allora altre avventure, con il nostro amato Bosch che possa tornare in primo piano. Una notazione finale, come vi avevo promesso: il titolo, ancora una volta. È vero che nel film lo Spaventapasseri viene chiamato anche uomo di paglia. Ma mantenere il titolo originale costa forse tanto? Anche perché, “uomo di paglia” in inglese si dice “Straw man”… Parliamone.
Dan Brown “Inferno” Mondadori euro 5 (in realtà, scontato a 4,25 euro)
[A: 05/05/2014– I: 14/10/2014 – T: 17/10/2014] - && e ½   
[tit. or.: Inferno; ling. or.: inglese; pagine: 712; anno 2013]
Solita, periodica, operazione furbetta di un maestro delle vendite, anche se non un maestro della scrittura. Dopo la costruzione, lunga e mediaticamente ben riuscita, del “Codice Da Vinci”, e dopo alcuni episodi in minore, una lunga gestazione porta Dan Brown a prodursi in una nuova opera pseudo-storica, dove, fortunatamente, il nostro buon Dante è usato come chiave senza farlo intervenire in vicende che poco hanno a vedere con il maestro fiorentino. Ritorna, come protagonista e motore della vicenda, Robert Langdon, lo storico dell’arte esperto “un po’ di tutto”. In questo caso, è diventato anche un grande conoscitore di Dante, di cui sa quasi “a memoria” molta parte della Commedia. Sarebbe interessante, per uno studioso più fine di me, leggere il libro in inglese, così da vedere come e qualmente vengono tradotte le terzine dantesche. Ma come detto, Dante diventa un accidente della storia, un elemento utilizzato per due motivi: l’uso delle terzine come metafora di una caccia al tesoro e la rappresentazione che Botticelli dette delle Commedia nel suo bellissimo dipinto “Mappa dell’inferno”. Qui, ovviamente, si esplicano le maggiori capacità di Langdon, che, da storico dell’arte, conosce a menadito non solo il dipinto, ma tutte le sue sfaccettature. Comunque ci si torna tra poco. Che la storia è invece imperniata su di un dilemma scientifico di stampo malthusiano: la terra si va sovrappopolando (e questo lo sanno anche i sassi), e le curve di accrescimento sono tali che le risorse terrestri stanno andando in rapido esaurimento. Come fare per fermare tutto ciò? Evitando di ritornare alla proposta di Jonathan Swift (quello di Gulliver, per intenderci) che suggeriva di mangiare i bambini, così da sfamare la popolazione e fermare l’elevato tasso di natalità, la proposta più sensata sarebbe quella dell’OMS (l’organizzazione della sanità) verso l’uso massiccio di metodi contraccettivi. Tuttavia, ostacolati da destra e da sinistra per motivi religiosi. Ecco allora che esce fuori uno scienziato non pazzo, ma un po’ fuori di testa, che percorre una via nuova. Pieno di soldi, si fa aiutare da una banda di ricchi “fuorilegge” per sparire dalla circolazione e mettersi a studiare il problema. Di cui trova una soluzione, aiutato da una bella ragazza, Sienna, dall’alto Q.I., che, una volta saputo lo scopo finale del tipo, si mette paura e comincia a remare contro. Nasce quindi una lotta di tutti contro tutti, perché il nostro scienziato pensa bene di uccidersi poco prima dell’inizio dell’evento fatale. E di lasciare una serie di indizi che portano tutti a pensare che la sua idea sia quella di scatenare un’epidemia, tipo la Peste Nera medioevale. Un’epidemia capace di distruggere un terzo della popolazione, numeri che porterebbero ad un riequilibrio della popolazione. La lotta di tutti contro tutti deriva dal fatto che i fuorilegge tentano di onorare il contratto che avevano con lo scienziato (fino però ad accorgersi che sarebbero finiti male e quindi allearsi, almeno formalmente, ai “buoni”). L’OMS ingaggia Langdon per decifrare i misteri dello scienziato, a cominciare dal una pseudo-riproduzione del dipinto botticelliano. Langdon si accorge subito della presenza di lettere non comprese nell’originale, e con una sciarada di facile soluzione (forse in italiano è più semplice dell’inglese), ricostruisce la parola. Che lo porta alla stessa frase contenuta in un dipinto del Vasari di Palazzo Vecchio. Dove è anche contenuta la