E torniamo anche, dopo 5 mesi, alle grandi
scorpacciate dei libri di Simenon su Maigret che, con grande benevolenza, mia
madre continua a regalarmi. Stiamo entrando nel periodo di guerra, e la
scrittura del nostro, per tutta una serie di ragioni che descrivo sotto, si fa
sempre più incisiva.
Georges Simenon “I Maigret –
volume 5” Adelphi s.p. (regalo di mamma)
[A: 25/09/2014– I: 04/05/2016 –
T: 17/05/2016] - &&&& e
½
[tit. or.: vedi
singoli libri; ling. or.: francese;
pagine: 709; anno 2014]
Benché scritti in epoche precedenti, ed a
volte con lunghi periodi di scrittura e lunghe interruzioni (almeno per la
tipologia di scrittura di Simenon) durante la guerra l’editore Gallimard
pubblica i romanzi di Maigret in “terzetti”. Così insieme all’ultimo del quarto
Maigret (“I sotterranei del Majestic”) nell’ottobre del ’42 escono anche “La
casa del giudice” e “Cécilie è morta”. Mentre nel gennaio del ’44 escono gli
altri tre. Quelli del ’42 poi sono tutti e tre iniziati alla fine del ’39, a
Nieul-sur-Mer. E gli altri tre sono tutti iniziati a Fontenay-le-Comte in
Vandea. Comunque, risentono tutti positivamente del momento felice di scrittura
di Simenon, che nello stesso periodo termina anche la prima parte della sua
auto-biografia romanzata (“Pedigree”), e inizia, continua e termina diversi
altri scritti senza il commissario. Segnalo in particolare il terzo, “Firmato
Picpus”, che ben evidenzia sia il “tipo Maigret”, sia il modo di affrontare le
storie del nostro prolifico belga.
Titolo
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Scritto
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Uscito
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Data
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Luogo
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La casa del giudice
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Inverno 1939 - Gennaio 1940
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Scritto a Nieul-sur-Mer (Charente-Maritime)
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15/10/1942
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Cécilie è morta
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Inverno 1939 - Dicembre 1940
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Iniziato a Nieul-sur-Mer (Charente-Maritime), terminato a Fontenay-le-Comte
(Vendée)
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15/10/1942
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Firmato Picpus
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Giugno 1941
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Scritto al Château de Terre-Neuve, Fontenay-le-Comte (Vendée)
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05/01/1944
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Félicie
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Estate 1941 – Maggio 1942
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Iniziato al Château de Terre-Neuve, Fontenay-le-Comte (Vendée), terminato
a « Les Peupliers » La Faute-sur-Mer (Vendée)
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05/01/1944
|
L’ispettore Cadavre
|
Estate 1941 – Marzo 1943
|
Iniziato a Château de Terre-Neuve, Fontenay-le-Comte (Vendée), terminato
Saint-Mesmin-le-Vieux (Vendée)
|
05/01/1944
|
“La
casa del giudice”
[tit.
