Inopinatamente capitati nel bel
mezzo della diatriba che si sta avendo nel mondo dei libri sul tentativo di
Mondadori di comprarsi (anche) la Rizzoli, ecco che capitano 4 autori, due
della scuderie di Segrate e due di Feltrinelli. E come leggerete sotto, anche
se non sottovaluto Consolo, trovo decisamente superiori Bassani e Cacucci
(ripeto, per i miei gusti, personalissimi ed insindacabili, ma che sono pronto
a discutere, sempre per quel Consolo di cui spero qualcuno mi illumini meglio).
Vincenzo Cerami “Un borghese piccolo piccolo” Mondadori euro 9
[A: 14/03/2014– I: 19/07/2014 – T: 21/07/2014] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 123;
anno 1976]
Letto
ad un anno esatto della morte del grande sceneggiatore italiano, purtroppo
scomparso lo scorso luglio a soli 72 anni. Un po’ sotto la spinta di un
commento di Stassi, un po’ per capire meglio la figura di Cerami, dopo averne
apprezzato i film con Benigni, ma anche con Bertolucci, Amelio, fino ai primi
lavori da aiuto-regista a Pasolini. Ed infine, per comprendere l’amaro film di
Monicelli che il grande regista ne trasse poco dopo l’uscita del libro. Film
che, per una serie di motivi, tra cui il mio scarso amore per le pellicole di
Alberto Sordi successivi alle folgoranti uscite degli anni ’50 (da “Lo sceicco
bianco” di Fellini del ’52 a “Tutti a casa” di Comencini del ’60), mi sono
sempre rifiutato di vedere. E benché appunto Monicelli ne abbia fatto un epigono
di un mondo in rovina (non era più tempo delle commedie all’italiana, e già si
sentiva aria di tragedia, visto che l’anno dopo veniva ucciso Aldo Moro), stravolgendo
(secondo quanto ho letto e quanto se ne dice sui libri di cinema) il finale di
Cerami, interpretazione su cui ritornerò. Ad una lettura poco concentrata, il
libro, apologo, come da titolo, di un mondo borghese triste ed immiserito,
risulta non solo non particolarmente avvincente, ma anche (e questo dipende
senza dubbio dalla personalità dello scrittore) tendente alla dimostrazione di
una qualche teoria giustamente decadente del mondo dei primi anni ’70. È la
storia del piccolo impiegato Giovanni Vivaldi, di ruolo nella Pubblica
Amministrazione, ed in particolare nel Ministero dedito alla concessione delle
pensioni. Storia che comincia con il nostro Vivaldi tipico e svogliato lavoratore
burocratico e termina con i giorni sempre uguali che andranno dalla pensione
alla morte. Detto così, l’apologo di Giovanni è di una tristezza infinita: la
casa malandata, la moglie Amelia, Mario il figlio ragioniere, i pasti fatti
perché sì, le mattine in ufficio, le chiacchiere con i colleghi, la FIAT
ottocentocinquanta, il gelato da Fassi a Piazza Vittorio, la Settimana
Enigmistica. Ripeto, non vi sentite già immersi in un gelo artico? In una vita
che speriamo finisca presto? Su questa via che non porta a niente, su questo
rettifilo triste e sconsolato tra la nascita e la morte, l’idea di Cerami
(vincente dal punto di vista drammatico) è di mettere una zeppa, un ostacolo,
un incidente di percorso. Allora vediamo che, una volta Mario diplomatosi,
Giovanni, come tutti i bravi impiegati di quegli anni, comincia a brigare per
sistemare il figlio, magari nel suo stesso ministero. E quando chiede aiuto al
suo capufficio, si trova invischiato in una ridanciana associazione massonica.
Primo colpo che lo scrittore dà forte e chiaro alla società. Per avere un posto
fisso, per sistemarsi, bisogna avere “degli amici”. Se fossimo in Sicilia, si
chiamerebbe mafia, ma siamo a Roma, e quindi Giovanni si fa massone (con la
veramente ridicola cerimonia di iniziazione!). Questo però gli consente di
avere dal suo superiore, una settimana prima dell’esame di ammissione al
Ministero (i famosi “concorsoni”) il testo dell’esame stesso, così che il
figlio possa prepararsi a dovere (che lo scritto è individuale, poi all’orale
ci si dà una mano comunque). E qui il secondo masso che Cerami mette sulla
strada di Giovanni: andando da casa al Ministero, i nostri due incappano in una
rapina, parte un colpo di rivoltella e Mario muore. Questo sì che farà crollare
il castello di Giovanni: alla moglie prende un colpo apoplettico, ed il nostro
si ritrova a girellare tra le macerie della sua vita, inebetito e senza scopo.
