domenica 31 dicembre 2017

Finale di ossa - 31 dicembre 2017

Perché siamo nel finale di questo anno e perché la maggior parte delle trame è dedicata a “Bones”, le ossa di Kathy Reichs che ho letto praticamente integralmente, ed ho visto (ma solo nei week-end) nel TopCrime Channel di Ale. Ma non potevo tralasciare Colin Dexter, di cui ho letto il primo episodio, e che ha, almeno nell’immediato, una resa sicuramente migliore di Temperance. Staremo a vedere nel futuro.
Colin Dexter “L’ultima corsa per Woodstock” Sellerio euro 14
[A: 18/05/2015 – I: 28/06/2017 – T: 30/06/2017] - &&& e ½
[tit. or.: Last Bus to Woodstock; ling. or.: inglese; pagine: 350; anno 1975]
Per molto tempo avevo visto questi “gialli” dell’inglese Dexter riproposti per i tipi della Sellerio e mi ero spesso chiesto la natura e se valessero la pena. Anche perché, generalmente, le pubblicazioni palermitane hanno sempre spunti interessanti. Approfittando dell’epifania di letture di due anni fa comprai alcuni blocchi di libri, che sto centellinando nel tempo, in cui si inserì questo primo episodio delle indagini dell’ispettore E. Morse. Mi dispiace soltanto che questa lettura avvenga nell’anno in cui il quasi novantenne (ma in realtà era del ’30) Colin ci ha lasciato (ahi, funesto fu l’anno dispari e primo!). Per l’intanto devo convenire con quanto si è detto dell’autore, un robusto usatore di penna, che sa ben descrivere e ci fa ben piombare nelle terre inglesi con tutte le loro paure, sicurezze e insicurezze, siepi ed ora del tè. Una scrittura vicina, almeno nel procedere, a quella di P. D. James (non è forse un caso che entrambi abbiano vissuto gran parte della loro vita a Oxford). Dexter, in più (almeno per il mio gusto) ha questo piacere per la crittografia, i messaggi nascosti, ed altre piccole cose. Prendiamo ad esempio il protagonista, con quel nome E., che solo nel 13° episodio conosceremo per intero (e che quindi qui non svelo), derivante dall’essere la madre dell’ispettore una fervente quacchera ed il padre un ammiratore del grande James Cook. Ma anche il cognome ha una sua storia, che Jeremy Morse era un sodale di Colin, impegnati entrambi nella costruzione di difficoltose parole crociate ed altri enigmi. Descritti questi contorni, questa prima storia serve molto a fissare i caratteri principali della serie: l’ispettore Morse, appunto, con le sue domande criptiche, i suoi comportamenti al limite, quasi una specie di Adamsberg ante-litteram (se mi è consentito un paragone francofilo), il suo aiutante sergente Lewis, più concreto, più legato alle prove ed alla ricerca sul territorio, e l’enigma giallo di cui si cerca la soluzione. Che qui parte dal ritrovamento del cadavere di una giovane donna, nel parcheggio di un pub inglese. Giovane che nelle prime pagine vediamo perdere, insieme ad una ignota amica, proprio il pullman del titolo, e cercare di trovare un modo per tornare a Woodstock. Che ovviamente non è la cittadina americana che ospitò il famoso concerto, ma una cittadina ad una ventina di km a Nord-Ovest di Oxford. Per tutto il libro si sviluppano le indagini di Morse e Lewis, con il primo che, ovviamente, è sempre un passo avanti, ma che, tuttavia, non riesce a trovare subito il bandolo della matassa. Indaga sul posto di lavoro della morta Sylvia, scopre che una collega della stessa riceve messaggi criptici attraverso lettere postali di poco senso (qui si intravede il carattere enigmistico di Colin, che fa mandare messaggi utilizzando errori di battitura in una lettera standard; noto ed ammiro lo sforzo della traduttrice, Luisa Nera, di rendere il tutto vicino all’originale). Da qui imbastisce tutta una serie di agnizioni: Jennifer, la collega di Sylvia, deve avere un amante che le manda questi messaggi, Jennifer potrebbe essere la donna misteriosa che ha fatto l’autostop con