Dato che invece le storie di
cucina sono finite (e non credo ricominceranno). I gialli invece prosperano,
anche in questa infornata italica. Tutti di buon livello, sia uno dei primi
Varesi con il commissario Soneri, sia uno degli ultimi Morchio con il suo Bacci
Pagano. Meglio, è ovvio, il sempre ben voluto Carlotto con il suo Alligatore, nonché
Vichi con l’intramontabile Bordelli. Ne avevo bisogno per ristabilire un po’ di
letture di serenità mentale.
Valerio Varesi “Bersaglio, l’oblio” Diabasis euro 10 (in realtà,
scontato a 8,50 euro)
[A: 15/11/2016 – I: 02/06/2017 – T: 06/06/2017] - &&&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 138;
anno 2000]
Dopo
aver recuperato tre anni fa la prima inchiesta del commissario Soneri, con
molta più fatica sono riuscito finalmente anche a trovare la seconda. Impresa
non semplice, che la prima fu ripubblicata a suo tempo da Frassinelli, questa,
invece, come dice giustamente il titolo, andava più verso l’oblio. Anche perché
rimasto e non uscito dal catalogo della poco diffusa casa editrice Diabasis. Un
editore di Parma (e questo ci sta con l’ambiente delle storie) che ha scarsa
circolazione sui circuiti nazionali. Ma mi ero messo d’impegno ed alla fine ne
ho trovata una copia nei fondi di magazzino di un negozio Mondadori. Ancora
siamo alla costruzione del personaggio, come avevo accennato nel primo volume
uscito. Soneri – Barbareschi si dà da fare con la cucina locale (che certo noi
non scorderemo, dal culatello al buon vino) e con i suoi toscani. Ma ancora
poco sul versante femminile, anche se il racconto lungo è stato preso come base
per la sceneggiatura del terzo episodio della serie televisiva “Nebbie e
delitti”, mettendo subito in mostra (forse poco rispettando il testo) la bella
Natasha Stefanenko. Comunque qui abbiamo delitti e misteri, che prendono corpo
nella città padana. Il gioco di Varesi è dare in pasto al commissario un morto
che emerge dalle acque del fiume, senza segni di riconoscimento, facendo in
modo che Soneri cerchi di trovare il bandolo della matassa. Dall’altra ci
racconta la storia di un insospettabile, che ha fatto qualche errore (forse
grave) e che ha cercato di fuggire da situazioni per lui molto pericolose.
Cercando appunto di farsi dimenticare, cercando l’oblio. Ma lo sgarbo fatto è
forse troppo forte per lasciarlo cadere, anche a distanza di anni. Ed ora la
sua copertura è stata scoperta, e l’insospettato deve trovare il modo di
tirarsene fuori. Riprende in mano tutto il suo armamentario nascosto in
cantina, e fatto di diverse pistole, con le quali comincia ad uccidere una
serie di personaggi, per fare in modo che il motore ultimo, il capo in testa di
tutta la baracca, esca allo scoperto. Già abbiamo capito che questi sono
piccoli salti all’indietro, e che l’insospettato non riuscirà nel suo intento.
Da subito capiamo che quel morto senza traccia è probabilmente proprio lui.
Certo rimane fino all’ultimo il sospetto di un colpo di coda dell’autore, che
faccia sì che il morto sia invece il Grande Capo. Dalla parte di Soneri,
invece, le indagini, sempre condite dall’indolenza padana, vanno a rilento. Ma
il nostro commissario non demorde. Ricostruisce alcuni contorni, seguendo
indizi labili, capisce che il morto deve aver frequentato uno strano campeggio
di roulotte, che ora, nel pieno della non-stagione, è frequentato poco e male.
C’è il custode, ci sono un padre ed un figlio che trasportano cose, c’è uno
strano americano, unico abitante delle roulotte in dismissione. Tirando fili
che noi a volte non vediamo, e è questo il limite ancora della prima fase della
scrittura di Varesi, Soneri parla, congiunge indizi, si fa aiutare dal fido
Juvara. E comincia a capire qualcosa. Che nel campo delle roulotte ci sono
traffici strani, che ben presto si collegano a trasporti di cocaina ed altre
amenità di droghe ed affini. Riesce a capire il legame con il luogo che fa
stare in questa terra a lui non consona lo strano americano. Oltre al luogo
anche al custode del campo, per un po’ di outing che non guasta. Ed il
susseguirsi di morti ed altre pagine che scivolano via, porta al
ricongiungimento del primo morto con un nome. Ed al ritrovamento delle pistole.
Nonché, e finalmente anche da parte di Soneri, a collegare le pistole al
poliziotto Baldan, cosa che noi sappiamo da pagine e pagine. Così alla fine
tutto ha un suo senso, ed anche se Varesi non si prende la briga di una bella
chiacchierata risolutiva alla Van Dine, noi abbiamo gli elementi per
ricostruire le fila. Dei vivi e dei morti. Trovo che sia ancora un prodotto
acerbo, che non tutti i personaggi abbiano un loro centro ben definito. Ma è
comunque un racconto lungo che mostra le potenzialità di una scrittura che ben
si svolgerà in successivi episodi. Come ho già tramato e ribadito. Certo, il
commissario dovrà trovare la sua dimensione definitiva e più centrata nella
storia (e nel personaggio). Tuttavia un libro gradevolmente da attesa in
aeroporto.
