Cioè, oggi ci si scontra con due
maestri del genere, autori di best-seller l’uno (Connelly) e di un long-seller
l’altro (Brown). Si attendeva il ritorno di quest’ultimo sulla “scena del
crimine”. E, come immaginavo, il ritorno è in minore, ben scritto forse, ma un
pochino sotto la sufficienza. Il grande Michael, invece, viaggia un po’ più in
alto, anche se, dopo più di venti romanzi, mi aspettavo sinceramente qualcosa
di meglio. Comunque, Connelly ai punti, e Bosch per l’affetto, sono decisamente
avanti.
Michael Connelly “Il respiro del drago” Piemme euro 13
[A: 03/08/2013– I: 29/08/2014
– T: 30/08/2014] - &&&
[tit. or.: Nine Dragons; ling. or.: inglese; pagine: 357; anno 2009]
Siamo
al ventesimo libro del maestro che entra nella mia libreria e che leggo con
immutato piacere. Avrete però notato qualche punto di gradimento in mano, che,
in effetti, mi sembra un libro per così dire “di passaggio”. In tutti i seriali
(libri, tv, ed altro) ogni tanto c’è quasi la necessità di mettere a posto
qualcosa, di chiudere dei capitoli, insomma, “di far pulizia”. Ovviamente
Connelly è maestro anche in questo, e ci confeziona comunque un libro
gradevole, con qualche spunto interessante. Ma in fondo deve trovare il modo di
risolvere il nodo Eleanor, la fiamma ex-moglie di Harry. Che si è trasferita ad
Hong Kong con la loro figlia Matilde. Allora, andare su e giù tra HK e LA
appesantisce le trame. L’autore allora comincia confezionando una finta rapina
ai danni di un negozio gestito da un immigrato cinese, che maschera almeno (se
non altro) le vessazioni che la mafia cinese detta Triade infligge alle
comunità all’estero. Muovendosi al solito come un elefante, il nostro Harry
Bosch riesce ad emarginare il suo socio Isaac (la Omicidi in America gira sempre
in coppia) troppo permissivo, prendere contatto con il dipartimento di
poliziotti d’origine cinese per capire i traffici della Triade e mettere in
difficoltà figlia ed ex-moglie di là dall’Oceano. Qualcuno, infatti, rapisce
Matilde, ed Harry, pensando sia collegato alle morti americane, si precipita ad
HK, dove, in un giorno di 37 ore, tra l’arrivo e la partenza di un aereo della
Catahy, riesce a risolvere molto ed a fare molto casino. Con l’aiuto delle sue
conoscenze nei vari dipartimenti, decifra un video con le immagini del
rapimento di Matilde, aiutato da Eleanor e dal suo nuovo compagno, irrompe
nell’hotel del rapimento, dove vengono assaliti da una banda di vietnamiti. Nel
conflitto a fuoco, la donna muore (e così ce la togliamo di torno). Nella
confusione, riesce ad ottenere l’indirizzo del ragazzo presunto rapitore della
figlia. Ma nella casa troverà solo altri morti, ma non la figlia. Seguendo le
tracce di un cellulare trovato per caso, risale ai veri rapitori, che volevano
la ragazza per trapianti illegali di organi. Prima che venga imbarcata
clandestinamente per chissà dove, uccide un altro po’ di cattivi, libera
Matilde e con lei ritorna a LA. Dove capisce che la Triade c’entra poco con il
morto, e che quindi le due vicende sono scollegate tra loro. Tramite tutta una
serie di ragionamenti con il cino-detective e con l’aiuto di una nuova tecnica
per il riconoscimento delle impronte anche sui bossoli delle pallottole,
comprende che il vero responsabile della morte del negoziante è il figlio.
Anzi, per essere esatto, i figli, che la mente è la sorella maggiore.
Ovviamente mentre capisce tutto ciò, Isaac, ignaro del più, nel tentativo di
arrestare il giovane, viene coinvolto in un conflitto a fuoco ed ha la peggio.