Sylvia, l’amante di Jennifer potrebbe essere l’automobilista che le ha prese per portarle a Woodstock. In tutto questo, Morse si avvicina pericolosamente a Sue, la coinquilina di Jennifer, che sembra avere anche lei una scivolata verso l’ispettore, anche se è fidanzata, e forse non solo. Di passaggio il quadro giallo viene più fosco dal fatto che Sylvia, prima e dopo la morte ha avuto rapporti sessuali. Cioè attivi prima della morte e passivi dopo. Allora c’è un assassino? Ce ne sono due? Cosa succede quando Morse scopre che l’amante di Jennifer è una persona diversa da quella che lui pensava? E che Bernard, che pensava essere l’amante di Jennifer è non solo l’automobilista che ha preso le due autostoppiste, che è l’amante di un’altra persona, e che ha fatto l’amore con Sylvia quando questa era viva? Cosa succede quando la moglie di Bernard si suicida lasciando una lettera in cui si accusa di aver ucciso Sylvia? Sarà vero o lo fa per coprire Bernard? E se anche Barnard si autoaccusa? Alla fine Morse, con fatica e con non pochi problemi, riesce a ricucire tutti i nodi della strampalata matassa. In cui un po’ ci siamo persi anche noi, ma che la ricostruzione finale ci consente di apprezzare, e magari di ripercorrere a ritroso per vedere di capire cosa sia successo realmente. Il tutto comunque ben condito dal sapore della campagna inglese, dall’animo colto di Dexter, dalla musica di Wagner che adora l’ispettore. Nonché dalle scaramucce tra Morse che vola alto e Lewis che segue le tracce ad una ad una. Scaramucce condensate nei primi approcci tra i due, quando Morse gli chiede: “Pensi che stiamo perdendo tempo?” e Lewis risponde candidamente: “Si, signore”. Non so se ne leggerò ancora, ma questa lettura mi ha riportato in alto il piacere di leggere un giallo ben costruito. E non è poco.
“Affamato delle labbra del mio desiderio / ti sono stato fedele … a modo mio.” [da una lirica di Ernest Dowson] (82)
Kathy Reichs “La verità delle ossa” BUR euro 11,90 
[A: 14/09/2017 – I: 15/09/2017 – T: 17/09/2017] - &&& --
[tit. or.: Speaking in Bones; ling. or.: inglese; pagine: 334; anno 2015]
Non meravigliatevi della lettura cotta-mangiata del nuovo libro di Temperance, dovuto ad una mia incomprensione sull’andamento temporale dei libri stessi. In realtà, avrei dovuto leggere prima “Ossa di ghiaccio”, in quanto questo risulterebbe l’episodio 18. Ma avevo confuso l’anno di uscita italiano con quello di pubblicazione originale. Non ha certo portato grandi guasti alla narrazione complessiva perché, come avrete già letto, l’episodio del ghiaccio poco ha apportato allo svolgimento del punto nodale non poliziesco della serie: Tempe accetterà o meno la proposta di matrimonio di Ryan? Era la domanda con cui finiva la (decorosa) puntata 17, e che rimane per tutto questo episodio il tormentone di fondo. È vero che Tempe ha avuto una brutta esperienza con il marito Pete (il cui unico punto a favore, oltre ad essere scomparso, è averla aiutata ad avere la figlia Katy), ma le paranoie che la dottoressa si conficca nella testa sono veramente da saltare a piè pari. Il suo “parto per il Canada o rimango”, il suo “telefono a Ryan o aspetto”, il suo indeciso procedere verso un momento (pur complesso) di possibile felicità mi hanno lasciato un po’ di ruggine nella lettura. Tant’è che queste parti le ho quasi saltate, fin poi a ritrovarmi in quel finale a due che sinceramente ho poco compreso. E spero che qualcuno me ne illumini. O forse lo farà l’episodio 19? Ma tolto tutto il superfluo, rimane la storia di queste ossa che parlano, che ci raccontano (o dovrebbero raccontarci) la loro storia. Mentre infatti Tempe circa di risolvere il suo dilemma, viene coinvolta in un nuovo caso dall’arrivo di una donna, di professione “cyber-segugio”. Strike pensa di aver scoperto la provenienza di alcune ossa