Qualche volta meglio, qualche volto peggio.
Un po’ come tutto. A volte va, a volte non va proprio. Ora, questa settimana,
abbiamo una trama in ascesa. Cominciamo carburando male, con un libro di Elda
Lanza che mi ha lasciato freddo. Poi ci si scalda con un libro così così di
Rosa Mogliasso, che tuttavia alla successiva prova decisamente migliora.
Finiamo con una bella volatona in salita dalle parti piemontesi di Balostro (e
della mia amica AntonellaP).
Elda Lanza “Il matto affogato” Salani euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,41
euro)
[A: 12/06/2015– I: 29/04/2016 – T: 04/05/2016] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 412;
anno 2013]
Pur
non stravolgente, e con qualche dubbio, non mi era dispiaciuto il primo libro
della “signorina buonasera”. Purtroppo questa seconda uscita va in calando, e
di molto. Soprattutto nella scrittura, che sembra più faticosa, che non scorre
bene. Si accumulano avvenimenti, passano giorni e mesi, a volte si seguono da
vicino delle giornate, a volte ci sono salti, che almeno in una occasione non
mi sono sembrati logicissimi (ma forse, l’introversione del linguaggio rende
distratto anche il più accanito dei lettori). Certo Elda Lanza ha sempre
dimostrato di avere una scrittura quanto meno al passo con i tempi. Ed il suo
esordio ad 88 anni nei panni di giallista (dopo aver anche per anni vestito
quella di esperta di galateo) ne è stato un buon esempio. Poteva finire così,
anche perché il protagonista, Massimo “Max” Gilardi alla fine si era ben
incartato: risolve l’indagine, si sposa una poliziotta, la mette incinta, poi
la moglie ed il nascituro vengono balordamente uccisi. Quasi a ripercorrere,
con le dovute distanze, alcune vicende dell’ispettore Lynley di Elizabeth
George. Sembrava difficile rimettere quindi in moto il meccanismo. Ecco allora
che Elda effettua alcune scelte epocali: Max si dimette dalla polizia, fa un
giro in Tunisia nei luoghi natali della moglie (dove c’è una prima
incongruenza, citando Abu Simbel e la Valle dei Re egiziani, ma senza farne una
tappa del viaggio: dimenticanza o errore?), torna nella Napoli natia per
riprendere a fare l’avvocato, come suo padre ed il padre di suo padre. Ma Gilardi
è Gilardi, e non può rinnegare i motivi per cui ha fatto le scelte che
percorrono il primo libro, così farà (forse) più un avvocato alla Perry Mason,
che indaga oltre che dibattere in aula. Max ritrova subito il suo vecchio
mondo, quello dei compagni di Legge dell’Università. Ma molti hanno fatto altre
scelte, e non ci si trova a proprio agio. Solo con Giacomo Cataldo si ritrova,
ma questi ha scelto veramente di fare l’investigatore, e sarà, per il nostro
Max-Perry il vero aiutante Drake (e forse la diplomanda Laura potrà diventare
Della?). Immergendosi nella vita napoletana, cercando di riprendere i punti di
contatto perduti dopo la morte della moglie amata, Gilardi si imbatte in nuovi
casi. In particolare, saranno due le vicende che percorrono il suo stanziamento
a Napoli: la morte del giovane Carlo e la richiesta della sua giovane amante
Elena di riaprire il caso della morte del fratello Alessandro avvenuta cinque
anni prima. I casi si intrecciano temporalmente, ma rimangano tuttavia sempre
