domenica 5 novembre 2017

La fine di un sogno - 05 novembre 2017

E stiamo parlando di quello americano, dove abbiamo tre libri che, per un verso o per l’altro, ne parlano. Doctorow ne esalta la nascita, Thompson la sua decadenza (leggete il lungo brano del capitolo 8 che riporto; bellissimo!) e Shteyngart la sua fine. Nel mezzo un interludio, ironico e personale, con il mio amato Queneau.
E. L. Doctorow “Ragtime” Mondadori euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[A: 25/03/2016– I: 18/04/2017 – T: 20/04/2017] - &&& -
[tit. or.: Ragtime; ling. or.: inglese; pagine: 259; anno 1975]
Un altro libro “storico” in molti sensi, che andava letto prima o poi, visto che al tempo non mi incuriosì, così come mi aveva lasciato discretamente freddo la figura di scrittore di Edgar Lawrence Doctorow, noto al pubblico solo con le iniziali (E.L.). Spinta che, oltre per evidenti ragioni culturali, è stata amplificata dalle letture dei miei libri “da comodino”, sulla cura e sulla felicità che danno i testi stampati. L’anomalo Doctorow, tra l’altro, è l’esponente di punta di quella “historical fiction” che tanto successo ha (ha avuto) in America da un certo punto in poi. Anomalo perché ha scritto pochi libri e tutti su questo filone. Una fiction che cominciò con “Il libro di Daniel”, dove romanza la vicenda della condanna a morte dei coniugi Rosenberg. E che ebbe il suo altro punto di grande successo in questa saga dell’America dei primi decenni del secolo. Una saga che, dal punto di vista storico, seguiamo dalla vicenda legata all’omicidio di Stanford White con al centro la figura di Evelyn Nesbit sino all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917. La scrittura è molto scorrevole, anche senza punte di vero coinvolgimento, almeno per il mio gusto. Prendendo come filo conduttore una fantomatica famiglia media americana (Papà, Mamma, Figlio e Fratello Minore della Mamma) la segue mentre si intrecciano, a volte molto tangenzialmente, le vicende personali della famiglia con avvenimenti storici. Il contraltare della famiglia media è costituito da due personaggi di verso opposto: l’immigrato est europeo Tateh ed il negro Coalhouse Walker. Ma l’intrecciarsi delle vicende è proprio l’elemento centrale e di punta del romanzo. Alcune sono vicende storiche significative, che danno sia il senso del tempo della narrazione sia dell’evoluzione dell’America nei primi venti anni del secolo scorso. Abbiamo quella di partenza, il famoso, all’epoca, omicidio dell’architetto Stanford White da parte del geloso marito di Evelyn Nesbit. Evelyn era stata amante di White, che però prediligeva ninfette adolescenti, e che la lasciò quando la signorina si avviava ai venti anni. Harry Thaw, marito geloso e violento, uccide l’ex-amante con un colpo di pistola al teatro del Madison Square Garden. Una vicenda che si protrasse per molti anni, con Thaw che si finge pazzo, che sfugge alla condanna a morte, e che poi riesce anche ad uscire di prigione vivo proprio nel 1917 quando finisce il romanzo. Doctorow inzeppa la storia immaginando una breve storia d’amore tra il Fratello Minore della Mamma ed Evelyn. Altro punto forte è la controversa spedizione alla conquista del Polo Nord geografico guidata da Robert E. Peary, che, barando, sembrò averlo raggiunto. Anche qui, le storie si mescolano con la partecipazione di Papà alla spedizione. Poi ci sono i molti spettacoli di escapismo di Harry Houdini, che fanno da contraltare alla crescita del