domenica 4 ottobre 2015

Adelphi doppia Einaudi - 04 ottobre 2015

Nel senso del gradimento, che in due tomi, Adelphi accumula 8 libricini, mentre Einaudi solo 4. Sarà un caso? Certo, non mi sorprende il giapponese, che è una letteratura in cui ancora non riesco (mai? ancora?) ad entrare. Ma pensavo meglio della scrittura di Paul Auster. Una gradita sorpresa è il francese Jean Echenoz che non conoscevo. Una solida certezza (anche se non è che mi piace sempre ed ovunque) è William Faulkner.
Yasunari Kawabata “Il paese delle nevi” Einaudi euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 05/08/2014– I: 26/03/2015 – T: 28/03/2015] - & e ½  
[tit. or.: Yukiguni雪国; ling. or.: giapponese; pagine: 145; anno 1947]
Continuo a leggere qualche autore “non occidentale”, che bisogna sempre avere più frecce ai propri archi. Tuttavia, a parte Banana, continuo a non entrare nella mentalità della scrittura giapponese. Faticai e lasciai più volte Osamu Dazai. Lessi e trovai palloso Yukio Mishima (e ne scrissi male). Ora provo anche Kawabata. Ed il risultato è sempre lo stesso. Forse con qualcosa in più, è vero, che Yasunari ha una sua bellezza di scrittura formale, che prende nelle descrizioni, nell'ambientazione, nello scorrere della storia. Ma tutto il resto mi rimane freddo, come questo paese innevato, sperduto nel Nord del Giappone, dove si svolge questa labile storia. E mi domando se non ci sia anche qualche elemento derivante dalla traduzione, che inopinatamente l’editore confessa aver preso dalla traduzione inglese. Mentre più tardi, nei Meridiani Mondadori, il traduttore della Yoshimoto ne fa una nuova traduzione dall'originale, che forse potrebbe essere migliore. E che sicuramente avrebbe evitato quella catastrofica nota in cui ci spiega come un personaggio avrebbe voluto fare l’infermiera o l’assistente ai nidi infantili, in quanto viene utilizzato il termine inglese equivalente “nurse”. Chissà il termine originale qual era. Come nella migliore tradizione della scrittura giapponese, il racconto è fatto di pochi elementi, e di molte sensazioni (paesaggi e stati d’animo, in primo luogo). Il nucleo centrale è la passione (amore?) tra un signore di Tokyo ed una geisha di provincia, che si dipana nella cittadina termale di Yuzawa (sebbene il nome non compaia nel testo, ma viene desunto dalle descrizioni).  Le sorgenti di Yuzawa sono frequentati da uomini che viaggiano soli ed hanno bisogno di relax. Le geishe di Yuzawa non hanno l’esperienza e la preparazione di quelle di Kyoto o di Tokyo, sono un gradino al di sotto, al limite tra lo status di geisha e quello meno onorevole di donne a pagamento. È quindi scontato che il legame fra il ricco cittadino, esperto di balletti occidentali (su carta, non avendone mai visto uno) e la geisha Komako sia destinato al fallimento. Il tentativo di Kawabata è proprio la contrapposizione tra Shimamura, attratto dall'occidente, e la concezione tradizionale di bellezza, che incarna Komako. Sul treno che lo riporta a Yuzawa, al nuovo appuntamento con Komako, il nostro amante è anche attirato da una ragazza che si occupa di un malato, Yoko. Poco succede, in fondo. Komako suona, Shimamura ascolta e pensa. Alla fine, ci sarà una catastrofe, forse morirà Yoko. Di sicuro, Shimamura non tornerà più nel paese delle nevi. Anche nella scrittura si nota la nipponicità della confezione. Kawabata scrive il primo nucleo del romanzo come un breve racconto nel 1935. Per poi ampliarlo, integrarlo, e riscriverlo come se fosse nuovo, per farlo uscire come testo unico solo dodici anni più tardi. Questo per limare ogni frase, ogni parola, ogni descrizione. Per arrivare a dare quello che lo scrittore aveva in mente di rappresentare: uno