separati nello svolgimento e nella loro risoluzione, parziale o totale. Carlo
sembra essersi suicidato fermando la macchina sulle rotaie di un treno che lo
travolge. Era un bulletto di scuola, con una storia, più o meno palese, con la
coetanea Cinzia. Max (e Giacomo con lui) non sono convinti della dinamica,
anche perché Max sa che Carlo non è un cuor di leone. Assunto dalla madre di
Carlo, Max scopre ben presto che Cinzia è incinta, ma sa anche dalla madre che
Carlo ha la sindrome di FRÖHLICH, cioè i genitali sottosviluppati per cui non
può avere la “potentia coeundi”, quindi tanto meno “generandi”. Scopre quindi
il vero padre del nascituro, ma a questo punto è bloccato dalla madre, che
vuole riabilitare l’impotenza del figlio. Si ritira in buon ordine, come
suggerisce il titolo su cui torneremo, anche se farà condannare il vero
assassino (benché preterintenzionale). Inciso medico: peccato che la sindrome
suddetta porti anche a ritardi nello sviluppo mentale, cosa che Carlo non
sembra avere, e che forse era meglio scegliere un’altra malattia. Procede anche
l’inchiesta sulla morte di Alessandro, dovuta allo scoppio del motoscafo
sperimentale, cui stava lavorando. Qui le cose si fanno un po’ ardite, che sono
passati cinque anni. E nonostante questo Giacomo trova delle prove sfuggite a
suo tempo alla polizia. Lettere di Alessandro ad una sua amante inglese con la
quale voleva andare a vivere, lasciando la malcapitata Rosina. Lasciando anche
il padre nelle mani delle cosche pugliesi di droga e riciclaggio. Mentre decide
di lasciare la bella Elena, che troppi sono gli anni che li dividono e lui
ritiene di non poter andare oltre un certo punto, mentre Elena vorrebbe casa,
chiesa e figli, ricostruisce anche questa vicenda. La bomba era, poteva essere,
un avvertimento mafioso. Ma lo scoppio ritardato uccide Alessandro. Perché?
Probabile che la bella Rosina abbia più di uno zampino nella vicenda. Ed anche
i pugliesi, che continuano a far scoppiare bombe ed incendiare parti del
cantiere. Max fa mettere tutti in salvo, ci presenta (anche se con qualche
salto logico, del tipo le vicende del padre di Alessandro, o del figlio del
marinaio morto anche lui nello scoppio). Ma risolti i due casi, avuta una
storia con la bella Costanza, trovato un suo studio lontano dal padre, Max si
sente finalmente a casa. Noi ci sentiamo invece un po’ spaesati, con queste
vicende che vanno avanti per mesi, procedendo a salti, spezzettandosi, e
talvolta costringendoci a ricordare nomi e situazioni che avevamo accantonato
pagine (e mesi) prima. Un ultimo punto ancora di gradimento, che porta quel
mezzo libro in più, è per il titolo che prefigura una situazione presente più
volte nel libro. Il titolo deriva da un finale degli scacchi, dove “il matto
affogato” è uno scacco matto portato a termine da un cavallo e nel quale il re
non può muoversi poiché è circondato (e quindi soffocato) dai propri pezzi. Qui
Max lo usa dicendo che la ricerca delle verità a volte è ostacolata proprio da
coloro che l’avevano richiesta. So che Elda Lanza ha scritto altri due o tre
libri con Max protagonista, ma non so se ne leggerò, data la parziale delusione
di questo. Si sperava meglio.