maschera mortuaria di Dante. Con una serie di peripezie, riesce a ritrovarla dopo che questa è stata sequestrata e nascosta nel bellissimo Battistero di San Giovanni. E dietro la maschera una nuova sciarada, che, per qualsiasi persona normale, unita ad un video dello scienziato, avrebbe portato a collocare il centro del misfatto nella Basilica Cisterna di Istanbul. Invece, Brown porta Langdon su false piste. Prima a Venezia, in un inutile giro per San Marco. Poi alla ricerca della tomba del doge Dandolo, che tutti sanno (o almeno lo so io, che l’ho visitata varie volte) si trova in Santa Sofia ad Istanbul. Dove finalmente arrivano, ma dove l’epidemia è stata già scatenata. Il tutto condito dall’aiuto non-aiuto che a Langdon viene dato da Sienna, che gli si mette alle ruote, non si capisce se appunto per stare con i buoni o con il cattivo. Alla fine, Sienna è l’unica che avrà la chiave, forse, per capire se e come debellare la pandemia. Ma qui il libro finisce, sull’interrogativo velato che pone Brown rispetto all’uso della scienza e delle tecnologie. Bisogna utilizzare le scoperte come avanguardie rivoluzionarie che decidono in nome delle masse? Oppure cercare di trovare un modo per coinvolgere una più ampia platea nei possibili benefici di un uso non distorto della scienza stessa? La bravura di Brown sta ovviamente nel sorreggere la trama per 700 pagine, e tutto per uno svolgimento di un paio di giorni (più ovviamente i soliti flashback). E la capacità di creare percorsi da “caccia al tesoro” utilizzando strumenti molto letterari. Poco convincente il dibattito sull’uso della tecnologia. Ed assolutamente carente la parte su Istanbul, che sembra scritta da una persona che poco conosca la città. Infine un po’ smaccato il finale aperto che lascia intravedere possibili nuove puntate delle avventure di Langdon. Onesto, ma non coinvolgente, con alcune notazioni finali. Condivido la citazione compiaciuta alla cantante Loreena McKermitt, un’icona della musica celtica. Sottolineo il cenno al libro “La fuga di Logan” che penso di essere uno dei pochi ad avere letto. Ed infine, pur convergendo sulla citazione di Marx fatta da Langdon in piazza Taksim (piazza bellissima tra l’altro), l’avrei completata per sottolineare meglio l’intento. Marx diceva “la storia si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Brown ne cita solo la prima parte. Perché? Dimenticanza voluta o sottile intento ironico? Ai postumi l’ardua sentenza.
Michael Connelly “La svolta” Piemme euro 13
[A: 09/11/2013– I: 25/10/2014 – T: 27/10/2014] - && e ½ 
[tit. or.: The Reversal; ling. or.: inglese; pagine: 365; anno 2010]
Mi aspettavo qualcosa di meglio da questo quasi ultimo libro tra quelli pubblicati in Italia dal maestro americano del thriller. Cominciamo, al solito e spesso, con un appunto sul titolo, che, sebbene in Italia la parola “svolta” può avere sinonimo di cambiamento, qui è intesa meglio proprio nel senso letterale di “rovesciamento” o “inversione”. Perché il protagonista Mickey Haller accetta di cambiare posto in tribunale passando dalla difesa a quella di pubblico ministero. Indipendente (come talvolta si usa fare in America), cioè non legato all’amministrazione, in quanto si tratta di portare in giudizio dopo 24 anni un condannato che è riuscito ad ottenere la revisione del processo in base ad una prova di DNA, che, all’epoca dei fatti, non era considerata probatoria. Jason Jessup è accusato dell’uccisione di una ragazzina di 12 anni, forse per motivi sessuali (ma non ne ha avuto il tempo, sembrerebbe). Ora si trova traccia di DNA sul vestito della piccola, ma non è di Jason (bensì del patrigno). Si va quindi ad un nuovo processo, e, dati gli errori commessi a suo tempo dal pubblico ministero, si chieda ad Haller di “make a seat reversal”, e di passare all’accusa. Cose che accetta, chiedendo come aiuto l’ex-moglie che fa parte del pool del PM, e come aiuto per le indagini il nostro benamato Harry Bosch (che ricordo ai meno attenti, è anche il fratellastro di Haller). In un