C’è tempo anche per vedere un cammeo in cui compare Mickey Haller, il
fratellastro di Bosch, che usa le sue capacità da avvocato di prima linea, per
sbaragliare i tentativi di ingabbiare le attività di Harry e di accusarlo di
una serie di uccisioni in quel di Cina. Quindi, come si diceva, un episodio di
transizione, alla fine del quale ci troviamo: Harry senza un socio ingombrante
che ne rallenta l’azione, Harry senza più una ex-moglie di difficile gestione,
Harry con una figlia che si trasferisce con lui a Los Angeles (e qui vedremo
come riuscirà a cavarsela Connelly nel futuro, sparirà anche Matilde o Harry
troverà una nuova fiamma?), Mickey che compare nelle vicende di Harry così come
Harry in quelle di Mickey (e forse in un futuro lavoreranno insieme?). Per
finire, due note, una positiva una no. La prima deriva dalla passione di
Connelly per il jazz, e dalla citazione di un trombettista che avevo amato nei
primi anni Settanta, e che pensavo pochi ricordassero: il polacco Tomasz
Stanko, le cui incisioni ricercavo nelle prime incursioni polacche con il
grande Giuzzo. La seconda è una bella tirata d’orecchi a chi ha deciso il
titolo italiano, che stravolge il senso dell’originale (e forse chi ha deciso
il titolo non ha avuto imbeccate da chi ha letto il libro). Perché i Nove
Dragoni sono la traduzione in inglese di Kowloon, nome di uno dei malfamati
quartieri di Hong Kong, dove si svolge molta parte dell’azione cinese di Harry,
dove vive la figlia Matilde, dove la stessa conosce il poco raccomandabile
Qing, diciassettenne che inscenerà il rapimento, per poi esserne travolto (ed
ucciso). Ed i nove sono rappresentati dagli otto picchi montuosi che circondano
il quartiere, essendo il nono l’imperatore stesso. Allora, da dove viene il
respiro del titolo? Ed un drago non è un dragone! Inoltre nella copertina viene
raffigurato un “9” che brucia. Quale ne sarebbe il significato recondito?
Insomma, come mai, nel 90% delle volte, il marketing italiano prende delle
toppe così clamorose?
Michael Connelly “L’uomo di paglia” Piemme euro 13 (in realtà, scontato
a 9,75 euro)
[A: 08/10/2013– I: 27/09/2014
– T: 29/09/2014] - &&&
[tit. or.: The Scarecrow; ling. or.: inglese; pagine: 359; anno 2009]
Alla
fine dello stesso anno in cui pubblica la precedente storia con Harry Bosch al
centro (anche se come ho detto non eccelsa), Connelly esce con un altro libro.
Che ha per protagonista quello che alla fine direi potrebbe essere il suo
alter-ego letterario. Ritorna, infatti, al centro dell’azione Jack McEvoy, il
cronista di nera al centro del quinto libro di Connelly, il magistrale “Il
Poeta”. Anche Connelly, infatti, ha svolto per lungo tempo l’attività di
cronista per il “L.A. Times”, per poi staccarsene e cominciare a scrivere
libri. Come comincerà Jack, che inizia questo romanzo con il suo licenziamento
dal giornale per riduzione di organico. E che finirà, dopo non poche peripezie,
non a tornare al giornalismo ma a dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Tuttavia
prima di andarsene vuole fare un ultimo scoop, un’ultima inchiesta che lo
faccia ricordare e rimpiangere. Affiancato da un’apprendista, Angela, comincia
a seguire le piste di un ragazzo negro accusato di aver ucciso una donna bianca
per poi nasconderla nel bagagliaio di una macchina. Ci sono delle incongruenze
nell’arresto, ma è solo quando Angela, navigando in rete, scopre un delitto
simile avvenite due anni prima a Las Vegas che cominciano a suonare dei
campanelli. Qui la vicenda si biforca, che mentre seguiamo in soggettiva Jack,
ci mettiamo sul collo (metaforicamente) del cattivo, e questo in terza persona.
