domenica 27 novembre 2016

Italians do it ... - 27 novembre 2016

Qualche volta meglio, qualche volto peggio. Un po’ come tutto. A volte va, a volte non va proprio. Ora, questa settimana, abbiamo una trama in ascesa. Cominciamo carburando male, con un libro di Elda Lanza che mi ha lasciato freddo. Poi ci si scalda con un libro così così di Rosa Mogliasso, che tuttavia alla successiva prova decisamente migliora. Finiamo con una bella volatona in salita dalle parti piemontesi di Balostro (e della mia amica AntonellaP).
Elda Lanza “Il matto affogato” Salani euro 9,90 (in realtà, scontato a 8,41 euro)
[A: 12/06/2015– I: 29/04/2016 – T: 04/05/2016] - && e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 412; anno 2013]
Pur non stravolgente, e con qualche dubbio, non mi era dispiaciuto il primo libro della “signorina buonasera”. Purtroppo questa seconda uscita va in calando, e di molto. Soprattutto nella scrittura, che sembra più faticosa, che non scorre bene. Si accumulano avvenimenti, passano giorni e mesi, a volte si seguono da vicino delle giornate, a volte ci sono salti, che almeno in una occasione non mi sono sembrati logicissimi (ma forse, l’introversione del linguaggio rende distratto anche il più accanito dei lettori). Certo Elda Lanza ha sempre dimostrato di avere una scrittura quanto meno al passo con i tempi. Ed il suo esordio ad 88 anni nei panni di giallista (dopo aver anche per anni vestito quella di esperta di galateo) ne è stato un buon esempio. Poteva finire così, anche perché il protagonista, Massimo “Max” Gilardi alla fine si era ben incartato: risolve l’indagine, si sposa una poliziotta, la mette incinta, poi la moglie ed il nascituro vengono balordamente uccisi. Quasi a ripercorrere, con le dovute distanze, alcune vicende dell’ispettore Lynley di Elizabeth George. Sembrava difficile rimettere quindi in moto il meccanismo. Ecco allora che Elda effettua alcune scelte epocali: Max si dimette dalla polizia, fa un giro in Tunisia nei luoghi natali della moglie (dove c’è una prima incongruenza, citando Abu Simbel e la Valle dei Re egiziani, ma senza farne una tappa del viaggio: dimenticanza o errore?), torna nella Napoli natia per riprendere a fare l’avvocato, come suo padre ed il padre di suo padre. Ma Gilardi è Gilardi, e non può rinnegare i motivi per cui ha fatto le scelte che percorrono il primo libro, così farà (forse) più un avvocato alla Perry Mason, che indaga oltre che dibattere in aula. Max ritrova subito il suo vecchio mondo, quello dei compagni di Legge dell’Università. Ma molti hanno fatto altre scelte, e non ci si trova a proprio agio. Solo con Giacomo Cataldo si ritrova, ma questi ha scelto veramente di fare l’investigatore, e sarà, per il nostro Max-Perry il vero aiutante Drake (e forse la diplomanda Laura potrà diventare Della?). Immergendosi nella vita napoletana, cercando di riprendere i punti di contatto perduti dopo la morte della moglie amata, Gilardi si imbatte in nuovi casi. In particolare, saranno due le vicende che percorrono il suo stanziamento a Napoli: la morte del giovane Carlo e la richiesta della sua giovane amante Elena di riaprire il caso della morte del fratello Alessandro avvenuta cinque anni prima. I casi si intrecciano temporalmente, ma rimangano tuttavia sempre separati nello svolgimento e nella loro risoluzione, parziale o totale. Carlo sembra essersi suicidato fermando la macchina sulle rotaie di un treno che lo travolge. Era un bulletto di scuola, con una storia, più o meno palese, con la coetanea Cinzia. Max (e Giacomo con lui) non sono convinti della dinamica, anche perché Max sa che Carlo non è un cuor di leone. Assunto dalla madre di Carlo, Max scopre ben presto che Cinzia è incinta, ma sa anche dalla madre che Carlo ha la sindrome di FRÖHLICH, cioè i genitali sottosviluppati per cui non può avere la “potentia coeundi”, quindi tanto meno “generandi”. Scopre quindi il vero padre del nascituro, ma a questo punto è bloccato dalla madre, che vuole riabilitare l’impotenza del figlio. Si ritira in buon ordine, come suggerisce il titolo su cui torneremo, anche