Massimo Carlotto “La banda degli amanti” E/O euro 9,50 (in realtà,
scontato a 8 euro)
[A: 10/05/2016 – I: 20/07/2017 – T: 20/07/2017] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 195;
anno 2015]
Approfittando
delle sette lunghe ore di volo di ritorno dalla breve vacanza omanita, breve
anche se molto calda (ma ne parlerò altrove), ho letto d’un fiato il nuovo
episodio delle scritture di Massimo Carlotto. Per i miei più attenti lettori,
non è certo una sorpresa che di Massimo ho letto tutto, ho sempre parlato a
lungo, sviscerando le sue vicende personali, e gli incontri (due) che ho fatto
con lui in occasione di alcune serate nella bellissima libreria romana di via
dei Banchi Vecchi (per chi non la conoscesse, Libreria Odradek, visitatela).
Quindi non torno sull’autore, ma sul fatto che ho sottolineato sopra di
passaggio: episodio delle scritture. Perché, se è vero che questo libro segna
il ritorno in auge del personaggio da me più amato, e cioè Max Buratti dello
l’Alligatore, è anche vero che è un libro duale, visto che è presente e lotta
con e contro il nostro, quell’esemplare bello torbido, uscito sempre dalla
penna di Carlotto, e personaggio centrale di “Arrivederci, amore ciao”: cioè
Giorgio Pellegrini. Quindi, qui finalmente si scontrano le due anime cella
malavita create da Carlotto: quella che vive ai margini, ma che ha un suo
codice d’onore alle spalle (Rossini, Max la Memoria, nonché il nostro
Alligatore) e quella che al contrario non ha nessuna regola (Pellegrini).
L’occasione nasce dall’ingaggio del nostro Max, nelle sue vesti precipue di
investigatore senza licenza, da parte della nobildonna svizzera Oriana Pozzi
Vitali. Da diversi mesi è scomparso il suo amante, il professor Di Lello, e
Oriana non si dà pace. Per essere coinvolto, Max le fa confessare tutto, e cioè
che i due erano ricattati da qualcuno che, nonostante la loro segretezza, aveva
scoperto la loro tresca. Saltando a piè pari tutta una serie di passaggi, che
lascio a voi avidi lettori, si scoprirà ben presto che dietro a tutto ciò c’è
la mente perversa di Giorgio Pellegrini. Che è rimasto uguale a sé stesso: perverso
e truffaldino. Ha sì messo in piedi un nuovo ristorante, come paravento per
tutta una serie di sue attività illegali. Ma ha sempre alle spalle la succube
moglie Martina e l’altrettanto succube amante Gemma. Ha un contatto efficace
con un poliziotto corrotto, che un po’ lo copre, un po’ lo aiuta, un po’ gli fa
arrivare soffiate efficaci. Nell’orbita di Pellegrini, poi, ci sono i fratelli
Centra, due trogloditi che servono per i lavori sporchi. Nel contraltare dei
capitali che si susseguono, vediamo Max ed i suoi avvicinarsi alle possibili
verità. Ma vediamo anche Pellegrini costruire con fredda determinazione un
piano B, nel caso Max si avvicini troppo alla verità. La verità è che Oriana
non aveva voluto cedere al ricatto, e chi ne aveva subito le estreme
conseguenze è stato il povero Di Lello. Ma Max non ha prove, se non cercare di
mettere alle corde Gemma, e scovare chi sia il poliziotto corrotto. Pellegrini
ha allora un colpo da maestro: fa rapire una attempata signora, anche lei
dedita ad amori clandestini, e la utilizza come arma di scambio con
l’Alligatore ed i suoi. Dopo aver cercato, inutilmente, di farli fuori
utilizzando i due fratelli scapestrati. La resa dei conti, nel locale di
Pellegrini, avviene sulla base dello scontro tra i due codici d’onore.
Pellegrini sa che deve mollare tutto per salvarsi. E molla il poliziotto, i
fratelli e la rapita. Trovandosi al fine con Rossini che deve decidere se porre
fine alla turpe carriera del cattivone o obbedire al suo pur distorto onore. Vi
lascio la suspense delle ultime pagine, su cosa farà l’Alligatore, cosa farà
Rossini, cosa farà Pellegrini. Un bel romanzo, costruito con un suo ritmo che,
per l’appunto, mi ha tenuto incollato al libro per tutto il viaggio. Certo
l’inizio del libro è un po’ lento, dovendo tributare l’onore di ristabilire i
punti fermi della storia di ogni personaggio per chi non ha avuto modo di
deliziarsi delle letture precedenti. Ma è corretto l’uso che ne fa Carlotto.
Rispolvera i diversi modi di essere, ne ricostruisce momenti che erano
sfuggiti, e passaggi che erano presenti magari tra un libro e l’altro. Il bello
è tutto in quelle due anime che si scontrano, e che lottano fino a… Magari fino
ad un prossimo libro, se Pellegrini si salva. O alla prossima inchiesta
dell’Alligatore, come lasciano presagire le ultime parole del libro. Comunque,
Carlotto merita sempre di essere letto.
Marco Vichi “Fantasmi del passato” TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8
euro)
[A: 21/03/2016 – I: 24/07/2017 – T: 26/07/2017] - &&&
e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 504;
anno 2014]
Peccato!