scontro, lieve eppur profondo, tra due concezioni del mondo, tra una visione modernista ed una tradizionale. Non ci scordiamo poi che in questi 12 anni, poi, il Giappone stesso muta profondamente la sua pelle, attraversando la pesante sconfitta della guerra, e tutti i cambiamenti conseguenti. I sostenitori di questo tipo di scrittura accusano chi non capisce la via giapponese alla lentezza di non saper entrare in questo mondo, e di far meglio a leggere romanzi alla Dan Brown. Io ritengo che ci sia un giusto mezzo tra l’azione e la stasi. Torno ad esempio a molti scritti di Banana Yoshimoto, dove c’è poca azione, ma molte sensazioni passano tra lo scritto ed il lettore. Qui, mi trovo in difficoltà. Ne leggo, seguo i pochi avvenimenti. Ma non riesco ad entrare nel mondo di Kawabata. Ne capisco forse un po’ con la testa, ma il cuore e lo stomaco rimangono distanti. E se non vogliamo tornare a Banana, anche “Il fucile da caccia” di Yasushi Inoue, pur nella sua lievità, mi comunicò molto di più.
“Fu colpito quando seppe che aveva annotato accuratamente tutti i romanzi e i racconti letti dall'età di quindici o sedici anni. … - Annotate anche le vostre critiche? – Non sarei mai capace di fare una cosa del genere. Semplicemente prendo nota dell’autore e dei personaggi e dei loro rapporti. … - Ma a che serve? – Proprio a niente.” (40)
Paul Auster “Mr. Vertigo” Einaudi euro 11 (in realtà, scontato a 8,25 euro)
[A: 16/02/2014– I: 30/03/2015 – T: 01/04/2015] - && e ½
[tit. or.: Mr. Vertigo; ling. or.: inglese; pagine: 281; anno 1994]
Ogni volta che prendo in mano un libro di Auster, anche se meno intensamente, ripenso alle prime discussioni che ne ebbi con la mia amica Luana (quella di John Fante, amici). Cui ora aggiungo le letture che ho fatto della di lui moglie, Siri Hustvedt. Che alla fine mi danno un bel quadro di una vita familiare che trasferisce sulla carta le proprie idee. Così se ne discute. Auster in questo ventennale romanzo non ha la forza e l’oniricità della Trilogia di New York. C’è una bella scrittura, inventiva quanto basta, la solita follia (tutta la storia si basa su di un ragazzo che impara a lievitare). Ci sono due temi fondamentali, che sarebbe bene non dimenticare mai: il razzismo e le modalità educative. Il primo è un perno della dottrina di Auster: rispettare il diverso, capirlo, conviverci. Il secondo, per me più nuovo, è la descrizione come una grande forza di volontà possa trovare il modo di far penetrare vie educative in persone diverse con culture diverse. Il romanzo è la storia della sua vita raccontata dall'anziano Walt Rawley. Comincia da quando, orfano in St. Louis, maltrattato dallo zio Slim, incontro uno strano personaggio: un profugo ungherese, che si fa chiamare Maestro Yehudi, e che convince Walt che gli insegnerà a volare. Tutta la prima parte si fonda sui modi educativi del Maestro, che devono portare Walt a sentirsi “fuori dal sé”, per poter apprendere a lievitare. Nel mondo del Maestro, sono poi presenti un ragazzo etiope, Esopo, grande lettore, e l’angelo custode della casa, l’indiana Mamma Sioux, nipote di Toro Seduto. Walt progredisce, ma prima di fare il salto finale (siamo nell'America degli Anni Venti) il Ku Klux Klan brucia la casa, uccidendo Esopo e l’indiana. Che se in un primo tempo erano anche per Walt “diversi”, aveva imparato ad amarli. Walt ed il Maestro sono distrutti e si rifugiano per qualche tempo da un’amica del Maestro, Mrs. Witherspoon. Si riprendono al fine, anche perché Walt comincia a lievitare. Si organizzano spettacoli in tutta l’America. Walt migliora sempre, ma, man mano che si avvicina alla pubertà, la lievitazione gli provoca forti mal di testa. Decidono di smettere (hanno ormai un bel