se farà condannare il vero assassino (benché preterintenzionale). Inciso medico: peccato che la sindrome suddetta porti anche a ritardi nello sviluppo mentale, cosa che Carlo non sembra avere, e che forse era meglio scegliere un’altra malattia. Procede anche l’inchiesta sulla morte di Alessandro, dovuta allo scoppio del motoscafo sperimentale, cui stava lavorando. Qui le cose si fanno un po’ ardite, che sono passati cinque anni. E nonostante questo Giacomo trova delle prove sfuggite a suo tempo alla polizia. Lettere di Alessandro ad una sua amante inglese con la quale voleva andare a vivere, lasciando la malcapitata Rosina. Lasciando anche il padre nelle mani delle cosche pugliesi di droga e riciclaggio. Mentre decide di lasciare la bella Elena, che troppi sono gli anni che li dividono e lui ritiene di non poter andare oltre un certo punto, mentre Elena vorrebbe casa, chiesa e figli, ricostruisce anche questa vicenda. La bomba era, poteva essere, un avvertimento mafioso. Ma lo scoppio ritardato uccide Alessandro. Perché? Probabile che la bella Rosina abbia più di uno zampino nella vicenda. Ed anche i pugliesi, che continuano a far scoppiare bombe ed incendiare parti del cantiere. Max fa mettere tutti in salvo, ci presenta (anche se con qualche salto logico, del tipo le vicende del padre di Alessandro, o del figlio del marinaio morto anche lui nello scoppio). Ma risolti i due casi, avuta una storia con la bella Costanza, trovato un suo studio lontano dal padre, Max si sente finalmente a casa. Noi ci sentiamo invece un po’ spaesati, con queste vicende che vanno avanti per mesi, procedendo a salti, spezzettandosi, e talvolta costringendoci a ricordare nomi e situazioni che avevamo accantonato pagine (e mesi) prima. Un ultimo punto ancora di gradimento, che porta quel mezzo libro in più, è per il titolo che prefigura una situazione presente più volte nel libro. Il titolo deriva da un finale degli scacchi, dove “il matto affogato” è uno scacco matto portato a termine da un cavallo e nel quale il re non può muoversi poiché è circondato (e quindi soffocato) dai propri pezzi. Qui Max lo usa dicendo che la ricerca delle verità a volte è ostacolata proprio da coloro che l’avevano richiesta. So che Elda Lanza ha scritto altri due o tre libri con Max protagonista, ma non so se ne leggerò, data la parziale delusione di questo. Si sperava meglio.
Rosa Mogliasso “L’amore si nutre d’amore” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 03/04/2015 – I: 02/07/2016 – T: 03/07/2016] - && e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 258; anno 2011]
Mi aveva positivamente colpito il primo romanzo che ho letto della piemontese Rosa, tanto da includerla nelle possibili liste di lettura. Anche perché avevo scoperto una sua passione (o dei suoi editori) per titoli discretamente accattivanti, almeno per me. Ricordo che l’esordio era un simpatico “L’assassino qualcosa lascia”. Seguito dal presente che andiamo narrando, e poi da “La felicità è un muscolo volontario”, “Chi bacia e chi viene baciato”, “Bella era bella, morta era morta”. Felicità dei titoli, che si riflette in un divertente panegirico di titoletti dei capitoli, che, per la nostra scrittrice, fanno parte integrante della trama del libro stesso. Detti quindi i principali punti a favore, cominciamo con gli “appunti”. Il primo riguarda il sottotitolo che indica “Un’indagine dei commissari Gillo e Zuccalà”. Niente di più falso, che se è vero che nel primo libro i due indagavano insieme, finendo anche per imbastire una bella storia di amore e sesso, qui Zuccalà è (momentaneamente) trasferito in Sicilia, ed è presente solo perché tutti ricordano alla nostra Barbara che sicuramente le sta mettendo copricapi cervidi. Almeno fino alle ultime tre pagine, in cui si incontrano a Torino e… Ma questo ve lo lascio leggere a voi, perché noi si torna alla trama. Il secondo elemento è un girare troppo intorno, o in tondo, volendo affastellare storie, mentre i filoni principali si perdono. Ci vorrebbe, probabilmente, un po’ più di linearità. Dove la storia prende le mosse