trovate in un posto chiamato Browne Mountain, e rimaste tra i casi irrisolti. Pensa siano di una ragazza, Cora, scomparsa anni prima. Il dado è lanciato, e Tempe ci si butta a capofitto. Viene così da un lato a conoscere tutta la storia dei segugi digitali, gente che, non avendo nulla da fare, si mette in rete alla ricerca di risolvere casi irrisolti, creando siti, forum, ed altre internetterie poco divertenti. Dall’altro approfondiamo le solite analisi delle ossa, per poi scoprire che nel circondario dove furono trovate queste ignote, se ne vanno trovate altre. Ovvio che Tempe si rechi sul posto, aiutata da un simpatico poliziotto di nome Zebulon, ma meglio noto come Zeb. Insieme, anzi sotto la direzione di Zeb, entrano nel mondo locale, dominata da una setta cristiana eretica, molto devota e iper-tradizionalista (dicono ancora la messa in latino). Non è un caso che della setta fanno parte i genitori di Cora, che l’hanno ripudiata dicendo che sia fuggita con tal Manson. Di cui però si sono perse le tracce. C’è per la sorella di Manson che rivela a Tempe alcuni lati oscuri. Per tutto il tempo andiamo su e giù tra il laboratorio di Tempe, le sue ossa, e le montagne con i nuovi ritrovamenti. Anche perché Strike ha un file audio dove si sentono strazianti appelli di una voce che pare sia di Cora. Tempe, oltre ad analizzare ossa ed altri ritrovamenti, tra cui un calco di una testa, porta avanti le indagini sulla comunità. Dove scopre: il prete che la comanda è stato sospeso “a divinis” dalla Chiesa per uso improprio di esorcismi, il fratello di Cora è morto dodicenne per maltrattamenti, Cora ha fatto per un certo periodo la baby-sitter in una famiglia, fino a che il piccolo neonato affidatole muore pare “di morte bianca”. Infine che il Mason di cui sopra è (o era) affetto dalla rara sindrome di Naegeli-Franceschetti-Jadassohn (NFJ), che, tra le altre manifestazioni poco carine, ha anche come segno distintivo l’assenza di impronte digitali nel malato. Il tutto collassa ancora al ritrovamento del cadavere di Strike, che inutilmente aveva cercato di contattare Tempe, dicendo di avere importanti scoperte da comunicare. Entra così in gioco il detective “Skinny” Sliddell, che scopriamo essersi ripulito (vedi trama precedente) in quanto innamorato. Il lavoro congiunto di “Skinny”, Zeb e Tempe, dopo aver percorso diverse strade cieche (tra cui il tentativo di capire se il prete di cui sopra, oltre ad esorcista fosse anche pedofilo e assassino), porta alla soluzione del caso. Ovviamente in un finale in cui Tempe riesce a cacciarsi in tutti i possibili guai, rischiando al solito di lasciarci le penne. Per fortuna non sarà Ryan a salvarla, che Tempe è affetta un po’ dalla sindrome di “donzella salvata dal cavaliere senza macchia e senza paura”. Ma lascia molto perplessi, la soluzione che, assolutamente fuori delle famose “linee guida Van Dine”, coinvolge malattie varie e personalità multiple. Poco professionale, Reichs. Sulle ossa avrai tutto da dire, ma i meccanismi gialli sono sempre troppo costruiti sui libri delle “patologie rare” dei testi di medicina. Rimangono un po’ di contorni che, inutile per la trama principale, alleviano un po’ lo spirito e fanno salire qualche mezzo libricino di gradimento. La storia della mamma di Tempe, della sua chemio e dei suoi amori senili. Le chiacchiere prima con Zeb e poi con “Skinny”. Il finale aperto con Ryan. Credo che, purtroppo, la nostra scrittrice sia troppo condizionata dal “Bones” televisivo, cercando di riprodurre su carta quanto avviene sullo schermo. Azioni, analisi di corpi ed altro, che hanno un forte impatto visivo ma poco impatto da lettori. Al solito, una buona lezione di patologia, un medio coinvolgimento nelle storie di vita ed una scarsa attenzione ai ritmi ed alle strutture narrative del giallo tradizionale. Vedremo.
