Comincia con questa lunga trama
una lunga visitazione dei fondamenti del giallo. Ho fatto un percorso vario e,
personalmente, approfondito su due dei tanti “maestri” (o “maestre”) del
genere: Agatha Christie e Georges Simenon. In questa prima trama prendiamo in
esame la grande scrittrice britannica, dalla giovinezza avventurosa e poi dalla
facile penne e dalla grande inventiva. Ho cercato anche di mantenermi il più
cronologico possibile, proprio per evidenziare l’evoluzione della scrittura e
della resa degli scrittori. Non è un caso quindi che questi primi cinque
scritti (data la massa di volumi che i nostri hanno scritto, per non tenervi
occupati per anni, prendo in esame cinque libri per volta) hanno tutti una più
o meno buona sufficienza, meno (e come non aspettarselo) l’unico libro di
racconti.
Agatha Christie “Poirot a
Styles Court” Mondadori s.p. (biblioteca di Tolemaide)
[A: 07/05/1996 – I:
30/04/2015 – T: 02/05/2015] - &&&
[tit. or.: The Mysterious
Affair at Styles; ling. or.: inglese; pagine: 224; anno 1920]
Sfruttando una duplice occasione
ho ripreso in mano e letto a tamburo battente il primo libro della grande
giallista inglese. Le due occasioni sono la necessità di svuotare la libreria
di Tolemaide, ad altre destinazioni avviata, recuperando libri per me e per la
mia genitrice-lettrice. Il secondo e più prosaico avvenimento è l’inizio di una
lunga sequela di libri dedicati ad Agatha Christie, in quasi totalità
provenienti dall’esimia collana pubblicata dal Corriere della Sera. Ma come
privarsi del piacere di ripercorrere almeno le tappe salienti della grande
signora del giallo, capostipite e progenitrice ideale di una lunghissima
schiera di scrittori e scrittrici. E non è un caso che in parallelo vada
spulciando nell’enorme produzione del padre di Maigret, che, casualmente, vede
muovere i primi passi un po’ dopo Poirot, ma parallelamente a Miss Marple, come
vedremo in seguito. Pur se edito solo nel 1920, questo romanzo viene scritto
quattro anni prima, a seguito di una scommessa di Agatha con la sorella, se
fosse stata capace di scrivere un libro pubblicabile. E gli echi del 1916, si
sentono, anche se indirettamente. Poirot infatti è belga, e fugge dalla patria
durante l’invasione tedesca dell’inizio della prima guerra mondiale. Ispettore
in patria, si trova qui a far da spalla alla polizia inglese, per poi, a valle
di questa prima uscita, a fare per una serie di anni da investigatore privato. In
questa prima uscita viene tirato in ballo dal suo amico, il capitano Arthur
Hastings che soggiorna a Styles Court (maniero realmente esistente che riprende
il nome della prima casa in cui visse la scrittrice con il suo primo marito)
invitato dal suo amico John Cavendish. Una notte la matrigna di John, Emily
Inglethorp muore avvelenata e Hastings chiede aiuto a Poirot. Le indagini di
Poirot restringono ben presto il campo tra il marito fedifrago, Alfred, ed il
figliastro John. E soprattutto sul primo si accentrano i sospetti: viene
accusato da Evelyn, la dama di compagnia di Emily, ed inoltra si scopre che
potrebbe aver acquistato della stricnina nel villaggio. Ma non avrebbe avuto
modo di somministrarlo alla moglie, come argutamente dimostra Poirot. La
polizia allora appunta i sospetti su John, il maggior beneficiario del
testamento. Alla fine del romanzo Poirot dimostra, rovesciando le premesse, l’innocenza
di John e la colpevolezza di Alfred. Questi ha organizzato il tutto con l’aiuto
di Evelyn, sua cugina nonché sua amante, quindi solo in apparenza la sua nemica
giurata. La coppia ha utilizzato uno stratagemma chimico mescolando bromuro e
stricnina, il tutto risultante in una miscela letale, ma a scoppio ritardato.
Il piano della coppia prevedeva che Alfred fosse incriminato con delle false
prove, che potevano essere facilmente confutate in tribunale. Una volta
assolto, grazie ad un cavillo della legislazione inglese, non avrebbe potuto
essere processato per lo stesso reato una seconda volta, anche se fossero state
trovate delle vere prove contro di lui. Come spesso nelle prime novelle da lei
scritte, la storia è narrata in prima persona. Questa volta dal capitano
Hastings, che per anni collaborerà con Poirot. Inoltre è piena di elementi che
diventeranno archetipi della letteratura gialla: l’azione si svolge in un luogo
grande ed isolato, ci sono almeno sei o sette possibili sospetti, ognuno che
nasconde elementi che potrebbero far pendere la bilancia della giustizia da una
parte e dall’altra, ci sono false piste e colpi di scena a sorpresa. Pur se
ancora con scrittura acerba, dovuta all’età (ha 26 anni quando lo scrive) ed
imbevuto di modi tipici dell’epoca ma forse ormai superati, mantiene a quasi
cento anni di distanza la capacità di tenerci vicini alla pagina, aspettando il
prossimo colpo di scena. O lo scioglimento della vicenda, che arriva proprio in
ultimo, e che, per come viene posto, prende un po’ in contropiede. Che dire, un
degno inizio di una luminosa carriera.