In questa parte, e prendendo spunto da questa, Connelly fa un tuffo, anche se
non profondo, nel mondo della rete e delle sue connessioni. Carver, il malvagio
“spaventapasseri” (poi ci torneremo sopra questo nome), è infatti addetto alla
sicurezza di un centro di gestione dati per conto terzi. Ed è anche un “mago”
della rete. Facciamo così un giro tra tecnologie (a me note, ma non è detto per
tutti) dove ci sono siti ombra, indirizzi IP nascosti, phising, spamming ed
altre “diavolerie” moderne. Carver ha appunto un sito ombra, dove incappa
Angela, e da quello scopre che Jack si sta avvicinando a deduzioni per lui
pericolose. Con l’aiuto del suo scagnozzo Freddy, tende una trappola ad Angela
e la uccide. Nel frattempo manda Freddy a Las Vegas per uccidere Jack. Che però
aveva chiesto aiuto alla sua amica Rachel, quella dell’FBI, con cui aveva
lavorato ne “Il Poeta”. E Rachel lo salva dalla trappola, anche se Jack si
trova isolato da tutto: Carver gli blocca le carte di credito, le password
della mail, il telefono. Con l’aiuto di Rachel, tuttavia, riesce a collegare i
due casi (la donna di Las Vegas è stata uccisa con le stesse modalità di quella
di Los Angeles e nascosta anch’essa in un bagagliaio di una macchina). E quindi
a far liberare sia il giovane accusato a Los Angeles, sia il marito dell’altra
donna che da un anno stava in prigione. Storia nella storia, Jack e Rachel
riannodano il vecchio legame che avevano, e che porterà di nuovo la donna
sull’orlo del licenziamento dalle forze dell’ordine. Tuttavia, i collegamenti
vari, nonché alcune imperizie di Freddy, consentono di restringere il cerchio
verso il sito in Arizona gestito da Carver. Benché controllato dalla polizia,
il nostro cattivone riesce a camuffare tutte le eventuali prove a suo carico.
Rigirandole verso il suo capo e Freddy. Ucciso e sepolto il capo nel deserto,
durante un controllo dell’FBI, manda allo sbaraglio Freddy per cercare di
uccidere Rachel. Mossa che (una volta per uno, via) sventa questa volta Jack
che, per amore di Rachel, era rimasto in Arizona invece di tornare in
California. Ovviamente Freddy muore. E tutto sembra andare nella direzione
prevista da Carver. Sennonché, una locandina del Mago di Oz, con i personaggi
che ballano, fa scattare una lampadina a Jack. Come ricorderà chi ha visto il
film, uno è lo Spaventapasseri, con la faccia coperta da un telo. E con una
maschera sono coperti i volti delle donne uccise. E Carver (questo lo sappiamo
da Rachel) era chiamato Spaventapasseri in ufficio perché doveva tenere lontano
gli uccelli cattivi dai dati informatici. Unite le cose, ci si avvia verso il
solito finale “mozzafiato”, anche se meno di altre prove di Connelly. I cattivi
vengono messi fuori gioco, Rachel continua la sua carriera in FBI, e Jack (come
fece tanti anni fa Connelly) si chiama fuori dal giornale e comincia a scrivere
le storie “criminali” che ha vissuto. Non ha una grande suspense, pur
riconoscendo la bravura di Connelly. Ed i meccanismi informatici sono a volte
trattati in modo un po’ naif per essere avvincenti. Non manca qualche
auto-citazione di contorno. Quando Jack va in giro con una Lincoln della
televisione, ripensa, e noi con lui, al primo romanzo con protagonista Mickey
Haller. Rachel, senza nominarlo, parla della sua storia finita con Bosch. Ma su
questo versante credo siamo alla frutta (Connelly dice da alcuni anni di aver
messo “Jack nel dimenticatoio”). Aspettiamo allora altre avventure, con il
nostro amato Bosch che possa tornare in primo piano. Una notazione finale, come
vi avevo promesso: il titolo, ancora una volta. È vero che nel film lo
Spaventapasseri viene chiamato anche uomo di paglia. Ma mantenere il titolo
originale costa forse tanto? Anche perché, “uomo di paglia” in inglese si dice “Straw
man”… Parliamone.