La scrittura di Vichi è gradevole, il commissario simpatico, gli interventi
(nascosti ma visibili) di Gori ben amalgamati. E allora? Peccato sia
inutilmente lungo. Peccato sia una rimembranza di avvenimenti e di momenti che,
purtroppo, poco hanno a che fare con il solito giallo di cui ci aveva abituato
il commissario Franco Bordelli. Certo, Vichi si inserisce nel filone delle
serie a lunga gittata degli scrittori italiani di polizieschi ed affini. Come
non accostarlo ad Andrea Camilleri (il commissario Montalbano), Carlo Lucarelli
(l’ispettore Coliandro), Gianni Biondillo (l’ispettore Ferraro), Luigi
Guicciardi (il commissario Cataldo), Marco Malvaldi (i vecchietti del BarLume)
e gli ultimi epigoni come Andrea Manzini (con il suo Rocco Schiavone). Bordelli
ha alcune qualità “diverse” che tuttavia lo rendono unico. Le sue gesta, se
così si può dire, si svolgono nella Firenze della metà degli Anni Sessanta, tra
il boom economico e l’alluvione. Un personaggio tormentato ogni oltre dire, che
negli ultimi scritti, tuttavia, abbiamo visto andare incartandosi in momenti
difficili e molto più grandi di una semplice inchiesta. Infatti, durante
l’alluvione del 1966, Bordelli è alle prese con un caso che lo ha duramente
provato per le implicazioni personali che ha portato con sé. La depravazione e
la crudeltà si sono mescolate in modo inaudito e sono arrivate a colpirlo nei
suoi affetti più cari, tanto da spingerlo a lasciare la polizia e trasferirsi
all’Impruneta. Nel frattempo ha trovato il modo di farsi giustizia da solo,
tentando di chiudere il conto con la malvagità, ma non con il dolore che lo ha
colpito e che lo segnerà per tutta la vita. E tra la casa nel bosco e la città,
è sempre circondato dalla solita allegra compagnia, che gli fa da pendant, ma
che gli dà anche agio di infiorettare lo scritto di tante piccole micro-storie.
Ci sono l’ex prostituta Rosa; lo scassinatore e mago dei fornelli detto il
Botta; il dottor Diotivede; il bizzarro «Archimede pitagorico» Dante. Sempre vicino
inoltre il suo più fido collaboratore, il giovanissimo poliziotto sardo, Piras,
che Bordelli tratta come il figlio che non ha mai avuto, capace di osservazioni
acute e silenziose congetture. Sarà lui il braccio destro del commissario in
questa nuova indagine, anche se l’indagine, in sé, è solo un momento, breve e
diluito nel tempo, del progredire della storia di vita di Bordelli. Che nelle
more del romanzo incontra anche un suo vecchio sodale, incrociato in brevi
momenti precedenti, e protagonista delle storie del grande amico di Vichi,
Leonardo Gori. Ritroviamo infatti anche il
colonnello dei carabinieri Bruno
Arcieri, che in un incidente d'auto ha rischiato la vita. Incidente
forse non fortuito, ma che lo aiuta nella vita, dato che in Ospedale incontra
la sua vecchia fiamma Elena. Ed uno strano ragazzo che fugge da potenti nemici,
che tuttavia lo raggiungono per ucciderlo. Per scoprire chi è questo assassino,
Arcieri torna a Firenze nelle vesti di un barbone, per destare meno sospetti:
in queste misere vesti viene riconosciuto da Bordelli che lo ospiterà a casa
sua, sulle colline dell'Impruneta, portando avanti un duetto a due voci, sulla
vita e sull’onestà. Perché Bordelli, ora, è alle prese con i suoi fantasmi:
l’amore di una donna perso forse per sempre, ma che è continuamente nei suoi
pensieri (si incontreranno di nuovo nelle ultime pagine, per poi… ma forse sarà
un nuovo romanzo). Ma anche le sue vicende durante la guerra, i tedeschi che ha
ucciso o ha visto morire. Non ultima la madre che ogni tanto gli appare in
sogno. Il tutto mentre cerca di risolvere il giallo della morte di un
noto imprenditore, vedovo di mezza età, Antonio Migliorini. Trovato morto nella
sua bellissima villa sulle colline fiorentine, il corpo accasciato sulla sedia
del suo studio, la cassaforte aperta, il ventre attraversato da un fioretto,
staccato da una teca appesa al muro. Migliorini è un uomo tranquillo, ricco e
generoso. I suoi figli sono alla guida delle due società che ha fondato, la sua
casa è amministrata da servitori fedeli. Ma Bordelli non si tira indietro, e
scava anche nel passato di Migliorini. La morte della prima moglie, le
frequentazioni con una donna sposata, l’atteggiamento tra il coinvolto e lo
sconvolto della cognata Clara. Ci sono tante donne anche in questa storia, e
Bordelli non si tira certo indietro. Pur avendo sempre Eleonora in fondo ai
pensieri, lo vediamo, stancamente, ma senza tema alcuna, girar di letto in
letto. Con Justine, con Clara. Alla fine, complice un’osservazione di Piras sui
motivi di lasciar aperta una finestra, il delitto Migliorini è risolto. Non
senza qualche tormento che vi lascio leggere. Come vi lascio leggere tutte le
storie di contorno al filone principale, le storie che Bordelli ed i suoi amici
si narrano intorno al fuoco ed al buon cibo. Se dovessi solo pensare al giallo,
non mi ha entusiasmato gran che. Ma è tutto il complesso mondo che ci
ricostruisce Vichi che è piacevole da ripercorrere (come ritorno ai miei
quindici anni, ovvio). Nonché, per finire, alcune belle righe poetiche sparse
qua e là, dovute alla penna di Paola Cannas, poetessa e madre di Vichi. Belli e
dolenti come in questo brano tratto da “Autunno in Toscana”: E lentamente il
sole inonda la campagna / in questo autunno dolce come allora. / E i secoli son
nulla. Aspettiamo il prossimo libro, Marco.