or.: La maison du juge; ling. or.: francese; pagine: 9
– 145 (136); anno 1942]
E un periodo di grande lavoro per Simenon,
anche se scrive poco di Maigret. È impegnato nei suoi progetti di “grandi
romanzi” (in questo periodo completa ad esempio quel capolavoro che è “L’uomo
che guardava passare i treni”). Ed è anche impegnato sul lato familiare: ad
aprile del ’39 nasce il figlio Marc. Ma non disdegna com’è ovvio di mettere
mano ad alcune storie del nostro commissario. Come si diceva, non sono anni
facili per Simenon, che si trova anche lui un po’ in “esilio”, lontano da
Parigi, in quel di Nieul-sur-Mer, vicino a La Rochelle, sulla costa atlantica,
dove lo coglie l’inizio della guerra, e l’occupazione del suo paese natale. Per
tutta la guerra rimarrà in Vandea, spostandosi in un paio di residenze, ma
senza cedere né all’occupante tedesco né ai liberatori che vengono guidati
dalla voce di De Gaulle da Radio Londra. È qui, a Nieul-sur-Mer, che
nell’inverno ’39-’40 scrive questo Maigret della lontananza. Non sappiamo per
quali divergenze infatti, il nostro commissario è spedito a Luçon (che tra
l’altro non è distante da La Rochelle). Non deve essere comunque un buon
momento, per il commissario, che Maigret si aggira per la cittadina,
intabarrato nel suo cappotto, fumando a più non posso la sua pipa. Maigret
rimarrà solo tre mesi in Vandea, anche se avrà vicino la signora Maigret, come
se fosse quasi una vacanza, ma per tornare presto in avenue Richard-Lenoir. Le
giornate routinarie vengono all’improvviso interrotte quando Didine Hulot,
un’anziana signora, gli comunica di aver visto un probabile cadavere nella casa
del giudice Forlacroix. Appostamenti, ricerca di notizie, scoperta del
tentativo del giudice di far sparire il corpo, arrivando così alla prima scena
madre. Forse un po’ statica, ma ci trasferiamo tutti nella casa del giudice
dove c’è, appunto, il giudice calmo ed apparentemente quasi estraneo, il
commissario, il corpo di un morto ignoto. Poi irrompe Albert, il figlio del
giudice, e tutti insieme irrompono nella stanza di Lisa, la figlia, chiusa a
chiave al primo piano. Figlia che si presenta (e qui Simenon è un po’ sulle
righe rispetto agli standard cui siamo abituati) discinta, in deshabillé, da
dove, addirittura, spunto un seno ben tornito. Il tutto termina con una scenata
di Albert contro Lisa, e contro Marcel il suo supposto amante. Il resto, ed è
tanto, del libro è molto incentrato su sensazioni, su approfondimenti di
personaggi, sul clima a Luçon e sui miticoltori. Si sente il bisogno di Simenon
di non rimanere alla pura e semplice avventura poliziesca, si sente che ha
scritto e scrive altro nel periodo. In particolare, oltre al sempre citato
commissario, si scava nel mondo del giudice. Ci sono dei momenti in cui il
giudice ed il commissario si siedono uno di fronte all’altro, parlano, bevono,
giocano, ma soprattutto cercano la comunicazione. E nel braccio di ferro,
vediamo vincere Maigret alla grande. Sarà infatti Forlacroix che, ammissione
dopo ammissione, darà a Maigret un primo quadro della situazione, ben diverso
da quello prospettato nelle prime pagine. Il giudice era sposato con una donna
più giovane e di facili costumi, mentre Forlacroix è una specie di Lucchini del
film “La corte”. Tanto farfallona la moglie che probabilmente Albert non è
figlio del giudice. Ed Albert mal sopporta il padre surrogato, tanto che si
allontana ben presto dalla casa paterna, si mette a coltivare cozze in Vandea,
diventa anche amico di Marcel. A questo punto Simenon cede un po’ alle nequizie
del suo tempo, immaginando “colpe dei padri che ricadono sui figli” (o delle
madri sulle figlie o “vuoi vedere che il DNA…?”). Tanto che Lisa è come la
madre, farfalleggia di fiore in fiore, e forse è anche un po’ ritardata. E
sicuramente si dà alla pazza gioia con Marcel, l’amico di Albert. Il giudice,
ed anche Albert, per tacitare le malelingue, propongono a Marcel un matrimonio
con Lisa, ma Marcel ha il dubbio sulla stabilità mentale della giovane. Chiama
quindi uno psichiatra per accertare le condizioni di Lisa. Lui, alla fine, il
dottor Janin, è il morto. Sarà stato il giudice, che, come aveva ucciso un
amante della moglie prima di cacciarla di casa, ha voluto liberare il campo da
altre voci? Sarà stato Marcel, in un accesso di rabbia, saputo anche che Lisa è
incinta? Sarà stato Albert che non vuole che Janin dica a Marcel che Lisa è
veramente pazza? Sarà stata Lisa in un accesso della sua follia? Il finale
chiarisce tutto, ma voi andate a leggerlo. Anche se, troppo impegnato alle
caratterizzazioni dei personaggi, anche quelli minori, il finale lascia a
desiderare. Tra l’altro qui (ed anche nelle prossime scritture) Simenon usa una
scrittura a volte spezzettata, del tipo che fa dei salti in avanti per poi
recuperare quanto avvenuto nel frattempo con flashback, o con racconti dei
protagonisti del tipo “nel frattempo…”. Una scrittura poco felice. Ed i
risultati ne risentono.