romanzo con i due ci si aspetterebbe la somma delle due bravure a tener in piedi trama e tensione. Purtroppo invece l’unione delle due caratteristiche tende a smorzare proprio quella tensione che nelle prove singole appariva meglio distribuita lungo tutto lo scritto. Intanto, anche l’artificio di usare i capitoli alternati, uno scritto alla maniera di Bosch in terza persona ed un in quella di Haller nella prima, dopo un po’ suona forzato e senza mordente. Certo, ognuno dei due sfodera quello che dovrebbe essere il meglio delle proprie capacità: Bosch con le indagini, lo scovare testi ed indizi che sembrano nascosti, con l’incaponirsi su elementi che sembrano marginali e non lo sono, e Haller con la conoscenza dei sistemi processuali americani, sfruttandone tutti i possibili risvolti. Tutto però si smorza, che non si riesce a fare il “tifo” per uno o l’altro (anche se lavorano insieme, c’è sempre qualcuno da favorire, no?). Comunque, sia Mike che Harry mettono a segno punti a favore ed un punto negativo forte a testa. Mike che, per far cadere in trappola il violento Jason, concede, contro il parere della ex-moglie (che ricordo viene chiamata Maggie la Spietata!!), la libertà sotto cauzione. Harry, che fa seguire Jason dalle Squadre Speciali, ma non lo arresta quando questi si procura una pistola, proprio per cercare al solito di farlo cadere in un tranello. Intanto si sviluppano le fasi preprocessuali: capiamo meglio il contesto dell’omicidio della piccola Melanie, ci mettiamo sulle tracce dell’unico teste ancora in vita, dopo tanti anni, cioè la sorella Sarah, vediamo le manovre dell’avocato difensore (chiamato Charlie l’Astuto e si capisce bene perché) che cerca di presentare il caso sui media per creare un clima favorevole a Jason. Harry coinvolge anche la (a me simpatica, ma spesso ormai fuori contesto) profiler Rachel, che dà una sua versione dei fatti più convincente di quella del primo processo. Mike, in aula, riesce a dribblare le trappole di Charlie, anche se, quando inizia il processo, sembra che ci si avvii verso un pareggio, con un colpo all’uno ed un all’altro. Intanto, nottetempo Jason si aggira per la città, sembrando da un lato confermare i sospetti di Rachel, dall’altro (non vi dico come) mettendo paura ai due fratellastri su possibili coinvolgimenti delle loro figliole (che si dovrebbero chiamare “cuginastre”?) oppure cercando di farli concentrare su elementi marginali. Il coup de theatre di Charlie è un ex della tossica Sarah che avrebbe detto come questa confessasse essere stato il patrigno l’artefice del tutto. Ma l’ex lo fa per soldi, e, scoperto da Harry, ritratta tutto, lasciando nelle peste la difesa. Se ne accorge anche Jason, che decide di farsi giustizia da solo, spara a destra e sinistra, uccide (non vi dico chi), scappa e viene a sua volta eliminato. Peccato che in questo modo il processo non possa concludersi (per la morte dell’imputato) quindi anche se sappiamo come sono andate le cose, non se ne ha la prova sul campo. Ed i cattivi burocrati hanno modo di farla pagare a tutti: a Maggie, a Mike ed a Harry. L’unica “consolazione” è che le due ragazzine fanno conoscenza e, si spera, in un futuro abbiano modo di frequentarsi. Ma il tutto non è sorretto dalla solita tensione cui ci aveva abituato Connelly. Speriamo che ci siano miglioramenti in future puntate delle diverse storie del nostro amico scrittore (che sappiamo esserci altre scritture, anche se ancora non pubblicate in Italia), magari ritornando ai cammei dell’uno nelle storie dell’altro, che è meglio.
Insomma, aspettando di capire se si sblocca la situazione viaggi, un’altra trama dedicata a vicende poliziesche ed affini, così da far riposare non solo le stanche membra, ma anche lo stanco cervello. In attesa anche che si avvicini Pasqua, i suoi momenti di stasi e perché no qualche rilassante gita in campagna. Magari, infine, utilizzando al meglio il libro di Marie Kondo, che sia una piccola caccia al tesoro onde capire di cosa si parla.

Nessun commento:

Posta un commento