“Era già passato più di un anno da quella
brutta notte. Non ricordava il giorno preciso, ma … si ricordava ogni
particolare, ogni frase.” (52)
“Molte … donne lo avevano stregato, a tutte
le età, anche adesso che era … in pensione.” (52)
“Aveva baciato Juliette, era sensibile al
fascino di Clara, si incantava a guardare le donne per strada… Allora come mai
non riusciva a dimenticare…?” (245)
“Fare i regali era come innamorarsi a prima
vista, ci voleva un colpo di fulmine.” (254)
“Era un bellissimo ricordo, ma adesso la
cosa più sana era voltare pagina… Non voleva più pensare a lei… Ci voleva … Una
creatura affascinante, dolcissima, capace di farlo sentire addirittura bello.”
(403)
Bruno Morchio “Un conto aperto con la morte” Garzanti euro 9,90 (in
realtà, scontato a 8,42 euro)
[A: 21/09/2016 – I: 19/09/2017 – T: 20/09/2017] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201;
anno 2014]
C’è
voluto un anno e mezzo per risollevarsi dalla saturazione delle avventure
genovese di Bacci Pagano, l’investigatore dei carruggi. Ma forse ne valeva la
pena, che, prese un po’ le distanze, si torna con piacere su fatti e personaggi
noti. In un libro che, tuttavia, non è propriamente un “giallo” classico, anche
se Morchio ha sempre scritto gialli atipici. Ma da bravo inventore di storie,
imbastisce una trama che ha un senso e delle trovate interessanti. Anche se non
l’avevo detto, il capitolo precedente si era chiuso con Pagano colpito da un
colpo di pistola, da cui non si sapeva se ne usciva vivo. Ricordando che tutte
le sue storie, Bacci ce le narra in prima persona, l’autore si trova di fronte
ad un dilemma. Se anche questo nuovo episodio è narrato da Bacci, il lettore
capisce già molte cose. Ecco allora un colpo geniale: Bacci è ferito, ha una
pallottola nel cranio e potrebbe morire da un momento all’altro. Il suo amico
Cesare, quello che nel precedente episodio era stato eletto senatore, ed aveva
mosso mari e monti per risolvere alcuni (grossi) sassolini del suo passato
chiede ad uno scrittore di scrivere qualche storia di tutte quelle vissute da
Bacci. Entra così in scena l’onesto scrittore di noir genovesi, alter ego di
Morchio, dal nome evocativo di Gian Claudio Vasco. Perché i cultori capiscono subito
il riferimento al narratore di Marsiglia (Jean-Claude Izzo) ed a quello di
Barcellona (Manuel Vazquez Montalban). Vasco e Pagano si incontrano, trovano
qualche terreno comune, ma non di una storia a caso si andrà a scrivere, ma
della storia che si sta svolgendo, alla ricerca dei motivi e degli autori del
quasi omicidio dello stesso Pagano. Tuttavia i due non si conoscono, e la
capacità affabulatoria dell’uso discorsivo, permette a Morchio, nel tentativo
di Bacci di far capire sé stesso e le sue motivazioni di vita, di descrivere
tutta una serie di capitoli della vita di Bacci. Praticamente, una bella parte
del libro è quasi una serie di piccoli mini-riassunti di tutti i libri
precedenti. Che ci permettono di tornare all’amore tra Bacci e la moglie, all’infanzia
della loro figlia Aglaja, alla rottura tra i due, agli amori “matti e
disperatissimi” di Bacci. Soprattutto quello mal finito con l’africana
Josephine e quello finito perché la fiamma si è spenta con la psicologa Mara,
quello che lo aveva chiamato “analfabeta dei sentimenti”. Il rapporto sodale
con l’ex-carceriere sardo, quello sempre vivo e forte con il poliziotto
Petrusiello o con l’avvocato Gina Aliprandi. Ma tutto si coagula e collassa
nella vicenda precedente e nei suoi strascichi attuali. Vicenda che vedeva
coinvolti in prima persona Cesare, il paladino ambientalista, e Gianni,
l’architetto trafficone. Vicenda che era finita con la confessione di Gianni di
essere lui l’assassino di Amalia, l’allora fidanzata segreta di Cesare. Al
momento attuale, quindi, abbiamo Cesare sposato con Katia, direi passabilmente,
anche se Cesare ha come amante più o meno fissa Lou, la sorella di Amalia.