dalla scomparsa di Tanzio, giovane di buona famiglia torinese. Ovviamente subito ricercato dall’apprensiva famiglia. Seguendo le sue tracce ci si muove tra Torino, Montecarlo e la Costa Azzurra. Dove si scopre, invece che il buon Tanzio, la cui auto piena di bottiglie alcoliche viene trovata in Val di Susa (e si potrebbe parlare anche di TAV/NoTAV), il corpo della signorina Sabrina. Ovvio che Barbara Gillo comincia ad incuriosirsi, e ad approfondire i dilemmi. Dove è stata Sabrina? Che rapporto ha con Tanzio? Di chi è la barca su cui si è ubriacata? E il volpino di Pomerania? Passo dopo passo, cominciamo a scoprire che Sabrina è stata accompagnata via dalla barca da Gino l’autista. Fabio è il capitano dello yacht, di proprietà del marito di Sabrina, che invece è invaghita proprio di Fabio. Mentre Gino è l’autista al servizio della signora Filippa. Ed è sulle tracce di quest’ultima, vera mantide religiosa del libro, che convergono domande e sospetti. Sposa del ricco anglo-libanese Santo (certo con un nome così…), organizza loschi traffici, coinvolgendo, con la sua bellezza e, perché no, con la sua voglia di sesso, giovani di bell’aspetto e di poco cervello. Come Fabio, come Tanzio, e via alfabetando. Benché ci siano altre morti ed altre scene ad ingarbugliare le matasse, il filo principale da seguire è sempre quello del titolo. Ed a tirare il filo è, come ovvio, la bella ed intrigante Filippa. I cui traffici non svelo, ma nei quali ha ben coinvolto il bellimbusto Fabio, da tempo partner storico di queste malefatte, ma che, messo alle strette, comincerà a cantare. E vi ha anche travolto l’ingenuo Tanzio, che, accortosi con molto ritardo di tutto, farà finalmente ritorno a casa, proteggendosi con un buon avocato (lui è sempre di buona famiglia, no?). In mezzo ci si è trovata la sciacquetta Sabrina, amica svampita di Filippa, innamorata non riamata di Fabio, e finita in un gioco di cui non capirà la portata, facendo la sua brutta fine, che sappiamo, ma non il suo perché, che scopriamo solo alla fine. Aiutati, come lo sarà la polizia, dal volpino di Pomerania. Ma, bene o male, tutto questo è anche un contorno per girare intorno a Barbara Gillo, alle sue propensioni, qui molto poco praticate, verso Zuccalà. Dove invece giriamo di più intorno ai suoi infiniti colloqui con il vicecommissario Peruzzi, con il quale, nel filo delle pagine, intesse interessanti discorsi sulla fisica quantistica, sui gatti chiusi in una scatola, nonché, e qui non possiamo che ringraziarla vivamente, sul cinema, su Truffaut, e sul suo bellissimo film “Finalmente domenica!”, e sull’amore che nasce tra Jean-Louis Trintignant e Fanny Ardent, quando lui, dal sotto interrato dove è nascosto, le guarda le gambe. Una scena da antologia, che ci dà anche una bella chiave di soluzione dei misteri (anche se non vi dico in che modo). Non è ben riuscito e bilanciato come il primo, ma rimane affascinoso per i dialoghi (ben scritti) e la figura di Barbara Gillo, ironica, ma forte e capace di mettere gli uomini al loro posto (ed anche le donne, come la petulante sorella Meri). Ma che ha, come tutti e tutte, le sue debolezze, visto che invece non riesce a mettere al giusto posto il (lontano) Zuccalà.
“Tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare.” (131)
Rosa Mogliasso “La felicità è un muscolo involontario” TEA euro 9 (in realtà scontato a 5,76 euro con Feltrinelli+)
[A: 13/07/2015 – I: 03/07/2016 – T: 04/07/2016] - &&& -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 259; anno 2015]