gruzzolo) e Walt pensa di fare l’attore ad Hollywood. Sulla strada per la California sono però assaliti dalla banda capeggiata dallo zio Slim, che li deruba di tutto, lasciando il Maestro in fin di vita. In punto di morte il Maestro confessa comunque di avere un cancro e che Walt, ormai se la deve cavare da solo. Il ragazzo, distrutto, passa i seguenti tre anni a cercare suo zio Slim, colpevole dell'incidente e della conseguente morte del Maestro per vendicarsi e, trovandolo, lo uccide facendogli bere una coppa di latte avvelenato. Contemporaneamente, il capo dello zio, un malvivente di nome Bingo gli propone di prendere il posto dello zio. Così anche qui Walt fa carriera, aprendo un locale dal nome Mr. Vertigo (per ricordare le vertigine della lievitazione). Auster ci mostra sempre che con delle buone capacità di base, si riesce sempre a sfondare, in America (il mito del self-made-man). Ma fino ad un certo punto, che poi ci vuole anche intelligenza ed applicazione. Così Walt fa spesso carriera, poi si arena. Come qui, nel suo locale, dove si intestardisce dietro ad un giocatore di baseball in rovina, tanto che andrà fuori di testa, verrà internato in un campo di lavoro (da dove salterà la guerra). Alla fine della guerra stessa, lavorando presso un fornaio, incontra il suo grande amore, Molly Fitzsimmons. Che sposa e con la quale vive per 23 anni, purtroppo senza avere figli. Alla di lei morte, si da all'alcool. Salvato dai suoi amici anche da questo abisso, si avvia verso i luoghi della sua infanzia, dove ritrova la signora Witherspoon, che gestisce una catena di lavanderie. Ne diventa il contabile, rimanendo lì a Wichita sino alla morte anche della sua ultima amica. Dopo di che, si siede ad un tavolino e comincia a scrivere questa storia. Si vede quindi che è una storia tra l’ingenuo ed il reale, tra il vero ed il falso, attraverso cui si passa solo abbandonando un po’ i freni della razionalità. Ed alla fine, anche se leggibile, non mi ha convinto fino in fondo, lasciandomi perplesso sulle avventure di questi errabondi americani. Non è certo spiacevole, ma non certo mi commuove come vorrebbe la quarta di copertina.
“I fatti nudi e crudi sarebbero andati benissimo, ma sul momento non seppi resistere alla tentazione di esagerare … ero un uomo di spettacolo, e non ebbi cuore di mandare a casa deluso un pubblico tanto bendisposto.” (156)
“Io di lei mi innamorai perché mi fece sentire a mio agio, perché riportò a galla la parte migliore di me … Era gentile, non serbava rancore, mi sosteneva, e non cercò mai di trasformarmi in qualcuno che non ero.” (268)
Jean Echenoz “Correre” Adelphi euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 05/08/2014– I: 12/04/2015 – T: 14/04/2015] - &&&& e ½
[tit. or.: Courir; ling. or.: francese; pagine: 148; anno 2008]
Una vecchia segnalazione che mi portavo appresso dai tempi del supplemento dei libri di Repubblica, che ne parlò all'uscita della prima copia del romanzo in edizione non tascabile. E che io misi in un archivio dal significativo titolo “Aspettando l’Economica”. Ora che ha non solo un prezzo accettabile, ma è anche scontato, l’ho letto. E mi piaciuto molto. Non conoscevo l’autore, che scopro francese tra i sessanta e i settanta anni di età, con una scrittura asciutta, essenziale, ma che porta con sé tutto il carico di informazioni che ci deve dare. E che ci da in questo non lungo libro che racconta la biografia, ovviamente romanzata di un grande atleta, il moravo Zatopek. Echenoz aveva da poco finito di scrivere la biografia degli ultimi anni di vita del musicista Ravel, e stava cercando un soggetto nuovo. Confluenze di casualità lo portano alla scoperta di Zatopek (ed a far uscire il libro in