Cerami si domanda (con lo scritto, anche se non esplicitamente) dove sia la
giustizia del mondo, dove Giovanni possa essere risarcito (e non certo dalla
Chiesa, messa in burla con l’omelia del parroco durante il funerale).
Inaspettatamente, mesi e mesi dopo la morte di Mario, Giovanni incappa nel
rapinatore che ha sparato. Terzo masso: nessuna denuncia alla polizia, che al
massimo esce fuori un ergastolo; ma, con un’astuzia ed una forza improvvisa,
rapimento del rapinatore, trasferimento dello stesso nella baracchetta in riva
al lago che serviva a Giovanni come casotto da pesca. E lì Giovanni, lega il
rapinatore ad una sedia, e, giorno dopo giorno, lo lascia morire di fame e di
sete. Meravigliandosi che la “tortura” duri poco, e quindi seppellendo il cattivo
sotto un fico in giardino. Arriva quindi la sospirata pensione, ed il giorno
stesso Amelia muore. Lasciando Giovanni solo, senza lavoro, senza figlio, senza
moglie e senza vendetta. Nel film, al contrario, Monicelli spinge la sua
cattiveria portando l’impiegato Vivaldi a continuare l’opera di vendicatore
solitario. Cerami no, Cerami si ferma, annegando la vita in una tristezza
infinita e senza scopo. Personalmente, la figura del vendicatore solitario mi
lascia alquanto perplesso dal punto di vista intellettuale (cerco di capire, ma
spero di non trovarmi mai nella situazione in cui la domanda da teorica possa
diventare pratica). Non è la mia idea di giustizia. Come, quella di Vivaldi,
non è la mia idea di vita. Ma so, per averne passati di anni attraverso
Ministeri ed affini, che quella è molta vita che scorre. Io mi illudo nel
pensiero che “scorresse” e che i giovani, ora, possano, riescano ad uscirne, a
crearsi un’aspettativa di futuro che comporti la Settimana Enigmistica solo
l’estate al mare. Speriamo. Intanto, finisco considerando che il libro, pur con
quei punti interessanti che ho evidenziato, non mi ha coinvolto in maniera
esasperata. Anzi.
Giorgio Bassani “Dietro la porta” Feltrinelli euro 7 (in realtà
scontato a 6,30 euro)
[A: 05/05/2014– I: 07/09/2014 – T: 08/09/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 101;
anno 1964]
Pubblicato
due anni dopo il magistrale “Giardino dei Finzi-Contini”, Bassani continua con
questo racconto lungo il grande ciclo degli scritti dedicati a Ferrara, sua
città natale. Scritti in cui, con vari momenti e con varie trasposizioni,
ripercorre la sua personale biografia della città estense. Questo non è certo
il migliore, rispetto, oltre al giardino citato, anche al dolente “Gli occhiali
d’oro”. Tuttavia mi ha preso nella descrizione dei dolenti momenti del liceo. E
pur nel fatto che il suo liceo (classico, ovviamente) si svolge una quarantina
d’anni prima delle mie esperienze al grande Liceo Scientifico Augusto Righi in
Roma, riesce, con quella immortalità dovuta ad una scrittura sapiente e
partecipata, a far rivivere (mutatis mutandi) sensazioni e momenti. L’inizio
del libro, tra l’altro, risente, anche qui con giusta trasposizione, di quel
bruciante attacco di Paul Nizan in “Aden Arabia” (il francese iniziava il libro
con la storica frase “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che
questa è la più bella età della vita”, Bassani ricorda come il primo anno di
liceo, fra i tanti momenti infelici della sua vita, fosse stato uno dei massimi).