Agatha Christie “Il mistero del Treno Azzurro” Corriere della Sera 10
euro 6,90
[A: 07/10/2014– I:
01/05/2015 – T: 03/05/2015] - &&& e ½
[tit. or.: The
Mystery of the Blue Train; ling. or.: inglese; pagine: 315; anno 1928]
Dato che Mrs. Christie ha scritto
66 romanzi ed un numero imprecisato di racconti, non ne andremo a spulciare
tutti, ma solo la trentina della collana. Quindi, dopo il doveroso omaggio al
debutto su carta di Hercule Poirot, saltiamo qualche episodio, tra cui il
magistrale “L’assassinio di Roger Ackroyd”, che fortunatamente ho letto prima
della nascita delle trame. Altrimenti sarebbe forse l’unico di cui non
spenderei più di una parola: leggetelo (che io non ve ne parlerò mai)! E ci
ritroviamo sul treno blu che collega Parigi alla Costa Azzurra, ed a tutti i
suoi misteri. Qui per la prima volta ci troviamo ad un narrato in terza
persona, ed anche la storia, così rappresentata, scorre meglio. Ci vengono
presentati gli attori: un miliardario americano che compra un favoloso rubino
che regalerà alla figlia, figlia sposata ad un arrivista (forse poi non tanto
malvagio, certo scapestrato), il di lei marito, appunto, con tanto di amante
senza scrupoli, un ladro internazionale che si aggira per rubare il rubino, un
“gagà” che ruba lo stolto cuore della di sopra citata figlia, il segretario del
miliardario, sempre un po’ troppo presente, una trentenne ereditiera poco adusa
ai soldi (che guarda caso viene da St. Mary Meads, che sarà teatro delle gesta
di Miss Marple). Per fortuite coincidenze (Rufus il miliardario convince la
figlia Ruth a divorziare dallo scapestrato Derek Kettering, questa decide di
raggiungere Armand l’amante, il marito li segue), quasi tutti gli attori,
inclusa l’ereditiera Katherine ed un “pensionato” Hercule Poirot si ritrovano
sul “Treno Azzurro” che da Parigi li porta in Costa Azzurra. Dove arrivano
tutti, meno Ruth, che viene trovata uccisa, ed il rubino, che viene rubato.
Come al solito, la scrittrice si dilunga in descrizioni e digressioni, che
sembrano talvolta servire ad allungare il brodo del racconto, mentre, a ben
vedere, sono utilizzati per disseminare di indizi la narrazione. Così che il
lettore attento può cercare di stare al passo con Poirot, e magari provarsi a
bruciarlo nel finale. Io avevo ipotizzato il possibile colpevole, ma non ne
avevo prove valide, così ho proseguito imperterrito a seguire i ragionamenti di
Poirot. E della polizia, che è convinta della colpevolezza di Derek, che non sa
spiegare i suoi movimenti sul treno, dove viene però visto da Katherine entrare
nello scompartimento della morta, e dove viene trovata una sigaretta marcata
con una “K”. C’è poi un misterioso uomo, che la cameriera di Ruth dice aver
visto con lei a Parigi, ma che poi scompare. Una volta esaurite le possibilità
di ragionamento, Poirot convince tutti, anche Rufus ed il segretario Knighton,
a riprendere il treno e ripercorrere il viaggio da Parigi a Nizza. Una volta
arrivati a Lione, tuttavia, su ordine di Poirot, la polizia, nascosta in uno
scompartimento comunicante con il suo, arresta Knighton. L’investigatore
rivela, dunque al miliardario la reale versione dei fatti: ad aver assassinato
Ruth non era stato altri che Knighton con la complicità della cameriera, il cui
vero nome è, infatti, Katy Kidd, ex attrice e Knighton è, in realtà, un
efferato criminale noto con lo pseudonimo di “marchese”. Desideroso di appropriarsi
dei rubini, Knighton, aveva progettato l’assassinio di Ruth. Durante il viaggio
era, dunque, salito sul treno in una delle numerose fermate che precedono
Parigi, aveva ucciso Ruth e aveva prelevato i rubini, per poi scendere.
Successivamente, la finta cameriera, vestita come la signora Kettering, aveva
fatto credere che Ruth fosse ancora viva. Giunta, poi, a Lione, vestita da
uomo, era scesa dal treno e ne aveva preso un altro per arrivare a Parigi.