Gianni in carcere in attesa di processo. Bacci costretto in casa e con poca
mobilità, che la pallottola può muoversi all’improvviso e lui lasciarci le
penne prima dell’intervento che lo aspetta in America. Ragionando e discutendo,
Bacci e Vasco sono sempre più convinti che la storia di Amalia non sia tutta
chiarita, e che non ci siano mafiosi o altri loschi figuri dietro le
pistolettate a Pagano. Rivivranno, discutendone tra loro, parlando Vasco in
carcere con Gianni, e poi in casa con Cesare, a lungo la famosa notte. Quella
in cui Cesare, Gianni e Bacci si strafanno di alcool e canne per festeggiare
l’uscita dal carcere di Bacci. Quella in cui arriva all’improvviso Amalia, che
Cesare chiede a Gianni di riaccompagnare a casa. Quella in cui Gianni uccide
Amalia. Dalle parole di Gianni poi si capisce del suo odio-amore verso Cesare,
da cui si sente tradito. In una confessione dal tragico epilogo, Gianni
dichiara a Bacci che è stato Cesare il mandante dell’omicidio di Amalia, e che
c’è sempre Cesare dietro la sparatoria per la quale Bacci patisce. E che sì, è
sempre stato lui, Gianni a sparargli. Poi, si uccide anche lui. Nella lunga
carrellata finale, Bacci e Vasco ricostruiscono tutta la vicenda, di cui non vi
svelo altro. Ma Bacci, verso metà libro, ci aveva già indirizzato alla
soluzione, mettendosi a rileggere i fratelli Karamazov. Che se voi conoscete
avete già capito tutto. Molta psicologia umana, e poco giallo, e quel poco, un
po’ troppo scoperto. Ma rimangono le belle figure di contorno. Soprattutto
Aglaja, da cui mi aspetto di più nel futuro. Ma anche Vasco ha un suo perché.
Finendo il tutto con la partenza di Bacci per l’America. Tornerà sopra o sotto
lo scudo? Spero che lo sapremo in futuro. Per ora, una lettura dignitosa,
sufficiente come i miei librini mostrano. Io però sono sempre un po’ critico, e
mi aspetto di più da Morchio.
“Quando ho cominciato a sentire che si
allontanava, ho preso a tradirla con altre donne, tutte quelle verso cui
provavo attrazione e che mi ricambiavano.” (61)
“Arriva, prima o poi, un’età della vita in
cui si smette di essere bambini.” (83)
Visto che siamo in tema di
ritorno alla normale routine di scrittura, non poteva certo mancare un potente
aiuto alla felicità, con il primo di alcuni (anche se pochi) distillati di
passione.
Non aggiungo altro, che sapete il
difficile momento che sto attraversando, di cui non si vedono orizzonti d’approdo
vicino. Continuate a sostenermi, che tutti se ne ha bisogno.
I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni
NOVEMBRE 2017
Avevamo cominciato con le terapie
d’amore per ristabilire il cuore, proseguiamo con i distillati di passione per
infiammare l’animo.
DISTILLATI DI PASSIONE (I)
L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY di DAVID H. LAWRENCE (1928)
Pillole di trama
Giovane rampolla di una famiglia
progressista, dopo aver viaggio per l’Europa facendosi una notevole cultura,
anche sessuale, Constance sposa Clifford Chatterley, proprietario terriero con
velleità di scrittore (mancato). Dopo neanche un mese di matrimonio, Clifford
viene chiamato sotto le armi e al ritorno dalla Grande Guerra è costretto su
una sedia a rotelle. Il matrimonio rivela subito la sua inconsistenza: Lady
Chatterley è uno spirito troppo indipendente e forte per accettare di rimanere
paralizzata in un rapporto incapace di appagarla, sottomessa a un marito debole
di carattere e impotente, in tutti i sensi, anche affettivamente. Dopo una
prima e poco soddisfacente relazione con l’incostante Michaelis. Connie s’innamora
del virile, orgoglioso e fascinoso guardacaccia Oliver Mellors. In questo
rapporto trova un’insperata vitalità e rinasce a nuova vita, anzi concepisce
una nuova vita: rimasta incinta, sfida coraggiosamente le convenzioni sociali
lasciando marito e agi, pronta a tutto per vivere pienamente una relazione sincera
basata su un’intesa di amorosi sensi, passione e tenerezza.
Supposta-saggezza
Scandaloso, oltraggioso,
scabroso! Vietato, proibito, bandito messo all’indice! Siamo a Roma ai tempi
dell’Inquisizione? No, siamo nella perbenista Inghilterra alla fine degli anni
Venti. David H. Lawrence pubblicò “L’amante di Lady Chatterley” nel 1928, ma
solo nel 1960 il suo autore venne scagionato dalle accuse di oscenità e il
libro poté essere liberamente letto in patria come già accadeva nel resto del
mondo (nella liberale America, però, solo dal ’59). Se cercate le motivazioni
dello scandalo nelle minuziose descrizioni degli amplessi amorosi della spregiudicata
Lady Chatterley e dei suoi amanti, non potrete che sorridere esterrefatti.