Figlio. E poi le due vicende industriali: la crescita ed il consolidamento dell’impero di John P. Morgan, considerato uno degli uomini più ricchi di ogni tempo, e la nascita dell’impero automobilistico di henry Ford, con la messa in produzione della famosissima Ford T. Gustosa e da leggere la parte relativa all’incontro tra i due grandi uomini. Inciso: Morgan muore nel 1913 nel sonno al Grand Hotel di Roma. Poi ci sono vicende toccate di lato, magari accennate, magari da approfondire. Come la vita e le opere della femminista anarchica Emma Goldman. O. più ironicamente, la visita in America del trio di grandi psicanalisti dell’epoca: Freud, Jung e Ferenczi. Filo conduttore, dicevamo poi, oltre le vicende della famiglia, quella dell’immigrato dell’est, Tateh. Che vive di stenti, che è abile nel ritagliare figurine nel cartone (si immaginano belle silhouette della Nesbit), che non riesce ad integrarsi con le comunità locali, che scaccia la moglie, prostituitasi per trovare i pochi soldi per andare avanti, che fugge ad Atlantic City con la figlia, e che trova il suo spazio con le sue figurine animate quando capisce che si può inserire nella nascente industria cinematografica. Più densa, ma anche più diluita, e forse anche troppo “montata”, la vicenda di Coalhouse Walker. Che Doctorow riprende, aggiornandola, dal racconto “Michael Kohlhaas” di Henrich von Kleist. Walker è un nero che incidentalmente mette incinta la giovane Sarah, che, con il figlio, viene “adottata” dalla madre. Walker è un suonatore di piano, dopo un lungo corteggiamento riesce a convincere Sarah al matrimonio, ma, prima della fatidica data, entra in contrasto con i bianchi. Ovvio il nascere degli attriti razziali. Il locale capo dei pompieri sporca di lordume la bella macchina di Walker, che chiede un risarcimento. Ovvio che la prende in quel posto. Ovvia la sua irritazione, che seguiamo, purtroppo, per pagine e pagine, risultando incisiva dal punto di vista sociologico, ma poco dal punto di vista narrativa. Walker, nonostante la sua ribellione ed alcune vittorie tattiche, non potrà vincere, ed alla fine sarà trucidato davanti alla Biblioteca istituita da J.P. Morgan. I suoi accoliti fuggiranno, tra cui il Fratello Minore della Mamma, che riparerà in Messico per unirsi alla rivoluzione zapatista. Papà avrà invece un tracollo finale, lasciando finalmente libera Mamma, che alla fine troverà il modo di unirsi in un matrimonio felice con l’immigrato ora ricco Tateh. Non ci voleva certo questo libro per dirci che agli inizi del Novecento gli americani erano zoticoni ed immigrati. Neppure ci illumina in modo maggiore sul modo banditesco e ricattatorio con cui le grandi famiglie americane costruirono i loro imperi. Certo, ci fa vedere che, cinquanta anni dopo la Guerra Civile, il razzismo è ancora imperante (e purtroppo lo è ancora). Ci fa capire infine, anche se scritto quaranta anni fa, come sia possibile che una persona poco qualificabile come Trump possa diventare Presidente degli Stati Uniti. Insomma, tenta di essere pungente, ma non lo è fino in fondo (se volete veramente arrabbiarvi leggete le epopee dei nativi americani allora). È correttamente leggibile, ma poco altro di più. Inoltre questa mancanza di nomi nella famiglia che seguiamo per venti anni lascia la storia a qualche passo da noi, senza coinvolgerci. Per finire, è vero che il rag era la musica del tempo, ma a parte alcuni accenni a Scott Joplin da parte di Walker, poco ci viene rimandato.
