E stiamo parlando di quello
americano, dove abbiamo tre libri che, per un verso o per l’altro, ne parlano.
Doctorow ne esalta la nascita, Thompson la sua decadenza (leggete il lungo
brano del capitolo 8 che riporto; bellissimo!) e Shteyngart la sua fine. Nel
mezzo un interludio, ironico e personale, con il mio amato Queneau.
E. L. Doctorow “Ragtime” Mondadori euro 13 (in realtà, scontato a 9,75
euro)
[A: 25/03/2016– I: 18/04/2017 – T: 20/04/2017] - &&&
-
[tit. or.: Ragtime; ling. or.: inglese; pagine: 259;
anno 1975]
Un altro libro “storico” in molti
sensi, che andava letto prima o poi, visto che al tempo non mi incuriosì, così
come mi aveva lasciato discretamente freddo la figura di scrittore di Edgar
Lawrence Doctorow, noto al pubblico solo con le iniziali (E.L.). Spinta che,
oltre per evidenti ragioni culturali, è stata amplificata dalle letture dei
miei libri “da comodino”, sulla cura e sulla felicità che danno i testi
stampati. L’anomalo Doctorow, tra l’altro, è l’esponente di punta di quella
“historical fiction” che tanto successo ha (ha avuto) in America da un certo
punto in poi. Anomalo perché ha scritto pochi libri e tutti su questo filone.
Una fiction che cominciò con “Il libro di Daniel”, dove romanza la vicenda
della condanna a morte dei coniugi Rosenberg. E che ebbe il suo altro punto di
grande successo in questa saga dell’America dei primi decenni del secolo. Una
saga che, dal punto di vista storico, seguiamo dalla vicenda legata
all’omicidio di Stanford White con al centro la figura di Evelyn Nesbit sino
all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917. La scrittura è molto
scorrevole, anche senza punte di vero coinvolgimento, almeno per il mio gusto.
Prendendo come filo conduttore una fantomatica famiglia media americana (Papà,
Mamma, Figlio e Fratello Minore della Mamma) la segue mentre si intrecciano, a
volte molto tangenzialmente, le vicende personali della famiglia con
avvenimenti storici. Il contraltare della famiglia media è costituito da due
personaggi di verso opposto: l’immigrato est europeo Tateh ed il negro
Coalhouse Walker. Ma l’intrecciarsi delle vicende è proprio l’elemento centrale
e di punta del romanzo. Alcune sono vicende storiche significative, che danno
sia il senso del tempo della narrazione sia dell’evoluzione dell’America nei
primi venti anni del secolo scorso. Abbiamo quella di partenza, il famoso,
all’epoca, omicidio dell’architetto Stanford White da parte del geloso marito
di Evelyn Nesbit. Evelyn era stata amante di White, che però prediligeva
ninfette adolescenti, e che la lasciò quando la signorina si avviava ai venti
anni. Harry Thaw, marito geloso e violento, uccide l’ex-amante con un colpo di
pistola al teatro del Madison Square Garden. Una vicenda che si protrasse per
molti anni, con Thaw che si finge pazzo, che sfugge alla condanna a morte, e
che poi riesce anche ad uscire di prigione vivo proprio nel 1917 quando finisce
il romanzo. Doctorow inzeppa la storia immaginando una breve storia d’amore tra
il Fratello Minore della Mamma ed Evelyn. Altro punto forte è la controversa
spedizione alla conquista del Polo Nord geografico guidata da Robert E. Peary,
che, barando, sembrò averlo raggiunto. Anche qui, le storie si mescolano con la
partecipazione di Papà alla spedizione. Poi ci sono i molti spettacoli di
escapismo di Harry Houdini, che fanno da contraltare alla crescita del Figlio.