concomitanza con l’inizio delle Olimpiadi di Pechino). Si parlava di romanzata, nella biografia, che ovviamente ci sono passi in cui Echenoz non può che usare la fantasia per raccordare gli avvenimenti. Per questo, non chiama il grande atleta con il suo nome vero, il ceco Emil, ma lo francesizza in Émile. Il giovane Zatopek lavora nella fabbrica di scarpe Bata, quando i tedeschi invadono la Moravia. La fabbrica organizza corse a piedi per pubblicizzare le scarpe. E, con i tedeschi occupanti, si organizza una sfida tra cechi e militari. Comincia così la carriera di corridore del nostro, un po’ malvolentieri, anche se comincia a vincere le prime corse sui 1500 e sui 3000 metri. Con uno stile poco ortodosso ma efficace. Il 24enne Zatopek, alla fine della guerra, viene inquadrato nell'esercito. E da lì inizia la sua carriera di corridore d’eccellenza. Prima nazionale, poi partecipa nel ’46 alla prima corsa europea, il Campionato d’Europa, dove arriva 5° nei 5000. Vince, e la sua carriera avanza. Diventa luogotenente e non ha più rivali in patria. Nei campionati nazionali incontra la giavellottista Dana, che diverrà sua moglie. Da qui la parte più esaltante della sua vita e della sua carriera. Siamo appunto alla fine del ’46, e da allora, per 10 anni, sarà il re incontrastato delle corse di fondo su pista e su strada. Vince l’oro ai 10000 e l’argento ai 5000 a Londra. Stabilisce i record mondiali su tutte le distanze dai 1500 ai 30 Km. Nel 1952, alle Olimpiadi di Helsinki realizza un record ineguagliato: vince l’oro nei 5000, nei 10000 e nella maratona. È un simbolo per il suo paese, ed è utilizzato dai russi come bandiera e propaganda. Ma non è un diplomatico, si lascia scappare frasi poco ortodosse, ed a poco a poco gli vengono negati i visti per gareggiare all'estero. E la sua corsa disordinata e selvaggia si scontra con l’astro nascente russo, Volodymyr Kuts. Zatopek sbuffava e respirava male, durante la corsa, tanto che veniva chiamato “La locomotiva umana”. Kuts era il metronomo: divideva la corsa in tanti micro-pezzi e li percorreva tutti alla stessa velocità. Dopo che a Melbourne non ottiene nessuna medaglia (quelle in pista le vince Kuts; la maratona il suo rivale di sempre, che aveva sempre battuto, il francese Alain Mimoun) decide di ritirarsi e di fare l’allenatore. La parte sportiva, data la mia passione per numeri ed altro, è quella che mi ha avvinto di più. Ma non si poteva lasciare Zatopek così, senza l’ultima e forse più significativa parte della vita, personale e politica. Ormai è un alto grado dell’esercito, e nel ’68 parla a favore della Primavera di Praga. Motivo per cui, al ritorno dei sovietici, viene destituito, radiato, mandato a lavorare nelle miniere d’uranio fuori Praga. Certo questa parte è controversa, ma credo non sia tutta “romanzo”. Echenoz, in ogni caso, ce la fa vivere con passione. Il rapporto sempre d’amore con la moglie Dana. Il ritorno dopo 6 anni a Praga a fare lo spazzino. La rivolta dei cittadini che lo riconoscevano. Fino a relegarlo nel posto di archivista al Centro Sportivo Ceco. Dove terminerà la sua vita, a 78 anni nel 2000. Un libro che mi ha emozionato. Per la parte sportiva, che conoscevo, ma che ripercorro sempre con piacere. Per la parte pubblica e privata, che non conoscevo, che fa venir fuori a tutto tondo un eroe del nostro tempo. Forse non il più fulgido, ma sicuramente una persona, nel suo piccolo, coerente ed amante del proprio paese. Non a caso, benché potesse rifugiarsi in Svezia dopo il ’68, decide comunque di rimanere nel proprio paese, nel bene e nel male. Un piccolo libro da leggere, e da meditare. Soprattutto per quella passione civile che dovrebbe essere comune a tutti. E non credo lo sia.