“L’amore non arriva mai troppo tardi nella vita.” (328)
Kathy Reichs “Ossa di ghiaccio” Rizzoli Vintage euro 12 (in realtà, scontato a 7,50 euro) 
[A: 28/08/2016 – I: 18/09/2017 – T: 19/09/2017] - && --
[tit. or.: Bones on ice; ling. or.: inglese; pagine: 190; anno 2015]
Avendo per qualche tempo saltato le letture dell’esimia scrittrice nonché factotum della serie televisiva “Bones”, ho cercato di rimettere un po’ d’ordine nella cronologia della serie stessa. Secondo quindi la “nomenclatura” che la stessa Reichs propone, questo è l’episodio 17 1/2. Perché in realtà è più che altro un racconto lungo, che si colloca tra “Le ossa non mentono”, tramato quasi un anno e mezzo fa, e “La verità delle ossa” (vedi sotto). In effetti, è uno di quegli spunti di passaggio, che servono a cucire un po’ la serie, inserendo qualche elemento chiarificatore, ma che non porta molto all’economia dello svolgimento del grande filone della saga. Intanto, l’episodio 17 si era chiusa con la proposta di matrimonio fatta da Ryan, il canadese che da decine di puntate va su e giù nel cuore della nostra dottoressa. Ebbene, in questo racconto, viene nominato due volte, ma non entra né nella storia né nei pensieri di Tempe. Alle prese con l’analisi di una persona morta scalando l’Everest. Questo spunto dà modo alla nostra scrittrice di scrivere righe su righe pesanti (e condivise) contro la moda assurda del turismo d’alta quota, dell’impreparazione di persone che pensano che facendo un selfie a 8000 metri tutto si più bello e radioso nella loro vita. Non solo, ma anche di ricordare il catastrofico terremoto nepalese del 25 aprile 2015, e di spezzare una lancia a favore delle ONG che stanno lavorando per la ricostruzione di quel martoriato territorio. La parte anatomo-patologicamente interessante è tutta la descrizione sia del modo in cui si possa arrivare all’ipotermia, sia cosa succede al corpo in quelle condizione estreme. Dove non ci sono batteri, e dopo 3 anni è possibile analizzare un morto come se fosse appena deceduto. Ricordo di passaggio tutte le strombazzature intorno a Ötzi, la mummia del ghiacciaio del Similaun. La morta è figlia di una eminente famiglia di Charlotte, dove lavora Tempe, che vuole sapere come sia morta la figlia. Ragazza dedita agli sport estremi, con qualche interesse in ONG per il recupero di spazi puliti in alta quota (ma qualche dubbio sulle sue capacità finanziarie lo abbiamo subito), e che vuole toccare il record “delle Sette Cime”. Inciso per gli appassionati della montagna: le “Sette Cime” sono i sette monti più alti di tutti i continenti, considerando l’America divisa in due ed includendo l’Antartide; nella nota finale ne riporto i dati. Ma noi subodoriamo subito qualcosa di losco. Sia perché ci sono traumi poco spiegabili sul corpo, sia perché la spedizione della giovane Brighton era senza guida, e composto da altri 4 suoi amici (3 uomini e una donna) altamente sospetti. Non mi dilungo sulle motivazioni e le possibilità dei sospetti, che vengono smontate ad una ad una dal detective della polizia di Charlotte, “Skinny” Sliddell, anche lui personaggio ricorrente, e con un suo piccolo spazio. Tra l’altro cominciamo ad avere dei sospetti che qualcosa stia cambiando, dato che “Skinny” si presenta meno trasandato del solito. La storia va avanti un po’ banalando qua e là, e solo verso la fine anche Tempe ha la prova che la morta non è Brighton, ma una cilena di nome Victoria, che è stata Brighton ad ucciderla per sfuggire alla polizia federale che stava bloccando le sue illecite speculazioni finanziarie. Peccato poi che la neo-rediviva Brighton-Victoria sia poi realmente morta poco tempo dopo, scalando la vetta dell’Aconcagua cileno. Ma anche questa fu vera morte? C’era forse qualcuno dei suoi vecchi amici con lei? Beh, non sarà una sorpresa, anche se inserito nel solito finale ad effetto in cui Tempe rischia qualcosa. Purtroppo è sempre lo stesso tipo di effettaccio che cerca l’autrice e dopo un po’ è