Rosa Mogliasso “L’amore si nutre d’amore” TEA euro 9 (in realtà,
scontato a 7,65 euro)
[A: 03/04/2015 – I: 02/07/2016 – T: 03/07/2016] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 258;
anno 2011]
Mi
aveva positivamente colpito il primo romanzo che ho letto della piemontese
Rosa, tanto da includerla nelle possibili liste di lettura. Anche perché avevo
scoperto una sua passione (o dei suoi editori) per titoli discretamente
accattivanti, almeno per me. Ricordo che l’esordio era un simpatico
“L’assassino qualcosa lascia”. Seguito dal presente che andiamo narrando, e poi
da “La felicità è un muscolo volontario”, “Chi bacia e chi viene baciato”,
“Bella era bella, morta era morta”. Felicità dei titoli, che si riflette in un
divertente panegirico di titoletti dei capitoli, che, per la nostra scrittrice,
fanno parte integrante della trama del libro stesso. Detti quindi i principali
punti a favore, cominciamo con gli “appunti”. Il primo riguarda il sottotitolo
che indica “Un’indagine dei commissari Gillo e Zuccalà”. Niente di più falso,
che se è vero che nel primo libro i due indagavano insieme, finendo anche per
imbastire una bella storia di amore e sesso, qui Zuccalà è (momentaneamente)
trasferito in Sicilia, ed è presente solo perché tutti ricordano alla nostra
Barbara che sicuramente le sta mettendo copricapi cervidi. Almeno fino alle
ultime tre pagine, in cui si incontrano a Torino e… Ma questo ve lo lascio
leggere a voi, perché noi si torna alla trama. Il secondo elemento è un girare
troppo intorno, o in tondo, volendo affastellare storie, mentre i filoni
principali si perdono. Ci vorrebbe, probabilmente, un po’ più di linearità.
Dove la storia prende le mosse dalla scomparsa di Tanzio, giovane di buona famiglia
torinese. Ovviamente subito ricercato dall’apprensiva famiglia. Seguendo le sue
tracce ci si muove tra Torino, Montecarlo e la Costa Azzurra. Dove si scopre,
invece che il buon Tanzio, la cui auto piena di bottiglie alcoliche viene
trovata in Val di Susa (e si potrebbe parlare anche di TAV/NoTAV), il corpo
della signorina Sabrina. Ovvio che Barbara Gillo comincia ad incuriosirsi, e ad
approfondire i dilemmi. Dove è stata Sabrina? Che rapporto ha con Tanzio? Di
chi è la barca su cui si è ubriacata? E il volpino di Pomerania? Passo dopo
passo, cominciamo a scoprire che Sabrina è stata accompagnata via dalla barca
da Gino l’autista. Fabio è il capitano dello yacht, di proprietà del marito di
Sabrina, che invece è invaghita proprio di Fabio. Mentre Gino è l’autista al
servizio della signora Filippa. Ed è sulle tracce di quest’ultima, vera mantide
religiosa del libro, che convergono domande e sospetti. Sposa del ricco
anglo-libanese Santo (certo con un nome così…), organizza loschi traffici, coinvolgendo,
con la sua bellezza e, perché no, con la sua voglia di sesso, giovani di
bell’aspetto e di poco cervello. Come Fabio, come Tanzio, e via alfabetando.
Benché ci siano altre morti ed altre scene ad ingarbugliare le matasse, il filo
principale da seguire è sempre quello del titolo. Ed a tirare il filo è, come
ovvio, la bella ed intrigante Filippa. I cui traffici non svelo, ma nei quali
ha ben coinvolto il bellimbusto Fabio, da tempo partner storico di queste
malefatte, ma che, messo alle strette, comincerà a cantare. E vi ha anche
travolto l’ingenuo Tanzio, che, accortosi con molto ritardo di tutto, farà
finalmente ritorno a casa, proteggendosi con un buon avocato (lui è sempre di
buona famiglia, no?). In mezzo ci si è trovata la sciacquetta Sabrina, amica svampita
di Filippa, innamorata non riamata di Fabio, e finita in un gioco di cui non
capirà la portata, facendo la sua brutta fine, che sappiamo, ma non il suo
perché, che scopriamo solo alla fine. Aiutati, come lo sarà la polizia, dal
volpino di Pomerania. Ma, bene o male, tutto questo è anche un contorno per
girare intorno a Barbara Gillo, alle sue propensioni, qui molto poco praticate,
verso Zuccalà. Dove invece giriamo di più intorno ai suoi infiniti colloqui con
il vicecommissario Peruzzi, con il quale, nel filo delle pagine, intesse
interessanti discorsi sulla fisica quantistica, sui gatti chiusi in una
scatola, nonché, e qui non possiamo che ringraziarla vivamente, sul cinema, su
Truffaut, e sul suo bellissimo film “Finalmente domenica!”, e sull’amore che
nasce tra Jean-Louis Trintignant e Fanny Ardent, quando lui, dal sotto
interrato dove è nascosto, le guarda le gambe. Una scena da antologia, che ci
dà anche una bella chiave di soluzione dei misteri (anche se non vi dico in che
modo). Non è ben riuscito e bilanciato come il primo, ma rimane affascinoso per
i dialoghi (ben scritti) e la figura di Barbara Gillo, ironica, ma forte e
capace di mettere gli uomini al loro posto (ed anche le donne, come la
petulante sorella Meri). Ma che ha, come tutti e tutte, le sue debolezze, visto
che invece non riesce a mettere al giusto posto il (lontano) Zuccalà.