Dan Brown “Inferno” Mondadori euro 5 (in realtà, scontato a 4,25 euro)
[A: 05/05/2014– I: 14/10/2014 – T: 17/10/2014] - &&
e ½
[tit. or.: Inferno; ling. or.: inglese; pagine: 712;
anno 2013]
Solita,
periodica, operazione furbetta di un maestro delle vendite, anche se non un
maestro della scrittura. Dopo la costruzione, lunga e mediaticamente ben
riuscita, del “Codice Da Vinci”, e dopo alcuni episodi in minore, una lunga
gestazione porta Dan Brown a prodursi in una nuova opera pseudo-storica, dove,
fortunatamente, il nostro buon Dante è usato come chiave senza farlo
intervenire in vicende che poco hanno a vedere con il maestro fiorentino. Ritorna,
come protagonista e motore della vicenda, Robert Langdon, lo storico dell’arte
esperto “un po’ di tutto”. In questo caso, è diventato anche un grande
conoscitore di Dante, di cui sa quasi “a memoria” molta parte della Commedia.
Sarebbe interessante, per uno studioso più fine di me, leggere il libro in
inglese, così da vedere come e qualmente vengono tradotte le terzine dantesche.
Ma come detto, Dante diventa un accidente della storia, un elemento utilizzato
per due motivi: l’uso delle terzine come metafora di una caccia al tesoro e la
rappresentazione che Botticelli dette delle Commedia nel suo bellissimo dipinto
“Mappa dell’inferno”. Qui, ovviamente, si esplicano le maggiori capacità di
Langdon, che, da storico dell’arte, conosce a menadito non solo il dipinto, ma
tutte le sue sfaccettature. Comunque ci si torna tra poco. Che la storia è invece
imperniata su di un dilemma scientifico di stampo malthusiano: la terra si va
sovrappopolando (e questo lo sanno anche i sassi), e le curve di accrescimento
sono tali che le risorse terrestri stanno andando in rapido esaurimento. Come
fare per fermare tutto ciò? Evitando di ritornare alla proposta di Jonathan
Swift (quello di Gulliver, per intenderci) che suggeriva di mangiare i bambini,
così da sfamare la popolazione e fermare l’elevato tasso di natalità, la
proposta più sensata sarebbe quella dell’OMS (l’organizzazione della sanità)
verso l’uso massiccio di metodi contraccettivi. Tuttavia, ostacolati da destra
e da sinistra per motivi religiosi. Ecco allora che esce fuori uno scienziato
non pazzo, ma un po’ fuori di testa, che percorre una via nuova. Pieno di
soldi, si fa aiutare da una banda di ricchi “fuorilegge” per sparire dalla circolazione
e mettersi a studiare il problema. Di cui trova una soluzione, aiutato da una
bella ragazza, Sienna, dall’alto Q.I., che, una volta saputo lo scopo finale
del tipo, si mette paura e comincia a remare contro. Nasce quindi una lotta di
tutti contro tutti, perché il nostro scienziato pensa bene di uccidersi poco
prima dell’inizio dell’evento fatale. E di lasciare una serie di indizi che
portano tutti a pensare che la sua idea sia quella di scatenare un’epidemia,
tipo la Peste Nera medioevale. Un’epidemia capace di distruggere un terzo della
popolazione, numeri che porterebbero ad un riequilibrio della popolazione. La
lotta di tutti contro tutti deriva dal fatto che i fuorilegge tentano di onorare
il contratto che avevano con lo scienziato (fino però ad accorgersi che
sarebbero finiti male e quindi allearsi, almeno formalmente, ai “buoni”). L’OMS
ingaggia Langdon per decifrare i misteri dello scienziato, a cominciare dal una
pseudo-riproduzione del dipinto botticelliano. Langdon si accorge subito della