E poi le due vicende industriali: la crescita ed il consolidamento dell’impero
di John P. Morgan, considerato uno degli uomini più ricchi di ogni tempo, e la
nascita dell’impero automobilistico di henry Ford, con la messa in produzione
della famosissima Ford T. Gustosa e da leggere la parte relativa all’incontro
tra i due grandi uomini. Inciso: Morgan muore nel 1913 nel sonno al Grand Hotel
di Roma. Poi ci sono vicende toccate di lato, magari accennate, magari da
approfondire. Come la vita e le opere della femminista anarchica Emma Goldman.
O. più ironicamente, la visita in America del trio di grandi psicanalisti
dell’epoca: Freud, Jung e Ferenczi. Filo conduttore, dicevamo poi, oltre le
vicende della famiglia, quella dell’immigrato dell’est, Tateh. Che vive di
stenti, che è abile nel ritagliare figurine nel cartone (si immaginano belle
silhouette della Nesbit), che non riesce ad integrarsi con le comunità locali,
che scaccia la moglie, prostituitasi per trovare i pochi soldi per andare
avanti, che fugge ad Atlantic City con la figlia, e che trova il suo spazio con
le sue figurine animate quando capisce che si può inserire nella nascente
industria cinematografica. Più densa, ma anche più diluita, e forse anche
troppo “montata”, la vicenda di Coalhouse Walker. Che Doctorow riprende,
aggiornandola, dal racconto “Michael Kohlhaas” di Henrich von Kleist. Walker è
un nero che incidentalmente mette incinta la giovane Sarah, che, con il figlio,
viene “adottata” dalla madre. Walker è un suonatore di piano, dopo un lungo
corteggiamento riesce a convincere Sarah al matrimonio, ma, prima della
fatidica data, entra in contrasto con i bianchi. Ovvio il nascere degli attriti
razziali. Il locale capo dei pompieri sporca di lordume la bella macchina di
Walker, che chiede un risarcimento. Ovvio che la prende in quel posto. Ovvia la
sua irritazione, che seguiamo, purtroppo, per pagine e pagine, risultando
incisiva dal punto di vista sociologico, ma poco dal punto di vista narrativa.
Walker, nonostante la sua ribellione ed alcune vittorie tattiche, non potrà
vincere, ed alla fine sarà trucidato davanti alla Biblioteca istituita da J.P.
Morgan. I suoi accoliti fuggiranno, tra cui il Fratello Minore della Mamma, che
riparerà in Messico per unirsi alla rivoluzione zapatista. Papà avrà invece un
tracollo finale, lasciando finalmente libera Mamma, che alla fine troverà il
modo di unirsi in un matrimonio felice con l’immigrato ora ricco Tateh. Non ci
voleva certo questo libro per dirci che agli inizi del Novecento gli americani
erano zoticoni ed immigrati. Neppure ci illumina in modo maggiore sul modo
banditesco e ricattatorio con cui le grandi famiglie americane costruirono i
loro imperi. Certo, ci fa vedere che, cinquanta anni dopo la Guerra Civile, il
razzismo è ancora imperante (e purtroppo lo è ancora). Ci fa capire infine,
anche se scritto quaranta anni fa, come sia possibile che una persona poco
qualificabile come Trump possa diventare Presidente degli Stati Uniti. Insomma,
tenta di essere pungente, ma non lo è fino in fondo (se volete veramente
arrabbiarvi leggete le epopee dei nativi americani allora). È correttamente
leggibile, ma poco altro di più. Inoltre questa mancanza di nomi nella famiglia
che seguiamo per venti anni lascia la storia a qualche passo da noi, senza
coinvolgerci. Per finire, è vero che il rag era la musica del tempo, ma a parte
alcuni accenni a Scott Joplin da parte di Walker, poco ci viene rimandato.