“[citando Freud] L’America è uno sbaglio, un gigantesco sbaglio.” (38)
Raymond Queneau “Il diario intimo di Sally Mara” Feltrinelli euro 7 (in realtà, scontato a 5,95 euro)
[A: 04/05/2016 – I: 28/05/2017 – T: 01/06/2017] - &&& +
[tit. or.: Les œuvres complètes de Sally Mara; ling. or.: francese; pagine: 164; anno 1950]
Penso che pochi non sappiano la mia passione per Queneau, che ritengo sia il Draghi della mia personale BCE (che ovviamente non sta per la famosa banca, ma per le stelle del mio firmamento letterario: Borges, Calvino, Eco). Ho (quasi) la sua opera omnia e (quasi) tutta in francese. Mi mancava, ed ero dubbioso sul da farsi, le opere che uscirono a suo tempo con lo pseudonimo di Sally Mara (“Troppo buoni con le donne” e “Diario intino”). Ora, approfittando della spinta delle mie libropeute, che consigliano questo libro agli adolescenti, e facendo tesoro degli spazi di riposo ritagliati durante il recente viaggio in Israele, ecco che riesco a leggere il secondo testo, nella versione feltrinelliana di Leonella Orati Caruso, derivante non dal primo testo (che fu appunto le “Journal Intime”) ma dalla sua riproposizione quando Queneau rivelo di esserne l’autore (e che uscì appunto con il titolo “Le opere complete di Sally Mara”). Devo anche confessare che il testo, anche se ottimamente reso, non potrà avere l’impatto della lingua originale. Proprio per l’impianto generale che l’autore ne ha dato: è un diario scritto in francese da una persona (fittizia) irlandese. Queneau si diverte allora a rendere tutto il gioco attraverso un uso quasi da “traduttore automatico”, utilizzando modi di dire e perifrasi che rendono il testo umoristico, ma solo, per l’appunto, apprezzandone gli sforzi di scrittura. Che il testo in sé, preso senza queste costrizioni testuali, è banalmente percorribile. Il diario di una ragazza, Sally, ingenua, irlandese e cattolica. Che vive in una famiglia strampalata, con una madre leggermente fuori di testa, sempre in attesa del marito uscito un giorno per comperare dei fiammiferi e non ancora tornato, il marito che si divertiva a sculacciare le due figlie, Sally, che ne soffriva, e Mary, cui sembrava piacere, ed il cui unico intento era vincere un concorso alle poste, ed un fratello, dedito solo ad alcool e sesso. Sally ha seguito i corsi poco ortodossi di francese del suo maestro, ora tornato in Francia. Sally che vuole scrivere un romanzo in gaelico, di cui ha deciso il titolo (“Le donne sono sempre troppo buone con gli uomini”) e che noi sappiamo che, come Sally Mara, ha già pubblicato (anche se con il titolo “Troppo buoni con le donne”). Gaelico che conosce poco, per cui va a lezione da un bardo dove conosce la di lui moglie, capace solo di fare piccole statuine con organi sessuali abnormi, ed un giovane timido che non riesce mai ad avere un approccio fruttifero verso Sally, anche se ne intuiamo il lato romantico-timido. In questa assurda “Educazione sentimentale” al contrario, Sally attraversa situazioni paradossali (tocca membra maschili senza riconoscerle, abbraccia statue semi-nude del museo locale, partecipa a sedute spiritiche, ha un primo rapporto sessuale con una cameriera, impara a ballare per partecipare a balli settimanali, dove, finalmente, conosce quello che il fratello voleva farle sapere fin dalle prime pagine, ed altro ancora). Letto superficialmente potrebbe addirittura sembrare un libretto licenzioso e libertino, anche se l’intento dell’autore è invece quello di smascherare proprio queste licenziosità. Dimostrare cioè che la sconcezza non è nelle parole in sé (dove per l’appunto ve ne sono nel libro, ma la dose che normalmente si incontra nella vita quotidiana), quanto dalla combinazione che noi diamo a quelle parole. L’uso di parole normali, mal utilizzate dal traballante francese di Sally, portano ad una loro combinazione che crea allusioni nella testa del lettore, e sono queste a generare la sconcezza e la licenziosità. Un tramatore più abile di me avrebbe anche riportato nomi, situazioni ed altri momenti del testo. Ma ne andrebbe la freschezza di chi, come voi, potrebbe leggerlo senza condizionamenti. Potrebbe leggere di irlandesi che bevono litri su litri di “uischi”, che mangiano “aringhe allo zenzero” ed altro ancora. Io mi soffermo su un punto ironicamente superficiale, che però tocca le mie corde umoristiche. Sally si descrive come una giovane donna portata all’atletica, che corre i 100 metri in 10”2, salta in alto 1,71 e lancia il peso a 14,38 metri. Dov’è l’ironia? L’autore scrive nella fine degli anni Quaranta, dove i record mondiali sono rispettivamente proprio di 14,38 nel peso detenuto dalla tedesca Gisela Mauermayer, di 1,71 nell’alto e di 11”5 nei cento metri, detenuti entrambi dall’olandese Fanny Blankers-Koen (la famosa atleta chiamata “la mamma volante”, che vinse 4 ori olimpici a Londra, avendo trent’anni e due figli). A me, lo sapete, queste chicche mandano in visibilio, come le altre prove “costrittive” di Queneau e dei suoi amici (penso a “Esercizi di stile” dello stesso Queneau o a “La disparizione” di Perec). Per finire, il record attuale (2017) dei cento metri piani è stato stabilito ad Indianapolis, nel 1988, da Florence Griffith-Joyner con … 10”45. Ma queste sono le mie di risate ed ironie, ed il libro è scorso via con tranquillità. Anche se di Queneau molto altro e meglio ho letto. Pur tuttavia, l’amore è sempre amore.