stancante. Comunque il finale ve lo dovete leggere, che io non apro più bocca. Se non per due considerazioni finali. A più ripresa, Tempe si incontra con una sua amica di nome Anne. Peccato che, a mia memoria, compaia solo, e senza neanche tanti ricordi, in “Morte di lunedì” (episodio 7), mentre qui sembra che siano pappa e ciccia. La seconda invece riguarda la battuta che riporto sotto. Non riuscendo a capire molto della morte di Brighton, Tempe si lancia in una elencazione di possibili cause del decesso, includendo la citazione che riporto. E che solo i più esperti avranno capito sia tratta da quel divertente e poco noto ai giovani gioco di società, dal nome di Cluedo. A quanto volte ci giocai…
“Quale la causa del decesso? … Strangolata in biblioteca con una fune dal Colonello Mustard?” (27)
SETTE CIME (in ordine di altezza): 1. Antartide – Massiccio Vinson, 4.892; 2. Africa – Kilimanjaro (Tanzania), 5895; 3. Nordamerica - Monte Denali (Alaska), 6194; 4. Sudamerica – Aconcagua (Cile), 6962; 5. Asia – Everest (Nepal), 8848. Poi ci sono due dispute: 6. Europa – se consideriamo la “vecchia”, Monte Bianco (Italia), 4810; se consideriamo la “nuova”, Elbrus (Georgia), 5642; 7. Oceania – se consideriamo la terraferma, Monte Kosciuszko (Australia), 2228; se consideriamo la parte insulare, Puncak Jaya (Nuova Guinea), 4884
Kathy Reichs “Ossa – The Collection” BUR euro 13 (in realtà, scontato a 11,05 euro) 
[A: 25/09/2017 – I: 25/09/2017 – T: 26/09/2017] - &&&
[tit. or.: The Bone Collection; ling. or.: inglese; pagine: 379; anno 2016]
Beh, dovevo assolutamente battere il ferro quando è caldo. Così, una volta aperta la porta a Kathy Reichs ed alle sue ossa, ho trovato l’unico libro che ancora mi mancava della serie. Preso, letto e mangiato. Anche perché, non è un romanzo, ma la collazione di 4 racconti (tre lunghi ed uno normale) che, nelle intenzioni della scrittrice, servono a riempire alcuni buchi dei romanzi della serie maggiore. Nella fattispecie, il primo racconto è una sorta di prequel, che ci fa scoprire le motivazioni per cui Tempe decide di intraprendere la carriera di anatomopatologa forense. Il secondo fa un inciso per spiegare un caso accennato nel libro “La voce delle ossa”. Il terzo dà conto di un intervallo temporale trascurato tra “Le ossa dei perduti” e “Le ossa non mentono”. L’ultimo è anche uscito in volume singolo, tanto che l’ho già ampiamente tramato sopra (“Ossa di ghiaccio”). I racconti non sono particolarmente elaborati o avvincenti, seguendo spesso lo schema solito delle storie della dottoressa Brennan: morto, accumulo di indizio, qualche agnizione, di cui alcune sbagliate, scoperta della via maestra, pericolo per Tempe e soluzione finale. Così appunto nel primo caso [”Prime ossa – First Bones”, 2016, pag. 9-91], che scritto per ultimo, fa anche una specie di raccordo con le vicende di “La verità delle ossa”. Anche se bisogna stare molto attenti che sono velate. Mentre attende al capezzale del suo capo colpito forse mortalmente da un colpo di pistola, Tempe fa un lungo salto doppio all’indietro, narrandoci come sia entrata nella spirale dell’analisi ossea. Erano i tempi ancora felici in cui viveva con il marito Pete, allora avvocato ma anche attento a Tempe ed al suo mondo. Lei invece si stava specializzando in archeologia ossea. Trovandosi da sola in laboratorio, viene coinvolta dal bravo ma assai sporchello (una macchina piena di residui alimentari, un visto maleodorante, capelli unti) Erskine “Skinny” Sliddell nell’analisi di un morto carbonizzato. Solita routine, confronto dei denti, scoperta che il morto non è quello che si credeva, che il dottore padrone della casa in fumo si fa presto vivo. Secondo morto, cinese agopuntore, anche lui semi-carbonizzato, con una traccia che collega i tre casi: i due morti ed il vivo. Per farla breve, siamo negli anni ’80, sono tutti malati di AIDS, il dottore cerca le medicine in Messico, ma un terzo paziente, un po’ fuori di testa, vuole ucciderli tutti. Scena