Lawrence scende nei particolari, non c’è dubbio, ma siamo abituati a ben altro
in tempi in cui è quasi più indecente parlare d’amore che di sesso. Senza
contare che la sua prosa è talmente colta e raffinata da trasformare in grande
letteratura anche la situazione più scabrosa. Ciò che all’epoca fece giudicare
il romanzo pornografico e pericoloso per l’ordine costituito, fu proprio la
stessa portata rivoluzionaria che ancora oggi ne decreta il successo e la
modernità. Lawrence non solo ha descritto ciò che di solito era sottinteso,
mostrato fuori dalla scena perché osceno, ma è sceso nei particolari indugiando
sui dettagli più erotici proprio perché voleva rivendicare l’importanza
dell’intesa sessuale in una relazione amorosa, un rapporto paritario concepito
come fusione di carne e spirito. E, cosa ancora più oltraggiosa, rivendicando
il diritto della donna di provare piacere fisico, la rendeva finalmente
protagonista dell’atto sessuale e non più oggetto del divertimento maschile o
mero strumento di procreazione. Come se non bastasse, non solo Connie rifiuta
la secolare sottomissione sessuale femminile, ma si apre anche a una visione
interclassista scegliendo come amante un uomo socialmente inferiore. Non ci
sarebbe stato niente di strano se quella tra la Lady e il guardacaccia fosse stata
una scappatella clandestina, ma Connie sceglie di rinunciare a tutti i
privilegi del suo status sociale per ufficializzare questa relazione e viverla
alla luce del sole (anche se nelle Midlands, nel cuore dell'Inghilterra
industriale dove si svolge la storia, il sole non sanno neanche cosa sia, tra
cieli piovosi e case annerite dal carbone). Scandalo!!! Rifiuta il ruolo di
moglie tradizione; rivendica in pubblico il diritto di conoscere sessualità e affetto.
Ma non è una Lady annoiata e insoddisfatta che cerca nell’adulterio un’evasione
dalla routine matrimoniale (come Emma Bovary), non è l’equivalente odierno
della casalinga disperata che si butta sul giardiniere, il corrispettivo
moderno del guardacaccia. Non è neanche l’aristocratica in cerca di divertimenti
piccanti e bramosa di relazioni pericolose. Connie è emancipata e insofferente
più che annoiata. Inquieta ma determinata, il suo non è un capriccio ma un
bisogno sentito come un diritto, quello di amare ed essere amata con passione e
tenerezza, godendo appieno di un rapporto vero e carnale. Tutte cose che suo marito
non può darle, non solo perché fisicamente impotente, ma in quanto
assolutamente incapace di comprendere le sue pulsioni vitali. A Connie non
basta l'affinità intellettuale perché un rapporto sia completo, ha bisogno
anche di emozione ed empatia, di un amplesso di sentimenti che dalla testa
arriva ai lombi, passando rigorosamente per il cuore. Ne è la riprova la
rottura con il primo amante, Michaelis, che la soddisfa sessualmente ma non
emotivamente. Ad appagarla in tutto e per tutto è l’insospettabile Oliver
Mellors. Ha un carattere ruvido, orgoglioso e schietto, senza peli sulla
lingua, usa un linguaggio poco forbito, ma è un uomo vero. E con questo non
intendo un macho dominatore, ma un «uomo che ha il coraggio della propria
tenerezza». E questa è una conquista epocale per il genere maschile così come
il piacere sessuale lo è per quello femminile. Mellors è un dipendente, ma con
un servo. Non è un intellettuale, ma un uomo libero di testa che si ribella
alle convenzioni, l’arrampicamento sociale e il potere del dio denaro. Insomma,
i requisiti ce li ha tutti: è affascinante, prestante, tenero, integro e
convinto delle proprie idee. Non è ecco, come Christian Grey di “Cinquanta
sfumature di grigio”, ma la perfezione non esiste nei romanzi veri.
Tacciato d’oltraggio al pudore
per il suo contenuto erotico, forse a spaventare fu proprio la portata sociale
del romanzo, il suo dar voce alla ribellione dei più deboli, le donne e i
poveri (sullo sfondo rumoreggiano i primi tumulti delle lotte di classe). A
quell’epoca la pensavano più o meno tutti come Clifford Chatterley, che avrebbe
potuto chiudere un occhio se sua moglie lo avesse tradito con uomo di pari
grado, ma con un dipendente proprio no. Anche l’Inghilterra avrebbe potuto
chiudere un occhio, ma David H. Lawrence gli occhi voleva farli aprire.
Nel saggio “A proposito di
L'amante di Lady Chatterley”, l’autore scrive che uomini e donne dovrebbero
essere «in grado di pensare il sesso pienamente, completamente, onestamente e
pulitamente». Ecco perché nel romanzo la passione si ammanta di tenerezza e non
di oscenità, l’eros diventa amore e condivisione alla pari. Ciò che all’epoca
destò scalpore è ciò che ancora oggi rende attuale il romanzo, soprattutto alla
luce dei recenti casi erotico-editoriali come le “Cinquanta sfumature”: l’idea
che uomo e donna siano uguali, nella vita e sotto le lenzuola. Non ci sono
dominatori e sottomessi, ma solo amanti e parità sessuale, in tutte le
sfumature del termine.
Posologia
“L’amante di Lady Chatterley” è
un rimedio senza data di scadenza in casi di anemie erotiche e urgente
necessità di compensare le suddette carenze con amplessi di passione letteraria.
Allo stesso tempo svolge un’azione benefica contro i primi sintomi di tendenza
patologica alla sottomissione, sia intellettuale che sessuale. È indicato anche
per rafforzare le difese immunitarie e produrre gli anticorpi necessari per
vivere una relazione al di là delle differenze e delle convenzioni sociali.
Nelle donne favorisce il
ripristino della fiducia nell’esistenza di uomini che, come Oliver Mellors,
abbiano il coraggio della propria tenerezza.