Interrogata dalla polizia, la donna, aveva poi, inventato numerosi dettagli
sullo svolgimento dei fatti e il complice aveva, successivamente, confermato il
suo alibi. Peccato che la “K” della sigaretta si riferisca a quelle fumate da
Knighton. Non particolarmente danneggiato da una lunghezza forse non giustificata,
la scrittura è qui più scorrevole, più coinvolgente. E l’idea di fare tutta una
descrizione, e poi ripercorrerla, con Poirot che spiega passo dopo passo gli
avvenimenti è degna delle migliori regole del giallo. Alla fine una lettura
onesta, un po’ sopra la media, anche se comincio a pensare che questi primi
romanzi siano un po’ troppo datati. Vedremo.
Agatha Christie “I Sette Quadranti” Corriere della Sera 27 euro 6,90
[A: 05/02/2015– I:
07/05/2015 – T: 11/05/2015] - &&& -
[tit. or.: The Seven
Dials Mystery; ling. or.: inglese; pagine: 286; anno 1929]
Dopo la lettura di due libri con
Poirot, ed in attesa di leggere il primo libro con Miss Marple, ecco un nuovo
giallo con dei protagonisti diversi. Il personaggio investigativo, che compare
qui ed in alcuni altri scritti, è il sovraintendente Battle, anche se poi in
questo libro la parte centrale di ricerche e scoperte è affidata a Lady Eileen
Brent detta “Bundle” (fagotto, nel senso che non bada troppo al vestire). La
trama, quando non ci sono i due eroi, sembra abbastanza complicata, forse per
tener desti i lettori. Ma la complicazione invece va un po’ a scapito della
chiarezza, anche se, ed in questo Agatha è maestra, alla fine la trama si svela
nella sua pienezza. Qui siamo di fronte ad un mistero di spionaggio e di furto
di informazioni, che coinvolge il Ministero degli Esteri, e tutta una serie di
personaggi che vi ruotano intorno. C’è Bundle appunto. Poi c’è il giovane
attaché Bill, due altri giovani a loro vicini, Gerry e Ronny; la sorellastra di
Gerry, Loraine, ed il giovane sfaccendato ma pieno di risorse Jimmy. Ma prima
di arrivare al nocciolo del problema si dovranno affrontare molte pagine.
Durante un lungo week-end nel maniero di Chemnys, il giovane Gerry, che si alza
sempre tardi, è vittima dello scherzo degli orologi: gli vengono posti dagli
otto amici, otto sveglie puntate alla mattina presto. Questo delle sveglie è il
motivo che da origine al titolo, in quanto “dials” significa anche quadrante
dell’orologio, ed in seguito vedremo che è anche il nome di una strana
confraternita. Peccato che al mattino Gerry non si svegli affatto, in quanto
deceduto per un eccesso di un sonnifero (il cloralio, che per gli amanti della
storicità, era la droga cui si era assuefatto Dante Gabriele Rossetti). Tornata
nella sua magione, Bundle scopre una strana lettera di Gerry alla sorella dove
si parla di “Sette Orologi”. Vuole parlarne all’amico Bill, ma per strada si
imbatte in Ronny, moribondo per un colpo di fucile, che spirando parla anche
lui di sette orologi e di Jimmy. Bundle allora si reca a Londra per parlarne
con Jimmy, dove incontra anche Loraine. I tre decidono di indagare sulle morti
misteriose, e Bundle inizia parlandone con Bill, che le rivela i “Sette
Orologi” siano un covo malfamato londinese. Bundle ne parla anche con il
poliziotto Battle, che non le è d’aiuto. Andando nel night-club, Bundle
riconosce il portiere come uno dei camerieri presenti al party, poi scomparso,
e ricattandolo si fa nascondere nella stanza dove si riuniscono strani individui,
guidati, pare, dal magante russo Mosgorovsky. Dove ascolta i presenti
concertare qualcosa di losco, ma, nascosta, non li può vedere. Quelli che si
capisce è l’interesse di tutti per un party organizzato dal Ministero degli
Esteri, dove un tale Eberhard dovrebbe mostrare i progetti di una mirabile
invenzione innovativa in campo bellico, per rendere meno costosi e più
affidabili gli aeroplani. Bundle e Jimmy pianificano quindi il loro intervento,
non invitati alla presentazione. Dove ci sono tutti, compressa una misteriosa
contessa ungherese, Bill, nonché il Sovrintendente Battle mascherato da
cameriere. Jimmy e Bill, intuendo che il ladro ha solo una notte per agire,
decidono di fare guardia a turno. Mentre Bill dorme, Jimmy sente un rumore e va
nella salone dove dovrebbero stare i piani segreti. All’esterno del salone
Bundle che cerca anche lei di fare la guardia, si imbatte in Battle, che la
convince a ritirarsi. Ma tornando in stanza, lei scopre che Jimmy è scomparso.