“[citando Freud] L’America è uno sbaglio, un gigantesco sbaglio.” (38)
Raymond Queneau “Il diario intimo di Sally Mara” Feltrinelli euro 7 (in
realtà, scontato a 5,95 euro)
[A: 04/05/2016 – I:
28/05/2017 – T: 01/06/2017] - &&& +
[tit. or.: Les
œuvres complètes de Sally Mara; ling. or.: francese; pagine: 164; anno 1950]
Penso
che pochi non sappiano la mia passione per Queneau, che ritengo sia il Draghi
della mia personale BCE (che ovviamente non sta per la famosa banca, ma per le
stelle del mio firmamento letterario: Borges, Calvino, Eco). Ho (quasi) la sua
opera omnia e (quasi) tutta in francese. Mi mancava, ed ero dubbioso sul da
farsi, le opere che uscirono a suo tempo con lo pseudonimo di Sally Mara
(“Troppo buoni con le donne” e “Diario intino”). Ora, approfittando della
spinta delle mie libropeute, che consigliano questo libro agli adolescenti, e
facendo tesoro degli spazi di riposo ritagliati durante il recente viaggio in
Israele, ecco che riesco a leggere il secondo testo, nella versione
feltrinelliana di Leonella Orati Caruso, derivante non dal primo testo (che fu
appunto le “Journal Intime”) ma dalla sua riproposizione quando Queneau rivelo
di esserne l’autore (e che uscì appunto con il titolo “Le opere complete di
Sally Mara”). Devo anche confessare che il testo, anche se ottimamente reso,
non potrà avere l’impatto della lingua originale. Proprio per l’impianto
generale che l’autore ne ha dato: è un diario scritto in francese da una
persona (fittizia) irlandese. Queneau si diverte allora a rendere tutto il gioco
attraverso un uso quasi da “traduttore automatico”, utilizzando modi di dire e
perifrasi che rendono il testo umoristico, ma solo, per l’appunto,
apprezzandone gli sforzi di scrittura. Che il testo in sé, preso senza queste
costrizioni testuali, è banalmente percorribile. Il diario di una ragazza,
Sally, ingenua, irlandese e cattolica. Che vive in una famiglia strampalata,
con una madre leggermente fuori di testa, sempre in attesa del marito uscito un
giorno per comperare dei fiammiferi e non ancora tornato, il marito che si
divertiva a sculacciare le due figlie, Sally, che ne soffriva, e Mary, cui
sembrava piacere, ed il cui unico intento era vincere un concorso alle poste,
ed un fratello, dedito solo ad alcool e sesso. Sally ha seguito i corsi poco ortodossi
di francese del suo maestro, ora tornato in Francia. Sally che vuole scrivere
un romanzo in gaelico, di cui ha deciso il titolo (“Le donne sono sempre troppo
buone con gli uomini”) e che noi sappiamo che, come Sally Mara, ha già
pubblicato (anche se con il titolo “Troppo buoni con le donne”). Gaelico che
conosce poco, per cui va a lezione da un bardo dove conosce la di lui moglie,
capace solo di fare piccole statuine con organi sessuali abnormi, ed un giovane
timido che non riesce mai ad avere un approccio fruttifero verso Sally, anche
se ne intuiamo il lato romantico-timido. In questa assurda “Educazione
sentimentale” al contrario, Sally attraversa situazioni paradossali (tocca
membra maschili senza riconoscerle, abbraccia statue semi-nude del museo locale,
partecipa a sedute spiritiche, ha un primo rapporto sessuale con una cameriera,
impara a ballare per partecipare a balli settimanali, dove, finalmente, conosce
quello che il fratello voleva farle sapere fin dalle prime pagine, ed altro
ancora). Letto superficialmente potrebbe addirittura sembrare un libretto
licenzioso e libertino, anche se l’intento dell’autore è invece quello di
smascherare proprio queste licenziosità. Dimostrare cioè che la sconcezza non è
nelle parole in sé (dove per l’appunto ve ne sono nel libro, ma la dose che
normalmente si incontra nella vita quotidiana), quanto dalla combinazione che