Gary Shteyngart “Storia d’amore vera e supertriste” Guanda euro 18,50 (in realtà, scontato a 13,87 euro)
[A: 12/04/2017 – I: 28/06/2017 – T: 07/07/2017] - &&&&
[tit. or.: Super Sad True Love Story; ling. or.: inglese; pagine: 384; anno 2010]
Un libro che entra velocemente nella libreria e nelle letture in base ad un emendamento dei miei criteri di lettura. Ora c’è anche iBUK a suggerirmi mensilmente i più venduti. Che acquisto e metto in liste prioritarie, così che i miei amati lettori abbiano anche un po’ di attualità. Comunque sarebbe un libro entrato in ogni caso nella mia libreria, per i suggerimenti delle nostre libropeute, anche come uno dei dieci migliori libri del 2010. Devo confermare che, nonostante qualche alto e basso, ed una parte finale un po’ scontato e non forse all’altezza del resto, il libro ha un suo interesse. Tra l’altro l’autore nasce Igor Semyonovich in quel di Leningrado esattamente 45 anni fa, per poi mutare il proprio nome in Gary, e, dopo alterne vicende, dedicarsi ad una letteratura di marcato stampo satirico. Anche se a volte, l’eccesso di satira rischia di essere un po’ vincolante per l’andamento del libro, in molte parti si riesce a trovare la misura. In una epopea che non è, come il nostro marketing vorrebbe suggerire, la descrizione di una nazione marcata a fuoco da Trump. Ma è una proiezione visionaria, in tempi da Obama, di quella che potrebbe diventare l’America post-trumpiana. Cioè un’America devastata dalle ossessioni, nate in tempi non sospetti, ma portate all’esasperazione da Trump e dai suoi sodali. Gary esaspera i tratti attuali del mondo, politici, di vita quotidiana, ma quanto sarà lontana dal vero la sua visione? Un mondo dove ci sono due potenze che governano la vita di ognuno. La Cina dal punto di vista economico, tanto da diventare presidente del FMI. La Norvegia dal punto di vista delle telecomunicazioni, che tutti sono connessi attraverso apparati elettronici, e la Telecom norvegese ne ha il monopolio. Scenari che non sono lontani da quelli attuali. L’America è pian piano regredita, ed il pensiero principale dello scenario americano è trovare il modo di allungare la vita, allungarla sino all’immortalità. Attraverso una compagnia, i Servizi Post Umani (SPU), che la governa più o meno occultamente. Mentre dal punto di vista politico, il management americano è praticamente asservito ad Israele. In questo mondo in bilico, con tanti poveri al limite della sussistenza e pochi ricchi che fanno il bello e cattivo tempo, si muove il nostro eroe Lenny Abramov. Ebreo di famiglia russa (come Gary) alla ricerca del modo di vivere all’infinto, asservito al capo della SPU, che durante un anno sabbatico a Roma conosce un’oriunda coreana, Eunice, più giovane di lui di 15 anni (lui essendo un quasi quarantenne), e se ne innamora follemente. In questo mondo bislacco, vediamo il nascere di questa vera storia d’amore, punteggiata dalle due scritture di Gary: il diario di Lenny ed i messaggi elettronici di Eunice. Vediamo tutto il nascere e crescere del loro amore, anche se Eunice non si concede mai fino in fondo. Che rimprovera a Lenny il suo non essere presente in casa, nelle pulizie, nel mondo quotidiano. Lenny ha anche un altro difetto: legge i libri! Mentre tutti il massimo che fanno è scansionarli con i loro apparati alla ricerca di qualcosa da ritenere, ma tutti in via elettronica. Non ci si meraviglia quindi che quando Eunice viene a contatto con Joshua, il capo di Lenny, venga abbagliata dalla sua potenza (procura cibo, sistema la famiglia coreana di Eunice, insomma è un berlusconiano ringiovanito). Ci avviamo così alla parabola finale, la parte supertriste. Che Eunice lascia Lenny. Ma lascerà anche Joshua, per andare a vivere e fare figli a Londra con un suo coetaneo. Lenny, scottato ma non domo, pubblicherà con successo il diario di questi suoi