E noi entriamo subito in sintonia con il soggettivo protagonista, che si trova
nella nuova classe, con nuovi e diversi compagni da affrontare. La falcidia
dell’ultimo anno del ginnasio (che lo priva del suo scudiero fidato, purtroppo
bocciato) unisce due diverse classi. Il capitolo in cui entriamo per la prima
volta in classe, in cui con sapienti tocchi ci descrive i suoi futuri compagni
di scuola, l’indecisione su dove andare a sedersi. Le alleanze e le guerre. E
subito trova il suo contraltare. Lui, introverso ed ebreo, ha di fronte Carlo,
cattolico e sicuro di sé. Potrebbe nascere un’amicizia tra persone
complementari. Il nostro però non si piega ad essere una semplice spalla. Ben
conosciamo le scaramucce che ci hanno accompagnato in quegli anni. Io, un Bassani
allo specchio, bravo in matematica e deboluccio in latino e (almeno all’inizio)
anche in italiano. Compiti che si passano, interrogazioni, cadute e risalite.
Sempre con la sensazione di essere alla rincorsa. Ma di cosa? Di chi? Non
c’erano certezze, non c’erano sicurezze. E poi ero fuori zona, quindi tagliato
dalle frequentazioni pomeridiane. Bassani trova uno strano alleato nel misero
(di animo) Luciano, catapultato dopo Natale nella nuova scuola, che il nostro
aiuta, e di cui Luciano diventa un po’ “il cavalier servente”. Ma Luciano,
figlio di medico condotto e di famiglia non abbiente, non potrà essere di
sostegno allo scrittore, ne sarà sempre la ruota di scorta, beandosi dell’aura
riflessa. Vediamo affiorare, a poco a poco, le sensazioni meschine di Luciano,
e quel suo quasi prendere in giro le ingenuità, soprattutto sessuali, del nostro.
Che non va a donne, che non si innamora, che non si masturba. Certo pulsioni sessuali
ci sono (sono sedicenni, che diamine), ma nello scrittore si sublimano. Pensiamo
ai sogni erotici ingenui, ai nudi dell’arte, alle letture quasi proibite di
autori al limite della pornografia (anche se nei lontani anni Trenta, forse,
erano solo erotismi di maniera, come “I promessi sposi” di Guido da Verona). Si
arriverà così allo scontro finale, dove l’autore non potrà che uscire sconfitto.
Carlo lo convince che Luciano parla male di lui alle sue spalle, e lo fa
assistere “dietro la porta” al tradimento del presunto amico. Ma non è che
Carlo sia da meno, cioè il suo intento non è salvare l’autore ma, in un certo
senso, farlo sentire ancora più isolato, ancora più sconfitto. E sconfitto ed
infelice, come dice all’inizio, lo sarà e ne resterà il segno nella tristezza
che noi immaginiamo grande che porterà appresso per molta parte della vita.
L’autore è solo, ed i suoi supposti compagni si perderanno nel resto della
vita. Luciano il traditore cambia di nuovo città. Carlo rimarrà il primo della
classe fino alla maturità, e poi non sapremo più nulla di lui. L’autore andrà
avanti, portandosi appresso la tristezza di non essere riuscito ad incidere
nella vita, di essersi lasciato scorrere addosso quest’anno terribile, senza
reagire, senza polso. E noi si ripensa alle nostre tristezze scolastiche, ai
lunghi momenti di incertezze e insicurezze. Bassani riesce magistralmente a
farmi sentire, pur con il carico d’anni che ci si porta appresso, come se fossi
ancora nei banchi di scuola, con i calzoni lunghi, la pipa corta, e nessuno con
cui fare comunella. Una bella scrittura, un lavoro da tenere presente nelle
rimembranze. Leggere e ricordare, entrambi, comunque per andare avanti. Che se
quelli furono anni duri, ora c’è l’ottimismo della tarda età che ci sorregge.
Pino Cacucci “Oltretorrente” Feltrinelli euro 7,50
[A: 05/05/2014– I: 11/09/2014 – T: 13/09/2014] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 186;
anno 2003]
Un’altra
prova convincente dello scrittore piemontese. Un testo schierato ma non di
parte. Cacucci riesce sempre, sia che parli del Messico, sia che parli di
viaggi, sia che parli di momenti di storia, siano essi alti o bassi, a trovare
il modo di porre in maniera giusta quello che vuole dire. A farcelo apprezzare,
con una scrittura che scorre per le pagine senza intoppi. E partendo
dall’uccisione in Parma del militante di Lotta Continua, Mario Lupo, avvenuta
nell’agosto del 1972, ripercorre, nelle memorie di un anziano seduto intorno ai
tavoli di un’osteria insieme ai giovani militanti odierni, le vicende parmensi
di cinquanta anni prima. Con la facilità della scrittura che gli consente di
andare senza difficoltà su e giù nel tempo, l’autore ci porta e ci fa rivivere
la resistenza di Parma vecchia all’arroganza fascista. Ultima resistenza, e
purtroppo non seguita né compresa, tanto che dopo… Ma questo già si conosce.