“Tutte le cose eccellenti sono tanto
difficili quanto rare.” (131)
Rosa Mogliasso “La felicità è un muscolo involontario” TEA euro 9 (in
realtà scontato a 5,76 euro con Feltrinelli+)
[A: 13/07/2015 – I: 03/07/2016 – T: 04/07/2016] - &&&
-
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 259;
anno 2015]
Risale
un po’ questa terza prova della torinese Mogliasso (che tanto piace non solo a
me, ma alle torinesi doc Margherita Oggero e Luciana Littizzetto). Anche se non
pienamente, che la vicenda ingarbugliata si sbroglia quasi da sola come neve al
sole. Ed anche perché si continua a sottotitolarla come un’indagine di “Grillo
e Zuccalà”, mentre il secondo sempre a Palermo e lontano sta. Risale anche
perché viene dato un po’ più di respiro corale alla vicenda, non rimanendo sul
filone principale giallo ed anche qualcosa in più. Alcune critiche, addirittura
(ma io non mi ci ritrovo) tendono ad inserire questa scrittura in quell’ambito
letterario di quest’ultimo millennio definito “Chick Lit” (cioè chicken
literature, romanzi da pollastrelle). No, umorismo si, pollastrelle no. In
altri autori, il contorno tende ad annacquare il filone principale. Mogliasso
mi sembra riuscire a gestire egregiamente i due. E sul contorno abbiamo la
sempre sospesa storia d’amore tra la nostra Barbara ed il palermitano Zuccalà,
che non si decide a tornare al Nord. Viene anche fuori di maggior peso la
figura della sorella Meri, sia perché tenta di portare Barbara su strade
“leggere”, verso amori improbabili. Sia, e soprattutto, perché protagonista di
un mini filone, con furto annesso, che il nostro commissario brillantemente
risolve in poche battute. Da antologia la cena catering a base di sushi ed
altre giapponeserie. Anche se Meri cerca poi di coinvolgerla con il suo
personal trainer, che però non ci convince fin da subito. Ed a ragione.
Inoltre, e per finire con l’insalata, cresce il peso del vicecommissario
Peruzzi, che serve a Barbara come specchio per provare le sue teorie, come
bersaglio di malumore, ma anche, per noi lettori, come fonte di citazioni e di
spunti ironici. Il tutto per tornare alla vicenda principale, imperniata sulla
strana morte della contessa Elsa Prunotti Mappei e sulla altrettanta strana morte,
anche se all’inizio poco collegata al resto, di una barbona. Guarda caso, però,
che muore a pochi passi propri da Barbara. Questo è il filone che, nonostante
la poca impressione che ne ha il commissariato intero, Barbara segue ed
approfondisce. Come segue la vicenda di Ruggero, figlio della Mappei, che dopo
tanti anni di onesto libertinaggio, sembra aver preso una sbandata per il
misterioso “Clemente”. Uomo misterioso, tanto che suor Pilar, del Pronto
Soccorso, lo definisce “più diavolo che clemente”. Indagando, indagando (anche
con qualche aiuto del lontano, fisicamente, Zuccalà), esce fuori che nella
famiglia Mappei è presente anche una figlia, tal Serena, bellamente scomparsa
dopo gli anni di piombo. Anni in cui era un’esponente di punto dell’estremismo
torinese (autrice del libello “Basta parolai, armi agli operai”). Con
difficoltà, ma anche con tanta pazienza (sia sua, che di noi lettori costretti
questa volta dall’autrice a fare spesso dei salti su e giù per la scala
temporale), il commissario Gillo ricostruisce molti degli avvenimenti. Serena
Mappei, vista la mala parata della rivoluzione mancata, fugge dall’Italia.