Si mette alla ricerca di Bill, e si accorge che anche la contessa è scomparsa.
A quel punto si odono degli spari. Anche Loraine si stava avvicinando alla
magione, sempre nell’intento di aiutare nell’indagine. Ed udendo i colpi si
china e scopre un pacco misterioso. Lo prende e scappa, ma si imbatte in
Battle, e tutti insieme accorrono nella biblioteca, dove trovano Jimmy colpito
da un colpo di pistola al braccio. Nella stanza c’è anche la contessa svenuta.
La formula scomparsa, ma è ritrovata da Loraine nel misterioso pacco del
giardino. Dopo alterne vicende, in un altro party, la formula viene finalmente
rubata, ma Bundle sembra vicina a qualche scoperta. Bill allora va da Jimmy
svelando misteriosi indizi inviatigli da Ronny prima di morire. decidono allora
di andare tutti, con Loraine e Bundle, ai “Sette Quadranti”. Dove prima sviene
Bill, poi, mentre Bundle cerca di rianimarlo, anche lei viene colpita e perde i
sensi. Ma siamo nel finale, e quando si risveglia, Bundle si trova attorniata
da Battle, Mosgorovsky ed altri individui che le svelano il mistero. Sono loro
la confraternita, e sono loro che combattono i cattivi, laddove non riesce a
farlo la polizia. Per questo hanno messo in moto tutta questa messinscena per
stanare ed arrestare … Certo non vi dirò l’ultimo tassello. Ma solo che finisce
tutto in gloria, con la richiesta, da parte di Battle, che Bundle entri anche
lei a far parte dei “Sette”. Come vedete la trama è ben complicata, ma
gradevole e scorrevole. Non mette molto sull’avviso il lettore, che altrove la
nostra scrittrice sfida per vedere se si riesca a risolvere gli enigmi prima
dell’investigatore. Bisognerà però aspettare ben dieci anni per vedere Battle
tornare sulla scena, perché sta per irrompere Miss Marple, e Poirot sta per
avere una serie lunghissima di avventure da protagonista. Alla fine, una
lettura buona anche se al limite della sufficienza.
Agatha Christie “La morte nel villaggio” Corriere della Sera 22 euro
6,90
[A: 27/12/2014– I:
02/06/2015 – T: 04/06/2015] - &&& +
[tit. or.: Murder at
Vicarage; ling. or.: inglese; pagine: 294; anno 1930]
Ed eccoci finalmente alla prima
uscita in un romanzo della fantomatica Miss Marple che tanta fama darà alla
nostra scrittrice. Erano già usciti alcuni racconti, che saranno solo
successivamente raccolti in volume e ne parlerò a suo tempo. Qui, abbiamo tutto
un libro incentrato sulla signora, sui suoi metodi di ragionamento, nonché
sulla piccola cittadina di S. Mary Mead. Un microcosmo, come lo definirà Miss
Jane Marple (che questo è il suo nome completo, come impareremo dal nipote Raymond),
un universo in cui i piccoli avvenimenti tra le diverse tipologie di abitanti
prefigurano i grandi avvenimenti anche delle città. C’è la parte religiosa,
costituita in genere da un prete protestante sposato, a volte con figli. C’è la
polizia locale, normalmente inetta come quasi tutta Scotland Yard, almeno nella
maggior parte degli scritti di Agatha. C’è il circolo delle “allegre comari”,
signorotte locali dedite al pettegolezzo ed al cucito. A volte c’è anche un
lord con magione avita. Spesso ci sono coppie di passaggio, in genere male
assortite, artisti ed altra varia umanità. Intanto, tiriamo un po’ le orecchie
ai traduttori che non si capisce perché abbiano tradotto “Vicarage” con
villaggio e non con canonica. Dato anche che l’assassinio avviene proprio nella
canonica. E che tutto il libro è narrato in prima persona proprio dal canonico
Clement. Nella cui casa viene infatti trovato, ucciso da un colpo di pistola,
il burbero colonnello Proterhoe, che nessuno, neanche Clement, poteva
sopportare. Molte sono le trame che si annodano intorno alla morte. C’è un
pittore, Lawrence Redding, a lungo in litigio con il colonnello per un ritratto
osé della figlia di questi, ma che in realtà è l’amante di Anna la moglie del
colonnello. C’è ovviamente Anna. C’è Lettice, la figlia del colonnello, che
questi tratta sempre rudemente. C’è Archer, un bracconiere che il colonnello
aveva condannato in qualità di giudice locale, e che è appena uscito di
prigione. E la di lui fidanzata Mary, nonché domestica del canonico. C’è la
signora Lestrange, una misteriosa donna da poco trasferitasi nella cittadina.