presenza di lettere non comprese nell’originale, e con una sciarada di facile
soluzione (forse in italiano è più semplice dell’inglese), ricostruisce la
parola. Che lo porta alla stessa frase contenuta in un dipinto del Vasari di
Palazzo Vecchio. Dove è anche contenuta la maschera mortuaria di Dante. Con una
serie di peripezie, riesce a ritrovarla dopo che questa è stata sequestrata e
nascosta nel bellissimo Battistero di San Giovanni. E dietro la maschera una
nuova sciarada, che, per qualsiasi persona normale, unita ad un video dello
scienziato, avrebbe portato a collocare il centro del misfatto nella Basilica
Cisterna di Istanbul. Invece, Brown porta Langdon su false piste. Prima a
Venezia, in un inutile giro per San Marco. Poi alla ricerca della tomba del
doge Dandolo, che tutti sanno (o almeno lo so io, che l’ho visitata varie
volte) si trova in Santa Sofia ad Istanbul. Dove finalmente arrivano, ma dove
l’epidemia è stata già scatenata. Il tutto condito dall’aiuto non-aiuto che a Langdon
viene dato da Sienna, che gli si mette alle ruote, non si capisce se appunto
per stare con i buoni o con il cattivo. Alla fine, Sienna è l’unica che avrà la
chiave, forse, per capire se e come debellare la pandemia. Ma qui il libro
finisce, sull’interrogativo velato che pone Brown rispetto all’uso della
scienza e delle tecnologie. Bisogna utilizzare le scoperte come avanguardie
rivoluzionarie che decidono in nome delle masse? Oppure cercare di trovare un modo
per coinvolgere una più ampia platea nei possibili benefici di un uso non
distorto della scienza stessa? La bravura di Brown sta ovviamente nel
sorreggere la trama per 700 pagine, e tutto per uno svolgimento di un paio di
giorni (più ovviamente i soliti flashback). E la capacità di creare percorsi da
“caccia al tesoro” utilizzando strumenti molto letterari. Poco convincente il
dibattito sull’uso della tecnologia. Ed assolutamente carente la parte su
Istanbul, che sembra scritta da una persona che poco conosca la città. Infine
un po’ smaccato il finale aperto che lascia intravedere possibili nuove puntate
delle avventure di Langdon. Onesto, ma non coinvolgente, con alcune notazioni
finali. Condivido la citazione compiaciuta alla cantante Loreena McKermitt, un’icona
della musica celtica. Sottolineo il cenno al libro “La fuga di Logan” che penso
di essere uno dei pochi ad avere letto. Ed infine, pur convergendo sulla
citazione di Marx fatta da Langdon in piazza Taksim (piazza bellissima tra
l’altro), l’avrei completata per sottolineare meglio l’intento. Marx diceva “la
storia si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia, la seconda
come farsa”. Brown ne cita solo la prima parte. Perché? Dimenticanza voluta o
sottile intento ironico? Ai postumi l’ardua sentenza.
Michael Connelly “La svolta” Piemme euro 13
[A: 09/11/2013– I: 25/10/2014 – T: 27/10/2014] - &&
e ½
[tit. or.: The Reversal; ling. or.: inglese; pagine: 365; anno 2010]
Mi
aspettavo qualcosa di meglio da questo quasi ultimo libro tra quelli pubblicati
in Italia dal maestro americano del thriller. Cominciamo, al solito e spesso,
con un appunto sul titolo, che, sebbene in Italia la parola “svolta” può avere
sinonimo di cambiamento, qui è intesa meglio proprio nel senso letterale di
“rovesciamento” o “inversione”. Perché il protagonista Mickey Haller accetta di
cambiare posto in tribunale passando dalla difesa a quella di pubblico ministero.