Prima in Germania, sulle orme di qualche terrorista della RAF (Rote Armee
Fraktion). Quando anche questa avventura finisce, trascina la sua anima non
irreggimentata per le vie d’Europa, sia con Domenico, suo ex-spasimante poi
misteriosamente scomparso, sia trovando l’amore in una bella francesina.
Purtroppo la francese si ammala e muore. Per curarla, tuttavia, Serena aveva
cominciato a chiedere soldi alla madre, su di un conto svizzero, che poi le era
stato stornato dallo scomparso Domenico. Serena si ritrova così sola e senza
soldi. Sentendosi morire tenta di tornare a Torino, di ricucire il rapporto con
la madre. In questo ostacolata, come ovvio, dal figlio rimasto, Ruggero, e dal
suo nuovo amico, Clemente. Finirà male, Serena, così come la madre, ed in un
doloroso flashback anche noi lettori verremmo a sapere tante cose. Per lo
sbroglio completo della matassa, tuttavia, vi lascio al piacere dell’agile
lettura di queste 250 pagine, scritte anche larghette. Ripeto, quello che
cresce in questo terzo volume, risalendo alle spalle del primo, è l’umanità che
tutto avvolge. Certo abbiamo morti, brigatisti, spie e via elencando. Ma anche
commissari, sorelle, amanti e varia umanità. Mogliasso ci ricorda che siamo
tutti uomini (o meglio, siamo tutti umani), e questo è un merito che traspare
dalle sue righe. Come traspare dai titoli dei capitoli, anche loro parte
integrante della storia. Purtroppo, rispetto agli altri volumi, questa volta
non vengono riportati in un indice finale. E ce ne dispiace. Però leggetelo, e,
se vi va, leggete anche altro di Rosa Mogliasso.
Claudio Balostro “Il vigile Rollo” Fratelli Frilli s.p. (regalo di
AntonellaP)
[A: 09/04/2016 – I: 04/08/2016 – T: 08/08/2016] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 286;
anno 2007]
Parlarono
tanto Anita e Marcello di libri e letture, anche dimenticandosi di fare il
bagno nella Fontana di Trevi, ma cercando motivi di scambio di idee su treni e
traghetti. Devo quindi iniziare inviando un grazie gigante alla mia amica
Antonella di quel del Piemonte per avermi parlato prima e spedito poi il libro
di questo suo concittadino che è stato gradito in ricezione ed in lettura. Non
possiamo ipotizzare una lettura stravolgente, ma Balostro usa bene la penna (o
il computer) per portarci nel mezzo di vicende provinciali quantunque
universali. Come un piccolo sottoprodotto, ringrazio inoltre i Fratelli Frilli,
che, con cura, pazienza e dedizione, si mettono alla ricerca di piccoli talenti
locali. E quanti ne hanno fatti uscire dalla loro fucina ed affacciare su
palcoscenici più ampi. Per non fare troppi nomi (scusandomi per eventuali torti
dovuti solo alla mia memoria “anzianotta”) ricordo solo Annamaria Fassio e
Bruno Morchio. Torniamo allora a Balostro e a Valle Scrivia. Come in molte
storie a me care, l’idea è avvincente: condire una serie di piccole storie e
bozzetti di gente con un legante altro, ad esempio con una storia blandamente
nera. Questa forse è la parte più debole, personalmente parlando. Abbiamo una
morte ed il nostro esimio vigile della cittadina che, poco convinto del corso
degli eventi, comincia ad indagare personalmente ed in modo non ufficiale. Che
la morte è giudicata naturale, e solo piccole incongruenze convincono Rollo che
qualcosa ci sia. Indagando, parlando, girando, anche viaggiando, alla fine
Rollo ricostruirà la storia del suicidio di Maria abusata dal giovane Sgroi.