Noi che non siamo parmigiani veniamo trasportati dalle parole Oltretorrente.
Sì, che non è un errore (vero signorina Claudia?), ma il nome di un quartiere
della città, situato appunto (come già sappiamo dai gialli di Varasi) oltre la
Parma (nome del fiume, femminile, , il Parma, maschile, la squadra di calcio,
Parma, senza articoli, la città). Siamo nella regione dei forti contrasti, dei
rossi contro i neri, degli anarchici. Stretti tra la Cremona di Roberto
Farinacci e la Ferrara di Italo Balbo, c’è la povera città di Parma, che,
appunto nel 1922, non vuole cedere all’arroganza dei “Fasci di Combattimento”. Nella
città, il personaggio di spicco è Guido Picelli, “un figlio del popolo”, che
ben conosce la città, e che è sempre cresciuto negli ideali di giustizia ed
equità. Fece l’attore con Ermete Zacconi da giovane, e durante la guerra, da
pacifista, si dà da fare nella Croce Rossa. Aderisce al Partito Socialista,
capendone però subito i limiti della deriva “pacificatoria” verso Mussolini.
Non insensibile ai guasti che Farinacci e Balbo stanno facendo in regione,
organizza una sorta di auto-difesa attraverso le milizie popolari degli “Arditi
del Popolo”. Pur trovandosi stretto tra fascisti e forze dell’ordine (cosiddette)
cerca di mantenersi sul filo della legalità e dell’aiuto. Incarcerato per un
anno, viene fatto uscire eleggendolo deputato (cosa cambia dal ’22 ad oggi?). Poiché
infine Parma rimane l’unica città a resistere all’ondata nera, anche per
mettere in difficoltà il Duce, l’esimio Farinacci (che finirà fucilato 3 giorni
dopo la liberazione) decide di assaltare la città. Dove intanto era stato
trasferito tal Antonio Cieri da Vasto. Un anarchico, che però ha una buona
preparazione militare (e logistica essendo ferroviere). Cieri e Picelli entrano
subito in sintonia, dividendosi i compiti: Guido ha la strategia complessiva in
mano, Antonio deve difendere la parte più debole di Oltretorrente, il Naviglio.
Farinacci si infrange sulle barricate il 1 agosto, e Mussolini si vede
costretto a chiedere a Balbo di porci mano, pur sapendo che il futuro aviatore
è l’unico che può tenergli testa. Ma i “neri” sono ancora poco addestrati,
molto arroganti, con poca sostanza (e pieni di un’accozzaglia di ladruncoli,
come nelle più rispettabili file che si conoscano). Ed i carabinieri e
l’esercito, pur avendo delle derive ben note, ancora mantengono un
atteggiamento di legalità, almeno secondo le direttive che si ricevono da Roma.
Bella è la descrizione di Cacucci sulla resistenza del fronte unito dai
popolari agli anarchici. E fa riflettere (magari con qualcuno che conosce bene
il periodo in questione) la miopia con cui il resto del paese guardava a quanto
stava accadendo. Nonostante le superiori forze numeriche, dopo cinque giorni
gli Arditi riescono ancora a tenere botta. E per evitare che qualcuno si monti
la testa, il Duce comanda un ripiegamento onorevole. Ultimo atto di civile
resistenza (anche armata ovvio), da lì si andrà naufragando. Detto di
Farinacci, Balbo continuerà per tutti gli anni ’30 a farsi notare come
aviatore, e trasvolatore dell’Atlantico, per poi finire colpito dalla
contraerea italiana in quel di Tripoli, avendolo scambiato per inglese (anche
se qualcuno pensa sia stato un regolamento di conti). Cieri fugge fin dal ’23
in Francia, mentre Picelli, dopo aver resistito sino al ’26, viene condannato a
5 anni di confino, da dove, nel ’31 ripara in Russia. Aveva aderito al PCI, ed
a Mosca viene impiegato come addestratore delle truppe. Tuttavia si troverà ben
presto contrario alla politica stalinista. Comunque nel ’36, sia Cieri che
Picelli convergono in Spagna, dove, senza tuttavia incontrarsi, rimarranno entrambi
uccisi. Anche se su Picelli c’è qualche dubbio da dove sia venuto lo sparo (e
si sa che Stalin usò molto la guerra civile spagnola anche come regolamento di
conti). Alla fine del libro, rimane quel rammarico che non si riuscì a capire
l’esempio dei parmensi. Due bei momenti
mi rimangono ancora del libro: le cantate d’opera sulle barricate, che
si sa Parma è città di musica, da Verdi a Toscanini. L’altra la devo a Cacucci,
con quella bellissima citazione di un articolo di Antonio Gramsci del 1917
sugli indifferenti, di cui riporto l’attacco e che invito tutti a rileggere e
meditare.