“Cécilie
è morta”
[tit.
or.: Cécile est morte; ling. or.: francese; pagine: 147
– 303 (156); anno 1942]
Un appunto preliminare: perché nel titolo
italiano compare una Cécilie che per tutto il romanzo, e nell’edizione
originale, è giustamente chiamata Cécile? Mistero! Comunque siamo sempre nelle
brume delle difficoltà del nostro scrittore. A Nieul-sur-Mer, complice la
nascita del piccolo Marc, ed i pensieri per l’invasione del Belgio da parte dei
tedeschi, pur scrivendo ha la testa altrove. Ma scrivere per Simenon è una
malattia, non ne può fare a meno. Allora mette mano anche a questa trama, con
il commissario Maigret che è prontamente tornato a Parigi, ai suoi luoghi
precipui, tra il Quai des Orfèvres, la casa di Boulevard Richard Lenoir, ed i
lungosenna. Il problema però è che appunto le preoccupazioni di cui sopra non
gli consentono di vedere con chiarezza la trama, per cui comincia, butta giù
una prima parte che mette le basi alla storia, e poi la lascia in un cassetto.
In questa prima parte scritta in riva al mare, c’è appunto la storia della
signoria Cécile che ha dei sospetti sulle attività notturne che avvengono in
casa della zia dove abita, sospetti che si fanno sempre più forti, anche se
Maigret ha poco tempo per starla a sentire. Finché la zia viene uccisa, Cécile
scompare dagli Uffici di Polizia, per essere ritrovata più tardi nell’adiacente
Palazzo di Giustizia, anche lei uccisa. Il tutto con gran rimpianto del nostro,
con una caratterizzazione decente dei personaggi (l’incolore Cécile, la morta
Julienne, il nipote Gérard, il vicino Charles). La vena si blocca, Simenon si
occupa dei rifugiati belgi, agendo da console onorario. Purtroppo le spese sono
tante, e le entrate poche (di certo non si vendono molti libri quando si è in
guerra). Simenon riesce comunque a trovare un “buen retiro” in Vandea, ad una
cinquantina di chilometri all’interno, affittando per un prezzo irrisorio
(forse stanti i buoni uffici dell’amico André Gide) il Château de Terre-Neuve.
Qui compone la sua autobiografia (“Pedigree”), qui riceve il suo amico pittore
Maurice de Vlaminck (che, essendo filo-tedesco, gli varrà un’inchiesta per
presunto collaborazionismo, poi abortita). Qui riprende la storia di Cécile che
non sapeva come proseguire. E qui la termina. Nelle varie parti che compongono
il romanzo si sente questa crasi, questo cambio di passo. Ora Simenon ha
un’idea su cui far convergere l’attenzione del lettore. Julienne, la zia morta,
era in effetti ben ricca, con i proventi dell’affitto di diversi bordelli in
giro per la provincia. Soldi che le venivano recapitati dal fido contabile, il
signor Charles. Per non insospettire Cécile, e per non far sapere in giro i
suoi affari, Charles viene di notte, quando la nipote prende una tisana con
sonnifero incorporato. Ma Charles beve, fuma, lascia indizi in giro, che sono
quelli che insospettiscono la nipote. Che è anche angosciata dalla povertà del
fratello Gérard, un buono a nulla che non ha mai saputo trovare il modo di far
fruttare i pochi franchi che Cécile gli dà di nascosto. E che ora è sposato, e
con la moglie incinta. Gérard batte di nuovo cassa, Cécile temerariamente
chiede soldi alla zia. Niente da fare. Per un errore di tazze però la nipote
non prende la tisana, e nottetempo assiste all’incontro tra Charles e la zia.