Della fuga del fratello Matteo che perseguita Sgroi presentandosi sempre
vestito di bianco verginale e che viene perseguitato dagli scherani fascisti di
Sgroi (il suicidio avviene nel 1939). Del nulla che succede nel frattempo, fino
al presente narrativo del 1972. Dell’arrivo inaspettato di uno strano personaggio
vestito di bianco. Di una pistola senza pallottole trovata in un albero. Della
morte per infarto di Sgroi, che però viene trovato nudo nella sua casa, con
vicino un bicchiere d’acqua. Dei sospetti di avvelenamento (sollevati da
qualcuno), di appuntamenti erotici finiti male, o di altro. Quando, collegando
gli elementi a disposizione abbiamo il nero ai nostri piedi, ma senza
possibilità di avere colpevoli. Non ce ne sono, ora. Forse, in realtà, ci dice
Claudio ed anche Rollo, il colpevole è proprio il morto. Tuttavia, ed è questa
la parte che piace a me e che fa del libro un piccolo regalo di istantanee,
come fosse una presentazione di tipologie di vita provinciale. Abbiamo così
tutti i personaggi “di contorno”, ognuno con la sua storia, ognuno con il suo pezzo
di mondo da vivere. Ne vogliamo ricordare qualcuno, così come affiora dalla
memoria. I gemelli benzinai, chiamati entrambi Geme (abbreviazione appunto di
gemello), una volta calciatori dilettanti (un centrocampista, l’altro
attaccante), ora gestori della pompa di benzina del paese. Aperta notte e dì,
dove un gemello face il giorno e l’altro la notte. I due barbieri, il Manda,
cacciatore e comunista, il Cino, pescatore e democristiano. E altri che
bozzettano le pagine di Balostro. Sino all’Emilia, il sostegno dell’anagrafe,
insostituibile e che fornisce i primi elementi a Rollo per ricostruire la
vicenda nata dalla morte della sua amica Maria. E più di tutti Sauro, il pazzo
del paese (ma quanto pazzo e quanto portato alla deriva da tanti avvenimenti in
gioventù). Una felice intuizione, ed una difficile realizzazione, i salti
verbali di Sauro, che tutti ormai chiamano Lioneliofante dal ritornello che
citava ad ogni piè sospinto (“il leone … il liofante … il serpente a sonagli!”)
innescati da input di Rollo. Che con la loro mancanza di capo e coda, portano
(sempre) brandelli di verità. Rimane alla fine un po’ misteriosa, per me, la
passione del vigile Rollo per i ponti (che forse sono anche una fissazione di
Balostro?). certo, se ne parla con bravura, competenza, ma non sono per me
elementi architettonici su cui mi soffermo a lungo. Faccio solo un salto
logico, portando Rollo ad essere un ponte tra una verità non esponibile a tutti
ed il mondo che lì, nella cittadina, si vive. Comunque ammiro, come spesso, la capacità
di tutte queste persone di riuscire a concentrarsi, a buttare giù parole, ed a
costruirci intorno più di duecento pagine leggibili e godibili. Bravo Claudio.
E grazie ancora, Antonella.
Mentre chiudo
queste trame, da quel di Alessandria, mi giungono immagini di piogge e quasi
esondazioni, che spero non abbiano recato danno ai miei amici valligiani. Come giunge
anche, ma qui la aspettavamo da tempo, la notizia della morte di Fidel Castro. Che
non commento, essendone troppo parlato in rete, se non con la felicità
(relativa) di aver visto Cuba prima della sua morte. Penso che tutti quanti
stiamo aspettando con ansia la fine di questo anno bisestile.