noi diamo a quelle parole. L’uso di parole normali, mal utilizzate dal
traballante francese di Sally, portano ad una loro combinazione che crea
allusioni nella testa del lettore, e sono queste a generare la sconcezza e la
licenziosità. Un tramatore più abile di me avrebbe anche riportato nomi,
situazioni ed altri momenti del testo. Ma ne andrebbe la freschezza di chi,
come voi, potrebbe leggerlo senza condizionamenti. Potrebbe leggere di
irlandesi che bevono litri su litri di “uischi”, che mangiano “aringhe allo
zenzero” ed altro ancora. Io mi soffermo su un punto ironicamente superficiale,
che però tocca le mie corde umoristiche. Sally si descrive come una giovane
donna portata all’atletica, che corre i 100 metri in 10”2, salta in alto 1,71 e
lancia il peso a 14,38 metri. Dov’è l’ironia? L’autore scrive nella fine degli
anni Quaranta, dove i record mondiali sono rispettivamente proprio di 14,38 nel
peso detenuto dalla tedesca Gisela Mauermayer, di 1,71 nell’alto e di 11”5 nei
cento metri, detenuti entrambi dall’olandese Fanny Blankers-Koen (la famosa
atleta chiamata “la mamma volante”, che vinse 4 ori olimpici a Londra, avendo
trent’anni e due figli). A me, lo sapete, queste chicche mandano in visibilio,
come le altre prove “costrittive” di Queneau e dei suoi amici (penso a
“Esercizi di stile” dello stesso Queneau o a “La disparizione” di Perec). Per
finire, il record attuale (2017) dei cento metri piani è stato stabilito ad
Indianapolis, nel 1988, da Florence Griffith-Joyner con … 10”45. Ma queste sono
le mie di risate ed ironie, ed il libro è scorso via con tranquillità. Anche se
di Queneau molto altro e meglio ho letto. Pur tuttavia, l’amore è sempre amore.
Gary Shteyngart “Storia d’amore vera e supertriste” Guanda euro 18,50
(in realtà, scontato a 13,87 euro)
[A: 12/04/2017 – I: 28/06/2017
– T: 07/07/2017] - &&&&
[tit. or.: Super Sad True Love Story; ling. or.: inglese; pagine: 384; anno 2010]
Un libro che entra
velocemente nella libreria e nelle letture in base ad un emendamento dei miei
criteri di lettura. Ora c’è anche iBUK a suggerirmi mensilmente i più venduti.
Che acquisto e metto in liste prioritarie, così che i miei amati lettori abbiano
anche un po’ di attualità. Comunque sarebbe un libro entrato in ogni caso nella
mia libreria, per i suggerimenti delle nostre libropeute, anche come uno dei
dieci migliori libri del 2010. Devo confermare che, nonostante qualche alto e
basso, ed una parte finale un po’ scontato e non forse all’altezza del resto,
il libro ha un suo interesse. Tra l’altro l’autore nasce Igor Semyonovich in
quel di Leningrado esattamente 45 anni fa, per poi mutare il proprio nome in
Gary, e, dopo alterne vicende, dedicarsi ad una letteratura di marcato stampo
satirico. Anche se a volte, l’eccesso di satira rischia di essere un po’
vincolante per l’andamento del libro, in molte parti si riesce a trovare la
misura. In una epopea che non è, come il nostro marketing vorrebbe suggerire,
la descrizione di una nazione marcata a fuoco da Trump. Ma è una proiezione
visionaria, in tempi da Obama, di quella che potrebbe diventare l’America
post-trumpiana. Cioè un’America devastata dalle ossessioni, nate in tempi non
sospetti, ma portate all’esasperazione da Trump e dai suoi sodali. Gary
esaspera i tratti attuali del mondo, politici, di vita quotidiana, ma quanto
sarà lontana dal vero la sua visione? Un mondo dove ci sono due potenze che
governano la vita di ognuno. La Cina dal punto di vista economico, tanto da
diventare presidente del FMI. La Norvegia dal punto di vista delle
telecomunicazioni, che tutti sono connessi attraverso apparati elettronici, e