William Faulkner “Mentre morivo” Adelphi euro 10 (in realtà, scontato a 9 euro)
[A: 20/05/2014– I: 29/05/2015 – T: 03/06/2015] - &&& e ½  
[tit. or.: As I Lay Dying; ling. or.: inglese; pagine: 231; anno 1930]
Certo non è mai facile avvicinarsi ad un mostro (o maestro) della scrittura e disquisirne come fosse un qualsiasi scrittore che si avvicina alla carta stampata. Molto contesto viene fuori e difficilmente si riesce a separarlo dal testo. Semplice è quando il testo è talmente bello e ben riuscito che non si risparmiano lodi ed iperboli. Meno quando, pur con una sua intrinseca bellezza, soggettivamente contiene punti non chiari o non graditi. Come è per l’appunto questo magistrale scritto del grande premio Nobel delle pianure americane. Che è un bel libro. Ma (forse anche a causa delle difficoltà di traduzione) non immediatamente fruibile. L’ho dovuto prendere per mano, rigirare pian pianino, per arrivarne a capo. Perché scritto in capitoli soggettivi dei diversi personaggi. Con una bravura enorme a calarsi nelle modalità espressive di ognuno. Perché si capisce da alcuni passaggi come sia difficile rendere le diverse tonalità del verbo essere con cui si esprimono i personaggi principali, come l’intraducibile pezzo che riporto in calce pronunciato da Darl, quello un po’ ritardato. La trama, invero, sarebbe di una semplicità disarmante. Abbiamo la famiglia Bundren, tutta stretta intorno alla madre Addie, che sta morendo e che muore. C’è Anse, il marito, che pur di non chiedere qualcosa in prestito (per non sentirsi obbligato), fa scelte rovinose per la famiglia quando si tratta di seppellire la moglie morta. Ma forse, lo fa per avere i soldi per farsi una dentiera, e prendersi una nuova donna in casa, una volta morta Addie. E ci sono i figli. Cash, il maggiore, che è cascato da un’impalcatura e si è storpiato. È il falegname di casa, costruisce la bara per la madre, ma sarà ancora sfortunato durante il viaggio (si rompe di nuovo la gamba, e non viene curato, così che zoppicherà per sempre). Darl è il secondo, quello ritardato, che tuttavia ha intuizioni geniali, proprio per la pazzia di fondo che lo contraddistingue. Cercherà di “resuscitare” l’animo della madre. Cercherà di fermare la reale pazzia del padre di andarla a seppellire a Jefferson, cercando di bruciare bare e carri. E per questo verrà poi rinchiuso in un manicomio. Jewel è il terzo, che vediamo essere da subito diverso, più intransigente, più determinato. Scopriremo, nel corso del libro, che Addie lo ha avuto non da Anse ma dal pastore della Chiesa. E probabilmente Jewel alla fine se ne andrà. Quarta arriva l’unica femmina, Dewey Dell, diciassettenne “in calore”, che ha nella pancia il figlio di un vicino, che vorrebbe abortire ma non sa come fare, ora la mamma morta. E non lo farà. Infine, l’ultimo, il piccolo Vardeman, quello che guarda tutto con i suoi occhi innocenti. Quello che non capisce, e che per tutto il libro sogna un trenino rosso per Natale. Insomma, Addie la madre muore, ma comincia a piovere, le strade sono allagate, i ponti crollati. Ma Anse vuole portarla a Jefferson, e si parte. Loro sul carro, e Jewel a cavallo, quello che si è comprato con i suoi risparmi. Il guado del fiume non riesce, i muli muoiono, a stento salvano la bara, ma Cash si rompe la gamba di nuovo. Per prendere altri muli, Anse vende il cavallo di Jewel, suscitando