Fin dalle prime righe, il
trattamento rivela il suo beneficio maggiore: «La nostra è un’epoca
fondamentalmente tragica, anche se ci rifiutiamo di considerarla tale. Il
cataclisma c’è stato, siamo tra le rovine, ma cominciamo a costruire nuovi piccoli
habitat, a riavere nuove piccole speranze. È un compito non facile; la strada
verso il futuro è piena di ostacoli che dobbiamo aggirare, scavalcare. Si deve
continuare a vivere, anche se il cielo ci è caduto addosso. Queste erano, più o
meno, le sensazioni di Constance Chatterley. La guerra le aveva fatto crollare
il mondo in testa. E lei aveva compreso che imparando si sopravvive». Nessuno
può negare che anche la nostra epoca sia tragica e che viviamo tutti con la
perenne sensazione che il cielo ci piombi addosso, ma imparando si sopravvive.
Anche imparando dai libri, piccoli habitat dove coltivare nuove speranze.
D’altra parte Lawrence diceva che
«i libri sono la cura per ogni malessere, ci mostrano le nostre emozioni, una
volta, e poi ancora una, finché non riusciamo a dominarle».
Effetti collaterali
In alcuni rari casi è emerso che,
contagiate dall’intraprendenza di Connie, le lettrici potrebbero meditare una
relazione con il giardiniere. Oppure, finalmente persuase del diritto di esprimere
liberamente il proprio desiderio sessuale rivendicando il piacere che ne
deriva, potrebbero passare dal ruolo di sottomessa, come Anastasia delle “Cinquanta
sfumature”, a quello di libertina dominatrice della marchesa Merteuil di “Le relazioni
pericolose”. In questo caso c’è il rischio di commettere l’errore del perfido
personaggio del romanzo di Pierre Choderlos de Laclos che, per sentirsi libera
e «vendicare il suo sesso», sceglie di imitare l’atteggiamento dominatore dell’uomo,
arrivando così a distruggere volontariamente la vita degli altri ma anche la
sua. Se si legge con attenzione “L’amante di Lady Chatterley”, questo effetto
collaterale piuttosto nocivo non dovrebbe verificarsi perché, tra la
sottomissione sessuale di Anastasia e il libertinaggio intellettuale della
marchesa, la battaglia consapevole di Connie per il sesso e la tenerezza ha un maggiore
potere di contagio.
Consigli
Se le vostre effettive esigenze
individuali necessitano di ulteriori dettagli erotici e piccanti, continuate a
stuzzicare la fantasia approfondendo le succulente storie riguardanti la genesi
del romanzo. Lawrence concluse la prima stesura durante un soggiorno in
Toscana, dove il libro fu pubblicato nel 1928. Secondo alcuni gossip, a
ispirare le focose avventure di Lady Connie è stata l’esperienza personale
dello scrittore quando, venuto in Italia per curare un brutto attacco di tisi
che lo aveva reso impotente, spinse l’avvenente moglie Frieda tra le braccia
dell’aitante tenente colonnello dei bersaglieri Angelo Ravagli. Secondo altre indiscrezioni,
all’origine del più classico dei classici della letterata erotica, ci sarebbero
altre focose situazioni. Curiosi? A voi il brivido della scoperta.
Proprio quando negli anni Sessanta
“L’amante di Lady Chatterley” poté finalmente essere letto in Inghilterra, in
Irlanda un altro libro veniva bruciato sui sagrati delle chiese perché giudicato
oltraggioso. Anche in questo caso la tematica sessuale era la pietra dello
scandalo e l’aggravante era il sesso dell’autore, una donna: Edna O’Brien. “Ragazze
di campagna” destò scalpore perché parlava esplicitamente di sesso ma per come
siamo abitati noi oggi non c’è niente di scabroso, lussurioso o indecente (a
meno che non consideriate scandalosa la descrizione di una scena di sesso, i
dettagli anatomici di un corpo maschile o una relazione tra una ragazza e un
uomo maturo. Ma in questo caso avete sbagliato sezione). Le “Ragazze di
campagna” sono Baba e Caithleen. Piene di sogni e desiderose di assaporare la
vita, una volta cacciate dal collegio si trasferiscono a Dublino. Per le due amiche
le esperienze non mancheranno e scopriranno il sapore, ma anche il prezzo,
della libertà. Se ne consiglia la lettura non tanto per indurre brividi di
passione erotica ma letteraria, riscoprendo una scrittrice dalla penna
potentissima.
Commenti
Per anni avevo rimandato la
lettura di Lawrence, un po’ per noia, e un po’ per distrazione. Ma leggendolo
più di sei anni fa, ne colsi gli aspetti migliori, come vedrete nella lettura.