Venendo a sapere cose che non avrebbe dovuto. Chiedendo allora a brutto muso i
soldi alla zia. Facendo precipitare il tutto. Anche perché, a ritroso, si
scopre che Charles, in gioventù, era stato l’amante di Julienne, per poi
dedicarsi ad amori più “adolescenti” (anche se post-puberali), che lo portano
anche a qualche anno di prigione. Julienne intanto si sposa, mette a frutto le
economie della famiglia. Ma all’uscita dal carcere di Charles riprende le
antiche frequentazioni. Ed in un diario che Cécile vorrebbe portare a Maigret,
c’è anche la storia di un possibile omicidio del marito di Julienne da parte
dei due amanti. Sarà attraverso la testimonianza dei Gérard che alla fine
Maigret potrà ricostruire tutta la vicenda, la morte di Julienne,
l’avvicinamento di Cécile da parte di un insospettabile (per lei) ma ben noto
alla polizia per frequentazioni di case di tolleranza, l’uccisione di Cécile da
parte di … E mica vi posso dire tutto. Vi dico solo che la storia è, come avete
capito, frammentaria. Ogni tanto prende slancio, senza mai decollare bene.
Anche perché, benché rivista alla fine, rimangono quei salti tra la descrizione
di Charles nella prima parte e gli atteggiamenti dello stesso nella seconda. E
così per Cécile, Gérard ed altri comprimari. Ritorna solo, ed è un buon elemento
per noi estimatori, quell’empatia che il commissario metteva nelle prime
inchieste e che si stava perdendo per via.
“Firmato
Picpus”
[tit. or.: Signé
Picpus; ling. or.: francese; pagine: 305
– 435 (130); anno 1944]
Finalmente Simenon si sente un po’ stabile,
in quel di Fontenay-le-Comte, ha il castello, lavora per i rifugiati belgi,
Marc ha compiuto due anni. Allora, in un caldo mese di giugno butta giù di
getto una nuova impresa di Maigret, una di quelle che diventeranno tipiche: per
i personaggi, per le situazioni, per lo scioglimento. Intanto ci sono tutti i
comprimari: i fidi “moschettieri” Janvier, Lucas e Torrence (che vengono
variamente utilizzati nel corso dell’indagine), nonché l’ottima signora Maigret
che lo aspetta a casa, gli fa piatti prelibati e non si innervosisce per le
intemperanze dello scontroso marito, quando questi non trova i fili delle sue
inchieste e si aggira per trovarne il bandolo. Inoltre, come nei migliori
Simenon, tutti saranno diversi da come appaiono entrando in scena. Direi un
giallo a cipolla, dove ad ogni strato si scopre un sapore diverso del
precedente. Infatti incontriamo subito il timido contabile Mascouvin, che porta
un biglietto trovato in un bar dove si annuncia un assassinio. Biglietto, per
l’appunto, “firmato Picpus”. Dopo che la morte avviene nonostante Maigret,
Mascouvin tenta il suicidio. Non entrerà più direttamente in scena, ma sapremo
poi che era stato adottato, che si sentiva insicuro, che era corretto ma aveva
bisogno di soldi per far studiare la sorella, per cui si lega alla banda di
Blaise, uno strano faccendiere che tiene la sua base in campagna, facendo finta
di pescare, ma in realtà organizzando truffe con bande diverse (una è quella
cui passa informazioni Mascouvin). Utilizzando anche la falsa indovina Jeanne
(quella che viene uccisa) come base di smistamento e ricezione di informazioni.
Quindi, è vero Jeanne è un’indovina, ma anche una truffatrice. Nella sua
cucina, chiuso a chiave, si scopre poi Octave, uno strano disadattato, anche
lui, ovvio, diverso da quello che ci appare. Ora è, per l’appunto, stralunato,
dominato dalla moglie, costretto quasi ad una vita da recluso, cui si concede
uscite solo per andare a trovare Jeanne. Conosciamo quindi la moglie, la signora
Le Cloaguen, losca figura che ci sta subito e neanche tanto cordialmente
antipatica. Che appunto segrega il marito per avere e gestire la rendita che
questi riceve da parte di un ricco argentino cui venti anni prima ha salvato la
figlia da una malattia tropicale quando era medico di bordo in navi asiatiche.