Risale un po’ questa terza prova della torinese Mogliasso (che tanto piace non solo a me, ma alle torinesi doc Margherita Oggero e Luciana Littizzetto). Anche se non pienamente, che la vicenda ingarbugliata si sbroglia quasi da sola come neve al sole. Ed anche perché si continua a sottotitolarla come un’indagine di “Grillo e Zuccalà”, mentre il secondo sempre a Palermo e lontano sta. Risale anche perché viene dato un po’ più di respiro corale alla vicenda, non rimanendo sul filone principale giallo ed anche qualcosa in più. Alcune critiche, addirittura (ma io non mi ci ritrovo) tendono ad inserire questa scrittura in quell’ambito letterario di quest’ultimo millennio definito “Chick Lit” (cioè chicken literature, romanzi da pollastrelle). No, umorismo si, pollastrelle no. In altri autori, il contorno tende ad annacquare il filone principale. Mogliasso mi sembra riuscire a gestire egregiamente i due. E sul contorno abbiamo la sempre sospesa storia d’amore tra la nostra Barbara ed il palermitano Zuccalà, che non si decide a tornare al Nord. Viene anche fuori di maggior peso la figura della sorella Meri, sia perché tenta di portare Barbara su strade “leggere”, verso amori improbabili. Sia, e soprattutto, perché protagonista di un mini filone, con furto annesso, che il nostro commissario brillantemente risolve in poche battute. Da antologia la cena catering a base di sushi ed altre giapponeserie. Anche se Meri cerca poi di coinvolgerla con il suo personal trainer, che però non ci convince fin da subito. Ed a ragione. Inoltre, e per finire con l’insalata, cresce il peso del vicecommissario Peruzzi, che serve a Barbara come specchio per provare le sue teorie, come bersaglio di malumore, ma anche, per noi lettori, come fonte di citazioni e di spunti ironici. Il tutto per tornare alla vicenda principale, imperniata sulla strana morte della contessa Elsa Prunotti Mappei e sulla altrettanta strana morte, anche se all’inizio poco collegata al resto, di una barbona. Guarda caso, però, che muore a pochi passi propri da Barbara. Questo è il filone che, nonostante la poca impressione che ne ha il commissariato intero, Barbara segue ed approfondisce. Come segue la vicenda di Ruggero, figlio della Mappei, che dopo tanti anni di onesto libertinaggio, sembra aver preso una sbandata per il misterioso “Clemente”. Uomo misterioso, tanto che suor Pilar, del Pronto Soccorso, lo definisce “più diavolo che clemente”. Indagando, indagando (anche con qualche aiuto del lontano, fisicamente, Zuccalà), esce fuori che nella famiglia Mappei è presente anche una figlia, tal Serena, bellamente scomparsa dopo gli anni di piombo. Anni in cui era un’esponente di punto dell’estremismo torinese (autrice del libello “Basta parolai, armi agli operai”). Con difficoltà, ma anche con tanta pazienza (sia sua, che di noi lettori costretti questa volta dall’autrice a fare spesso dei salti su e giù per la scala temporale), il commissario Gillo ricostruisce molti degli avvenimenti. Serena Mappei, vista la mala parata della rivoluzione mancata, fugge dall’Italia. Prima in Germania, sulle orme di qualche terrorista della RAF (Rote Armee Fraktion). Quando anche questa avventura finisce, trascina la sua anima non irreggimentata per le vie d’Europa, sia con Domenico, suo ex-spasimante poi misteriosamente scomparso, sia trovando l’amore in una bella francesina. Purtroppo la francese si ammala e muore. Per curarla, tuttavia, Serena aveva cominciato a chiedere soldi alla madre, su di un conto svizzero, che poi le era stato stornato dallo scomparso Domenico. Serena si ritrova così sola e senza soldi. Sentendosi morire tenta di tornare a Torino, di ricucire il rapporto con la madre. In questo ostacolata, come ovvio, dal figlio rimasto, Ruggero, e dal suo nuovo amico, Clemente. Finirà male, Serena, così come la madre, ed in un doloroso flashback anche noi lettori verremmo a sapere tante cose. Per lo sbroglio completo della matassa, tuttavia, vi lascio al piacere dell’agile lettura di queste 250 pagine, scritte anche larghette. Ripeto, quello che cresce in questo terzo volume, risalendo alle spalle del primo, è l’umanità che tutto avvolge. Certo abbiamo morti, brigatisti, spie e via elencando. Ma anche commissari, sorelle, amanti e varia umanità. Mogliasso ci ricorda che siamo tutti uomini (o meglio, siamo tutti umani), e questo è un merito che traspare dalle sue righe. Come traspare dai titoli dei capitoli, anche loro parte integrante della storia. Purtroppo, rispetto agli altri volumi, questa volta non vengono riportati in un indice finale. E ce ne dispiace. Però leggetelo, e, se vi va, leggete anche altro di Rosa Mogliasso.