“Gramsci: Odio gli indifferenti. Credo che
vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere
cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria,
non è vita. Perciò odio gli indifferenti (11/02/1917).” (11)
Vincenzo Consolo “Il sorriso dell’ignoto marinaio” Mondadori euro 9 (in
realtà, scontato a 8,10 euro)
[A: 20/05/2014– I: 26/10/2014 – T: 30/10/2014] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 154;
anno 1976]
Vincenzo
Consolo è stato senza dubbio un intellettuale a tutto tondo nel panorama
italiano, forse mai realmente al centro dell’attenzione, con un’aria schiva
proveniente da radicate origini sicule (come non ricordare la provenienza da S.
Agata di Militello nel Parco dei Nebrodi, non lontano da Capo d’Orlando). Con
piacere se ne legge vita e opere nella bella introduzione non didascalica al
libro. Tuttavia, il romanzo in sé non mi è piaciuto. Consolo, da intellettuale,
scrive di testa e non di pancia (per me, lo scrittore dovrebbe usare entrambe).
Anche se, al nocciolo, la storia ha una sua bellezza a prescindere, motivo per
cui almeno due libricini di gradimento li merita tutti. Usando un metro che
sciacqua il Gattopardo nel lago di Como manzoniano, in modo stringato, seguiamo
il percorso personale di agnizione da parte di Francesco Pirajno barone di
Mandralisca. Nel 1852 è uno sfaccendato possidente, interessato ad uno studio
delle lumache presenti in Sicilia (si propone di scrivere un grande trattato di
malacologia), che riesce fortuitamente ad entrare in possesso di un dipinto di
Antonello da Messina (“Ritratto d’ignoto marinaio” ora conservato nel Museo
Mandralisca di Cefalù). Nella nave che da Lipari lo riporta a Cefalù, incontra
fortuitamente un marinaio che ha lo stesso sorriso del quadro. Quattro anni
dopo, quel marinaio si presenta a casa del Barone, rivelando di essere in
realtà l’avvocato Giovanni Interdonato, uno dei liberali che lottano per la
sollevazione della Sicilia dai Borboni. E si trova in quelle terre per
incontrare dei cospiratori, con l’aiuto del Barone. Il quale però, non è ancora
pronto alla lotta, e fornisce, come si direbbe ora, un aiuto “esterno”. I giovani
sobillati dall’avvocato tentano comunque una rivolta, guidata da Toto Spatuzza.
Rivolta che finisce nel sangue, con lo Spatuzza venticinquenne fucilato ed
altri congiurati in catene. Si avvicina comunque l’anno della rivolta, ed
assistiamo allo sbarco dei Mille a Marsala l’11 maggio del 1860, all’avanzata
di Garibaldi ed ai colpi di resistenza, città dopo città dei Borboni e dei
potentati isolani. In quel di Alcàra Li Fusi, tra Militello e Capo d’Orlando, i
braccianti locali vengono spinti all’insurrezione da qualche scalmanato. Il
nostro Barone, per studiar lumache, si trova propri in città, assistendo
sgomento alla battaglia. Che anticipa e ricorda Bronte e simili azioni. I
contadini uccidono una ventina di nobili, e si arrendono all’arrivo dei
garibaldini. I quali, invece di accoglierli, li arrestano, li processano e
molti ne fucilano in poco tempo. Rimangono un pugno di carcerati che devono
essere giudicati in Tribunale. Dove l’ago della bilancia è proprio il
sunnominato Interdonato. Sarà il Barone, con un’accorata lettera a convincere
la giuria della non colpevolezza dei giovani. Ovviamente, questo scatenerà malumori
tra i nobili che, vista la mala parata borbonica, erano anzi tempo riparati sotto
l’ala dell’Italia unitaria. Il nostro Barone, come seguendo il percorso a
spirale delle sue care lumache, esce dal guscio, abbandona studi sterili, e si