mesi allegri e tristi, cambierà il suo nome in Larry, ed andrà a vivere nello Stato Libero della Toscana. E incontrerà di nuovo Joshua, che vede fallire il suo progetto, dove il ringiovanimento delle cellule, ad un certo punto, provoca crisi di rigetto, ed i Post Umani falsamente ringiovaniti andranno anche loro incontro alla morte. Unica certezza del libro e della vita. Il tutto è anche inframmezzato da altri momenti tipici di possibili scenari: guerre e guerriglie, black-out elettrici, ed altre ovvie e probabili amenità. Ma non è questo il bello del libro. Quello che atterrisce e colpisce è la visione di tutte queste persone attaccate al loro iPhone (che viene chiamato con altri nomi, ma sappiamo tutti che è lui). Che non si parlano ma si messaggiano. Tanto che a volte per uscire dalla routine decidono di verbalizzare, cioè di parlarsi a voce. iPhone che consente di seguire cosa accade. Dove un’amica di Lenny vive in streaming narrando le sue storie in diretta, anche durante la cena con gli amici. Come fa Noah, altro amico di Lenny, che invece fa il commentatore politico in diretta. Con Eunice che compra solo su iPhone nei mercati virtuali. E che, nel momento di black-out e bancarotta mondiale si ritrova con Lenny a comprare vestiti di cotone in un mercato tipo suq nel centro di New York. Questa visione, che Gary proietta nel futuro, è invece già qui. Ce ne accorgiamo tutti i giorni, tutti i momenti. Andate cinque minuti in una metropolitana, e contate quanta gente ha un cellulare acceso! Sarà almeno l’80%. Andate in un ristornate e vede quante gente per parlare con un vicino di là dal tavolo, non verbalizza ma whatsappa! Ripeto, il libro ha cadute di tono, ha momenti anche troppo semplicistici. Ma è un campanello d’allarme gigante. Una campana direi! Cerchiamo di frenare, prima che sia troppo tardi. Prima che tutto sia talmente caldo da non poter essere più maneggiato né gestito. Un libro satirico, dice il marketing. No, un libro che mette addosso una grande paura.
“Speravo che aggiungesse ‘faccia da sfigato’ [o ‘giurassico’] tanto per essere sicuro che fosse tutto a posto, ma non l’ha detto.” (132)
Hunter S. Thompson “Paura e disgusto a Las Vegas” Bompiani euro 9,90
[A: 07/05/2015– I: 25/07/2017 – T: 29/07/2017] - &&& --
[tit. or.: Fear and Loathing in Las Vegas; ling. or.: inglese; pagine: 267; anno 1971]
Come si fa ad incominciare una scrittura di un libro illeggibile, intramabile e pur tuttavia imperdibile? Un libro maldestramente consigliato dalle mie libropeute per darsi una scossa. Forse si può cominciare dal suo autore, uno strano tipo di giornalista, o di scrittore, o di qualcosa altro, che irrompe sulla scena della cultura alternativa americana degli anni ’70, quando, poco più che trentenne, si camuffa da motociclista, entra a far parte di una banda di motociclisti, e poi ne scrive un reportage che diviene presto famoso, “Hell’s Angel”. Thompson, è poi davvero strambo (ed è tale e quale a come lo portò sullo schermo il suo amico Johnny Deep nel film tratto da questo libro): uno spilungone con il collo lungo e la testa a pera, la pelata nascosta da una parrucca biondastra, pantaloni corti e Converse ai piedi, occhiali da sole fumé e la sigaretta Dunhill con il bocchino perennemente infilato all'angolo della bocca. L'aspetto era reso ancora più strambo dal fatto che camminava con le gambe rigide e allargate a semicerchio a causa di un infortunio rimediato in una partita di football americano. Con questo aspetto dinoccolato, Thompson entra nella redazione del maggior periodico alternativo dell’epoca, “Rolling Stones”, e sulle sue pagine inizia, fonda e porta avanti quello che verrà battezzato il “giornalismo gonzo”. Un modo di raccontare i fatti entrando in prima persona negli avvenimenti, magari parlando di pere mentre si cercano coriandoli. Così, poi, nasce questo libro che