la Telecom norvegese ne ha il monopolio. Scenari che non sono lontani da quelli
attuali. L’America è pian piano regredita, ed il pensiero principale dello
scenario americano è trovare il modo di allungare la vita, allungarla sino
all’immortalità. Attraverso una compagnia, i Servizi Post Umani (SPU), che la
governa più o meno occultamente. Mentre dal punto di vista politico, il
management americano è praticamente asservito ad Israele. In questo mondo in
bilico, con tanti poveri al limite della sussistenza e pochi ricchi che fanno
il bello e cattivo tempo, si muove il nostro eroe Lenny Abramov. Ebreo di
famiglia russa (come Gary) alla ricerca del modo di vivere all’infinto,
asservito al capo della SPU, che durante un anno sabbatico a Roma conosce
un’oriunda coreana, Eunice, più giovane di lui di 15 anni (lui essendo un quasi
quarantenne), e se ne innamora follemente. In questo mondo bislacco, vediamo il
nascere di questa vera storia d’amore, punteggiata dalle due scritture di Gary:
il diario di Lenny ed i messaggi elettronici di Eunice. Vediamo tutto il
nascere e crescere del loro amore, anche se Eunice non si concede mai fino in
fondo. Che rimprovera a Lenny il suo non essere presente in casa, nelle
pulizie, nel mondo quotidiano. Lenny ha anche un altro difetto: legge i libri!
Mentre tutti il massimo che fanno è scansionarli con i loro apparati alla
ricerca di qualcosa da ritenere, ma tutti in via elettronica. Non ci si
meraviglia quindi che quando Eunice viene a contatto con Joshua, il capo di
Lenny, venga abbagliata dalla sua potenza (procura cibo, sistema la famiglia
coreana di Eunice, insomma è un berlusconiano ringiovanito). Ci avviamo così
alla parabola finale, la parte supertriste. Che Eunice lascia Lenny. Ma lascerà
anche Joshua, per andare a vivere e fare figli a Londra con un suo coetaneo.
Lenny, scottato ma non domo, pubblicherà con successo il diario di questi suoi
mesi allegri e tristi, cambierà il suo nome in Larry, ed andrà a vivere nello
Stato Libero della Toscana. E incontrerà di nuovo Joshua, che vede fallire il
suo progetto, dove il ringiovanimento delle cellule, ad un certo punto, provoca
crisi di rigetto, ed i Post Umani falsamente ringiovaniti andranno anche loro
incontro alla morte. Unica certezza del libro e della vita. Il tutto è anche
inframmezzato da altri momenti tipici di possibili scenari: guerre e
guerriglie, black-out elettrici, ed altre ovvie e probabili amenità. Ma non è
questo il bello del libro. Quello che atterrisce e colpisce è la visione di
tutte queste persone attaccate al loro iPhone (che viene chiamato con altri
nomi, ma sappiamo tutti che è lui). Che non si parlano ma si messaggiano. Tanto
che a volte per uscire dalla routine decidono di verbalizzare, cioè di parlarsi
a voce. iPhone che consente di seguire cosa accade. Dove un’amica di Lenny vive
in streaming narrando le sue storie in diretta, anche durante la cena con gli
amici. Come fa Noah, altro amico di Lenny, che invece fa il commentatore
politico in diretta. Con Eunice che compra solo su iPhone nei mercati virtuali.
E che, nel momento di black-out e bancarotta mondiale si ritrova con Lenny a
comprare vestiti di cotone in un mercato tipo suq nel centro di New York.
Questa visione, che Gary proietta nel futuro, è invece già qui. Ce ne
accorgiamo tutti i giorni, tutti i momenti. Andate cinque minuti in una
metropolitana, e contate quanta gente ha un cellulare acceso! Sarà almeno
l’80%. Andate in un ristornate e vede quante gente per parlare con un vicino di
là dal tavolo, non verbalizza ma whatsappa! Ripeto, il libro ha cadute di tono,
ha momenti anche troppo semplicistici. Ma è un campanello d’allarme gigante.