C’è il curato Hawes, che probabilmente è coinvolto nel furto di alcuni fondi
della chiesa. C’è il dr. Stone, un archeologo che scava resti antichi nella
campagna del colonnello. E la di lui segretaria, la giovane Gladys. C’è infine
ilo dr. Haydock, il medico del villaggio, che sembra, unico, conoscere i
misteri di Mrs. Lestrange. La nostra Miss Marple sta nell’ombra, guarda e
collega i fatti. All’inizio è proprio Lawrence che si autoaccusa dell’omicidio,
tra l’altro effettuato con la sua pistola. Ma il gesto, complice anche un
possibile alibi del giovane, non convince. Anche perché è seguito dalla
confessione dell’amante Anna, fatta per salvare il pittore. Ed anche qui, le descrizioni
che i due danno, ed il fatto che la bella Anna andasse in giro senza borsa,
quindi non potendo nascondere una pistola, fanno sì che Miss Marple convinca la
polizia a cercare altrove. Anche perché il colonnello stava per fare il nome
del ladro dei soldi ecclesiastici. Che ovviamente è il curato Hawes, che cerca
di uccidersi (o forse si cerca di uccidere), elemento che fa spostare su di lui
il mirino poliziesco. Ma non ne avrebbe avuto il tempo. Tempo che invece si
scopre poteva avere il dr. Stone, che non è un archeologo, ma un ladro che
tenta di rubare l’argenteria del colonnello. Ma fugge prima di essere
arrestato. Potrebbe allora essere proprio Mrs. Lestrange, che il dottore
confessa essere la prima moglie del colonnello, venuta per rivedere la figlia
Lettice, cosa che il colonnello le nega. Ha ragione quindi Miss Marple ad
elencare sette possibili sospetti, tutti con motivi validi, ma con difficoltà
di conciliarli con i tempi dell’uccisione. Sarà la casuale scoperta di un vaso
di fiori non innaffiato che farà emergere la diabolica trama ordita dagli
amanti, e debellata alla fine dalla nostra investigatrice. La trama è
sicuramente ben congeniata, ed avvolgente, come spesso accade in Agatha
Christie che fa nascere colpi di scena, che svia l’attenzione, per poi
riportarla su particolari minimi, ma illuminanti. Peccato che il meccanismo
ricalchi leggermente quello del primo romanzo della nostra, poco sopra tramato.
Quel meccanismo di “ne bis in idem” che anche qui, seppur velatamente, gli
amanti cercano di sfruttare. Sembra come che Agatha voglia fare un parallelo,
pur molto lontano, tra Poirot e Miss Marple, mettendoli in situazioni di
consimile fattura. Per la mia sensibilità di lettore, tuttavia, il belga, per
ora, mi è più simpatico dell’arzilla vecchietta. Che rimane molto, forse
troppo, legata agli stereotipi della letteratura ottocentesca anglosassone
della descrizioni campagnole e delle vicende in punta di tombolo. Poco sopra la
sufficienza, quindi.
Agatha Christie “Miss Marple e i tredici problemi” Corriere della Sera
16 euro 6,90
[A: 15/11/2014– I:
02/06/2015 – T: 05/06/2015] - &&
[tit. or.: The
Thirteen Problems; ling. or.: inglese; pagine: 232; anno 1932]
Nel
1932 vengono riuniti in volume una serie di racconti pubblicati tra il 1926 ed
il 1931, in cui la nostra Miss Marple la fa da padrona. In questo modo la
nostra scrittrice comincia a delinearne i caratteri definitivi. Ambienti di
provincia, racconti a chiave, descrizioni. Miss Marple così si impone sulla
scena, anche se bisognerà aspettare altri dieci anni per avere un romanzo
interamente dedicato a lei (che poi in totale avremo 12 romanzi e 20 racconti
in cui l’arzilla vecchietta sviluppa le sue capacità deduttive). Questi 13
problemi sono poi divisi in tre tronconi. I primi 6 andarono sotto il titolo di
“Club del Martedì” dove sei personaggi si riuniscono per proporre a turno un
mistero da risolvere. I secondi sei si svolgono un anno dopo con le stesse
modalità, ma con personaggi diversi, a parte Miss Marple e l’ex-commissario di
Scotland Yard sir Henry Clithering. L’ultimo è invece un avventura con solo
Miss Marple e Sir Clithering. Quindi, Miss Marple è sempre presente, perché
sarà lei che risolverà i tredici “Misteri”. Così come presente è sir Henry
Clithering, in funzione di io narrante. Curiosa la composizione dei due
quartetti: nel primo ci sono Raymond, scrittore e nipote di Miss Marple, il
canonico dr. Pender, l’avvocato Petherick ed una donna giovane, quasi fuori
luogo, l’attrice Joyce Lemprière. Nel secondo ci sono invece il colonnello
Bantry e signora, il medico dr. Lloyd ed anche qui, una giovane donna anche lei
un po’ smarrita, l’attrice Jane Helier. Tuttavia non è particolarmente
importante l’analisi di ogni singolo racconto, altrimenti dovrei ripetervi
tutto il libro (che come avete visto non è che mi sia piaciuto gran che).