Devo dire che subito si capisce che c’è stato un cambio di persona, che il buon
Octave non sembra proprio né medico né istruito. Ma perché sottostà ai diktat
della presunta moglie? Perché stava nella cucina di Jeanne? Risalendo, tramite
la ricostruzione delle attività di Jeanne, alla campagna di cui sopra, Maigret
scopre il losco Blaise. Ed anche se non capisce subito quali siano le
connessioni, alla fine, cerca di tenere tutti i fili in mano. Il biglietto
portato da Mascouvin, la sorella, i pesci di Blaise, lo stralunato Octave, la
signora Le Cloaguen, il fatto che la famiglia viveva fino a dieci anni prima in
Riviera (ed anche se qui scrive in Vandea, Simenon riecheggia sempre il sole
lasciato da qualche anno nel Mediterraneo). Manda messaggi a destra e sinistra,
ma l’illuminazione (perché anche di questo c’è bisogno) il nostro commissario
ce l’ha andando al bar di Mascouvin, bevendo una birra, fumando la sua pipa, e
vedendo sul muro un annuncio pubblicitario di una ditta di trasporti, i
“Trasporti Picpus”. Miracolosamente allora tutti i tasselli vengono al pettine.
Di certo aiutati dai messaggi di ritorno dalla Costa Azzurra, e dall’aver
trovato, a Parigi, la sorella di Octave. In un momento che anche qui è
paradigma del Maigret futuro, quello che abbiamo conosciuto con la faccia di
Gino Cervi, con quasi tutti gli attori presenti, il commissario va a spiegare.
Il vero Le Cloaguen muore, probabilmente per cause naturali. Poiché il lascito
è personale, per non perderlo, la signora prima lo sotterra in cantina nella
villa, poi trova un barbone molto somigliante al marito, lo convince ad
impersonarlo, ma per evitare riconoscimenti indebiti, si trasferiscono a
Parigi. Lì, però, il falso Le Cloaguen ritrova casualmente la figlia perduta,
appunto l’indovina Jeanne. Mentre le parla della sua storia, uno della banda di
Blaise, lo sente, avverte il capo che organizza un ricatto alla signora. Ma
Jeanne si vuole tirare indietro, e Blaise, presente anche Mascouvin, organizza
il modo di farla fuori. Mascouvin cerca con il biglietto di avvertire
trasversalmente la polizia, e non riuscendoci, si sente incapace di affrontare
i sensi di colpa. Ci sono anche altri rivoli di storia, alcuni anche gustosi,
che qui tralascio per darvi modo di godere questo caposaldo. Nel mio
immaginario, d’ora in poi, ci sarà un Maigret prima ed uno dopo Picpus.
Finisco, sottolineando che non solo la storia riassume i futuri stili di
Simenon rispetto al commissario, ma non si dimentica che in questo periodo
scrive anche molto di altra natura. Sono quindi presenti, in varia natura e con
diversi risultati, approfondimenti psicologici, descrizioni sociali. Fino alla
da molto tempo dimenticata empatia del commissario. Bravo Georges! E bravo Jules!
“Félicie”
[tit.