Una campana direi! Cerchiamo di frenare, prima che sia troppo tardi. Prima che
tutto sia talmente caldo da non poter essere più maneggiato né gestito. Un
libro satirico, dice il marketing. No, un libro che mette addosso una grande
paura.
“Speravo che aggiungesse ‘faccia da sfigato’ [o
‘giurassico’] tanto per essere sicuro che fosse tutto a posto, ma non l’ha
detto.” (132)
Hunter S. Thompson “Paura e disgusto a Las Vegas” Bompiani euro 9,90
[A: 07/05/2015– I: 25/07/2017
– T: 29/07/2017] - &&& --
[tit. or.: Fear and Loathing in Las Vegas; ling. or.: inglese; pagine: 267; anno 1971]
Come si fa ad incominciare una
scrittura di un libro illeggibile, intramabile e pur tuttavia imperdibile? Un
libro maldestramente consigliato dalle mie libropeute per darsi una scossa.
Forse si può cominciare dal suo autore, uno strano tipo di giornalista, o di
scrittore, o di qualcosa altro, che irrompe sulla scena della cultura
alternativa americana degli anni ’70, quando, poco più che trentenne, si
camuffa da motociclista, entra a far parte di una banda di motociclisti, e poi
ne scrive un reportage che diviene presto famoso, “Hell’s Angel”. Thompson, è
poi davvero strambo (ed è tale e quale a come lo portò sullo schermo il suo
amico Johnny Deep nel film tratto da questo libro): uno spilungone con il collo
lungo e la testa a pera, la pelata nascosta da una parrucca biondastra,
pantaloni corti e Converse ai piedi, occhiali da sole fumé e la sigaretta
Dunhill con il bocchino perennemente infilato all'angolo della bocca. L'aspetto
era reso ancora più strambo dal fatto che camminava con le gambe rigide e
allargate a semicerchio a causa di un infortunio rimediato in una partita di
football americano. Con questo aspetto dinoccolato, Thompson entra nella
redazione del maggior periodico alternativo dell’epoca, “Rolling Stones”, e
sulle sue pagine inizia, fonda e porta avanti quello che verrà battezzato il
“giornalismo gonzo”. Un modo di raccontare i fatti entrando in prima persona
negli avvenimenti, magari parlando di pere mentre si cercano coriandoli. Così,
poi, nasce questo libro che ne diventa l’eponimo quando verrà pubblicato a
puntate su “Rolling Stones”. Thompson vuole indagare sull’uccisione di un
giornalista-attivista “chicano” (cioè americano di origini messicane) Rubén
Salazar. Colpito a morte da un gas lacrimogeno sparato dalla polizia di Los
Angeles addosso a dei manifestanti contro la guerra nel Vietnam. Un possibile
conoscitore dei fatti era l’avvocato Oscar Zeta Acosta, che, per parlare senza
essere presi di mira proprio dai poliziotti, decidono di trasferirsi per un po’
di tempo a Las Vegas, prendendo spunto da una gara di motociclisti off-road che
si deve svolgere proprio nella cittadina del Nevada. Tra la gara (che non andò
mai a vedere), i discorsi con Oscar, e le idee che a ruota libera venivano
anche dal forte uso di droghe ed altre alterazioni psicotiche, viene fuori il
primo nocciolo duro di questo viaggio alla ricerca del “sogno americano”. Per
aggiungere materiale, un mese dopo, i due tornano a Las Vegas per seguire i lavori
della “Conferenza dell'Associazione Distrettuale Nazionale sui Narcotici e
Droghe Pericolose”. Ovviamente la conferenza è vera, ovviamente per Thompson è