catartica con intervento risolutore di Skinny, che si capisce perché sia diventato poi sodale di Tempe. Ritorno al presente in ospedale ed arrivo di Ryan. Da qualche accenno si capisce che i due oramai filano insieme. Il secondo [“Ossa in tasca – Bones in her pocket”, 2013, pag. 93-158] come detto da conto della morte di qualcuno che cercava di salvare uccelli vari da stermini ecologici di acque inquinate. Un cadavere viene trovato in un sacco in un fiume. Vi risparmio dettagli poco simpatici su tutti gli animali che pasteggiarono con il corpo. Ben presto, Tempe e Skinny risalgono una catena di indizi che porta ad identificare la morta con l’ambientalista Edith (analoga appunto alla morte di Dick che voleva salvare i caribù nella ‘voce delle ossa’). Il colpevole sembra tal Herman, anche lui ambientalista, ma della sezione anarco-individualista (buttiamo le bombe per far saltare le industrie inquinanti). Dopo una serie di passi falsi, il tutto si risolve nella scoperta di Edith di un traffico di cuccioli di cane. Solita scena trucida finale, con la nostra eroina in pericolo, ma questa volta il salvatore non vi dico chi è (e non è Ryan). La cosa migliore è il commento personale finale di Kathy Reichs contro l’allevamento fraudolento di animali al solo scopo di lucro). Il terzo invece [“Ossa nella palude – Swamp Bones”, 2014, pag. 159-257] si riferisce ad una vacanza che Tempe in uno dei suoi libri maggiori dice di voler fare per andare in Florida a trovare una sua collega, che si occupa di necroscopia, cioè analisi della morte di animali, in particolare uccelli. Ma la sua amica non sta a Miami, ma nel Parco Nazionale delle Everglades. Che è sì abbastanza vicino alla capitale, ma è un luogo umido e trasudante alligatori (in partica, come dice il titolo, è una palude). Lì nella palude, incauti personaggi, dopo averli tenuti come animali domestici, liberano decine e decine di pitoni Burma (che come dice il nome vengono dall’Asia). Che si riproducono con una velocità incredibile. Che mangiano gli uccelli sterminandoli. E sezionando un pitone insieme alla sua amica, Tempe viene coinvolta in un vortice di ricerca. Il pitone ha mangiato un avvoltoio che ha mangiato un cadavere umano (e qui, c’è un altro colpo di genio, che il traduttore non può che continuare citando Branduardi!). Cadavere che si scopre essere di una cacciatrice di pitoni (perché sugli animaletti c’è una bella taglia). La scena si complica con elementi indigeni che fanno i bracconieri, tatuaggi sotto le unghie, altri morti sbranati e smembrati (di cui uno da un alligatore). Anche qui il colpevole ultimo sarà abbastanza insospettabile all’inizio, ma ben individuabile dalla scena degli armadietti in poi (ma mica vi dico che scena è). Fatto conto il solito finale tempestoso, con la brutta fine del losco figuro, Reichs ci intrattiene ancora un po’ con una tirata contro i bracconieri e gli uccisori di pitoni e coccodrilli, solo per ricavarne pelli da abbigliamento. Del quarto ho parlato poco sopra, e non ci torno su, anche se devo dire che, presi nell’insieme come “Collection” sono più gradevoli che isolati come racconti lunghi (vedi appunto i miei commenti iniziali). In finale, pur essendo racconti, sono sostenibili nell’andamento. Inoltre si scagliano sempre contro piaghe mai risolte: cure per l’AIDS, allevamenti di frodo, bracconaggio animale. Condividiamo l’afflato ambientalista e animalista della scrittrice. Speriamo che però riesca a darci un saggio finale delle attività della dottoressa Brennan e del suo mondo di ossa.
In attesa di un Capodanno (cioè del 1 gennaio 2018) che porta ad iniziare un anno “col botto”, colgo l’occasione di questa domenica di San Silvestro per fare tutti i migliori auguri a tutti i miei lettori, amici, viaggiatori, e tutti quelli che in questi dodici anni di scrittura mi sono stati vicini. Sperando che rimangano vicini, tanti io vi avrò sempre nel cuore e nella mente. 

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