Meglio sarebbe addentrarsi negli schemi narrativi di questi racconti, tutti con
un che ti legato alla persona che ne narra (come detto sopra). Una morte per
avvelenamento d’aragosta in scatola, che poi invece era il dolce al cianuro. Un
uomo pugnalato senza aver nessuno vicino. Un rapimento senza scopo di riscatto,
forse simulato. Una coppia diabolica che uccide per ereditare. Un testamento
scritto con l’inchiostro simpatico. E per finire la prima sestina, un nuovo
avvelenamento forse da pesce, ma poi risolto dalla nostra collegando una parola
inglese alla malattia mentale di uno dei protagonisti. Come vedete in questi
primi sei ricorre, come spesso in Miss Marple, l’elemento “inusitato”. Come può
l’aragosta essere stata avvelenata? Come può il tizio avere un pugnale nel
costato? Ed ogni volta, mentre tutti brancolano nel buio, Miss Marple collega
un pezzo qui ed uno là, ricostruisce, interpreta e spesso (ma non sempre) spiega.
Come invece spiega il mistero dei gerani dipinti al muro, cui i fumi del
potassio avvelenato fanno virare al color blu. Ed anche se in ritardo, spiega
la morte di una signorina come vendetta venuta da lontano, ricalcando però il
motivo narrativo della coppia diabolica (qualcuno che si fa passare per altro,
giocando sulle scarse conoscenze delle persone intorno). Più intrigante la
storia di Sir Clithering, che non può che essere legata allo spionaggio, in cui
un messaggio cifrato viene inviato attraverso un catalogo di giardinaggio. E
quando Agatha si appassiona ad un elemento, ecco che te lo ripropone in tutte
le salse. Qui siamo al terzo “travestimento”, in cui l’amante dell’assassino si
traveste da “morta” per dargli un alibi, ed è smascherata da un piccolo
particolare (che ovviamente non vi dico). Nel successivo ritornano invece i
temi dell’avvelenamento da digitale, con un anziano geloso che compie le sue
malefatte mitridatizzandosi. L’ultimo racconto è molto confuso nella
descrizione (non a caso proviene dalla frivola attricetta) che imbastisce una
complicata storia di amanti, furti e gioielli. Storia che Miss Marple
facilmente smonta: non è realtà, ma un’idea dell’attrice per punire un suo
ex-marito. Arriviamo così al tredicesimo problema, e questa volta in stile
completamente diverso: c’è una morta, un presunto assassino, Miss Marple è
convinta di sapere chi sia il reale colpevole, ma non ha le prove, quindi
scrive la soluzione su di un biglietto e lo da a Sir Henry. Sarà lui ad
indagare sulla morte di Rose, sul suo amante Rex, sul suo spasimante Joe e
sulla vedova Bartlett. Miss Marple non compare, ma alla fine il nome del
colpevole è quello sul suo “pizzino”. Insomma come vedete, molte piccole
vicende, ma tutte abbastanza sterili (alcune inutili come quella dell’attrice).
Una prova in minore, sperando in meglio per la nostra investigatrice (anche se
non è che ci stia simpaticissima, come ho già avuto modo di dire).
Come
promesso la settimana scorsa, con una settimana di ritardo, vi allego anche una
piccola medicina sulle modalità di convivere (o di sbarazzarsi) dei fantasmi.
Mentre
mando gli auguri alla mia cara mamma, assidua lettrice dei miei gialli, per i
suoi oltre novanta, mi accingo a porre armi e bagagli al servizio del prossimo
viaggio. Che si parte a fine mese, di nuovo India, anche se verso Mumbai e non
verso Kolkata (e prima o poi, perché non il Kerala?).
CURARSI CON I LIBRI di
Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
OTTOBRE 2015
Ottobre, cominciano i primi
freddi e quella festa insopportabile di Halloween si avvicina. Allora come
resistere ad uno scritto che cerca di spiegarci come sopravvivere con i
fantasmi?
FANTASMI, ESSERE TORMENTATI DAI
Susan Hill “La donna in nero”
Toni Morrison “Amatissima”
Se
pensate di essere tormentati dai fantasmi, il primo problema potrebbe essere
convincere gli altri a prendere sul serio la vostra situazione. Se questo è il
caso, fate leggere a tutti “La donna in nero” di Susan Hill. Ambientato a Eel
Marsh House, una dimora solitaria che due volte al giorno la marea isola dal
resto del mondo, il romanzo racconta di come un fantasma molto amareggiato tormenti
Arthur Kipps, l’avvocato chiamato a risolvere la questione dell’eredità della
proprietaria della tenuta, recentemente scomparsa. Questo libro vi farà
scendere più di un brivido lungo la spina dorsale, e se non farà nulla per
curare voi, di sicuro convincerà i vostri amici ad ascoltare la vostra storia,
con gli occhi sbarrati.