or.: Félicie est là; ling. or.: francese; pagine: 437
– 564 (127); anno 1944]
Dopo la svolta nonché pietra miliare del
precedente, nell’estate del ’41 inizia altri due romanzi “Maigret”. Tuttavia
non li termina, che, volendo di nuovo rintanarsi nella Vandea profonda, è
costretto ad un nuovo trasloco, verso Saint-Mesmin-le-Vieux. Ma mentre aspetta
sia pronta la nuova casa, passa alcuni mesi di nuovo nel golfo de La Rochelle,
dove termina il primo dei due romanzi, quello di “Félicie”. Anche qui notiamo
alcune delle caratteristiche del Simenon di questi anni. Molta attenzione ai
rapporti umani, cambiamenti d’umore durante il trasloco della scrittura, dove
quando si avvicina all’acqua sembra sempre uno scrittore più solare, riutilizzo
di elementi (spesso ovviamente di contorno) che gli rimangono appicciati da
tutte le scritture che porta avanti in parallelo. Ad esempio, sono diversi
romanzi che uno dei personaggi di contorno si chiama Charles. È sempre diverso,
non come il futuro Bret Easton Ellis che porta gli stessi personaggi a fare da
comprimari in romanzi diversi. Ma lo si indica sempre come “il signor Charles”
(e ricordiamocene tra una cinquantina di romanzi). Oppure la caratterizzazione
inziale della Félicie, punto centrale di questo romanzo, che sembra quasi
ricalcare la descrizione della timida figura della sorella di Mascouvin,
contenuta nel libro precedente. Ad un tratto si parla di una prostituta di nome
Adele, stesso nome e stessa professione di un personaggio sia di “All’insegna
di Terranova” sia di “La danzatrice del Gai-Moulin”. Non solo ma Félicie è
introdotta con le stesse parole di Cécile di due romanzi fa! D’altra parte è
ovvio che uno scrittore prolifico come il nostro tenda a reiterare alcuni
elementi, magari di contorno, visto che scrive a ritmi forsennati, e non sempre
si riesce a prendere nota di tutto. Ricordo per inciso che ha pubblicato 441
diversi titoli (con 75 romanzi e 28 racconti solo di Maigret) tra il 1929 ed il
1989, anno della morte. Fate voi i calcoli, sono circa 7 titoli ogni anno per
60 anni! Torniamo ora al romanzo di cui stiamo tramando. Come molti appunto di
questo periodo di guerra, si concentra più sugli aspetti psicologici che su di
una trama gialla vera e propria. Certo, cominciamo con un morto, uno strano
tipo, soprannominato Gambadilegno (Jambe-de-Bois nell’originale, e non Pat
Hibulaire come si chiama in francese il personaggio di Disney, ma qui si aprirebbe
una parentesi troppo lunga), che ha perso la gamba a Capo Horn, e così ha
chiamato questa villetta in un piccolo villaggio di recente costruzione vicino
a Poissy. Jules (questo il vero nome) ha un nipote un po’ alternativo (suona il
sassofono nei locali di Pigalle) ed una servetta che è tutto un programma. È
lei, il centro del romanzo. La servetta Félicie, che non vuole essere chiamata
domestica, che folleggia di grandi avventure sulla scorta dei suoi romanzi
rosa, che va a ballare da sola, che si innamora, senza dirglielo, del nipote di
Jules, che ingaggia una lunga partita a scacchi con Maigret. Il nostro intuisce
che lei sa qualcosa, ma non riesce a farla parlare, anzi viene messo in
difficoltà dalla verve di Félicie. Memorabili i passaggi in drogheria, e la
cena a casa Capo Horn. Tutto serve a Maigret però per entrare nella psicologia
sia di Félicie che del morto. Fino a quando si arriva alle solite accelerazioni
finali. Qualcuno aggredisce Félicie in casa, per cercare qualcosa. Qualcuno
ferisce quasi a morte il nipote quando questi sta per aprirsi al commissario.