ne diventa l’eponimo quando verrà pubblicato a puntate su “Rolling Stones”. Thompson vuole indagare sull’uccisione di un giornalista-attivista “chicano” (cioè americano di origini messicane) Rubén Salazar. Colpito a morte da un gas lacrimogeno sparato dalla polizia di Los Angeles addosso a dei manifestanti contro la guerra nel Vietnam. Un possibile conoscitore dei fatti era l’avvocato Oscar Zeta Acosta, che, per parlare senza essere presi di mira proprio dai poliziotti, decidono di trasferirsi per un po’ di tempo a Las Vegas, prendendo spunto da una gara di motociclisti off-road che si deve svolgere proprio nella cittadina del Nevada. Tra la gara (che non andò mai a vedere), i discorsi con Oscar, e le idee che a ruota libera venivano anche dal forte uso di droghe ed altre alterazioni psicotiche, viene fuori il primo nocciolo duro di questo viaggio alla ricerca del “sogno americano”. Per aggiungere materiale, un mese dopo, i due tornano a Las Vegas per seguire i lavori della “Conferenza dell'Associazione Distrettuale Nazionale sui Narcotici e Droghe Pericolose”. Ovviamente la conferenza è vera, ovviamente per Thompson è solo uno spunto per parlare di altro, per cercare, come dice quasi all’inizio: “Avevamo due borsate di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di LSD super-potente, una saliera piena zeppa di cocaina, e un’intera galassia di pillole multicolori, eccitanti calmanti, esilaranti… e anche un litro di tequila, uno di rum, una cassa di Budweiser, una pinta di etere puro… [con tutto ciò], lascia che ti spieghi … Noi stiamo cercando il Sogno Americano, e ci hanno detto che rimane da queste parti… Lo stiamo cercando qui perché qui ci hanno mandato da San Francisco, a cercarlo. Ecco perché ci hanno dato quella Cadillac; pensano che, se lo troviamo, potremmo rinchiudercelo dentro…”. Per 26 stralunati capitoli, illustrati dai disegni da incubo di Ralph Steadman, Thompson e Oscar, che nel libro diventano il giornalista Raoul Duke e l’avvocato dr. Gonzo, entrano (tanto) ed escono (poco) da allucinazioni varie, vedono animali fantastici nel deserto, spaventano autostoppisti, vivono a scrocco, distruggono stanze d’albergo, hanno rapporti sessuali estremi, cercano di fottere senza essere fottuti, vorrebbero anche morire, ma forse non seriamente (solo Thompson lo farà seriamente, a 67 anni, sparandosi con il suo fucile). Ma quello che deve rimanerci non è questa prima impressione. È il tramonto del sogno americano che c’è dietro. E di tutta la cultura alternativa dell’epoca, che riusciamo a riviver, in piccola parte, attraverso una formidabile appendice al libro. La “Piccola Enciclopedia Psichedelica”, curata da Sandro Veronesi, con tutta una serie di descrizioni di piccoli e grandi tempi degli anni ’70, legate a quei mondi alternativi, da tutte le varie derivazione dell’LSD e della mescalina, per passare da tutte le personalità dell’epoca, da Spiro Agnew a Robert Zimmermann (che ovviamente conoscete, senza che io o Alessandro ve lo dobbiamo rispiegare ancora). Un susseguirsi di lemmi scritti da Baricco, Albinati, Erri De Luca, Fernanda Pivano, Gino Castaldo, Gianni Minà, Marco Tullio Giordana ed altri esimi conoscitori di quel mondo. E tra questi conoscitori, e le parole di Thompson, alla fine del capitolo 8, c’è una descrizione delle sensazioni della fine “dell’onda” che invito a rileggere (per questo ve la riporto in calce) a tutti i miei sodali di allora e di ora. Per finire ricordo, sempre per gli attenti a tutte le arti, che il personaggio del “giornalista gonzo” Duke è quello che ha ispirato il personaggio di Duke nel fumetto di Gary Trudeau “Doonsbury” (che invito a rileggere per l’attualità che ora ha ancora). Infine, sottolineo che la “paura e disgusto” del titolo derivano da una frase di Nietzsche contenuta nel suo libro “L’Anticristo”. Anche quello da (ri-)leggere.