Per
voi, invece, raccomandiamo “Amatissima”, il romanzo per cui Toni Morrison ha
vinto il Nobel. Sethe è un ex schiava che vive con Denver - la figlia
adolescente – e il fantasma di un’altra figlia morta. Sethe si è ormai abituata
alla presenza di questo spirito dispettoso che manda in frantumi gli specchi,
lascia impronte di mani di bambina sulla glassa delle torte ai compleanni e
chiazze rosse sulla soglia che i visitatori devono attraversare per entrare In
casa. La maggior parte delle persone, in realtà, si tiene alla larga dalla casa
e dai suoi occupanti. Quando Paul D, un vecchio amico di Sethe, ricompare dopo
diciotto anni, il fantasma sembra trovare pace, almeno finché non si ripresenta
in forma umana.
Amatissima
viene fuori dal fiume come un’adulta completamente vestita e passa qualche
giorno a raccogliere le forze per aprire gli occhi, mentre il suo vestito si
asciuga e la sua pelle perfettamente liscia si abitua al sole. Ha una voce
particolarmente bassa, è sempre assetata e sembra possedere una forza
sovrumana, che le fa sollevare la sorella maggiore con una sola mano.
Amatissima, tuttavia, non è una forza positiva: si nutre dell’amore di sua
madre come del latte, che per lei non era mai abbastanza. Allontana Paul da
Sethe, e nel frattempo lo costringe, contro i suoi desideri e contro ogni
buonsenso, a «toccarla sulla parte interna». Si nutre di vita come una mosca
della carne. Sappiamo che non può durare. Sethe ha in sé quello che serve
affinché Amatissima trovi davvero la pace – ma prima deve ammettere con se
stessa una scomoda verità.
Fatevi
coraggio, voi che siete tormentati dai fantasmi. Non solo è possibile
affrontarli, con loro si può anche parlare, discutere, si possono addirittura
amare. Se il vostro fantasma vuole venire a vivere con voi per un po’, spendere
tutti i vostri soldi e allontanare i vostri cari così sia. Quando si sarà
sfogato, potrete rimetterlo al suo posto.
Bugiardino
Non ho letto, né conosco (non
sono mica onnileggente) Susan Hill, che salto a piè pari. Mentre ho letto e ne
ho scritto un anno fa di Toni Morrison e del suo più famoso libro, che mi è
piaciuto, anche se non tanto quanto mi aspettavo.
Toni Morrison “Amatissima” Pickwick euro 10,90
[pubblicato il 2 agosto 2015]
Saranno più di venti anni che la
mia amica Cristina cerca di convincermi a leggere gli scritti del Premio Nobel
1993, l’americana Toni Morrison. E per una somma di motivi (stanchezza, casualità
ed altro) avevo fino ad ora tralasciato questa potente scrittura nero
americana. Preso ora da voglie di recupero di tanti testi passati (ma non
invano) ho preso e letto questo scritto, tra l’altro Premio Pulitzer nel 1988.
Che dire? Non è un testo facile, né una lettura che lascia indifferenti. Anche
se, appunto, è pieno di citazioni e rimandi alla storia americana, non sempre decifrabili
da noi poveri d’oltreoceano (e ringrazio per le esaurienti note al testo). Ed
è, soprattutto, una scrittura personalmente ostica, che rimanda molto (pur con
i dovuti distinguo) ad alcune belle prose sudamericane, con voli nello spazio e
nel tempo, con sogni, son invenzioni ed irrealtà difficili da comprendere. Una
specie di “flusso di coscienza” collettivo, che ci porta in pieno Ottocento
americano, e per la precisione, nel pieno della metà del Secolo. Con tutte le
lotte tra neri e bianchi, e tra bianchi e bianchi, che quell’epoca provocò la
schiavitù. La Morrison, dobbiamo senz’altro dargliene atto, dà voce, e che
voce, ai neri, tirando fuori, ad una ad una tutti i soprusi, gli abusi, le
negazioni dell’individuo che l’epoca schiavista portò alla luce. Lo fa
attraverso la storia di Sethe (tra l’altro lo spunto è una storia vera, qui
romanzata e portata ad epigono di un momento storico), dei momenti della sua
schiavitù, della fuga, del carcere, della libertà, dell’angoscia, e di un
finale forse non allegro, ma forse speranzoso e non più disperato. La
difficoltà, dicevo, è che il racconto non è lineare, ma va a balzi, passa da un
personaggio all’altro, il quale ci porta i suoi pensieri, i suoi ricordi, di
modo che, certo, alla fine, si potrà avere una pittura completa, ma bisogna
prestare attenzione a tutti i passaggi (e non è un caso che ho impiegato più
tempo a leggerlo e capirlo). Quindi da una parte c’è la storia come la possiamo
ricostruire: Sethe è schiava in una piantagione dove non conosce sua madre,
dove deve scegliersi un compagno nero che possa dare figli schiavi al padrone
(sempre indecisa tra due, Halle e Paul D), nelle grazie dei padroni (più umani
di loro simili negrieri) finché uno muore e la signora si ammala e cerca aiuto
in un nuovo gestore della piantagione. Questo sarà come la quasi totalità degli
schiavisti, pieno di rancore verso i neri (ma perché non si capisce),
consentirà lo stupro di Sethe da parte del nipote, metterà ferri e catene ai
neri validi per età. Tanto che un gruppo cerca di fuggire. Halle sembra
scomparire. Paul D viene ripreso, messo alla catena, e solo dopo mille
traversie riuscirà ad arrivare a Cincinnati. Sethe ed i suoi tre figli più la
piccola che ha in pancia arrivano per primi a casa della madre di Halle (che
questi aveva riscattato). Ma il cattivo padrone li ritrova e mentre sta per
prenderli, per non essere di nuovo ridotta in schiavitù, Sethe uccide la figlia
piccola. Tutto si ferma allora. La prendono, la processano, la giudicano pazza.