dedicherà alla fondazione di scuole popolari. Questa la bella storia,
raccontata, ahimè, in un linguaggio di difficile penetrazione, con uso di
termini colti, più che dialettali, di ripetizioni, di ricerche di immedesimazioni
nello spirito del tempo. Manzoniano, dicevo sopra, che Consolo irrobustisce la
narrazione con documenti d’epoca, stralci ed altro, a volte autentici, altre
volte leggermente manipolati per seguire l’andamento della trama. E Gattopardo,
nell’immancabile vittoria che i nobili e i potenti avranno su braccianti e
contadini, cambiando tutto perché nulla cambi. Ecco, lo sforzo è grande, per un
piccolo risultato. Capisco che il romanzo abbia attirato la benevolenza di
intellettuali per ogni dove, e primo fra tutti Sciascia che ben ne riconosceva
l’impegno civile. Tuttavia, la lingua e la modalità di scrittura ne fanno un
romanzo strettamente legato al tempo della sua scrittura (per l’impegno della testa
profusovi), che letto ora, noi purtroppo abituati sì anche al dialetto
siciliano, ma nella versione musicale del Camilleri agrigentino, piuttosto che
nelle parlate oscure dei messinesi, risulta di faticosa lettura e di difficile
uso. Letto comunque anche sotto la spinta libropatica che voi conoscete bene (e
vedremo che patologia riuscirà a curare…). E per capire le mie perplessità,
ecco alcune righe casuali di pagina 67:
“Sedette sui gradini. Dalle bisacce pane
pecorino fave, acqua dalla zucca. Satollo, sbadigliante, stira e sgranchia per
dormire. Luccichio, al vacillare de' moccoli, dei manici di rame del tabuto,
piedi a zampe di grifo, impugnatore d'oro a raggera sul manto di velluto nero
di sette spade nel cuore di Maria, spalancati occhi d'argento, occhio fisso,
occhi, cuori fiammanti, canne a salire e scendere d'ottone sopra l'organo..”
Come ormai tradizione per la prima
trama del mese, ecco la lista delle letture dello scorso dicembre, ovviamente
segnate dal lungo viaggio vietnamita, e da alcune riflessioni sui libri stessi.
Quindici libri di buon livello, senza troppe cadute, e con tre libri
decisamente sopra la media: le solite riflessioni di Enzo Bianchi (su cui si
tronerà), la rilettura di un classico sulla guerra e l’amicizia di Uhlman, ed
il primo libro (piacevole) del neo-premio Nobel Modiano.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Federico Rampini
|
All You
Need is Love
|
Mondadori
|
s.p.
|
3
|
2
|
Alessandro Baricco
|
Smith & Wesson
|
Feltrinelli
|
10
|
3
|
3
|
Erri De Luca
|
La musica provata
|
Feltrinelli
|
9
|
2
|
4
|
Paolo Di Paolo
|
Raccontami la notte in cui sono nato
|
Feltrinelli
|
7
|
3
|
5
|
Enzo Bianchi
|
Dono e perdono
|
Einaudi
|
10
|
4
|
6
|
Autori Vari
|
Histoires drôles
du people vietnamien
|
Editions Thé Giôi
|
2
|
2
|
7
|
Fred Uhlman
|
L’amico
ritrovato
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
4
|
8
|
Giorgio Scerbanenco
|
Un treno per l’inferno e altri racconti neri
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
9
|
Andrea Vitali
|
Zia Antonia sapeva di menta
|
Garzanti
|
9,90
|
2
|
10
|
Andrea Vitali
|
Regalo di nozze
|
Garzanti
|
9,90
|
2
|
11
|
Vladimir Dimitrijević
|
La vita è un pallone rotondo
|
Repubblica Pallone
|
6,90
|
2
|
12
|
Gianni Mura
|
Ischia
|
Feltrinelli
|
7,50
|
3
|
13
|
Giovanni Ricciardi
|
Il dono delle lacrime
|
Fazi editore
|
13,90
|
3
|
14
|
Patrick Modiano
|
Un pedigree
|
Einaudi
|
s.p.
|
4
|
15
|
Carlo Rovelli
|
Sette brevi lezioni di fisica
|
Adelphi
|
s.p.
|
3
|
Nessun commento:
Posta un commento