un rancore insanabile. E finalmente a Jefferson, seppelliscono Addie, rinchiudono Darl, Anse prende una nuova moglie, Dewey Dell vende il suo corpo per aver soldi per l’aborto, senza riuscirci, Cash viene curato ma non guarisce. E Vardeman guarda tutto e tutti, pensando sempre al treno. Ma quello che risalta non è tanto e solo il narrato, che alla fine vien fuori quasi ad essere un racconto biblico, con tutti i suoi archetipi classici (il pesce che pesca Vardeman, il cavallo di Jewel, l’inondazione-diluvio, il rogo che purifica, Darl come capro espiatorio), né il tessuto dei rancori che covano tra i diversi membri della famiglia e che le difficoltà del viaggio fanno esplodere. Quello che risalta è quel “flusso di coscienza” collettivo della narrazione. Joyce ne aveva fatto un esempio eponimo nel suo Ulysses. Qui Faulkner lo moltiplica per enne, facendolo uscire da ogni personaggio, dove alla fine la narrazione risulta non direttamente, ma quasi da un contrappunto polifonico, come una grande sinfonia. Ma se in questo maestro è lo scrittore, io lettore ne sono a volte travolto, forse “annientato”. Anche se, alla fine, il dipinto di un tipico vissuto del profondo sud americano esce fuori, e con forza. Bello per la testa, un po’ duro e difficile per il cuore e la pancia.
“E dato che il sonno è non-è e la pioggia e il vento sono erano, non è. Eppure il carro è, perché quando il carro sarà era, Addir Bundren non sarà. E Jewel è, così Addie Bundren deve essere.” [And since sleep is is-not and rain and wind are was, it is not. Yet the wagon is because when the wagon is was, Addie Bundren will not be. And Jewel is, so Addie Bundren must be.] (74)
“Fu allora che capii che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai a quello che tentano di dire.” (154)
Prima domenica di ottobre, ed eccoci qui con la solita lista relativa la mese di luglio. Quattordici libri, letti con la dovuta calma di un mese altrettanto calmo. Illuminati da tre diverse buone prove: il giallo italiano di Paolo Roversi, il romanzo di Sylvia Plath ed il saggio (magistrale) sul riordino della giapponese Kondo. In fondo, l’inutile libro del maliano Konaté, e quando ne leggerete capirete perché.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Marie Kondo
Il magico potere del riordino
Vallardi
s.p.
4
2
Andrea Camilleri
Inseguendo un’ombra
Sellerio
14
2
3
A.M. Homes
The Safety of Objects
Perennial
13,50
2
4
Sylvia Plath
La campana di vetro
Mondadori
9,50
4
5
Georges Simenon
I Maigret – 2
Adelphi
s.p.
3
6
Diana Lama
La sirena sotto le alghe
Sole 24 ore  Noir
6,90
3
7
Paolo Roversi
L’ira funesta
Corriere della Sera
6,90
4
8
Eva Cantarella
Itaca
Feltrinelli
s.p.
3
9
Rosa Cerrato
La maman di Via del Campo
Sole 24 ore  Noir
6,90
3
10
Moussa Konaté
L’impronta della volpe
Repubblica MondoNoir
7,90
1
11
Evelyn Waugh
Una manciata di polvere
Bompiani
9,50
2
12
Agata Christie
Delitto in cielo
Corriere della Sera
6,90
3
13
Anne Perry
I dannati del Tamigi
Mondadori
4,90
3
14
Marco Bettini
Polvere rossa
Sole 24 ore  Noir
6,90
3


Nonostante sforzi e tentativi di spiegazioni con i capitani avventurosi, niente si profila al nostro travagliato orizzonte. E capita forse anche qualcosa d’altro per una settimana intensa che si pensava dedicare a cose più amene. Ma è tempo di castagne e gli animi si rallegrano.

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