David Herbert Lawrence “L'amante di Lady Chatterley” Repubblica
Novecento euro 4,90
[trama
pubblicata il 31 luglio 2011]
Un altro classicissimo finalmente
letto tutto. Molto datato in alcuni punti. Ma alla fine si legge e dà alcuni
spunti. Anzi, andrebbe comunque letto. Infatti, se da una parte è un libro
polemico contro l’aristocrazia inglese ed il suo vuoto mondo di privilegi che
stanno finendo (ma non risparmia nessuno, certo non i minatori e la classe
lavoratrice in genere, ma su questo ci si ritorna), dall’altro alcune pagine
“di sesso” sono poetiche e delicate. Ma come, direte, un libro che veniva
censurato per la sua volgarità ed il suo esplicito parlare? Prima di tutto,
sono passati novanta anni, e ben altro esplicito parlare abbiamo dovuto
sorbire. Lawrence anzi è poetico con le sue infuocate scene di sesso, per poi
scivolare nel climax delle chiacchiere intorno a John Thomas e Lady Jane (che
non sono il nome dei due protagonisti, che si chiamano Oliver e Constance, ma
…). Secondo poi, veniva censurato con la scusa del sesso, ma in realtà perché
era un libro che metteva in crisi i rapporti tra le classi sociali. Come, una
Lady che si innamora di un guardiacaccia, e per questo amore sfida il mondo immoto
della caccia alla volpe e del tè delle cinque! Questo sì che non si doveva
vedere. Anche perché le prime 100 pagine sono quelle che con più forza
attaccano il mondo dei lord. Una per tutte, la scena degli aristocratici che
parlano a ruota libera un dopo cena, anche di funzioni corporali, ma quando
Connie interviene hanno un modo di fastidio, che mi ricorda tanto le scene
nordafricane con il maschilista che rivolgendosi all’unica donna che sapeva
parlare inglese (e che gli teneva testa) l’apostrofa con uno “Shut up, woman!”.
Stessa sensibilità ad un secolo di distanza. Certo, Lawrence non è cattivo fino
in fondo, che Oliver comunque ha fatto il soldato, sa parlare bene inglese, in
un certo senso “conosce le buone maniere”. Non è soltanto un “buzzurro con il
sesso caliente”. In questo contesto, un po’ cadenti tutte le lunghe pagine
dedicate alle miniere, al carbone, allo sviluppo industriale, ed altro
“politichese”, che, queste sì, hanno fatto il loro tempo e sono datate. Ma
anche l’altro versante ha il suo interesse, i tormenti di Oliver verso l’altro
sesso (e le sue pippe mentali, diciamocelo pure), la progressiva emancipazione
di Constance (che intanto, benché Lady, aveva già avuto esperienze sessuali
prima della Grande Guerra, ed anche questo faceva scandalo), ed i due
contraltari: la finta liberale sorella Hilda, che non accetta il liberarsi
della sorella, e la signora Bolton, che non vede l’ora che Constance se ne vada
per trovare un suo spazio ancillo-infermiero-erotico presso il povero Clifford,
paralizzato dalla vita in giù. E comunque ci vuole del coraggio a sostenere nel
1928 che anche la donna deve provare piacere nell’atto sessuale. E che quando
si fa sesso, lo si fa in due ed entrambi devono partecipare, godere,
comunicare. Un passo enorme all’epoca. Quindi un buon libro, con qualche punto
in più per l’inquadratura storica (e quanto di auto-vissuto c’è in tutto ciò
scritto dal figlio di un minatore che sposa una baronessa…), e qualche punto in
meno che (e qui ritorna un altro mio pallino) Lawrence in ogni caso maschio è,
e se partecipa e riesce a render vivi i problemi di Oliver verso l’altro sesso,
meno mi convince quando cerca di spiegare il sentire di Constance (forse solo
sulla dolcezza che in ogni caso deve esserci tra due amanti coglie un segno
comune). E gli ultimi segni negativi, perché non dico dipinga un lieto fine, ma
ha verso la fine un atteggiamento un po’ conciliatorio, lasciando molte cose in
sospeso così che ognuno scriverà il seguito della storia, da dove lui ci
lascia, secondo le proprie visioni pessimiste o ottimiste. Due annotazioni
finali: l’ottimo editor, che ha giustamente messo le note con le poesie inglesi
citate da Lawrence, perché ha lasciato non indicato a pag.204 l’esplicita
citazione di Walt Whitman? E poi, la parte più sanguigna ma anche più tenera
dell’amore tra Oliver e Connie è scritta in dialetto, e la sua traduzione in
italiano risulta quanto mai “fuorviante”. Ma si sa, con Eco, tradurre è
tradire…
“Se la civiltà vuol farci del bene, deve aiutarci a dimenticare i nostri
corpi, e allora il tempo scorrerà piacevolmente.” (84)
“-Non potresti vivere senza lavorare? –Io? Forse sì, se intendi vivere
solo della mia pensione. Sì, forse sì. Ma io devo lavorare, se no muoio. Voglio
dire, ho bisogno di avere qualcosa che mi tenga occupato. E non ho il carattere
giusto per un’occupazione in proprio. Deve essere un lavoro che svolgo per
qualcun altro, se no, in un momento di rabbia, poteri mandare tutto all’aria
nel giro di un mese.” (186)
“Quello che non sopporto è l’impudenza idiota, autoritaria di coloro
che governano il mondo. Io odio l’arroganza del denaro e quella di classe.
Quindi, in questo tipo di mondo, che cos’ho da offrire a una donna?” (308)
“Una donna vuole che tu l’apprezzi e che tu le parli … e, allo stesso
tempo, che tu la ami e che tu la desideri… mi sembra che le due cose si
escludano a vicenda.” (63)
“La solitudine andava accettata. Bisognava conviverci …e i momenti in
cui il vuoto si colmava erano da apprezzare. Ma non li si poteva forzare.”
(161)
Finalino
Aderisco al messaggio della
curatrice, chiedendovi anche di andare a leggere il saggio di Lawrence citato.
Da meditare, in questi giorni in cui si parla tanto (e con ragione) di femminicidio
e di riscatto delle donne.
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