Ma se la psicologia serve a qualcosa, permette a Maigret di capire l’esistenza
di due diversi ma simili armadi. Ed è nel secondo che trova un bottino, un
pacco con tantissimi franchi. Ed ecco le connessioni, che, come in molti gialli
di Simenon, sono esterne. Si risale ad una rapina di un anno prima, con i
colpevoli arrestati ma senza trovare il frutto della stessa. Uno dei malviventi
è anche un musicista di Pigalle. Quindi un possibile amico del nipote, che
accetta di nascondere il bottino. Ma quando questi lo rivuole, il nipote
tentenna (nella rapina ci fu un morto, ed il ragazzo ha paura). I cattivi
allora si mettono sulle sue tracce, sono loro che colpiscono a morte
Gambadilegno quando questi è a colloquio con il nipote. Che fugge, visto da
Félicie che pensa sia lui il colpevole. Data la sua natura romantica comincia a
coprirlo ingarbugliando le acque per Maigret. Sono sempre i cattivi che
rovistano in tutti i nascondigli, che feriscono il ragazzo. Maigret, in ambasce
per le sorti di Félicie, si installa in casa sua. Dove finalmente riesce a far
breccia nella corazza della ragazza. Poi durante la notte… Succede quello che
deve e che dovreste leggere per avere la soluzione della vicenda. Ovviamente se
vi va. Ma questi tre romanzi centrali del quinto volume hanno una buona
consistenza ed una gradevolezza di lettura, che ne fanno un piacevole momento.
Magari estivo, piluccando ciliegie.
“L’ispettore
Cadavre”
[tit. or.: L’inspecteur
Cadavre; ling. or.: francese;
pagine: 565 – 709 (144);
anno 1944]
Pubblicato nella trilogia uscita nel gennaio
del ’44 sotto il titolo cumulativo “Firmato Picpus”, è il meno felice dei tre,
ed anche, come da più parti si è sottolineato, il più cupo, pervaso di
un’atmosfera umida e piovigginosa, come il clima di Saint Aubin, dove il capo
invia Maigret per sbrogliare una matassa in cui è invischiato anche il marito
della sorella. Atmosfera agli antipodi di quella solare del precedente
“Félicie”. Non è inoltre un caso che la scrittura duri quasi due anni,
riuscendo a mettere la parola fine soltanto alla fine (ripetizione, ah! non si
deve mai fare) del trasloco della famiglia nella nuova collocazione di Saint-Mesmin-le-Vieux.
Risenta anche degli attriti che andavano aumentando tra Simenon e l’editore
Gallimard, quasi che nella figura del giudice Brejon che invia, ordina quasi, a
Maigret di indagare in provincia, ci sia l’ombra dell’editore che chiede sempre
nuove scritture al pur prolifico belga. Per la prima volta, inoltre, mi trovo
ad eccepire sul titolo. In genere, il titolo serve a centrare il romanzo su un
aspetto che Simenon ritiene saliente nella trama. Questa volta, pur giocando
sull’ironia, l’ispettore del titolo è un personaggio marginale nella trama, che
serve solo ad innervosire Maigret facendogli venire la voglia di risolvere il
rebus, ma non andando a toccare i nodi del problema. Dicevo ironia, perché in
realtà il personaggio si chiama Justin Cavre, è un ex-ispettore di polizia,
sempre rimasto sulle sue, complessato dalla presenza di Maigret, che ad un
certo punto si dimette ed inizia a fare l’investigatore privato. Essendo un
personaggio tristo, dal nome, Cavre, tutti in polizia lo avevano soprannominato
“Cadavre”, che anche chi sa poco di francese associa all’italiano “cadavere”.
Ma a parte qualche intervento, ed il nervosismo di Maigret non è lui il centro
del problema. Che invece è la morte del giovane Albert, travolto da un treno in
quel di Saint Aubin. Tuttavia le malelingue provinciali cominciano subito a far
circolare la voce che il giovane sia stato ucciso. Albert, segretamente, aveva
una relazione con Geneviève, la figlia di Naud, il parente del giudice. Il
quale, impanicato, chiede aiuto all’altolocato parente, anche se subito dopo si
pente, e chiede anche i servizi di Cavre. Ma Maigret è stato messo in pista,
arriva nella cittadina, e comincia ad annusare l’aria. Che non è buona, infatti
tutti (o quasi) sembrano volergli consigliare di tornarsene presto a Parigi,
che lì sono problemi loro. Anzi non ci sono problemi. Simenon, con i suoi
tocchi maestrali, ci fa partecipi di cene potenti nelle portate ma scarsamente
conviviali. La famiglia Naud è chiusa a riccio, con sempre presente l’amico di
famiglia, lo spiantato Alban Groult-Cotelle. La figlia si premura di avvertire
Maigret di essere in cinta di Albert, chiedendogli il silenzio. Louis, l’amico
di Albert, è perplesso: pensava infatti che Albert e Geneviève avessero rotto.