solo uno spunto per parlare di altro, per cercare, come dice quasi all’inizio:
“Avevamo due borsate di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli
di LSD super-potente, una saliera piena zeppa di cocaina, e un’intera galassia
di pillole multicolori, eccitanti calmanti, esilaranti… e anche un litro di
tequila, uno di rum, una cassa di Budweiser, una pinta di etere puro… [con
tutto ciò], lascia che ti spieghi … Noi stiamo cercando il Sogno Americano, e
ci hanno detto che rimane da queste parti… Lo stiamo cercando qui perché qui ci
hanno mandato da San Francisco, a cercarlo. Ecco perché ci hanno dato quella
Cadillac; pensano che, se lo troviamo, potremmo rinchiudercelo dentro…”. Per 26
stralunati capitoli, illustrati dai disegni da incubo di Ralph Steadman,
Thompson e Oscar, che nel libro diventano il giornalista Raoul Duke e
l’avvocato dr. Gonzo, entrano (tanto) ed escono (poco) da allucinazioni varie,
vedono animali fantastici nel deserto, spaventano autostoppisti, vivono a
scrocco, distruggono stanze d’albergo, hanno rapporti sessuali estremi, cercano
di fottere senza essere fottuti, vorrebbero anche morire, ma forse non
seriamente (solo Thompson lo farà seriamente, a 67 anni, sparandosi con il suo
fucile). Ma quello che deve rimanerci non è questa prima impressione. È il
tramonto del sogno americano che c’è dietro. E di tutta la cultura alternativa
dell’epoca, che riusciamo a riviver, in piccola parte, attraverso una
formidabile appendice al libro. La “Piccola Enciclopedia Psichedelica”, curata
da Sandro Veronesi, con tutta una serie di descrizioni di piccoli e grandi
tempi degli anni ’70, legate a quei mondi alternativi, da tutte le varie
derivazione dell’LSD e della mescalina, per passare da tutte le personalità
dell’epoca, da Spiro Agnew a Robert Zimmermann (che ovviamente conoscete, senza
che io o Alessandro ve lo dobbiamo rispiegare ancora). Un susseguirsi di lemmi
scritti da Baricco, Albinati, Erri De Luca, Fernanda Pivano, Gino Castaldo,
Gianni Minà, Marco Tullio Giordana ed altri esimi conoscitori di quel mondo. E
tra questi conoscitori, e le parole di Thompson, alla fine del capitolo 8, c’è
una descrizione delle sensazioni della fine “dell’onda” che invito a rileggere
(per questo ve la riporto in calce) a tutti i miei sodali di allora e di ora.
Per finire ricordo, sempre per gli attenti a tutte le arti, che il personaggio
del “giornalista gonzo” Duke è quello che ha ispirato il personaggio di Duke
nel fumetto di Gary Trudeau “Doonsbury” (che invito a rileggere per l’attualità
che ora ha ancora). Infine, sottolineo che la “paura e disgusto” del titolo
derivano da una frase di Nietzsche contenuta nel suo libro “L’Anticristo”.
Anche quello da (ri-)leggere.
Capitolo 8 – “I geni del mondo si tengono per mano…” Art Linkletter
“… Strani ricordi in quella nervosa nottata a Las Vegas. Cinque anni
dopo? Sei? Sembra passata una vita, o almeno un’epoca - quel tipo di culmine
che non tornerà mai più. San Francisco e la metà degli anni Sessanta erano
un bel tempo e un bel posto da vivere. Forse ha significato qualcosa. O
forse no, alla lunga... ma nessuna spiegazione, nessun insieme di parole o
musiche o ricordi può toccare la consapevolezza d’essere stato là, vivo, in
quell’angolo di tempo e di mondo. Qualunque cosa significasse...