Capitolo 8 – “I geni del mondo si tengono per mano…” Art Linkletter
“… Strani ricordi in quella nervosa nottata a Las Vegas. Cinque anni dopo? Sei? Sembra passata una vita, o almeno un’epoca - quel tipo di culmine che non tornerà mai più. San Francisco e la metà degli anni Sessanta erano un bel tempo e un bel posto da vivere. Forse ha significato qualcosa. O forse no, alla lunga... ma nessuna spiegazione, nessun insieme di parole o musiche o ricordi può toccare la consapevolezza d’essere stato là, vivo, in quell’angolo di tempo e di mondo. Qualunque cosa significasse...
La Storia è difficile da conoscere, per via di tutte le stronzate che ci aggiungono, ma anche senza essere sicuri di cosa dice la Storia pare del tutto ragionevole pensare che ogni tanto l’energia di un’intera generazione si concentri in un lungo bellissimo lampo, per ragioni che sul momento nessuno capisce - e che mai spiegheranno, retrospettivamente, ciò che è veramente accaduto.
Il mio ricordo principale di quel tempo sembra aggrappato a una o a cinque o forse a quaranta notti - o mattine molto presto - quando mezzo sconvolto lasciavo il Fillmore e, invece di andare a casa, prendevo la grandiosa Lightning 650 e sfrecciavo sopra al Bay Bridge a centosessanta all’ora con indosso dei calzoncini L.L. Bean e un giubbotto Butte da pastore... irrompevo di là del tunnel di Treasure Island sullo spettacolo di luci di Oakland, Berkeley e Richmond, non molto sicuro su quale uscita imboccare una volta arrivato di là (sempre spegnendo il motore al casello del pedaggio, troppo fatto per trovare la folle mentre rovistavo in cerca di spiccioli)... ma assolutamente certo che per qualunque strada fossi andato sarei arrivato in un posto dove la gente era ispirata e selvaggia, esattamente come me: nessun dubbio su questo...
C’era follia in ogni direzione, a ogni ora. Se non attraverso la Baia, allora su al Golden Gate o giù sulla 101 per Los Altos o La Honda… Potevi sprizzare scintille dovunque. C’era una fantastica universale impressione che qualunque cosa si facesse fosse giusta, che si stesse vincendo…
E quella, credo, era la nostra ragion d’essere - quel senso di inevitabile vittoria contro le forze del Vecchio e del Male. Vittoria non in senso violento o militare: non ne avevamo bisogno. La nostra energia avrebbe semplicemente prevalso. Non c’era lotta - tra la nostra parte e la loro. Avevamo tutto l’abbrivo noi; stavamo cavalcando un’onda altissima e meravigliosa...                         .
Ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una qualsiasi collina a Las Vegas e guardare verso ovest, e con gli occhi adatti potevi quasi vedere il segno dell’alta marea - quel punto in cui l’onda, alla fine, si è spezzata per tornare indietro.”
Essendo la prima trama domenicale del mese di novembre, ecco che vi porgo la breve lista dei libri agostani. Undici titoli di poco entusiasmo, ma con uno da evitare assolutamente: il pessimo Bisotti.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Massimo Bisotti
Il quadro mai dipinto
Mondadori
13,50
1
2
Earl Derr Biggers
Charlie Chan e il cammello nero
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
3
Elena Ferrante
L’amore molesto
E/O
9,90
2
4
Pino Cacucci
In ogni caso nessun rimorso
Feltrinelli
9,50
3
5
Daniel Glattauer
Le ho mai raccontato del vento del Nord
Feltrinelli
s.p.
2
6
Michel Bussi
Nymphéas Noirs
Pocket
s.p.
3
7
Antonia Arslan
La strada di Smirne
BUR
11
2
8
Elena Ferrante
La figlia oscura
E/O
9,50
2
9
Christopher Bush
Omicidio a Capodanno
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
10
Giuseppina Torregrossa
La miscela segreta di casa Olivares
Mondadori
10,50
3
11
John Ferguson
Il mistero del villaggio
Corriere della Sera Gialli
6,90
3

Alcune novità ed aggiornamenti: la mamma sta andando meglio, dopo caduta e operazione. Io un po’ meno che è una settimana che non so a chi dare i resti. Resti che però rimandano ai prossimi viaggi, che si stanno organizzando e che si dovrebbero concretizzare. Allora come non salutare tutti quanti con un grosso abbraccio.

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