L’ubriacone del paese che aveva trovato degli indizi dice di non ricordare più
nulla. La madre di Albert sembra non voler proseguire nelle indagini, e pare
nasconda una forte somma di denaro in cucina. Maigret non sa come muoversi,
anche perché non ha una veste ufficiale. E se la famiglia Naud, che lo aveva
fatto venire, è la prima che si mostra ostile, lui ha voglia di mandare tutti a
quel paese. C’è solo il fatto che così darebbe campo libero a Cavre, e quanto
gli scoccia! L’unica cosa veramente ben fatta del libro è la resa che Simenon
fa della Vandea in un nebbioso mese di gennaio, con le due sole locande aperte,
i paesani che giocano a carte, e l’immancabile birra che scorre a fiumi. Nel
racconto, il punto di svolta per Maigret avviene quando, non richiesto, Alban
dice di avere un alibi nel giorno della morte di Albert. Lo dice alla solita
cena, e soprattutto Geneviève ne risulta molto seccata, anzi incazzatissima.
Capiamo allora, e Maigret con noi, che la giovane è sì incinta, ma di Alban e
non di Albert. Capiamo che Albert sa di essere preso in trappola e manda a quel
paese la giovane. Tuttavia, come spesso accade, lo fa nel momento peggiore,
l’unico in cui il signor Naud si sveglia, si accorge della sua presenza in
casa, e lo affronta con una pesante chiave in mano. Nella solita scena finale,
con tutti i personaggi presenti, Maigret spiega il come ed il perché, ritenendo
che il vero colpevole sia l’infingardo Alban, che non riesce mai a prendere una
parte attiva negli avvenimenti, defilandosi sempre, e lasciando gli altri nelle
peste. Come nei primi Maigret, la giustizia non avrà il suo corso, che nessuno
sembra dispiaciuto della morte di Albert, a parte il solo Louis. Ma il nostro
non ha incarichi, e preferisce lasciare la cittadina, dove ognuno deciderà cosa
fare del proprio futuro. Insomma, atmosfere cupe, personaggi problematici,
Cavre che non si capisce perché sia entrato nella storia (e perché abbia avuto
l’onore del titolo). Un romanzo terminato a metà della guerra, per compiacere
Gallimard, ma che non lascia il segno.
Finalmente
Domenica, come direbbe Truffaut. Ed essendo la prima domenica di novembre, ecco
le letture di agosto. Aumentano, rispetto ai mesi precedenti, come è giusto
essendo un mese di tregua, allietato da una Croazia inedita. Un mese poco
esaltante, con letture di media, o poco sotto. A parte il poco gradito
tentativo di Sellerio con dei racconti poco omogenei di Antonio Castelli.
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Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Nora Ephron
|
Affari di cuore
|
Corriere della Sera
|
7,90
|
3
|
2
|
Diego Lama
|
La collera di Napoli
|
Mondadori
|
5,90
|
2
|
3
|
Claudio Balostro
|
Il vigile Rollo
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Fratelli Frilli
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s.p.
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3
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4
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Ruth Reichl
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La parte più tenera
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Corriere della Sera
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7,90
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3
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5
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Francesco Recami
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Gli scheletri nell’armadio
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Sellerio
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13
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3
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6
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Danila Comastri Montanari
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Olympia
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Mondadori
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12
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3
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7
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Jeanette Winterson
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Il sesso delle ciliegie
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Mondadori
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9,50
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2
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8
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Andrea Camilleri
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Morte in mare aperto e altre indagini del giovane
Montalbano
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Sellerio
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14
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3
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9
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Andrea Camilleri
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La giostra degli scambi
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Sellerio
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14
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3
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10
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Anne Perry
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Un mare senza sole
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Mondadori
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4,90
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3
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11
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Antonio Castelli
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Passi a piedi passi a memoria
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Sellerio
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s.p.
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1
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