La Storia è difficile da conoscere, per via
di tutte le stronzate che ci aggiungono, ma anche senza essere sicuri di cosa
dice la Storia pare del tutto ragionevole pensare che ogni tanto l’energia di
un’intera generazione si concentri in un lungo bellissimo lampo, per ragioni
che sul momento nessuno capisce - e che mai spiegheranno, retrospettivamente,
ciò che è veramente accaduto.
Il mio ricordo principale di quel tempo
sembra aggrappato a una o a cinque o forse a quaranta notti - o mattine molto
presto - quando mezzo sconvolto lasciavo il Fillmore e, invece di andare a
casa, prendevo la grandiosa Lightning 650 e sfrecciavo sopra al Bay Bridge a
centosessanta all’ora con indosso dei calzoncini L.L. Bean e un giubbotto Butte
da pastore... irrompevo di là del tunnel di Treasure Island sullo spettacolo di
luci di Oakland, Berkeley e Richmond, non molto sicuro su quale uscita
imboccare una volta arrivato di là (sempre spegnendo il motore al casello del
pedaggio, troppo fatto per trovare la folle mentre rovistavo in cerca di
spiccioli)... ma assolutamente certo che per qualunque strada fossi andato
sarei arrivato in un posto dove la gente era ispirata e selvaggia, esattamente
come me: nessun dubbio su questo...
C’era follia in ogni direzione, a ogni ora.
Se non attraverso la Baia, allora su al Golden Gate o giù sulla 101 per Los
Altos o La Honda… Potevi sprizzare scintille dovunque. C’era una fantastica
universale impressione che qualunque cosa si facesse fosse giusta, che si
stesse vincendo…
E quella, credo, era la nostra ragion
d’essere - quel senso di inevitabile vittoria contro le forze del Vecchio e del
Male. Vittoria non in senso violento o militare: non ne avevamo bisogno. La
nostra energia avrebbe semplicemente prevalso. Non c’era lotta - tra la nostra
parte e la loro. Avevamo tutto l’abbrivo noi; stavamo cavalcando un’onda
altissima e meravigliosa... .
Ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare
su una qualsiasi collina a Las Vegas e guardare verso ovest, e con gli occhi
adatti potevi quasi vedere il segno dell’alta marea - quel punto in cui l’onda,
alla fine, si è spezzata per tornare indietro.”
Essendo
la prima trama domenicale del mese di novembre, ecco che vi porgo la breve
lista dei libri agostani. Undici titoli di poco entusiasmo, ma con uno da
evitare assolutamente: il pessimo Bisotti.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Massimo Bisotti
|
Il quadro mai dipinto
|
Mondadori
|
13,50
|
1
|
2
|
Earl Derr Biggers
|
Charlie Chan e il cammello nero
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
2
|
3
|
Elena Ferrante
|
L’amore molesto
|
E/O
|
9,90
|
2
|
4
|
Pino Cacucci
|
In ogni caso nessun rimorso
|
Feltrinelli
|
9,50
|
3
|
5
|
Daniel Glattauer
|
Le ho mai raccontato del vento del Nord
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
2
|
6
|
Michel Bussi
|
Nymphéas Noirs
|
Pocket
|
s.p.
|
3
|
7
|
Antonia Arslan
|
La strada di Smirne
|
BUR
|
11
|
2
|
8
|
Elena Ferrante
|
La figlia oscura
|
E/O
|
9,50
|
2
|
9
|
Christopher Bush
|
Omicidio a Capodanno
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
2
|
10
|
Giuseppina Torregrossa
|
La miscela segreta di casa Olivares
|
Mondadori
|
10,50
|
3
|
11
|
John Ferguson
|
Il mistero del villaggio
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
Alcune novità ed aggiornamenti:
la mamma sta andando meglio, dopo caduta e operazione. Io un po’ meno che è una
settimana che non so a chi dare i resti. Resti che però rimandano ai prossimi
viaggi, che si stanno organizzando e che si dovrebbero concretizzare. Allora
come non salutare tutti quanti con un grosso abbraccio.
Nessun commento:
Posta un commento