Indipendente (come talvolta si usa fare in America), cioè non legato
all’amministrazione, in quanto si tratta di portare in giudizio dopo 24 anni un
condannato che è riuscito ad ottenere la revisione del processo in base ad una
prova di DNA, che, all’epoca dei fatti, non era considerata probatoria. Jason
Jessup è accusato dell’uccisione di una ragazzina di 12 anni, forse per motivi
sessuali (ma non ne ha avuto il tempo, sembrerebbe). Ora si trova traccia di
DNA sul vestito della piccola, ma non è di Jason (bensì del patrigno). Si va
quindi ad un nuovo processo, e, dati gli errori commessi a suo tempo dal
pubblico ministero, si chieda ad Haller di “make a seat reversal”, e di passare
all’accusa. Cose che accetta, chiedendo come aiuto l’ex-moglie che fa parte del
pool del PM, e come aiuto per le indagini il nostro benamato Harry Bosch (che
ricordo ai meno attenti, è anche il fratellastro di Haller). In un romanzo con
i due ci si aspetterebbe la somma delle due bravure a tener in piedi trama e
tensione. Purtroppo invece l’unione delle due caratteristiche tende a smorzare
proprio quella tensione che nelle prove singole appariva meglio distribuita
lungo tutto lo scritto. Intanto, anche l’artificio di usare i capitoli
alternati, uno scritto alla maniera di Bosch in terza persona ed un in quella
di Haller nella prima, dopo un po’ suona forzato e senza mordente. Certo,
ognuno dei due sfodera quello che dovrebbe essere il meglio delle proprie
capacità: Bosch con le indagini, lo scovare testi ed indizi che sembrano
nascosti, con l’incaponirsi su elementi che sembrano marginali e non lo sono, e
Haller con la conoscenza dei sistemi processuali americani, sfruttandone tutti
i possibili risvolti. Tutto però si smorza, che non si riesce a fare il “tifo”
per uno o l’altro (anche se lavorano insieme, c’è sempre qualcuno da favorire,
no?). Comunque, sia Mike che Harry mettono a segno punti a favore ed un punto
negativo forte a testa. Mike che, per far cadere in trappola il violento Jason,
concede, contro il parere della ex-moglie (che ricordo viene chiamata Maggie la
Spietata!!), la libertà sotto cauzione. Harry, che fa seguire Jason dalle
Squadre Speciali, ma non lo arresta quando questi si procura una pistola,
proprio per cercare al solito di farlo cadere in un tranello. Intanto si
sviluppano le fasi preprocessuali: capiamo meglio il contesto dell’omicidio
della piccola Melanie, ci mettiamo sulle tracce dell’unico teste ancora in
vita, dopo tanti anni, cioè la sorella Sarah, vediamo le manovre dell’avocato
difensore (chiamato Charlie l’Astuto e si capisce bene perché) che cerca di
presentare il caso sui media per creare un clima favorevole a Jason. Harry
coinvolge anche la (a me simpatica, ma spesso ormai fuori contesto) profiler Rachel,
che dà una sua versione dei fatti più convincente di quella del primo processo.
Mike, in aula, riesce a dribblare le trappole di Charlie, anche se, quando
inizia il processo, sembra che ci si avvii verso un pareggio, con un colpo
all’uno ed un all’altro. Intanto, nottetempo Jason si aggira per la città,
sembrando da un lato confermare i sospetti di Rachel, dall’altro (non vi dico
come) mettendo paura ai due fratellastri su possibili coinvolgimenti delle loro
figliole (che si dovrebbero chiamare “cuginastre”?) oppure cercando di farli concentrare
su elementi marginali. Il coup de theatre di Charlie è un ex della tossica
Sarah che avrebbe detto come questa confessasse essere stato il patrigno
l’artefice del tutto. Ma l’ex lo fa per soldi, e, scoperto da Harry, ritratta
tutto, lasciando nelle peste la difesa. Se ne accorge anche Jason, che decide
di farsi giustizia da solo, spara a destra e sinistra, uccide (non vi dico
chi), scappa e viene a sua volta eliminato. Peccato che in questo modo il
processo non possa concludersi (per la morte dell’imputato) quindi anche se
sappiamo come sono andate le cose, non se ne ha la prova sul campo. Ed i cattivi
burocrati hanno modo di farla pagare a tutti: a Maggie, a Mike ed a Harry.
L’unica “consolazione” è che le due ragazzine fanno conoscenza e, si spera, in
un futuro abbiano modo di frequentarsi. Ma il tutto non è sorretto dalla solita
tensione cui ci aveva abituato Connelly. Speriamo che ci siano miglioramenti in
future puntate delle diverse storie del nostro amico scrittore (che sappiamo
esserci altre scritture, anche se ancora non pubblicate in Italia), magari
ritornando ai cammei dell’uno nelle storie dell’altro, che è meglio.
Insomma, aspettando di capire se
si sblocca la situazione viaggi, un’altra trama dedicata a vicende poliziesche
ed affini, così da far riposare non solo le stanche membra, ma anche lo stanco
cervello. In attesa anche che si avvicini Pasqua, i suoi momenti di stasi e perché
no qualche rilassante gita in campagna. Magari, infine, utilizzando al meglio
il libro di Marie Kondo, che sia una piccola caccia al tesoro onde capire di
cosa si parla.
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