Poi tornerà dalla nonna, in una casa piena dei fantasmi della figlia uccisa
(che lei chiamerà solo e soltanto “Beloved”, Amatissima, come dice il titolo
italiano, ma anche Adorata o Diletta, che avrebbe rispettato le 7 lettere
dell’inglese). I maschi partiranno presto, e lei rimarrà con la piccola Denver.
Dopo la morte della nonna li raggiungerà Paul D che per un po’ scaccerà i
fantasmi, fino a che Diletta (così la chiamerò io) non compare di nuovo, come
fantasma tangibile, intossicando la vita ai presenti, facendoli piombare nei
rimorsi. Paul D viene subito emarginato. Denver pensa di aver ritrovato una
sorella, la cerca, le sta vicino, ma si accorge ben presto che Diletta è
tornata per tormentare la madre. Sethe proverà a spiegarle e spiegarci che
stava uccidendo i suoi figli per non farli tornare schiavi. Ma Diletta non la
comprende. E quel che è peggio, neanche Sethe, pur capendosi, si assolve. Fino
a che, grazie alla costanza ed all’amore sia di Denver che di Paul D, Diletta
scompare e rimarranno i vivi a cercare di portare avanti una vita non certo
facile. La forza e la potenza del libro sono quegli squarci quasi giornalistici
sulla crudeltà subita dai neri durante la schiavitù (e non a caso, il libro è
dedicato ai milioni di persone morte durante la traversata atlantica nelle
navi-prigione). La difficoltà (mia) è nel seguire le vicende di Diletta come se
fosse vera, come se il fantasma potesse muoversi tra noi, agire fisicamente e
non solo nella mente e nella coscienza delle persone. Ma il libro, che
nonostante tutto consiglio di leggere, pone tante domande forti, oltre a quelle
sul rapporto tra le due razze, tuttora irrisolto (lì e altrove). Pone domande
sull’amore e sul rapporto tra Sethe e Paul D. Pone soprattutto domande sul
rapporto genitori – figli e sui sensi di colpa che i genitori potranno avere
(avranno) per tutta la loro vita, perché “un figlio è sempre un figlio”. Al
solito, ora che ne scrivo, lucidamente dopo la lettura, trovo punti e spunti
migliori, che durante le pagine mi lasciavano perplesso, e mi mettevano fatica.
Chissà forse questo ci insegnerà qualcosa.
“Grande non significa niente per una mamma. Un figlio è sempre un
figlio. È chiaro, crescano, invecchiano. Grande, però, cosa vuol dire? … Io la
proteggerò quando sarò viva e la proteggerò anche quando non ci sarò più.” (64)
“Quello che è giusto non è detto che vada bene per forza.” (357)
“Io e te messi assieme abbiamo più passato di tutti quanti. Ora abbiamo
bisogno di un po’ di futuro.” (382)
Conclusioni
Quando penso ai fantasmi, penso
ai film si serie B (almeno così si chiamavano) e da tutto quel recupero
favoloso che ne faceva il mio caro cugino Paolo, che ci ha lasciato da poco ed
a cui dedico alcune trame filmiche del futuro. Invece questi fantasmi
libropeutici mi convincono poco. Di più mi sembrano valere quelli di Edoardo De
Filippo o altri più fantasmi che reali. Perché la Morrison, come ho detto nel
finale, mi ha fatto venire in mente i rapporti genitori – figli, e per chi
vuole approfondire l’argomento questo è da leggere (come “Angel” delle Taylor,
ad esempio). Insomma, chi pensa a Demi Moore meglio legga altro.
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