Claudio Balostro “Il vigile Rollo” Fratelli Frilli s.p. (regalo di AntonellaP)
[A: 09/04/2016 – I: 04/08/2016 – T: 08/08/2016] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 286; anno 2007]
Parlarono tanto Anita e Marcello di libri e letture, anche dimenticandosi di fare il bagno nella Fontana di Trevi, ma cercando motivi di scambio di idee su treni e traghetti. Devo quindi iniziare inviando un grazie gigante alla mia amica Antonella di quel del Piemonte per avermi parlato prima e spedito poi il libro di questo suo concittadino che è stato gradito in ricezione ed in lettura. Non possiamo ipotizzare una lettura stravolgente, ma Balostro usa bene la penna (o il computer) per portarci nel mezzo di vicende provinciali quantunque universali. Come un piccolo sottoprodotto, ringrazio inoltre i Fratelli Frilli, che, con cura, pazienza e dedizione, si mettono alla ricerca di piccoli talenti locali. E quanti ne hanno fatti uscire dalla loro fucina ed affacciare su palcoscenici più ampi. Per non fare troppi nomi (scusandomi per eventuali torti dovuti solo alla mia memoria “anzianotta”) ricordo solo Annamaria Fassio e Bruno Morchio. Torniamo allora a Balostro e a Valle Scrivia. Come in molte storie a me care, l’idea è avvincente: condire una serie di piccole storie e bozzetti di gente con un legante altro, ad esempio con una storia blandamente nera. Questa forse è la parte più debole, personalmente parlando. Abbiamo una morte ed il nostro esimio vigile della cittadina che, poco convinto del corso degli eventi, comincia ad indagare personalmente ed in modo non ufficiale. Che la morte è giudicata naturale, e solo piccole incongruenze convincono Rollo che qualcosa ci sia. Indagando, parlando, girando, anche viaggiando, alla fine Rollo ricostruirà la storia del suicidio di Maria abusata dal giovane Sgroi. Della fuga del fratello Matteo che perseguita Sgroi presentandosi sempre vestito di bianco verginale e che viene perseguitato dagli scherani fascisti di Sgroi (il suicidio avviene nel 1939). Del nulla che succede nel frattempo, fino al presente narrativo del 1972. Dell’arrivo inaspettato di uno strano personaggio vestito di bianco. Di una pistola senza pallottole trovata in un albero. Della morte per infarto di Sgroi, che però viene trovato nudo nella sua casa, con vicino un bicchiere d’acqua. Dei sospetti di avvelenamento (sollevati da qualcuno), di appuntamenti erotici finiti male, o di altro. Quando, collegando gli elementi a disposizione abbiamo il nero ai nostri piedi, ma senza possibilità di avere colpevoli. Non ce ne sono, ora. Forse, in realtà, ci dice Claudio ed anche Rollo, il colpevole è proprio il morto. Tuttavia, ed è questa la parte che piace a me e che fa del libro un piccolo regalo di istantanee, come fosse una presentazione di tipologie di vita provinciale. Abbiamo così tutti i personaggi “di contorno”, ognuno con la sua storia, ognuno con il suo pezzo di mondo da vivere. Ne vogliamo ricordare qualcuno, così come affiora dalla memoria. I gemelli benzinai, chiamati entrambi Geme (abbreviazione appunto di gemello), una volta calciatori dilettanti (un centrocampista, l’altro attaccante), ora gestori della pompa di benzina del paese. Aperta notte e dì, dove un gemello face il giorno e l’altro la notte. I due barbieri, il Manda, cacciatore e comunista, il Cino, pescatore e democristiano. E altri che bozzettano le pagine di Balostro. Sino all’Emilia, il sostegno dell’anagrafe, insostituibile e che fornisce i primi elementi a Rollo per ricostruire la vicenda nata dalla morte della sua amica Maria. E più di tutti Sauro, il pazzo del paese (ma quanto pazzo e quanto portato alla deriva da tanti avvenimenti in gioventù). Una felice intuizione, ed una difficile realizzazione, i salti verbali di Sauro, che tutti ormai chiamano Lioneliofante dal ritornello che citava ad ogni piè sospinto (“il leone … il liofante … il serpente a sonagli!”) innescati da input di Rollo. Che con la loro mancanza di capo e coda, portano (sempre) brandelli di verità. Rimane alla fine un po’ misteriosa, per me, la passione del vigile Rollo per i ponti (che forse sono anche una fissazione di Balostro?). certo, se ne parla con bravura, competenza, ma non sono per me elementi architettonici su cui mi soffermo a lungo. Faccio solo un salto logico, portando Rollo ad essere un ponte tra una verità non esponibile a tutti ed il mondo che lì, nella cittadina, si vive. Comunque ammiro, come spesso, la capacità di tutte queste persone di riuscire a concentrarsi, a buttare giù parole, ed a costruirci intorno più di duecento pagine leggibili e godibili. Bravo Claudio. E grazie ancora, Antonella.
Mentre chiudo queste trame, da quel di Alessandria, mi giungono immagini di piogge e quasi esondazioni, che spero non abbiano recato danno ai miei amici valligiani. Come giunge anche, ma qui la aspettavamo da tempo, la notizia della morte di Fidel Castro. Che non commento, essendone troppo parlato in rete, se non con la felicità (relativa) di aver visto Cuba prima della sua morte. Penso che tutti quanti stiamo aspettando con ansia la fine di questo anno bisestile.

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