Perché siamo nel finale di questo
anno e perché la maggior parte delle trame è dedicata a “Bones”, le ossa di
Kathy Reichs che ho letto praticamente integralmente, ed ho visto (ma solo nei
week-end) nel TopCrime Channel di Ale. Ma non potevo tralasciare Colin Dexter,
di cui ho letto il primo episodio, e che ha, almeno nell’immediato, una resa
sicuramente migliore di Temperance. Staremo a vedere nel futuro.
Colin Dexter “L’ultima corsa per Woodstock” Sellerio euro 14
[A: 18/05/2015 – I:
28/06/2017 – T: 30/06/2017] - &&& e ½
[tit. or.: Last Bus to Woodstock; ling. or.: inglese; pagine: 350; anno 1975]
Per
molto tempo avevo visto questi “gialli” dell’inglese Dexter riproposti per i
tipi della Sellerio e mi ero spesso chiesto la natura e se valessero la pena.
Anche perché, generalmente, le pubblicazioni palermitane hanno sempre spunti
interessanti. Approfittando dell’epifania di letture di due anni fa comprai
alcuni blocchi di libri, che sto centellinando nel tempo, in cui si inserì
questo primo episodio delle indagini dell’ispettore E. Morse. Mi dispiace
soltanto che questa lettura avvenga nell’anno in cui il quasi novantenne (ma in
realtà era del ’30) Colin ci ha lasciato (ahi, funesto fu l’anno dispari e
primo!). Per l’intanto devo convenire con quanto si è detto dell’autore, un robusto
usatore di penna, che sa ben descrivere e ci fa ben piombare nelle terre
inglesi con tutte le loro paure, sicurezze e insicurezze, siepi ed ora del tè.
Una scrittura vicina, almeno nel procedere, a quella di P. D. James (non è
forse un caso che entrambi abbiano vissuto gran parte della loro vita a
Oxford). Dexter, in più (almeno per il mio gusto) ha questo piacere per la
crittografia, i messaggi nascosti, ed altre piccole cose. Prendiamo ad esempio
il protagonista, con quel nome E., che solo nel 13° episodio conosceremo per
intero (e che quindi qui non svelo), derivante dall’essere la madre
dell’ispettore una fervente quacchera ed il padre un ammiratore del grande
James Cook. Ma anche il cognome ha una sua storia, che Jeremy Morse era un
sodale di Colin, impegnati entrambi nella costruzione di difficoltose parole
crociate ed altri enigmi. Descritti questi contorni, questa prima storia serve
molto a fissare i caratteri principali della serie: l’ispettore Morse, appunto,
con le sue domande criptiche, i suoi comportamenti al limite, quasi una specie
di Adamsberg ante-litteram (se mi è consentito un paragone francofilo), il suo
aiutante sergente Lewis, più concreto, più legato alle prove ed alla ricerca
sul territorio, e l’enigma giallo di cui si cerca la soluzione. Che qui parte
dal ritrovamento del cadavere di una giovane donna, nel parcheggio di un pub
inglese. Giovane che nelle prime pagine vediamo perdere, insieme ad una ignota
amica, proprio il pullman del titolo, e cercare di trovare un modo per tornare
a Woodstock. Che ovviamente non è la cittadina americana che ospitò il famoso
concerto, ma una cittadina ad una ventina di km a Nord-Ovest di Oxford. Per
tutto il libro si sviluppano le indagini di Morse e Lewis, con il primo che,
ovviamente, è sempre un passo avanti, ma che, tuttavia, non riesce a trovare
subito il bandolo della matassa. Indaga sul posto di lavoro della morta Sylvia,
scopre che una collega della stessa riceve messaggi criptici attraverso lettere
postali di poco senso (qui si intravede il carattere enigmistico di Colin, che
fa mandare messaggi utilizzando errori di battitura in una lettera standard;
noto ed ammiro lo sforzo della traduttrice, Luisa Nera, di rendere il tutto
vicino all’originale). Da qui imbastisce tutta una serie di agnizioni:
Jennifer, la collega di Sylvia, deve avere un amante che le manda questi
messaggi, Jennifer potrebbe essere la donna misteriosa che ha fatto l’autostop
con Sylvia, l’amante di Jennifer potrebbe essere l’automobilista che le ha
prese per portarle a Woodstock. In tutto questo, Morse si avvicina
pericolosamente a Sue, la coinquilina di Jennifer, che sembra avere anche lei
una scivolata verso l’ispettore, anche se è fidanzata, e forse non solo. Di
passaggio il quadro giallo viene più fosco dal fatto che Sylvia, prima e dopo
la morte ha avuto rapporti sessuali. Cioè attivi prima della morte e passivi
dopo. Allora c’è un assassino? Ce ne sono due? Cosa succede quando Morse scopre
che l’amante di Jennifer è una persona diversa da quella che lui pensava? E che
Bernard, che pensava essere l’amante di Jennifer è non solo l’automobilista che
ha preso le due autostoppiste, che è l’amante di un’altra persona, e che ha
fatto l’amore con Sylvia quando questa era viva? Cosa succede quando la moglie
di Bernard si suicida lasciando una lettera in cui si accusa di aver ucciso
Sylvia? Sarà vero o lo fa per coprire Bernard? E se anche Barnard si
autoaccusa? Alla fine Morse, con fatica e con non pochi problemi, riesce a
ricucire tutti i nodi della strampalata matassa. In cui un po’ ci siamo persi
anche noi, ma che la ricostruzione finale ci consente di apprezzare, e magari
di ripercorrere a ritroso per vedere di capire cosa sia successo realmente. Il
tutto comunque ben condito dal sapore della campagna inglese, dall’animo colto
di Dexter, dalla musica di Wagner che adora l’ispettore. Nonché dalle
scaramucce tra Morse che vola alto e Lewis che segue le tracce ad una ad una.
Scaramucce condensate nei primi approcci tra i due, quando Morse gli chiede:
“Pensi che stiamo perdendo tempo?” e Lewis risponde candidamente: “Si,
signore”. Non so se ne leggerò ancora, ma questa lettura mi ha riportato in
alto il piacere di leggere un giallo ben costruito. E non è poco.
“Affamato delle labbra del mio desiderio / ti sono stato fedele … a
modo mio.” [da una lirica di Ernest Dowson] (82)
Kathy Reichs “La verità delle ossa” BUR euro 11,90
[A: 14/09/2017 – I:
15/09/2017 – T: 17/09/2017] - &&& --
[tit. or.: Speaking in Bones; ling. or.: inglese; pagine: 334; anno 2015]
Non
meravigliatevi della lettura cotta-mangiata del nuovo libro di Temperance,
dovuto ad una mia incomprensione sull’andamento temporale dei libri stessi. In
realtà, avrei dovuto leggere prima “Ossa di ghiaccio”, in quanto questo
risulterebbe l’episodio 18. Ma avevo confuso l’anno di uscita italiano con
quello di pubblicazione originale. Non ha certo portato grandi guasti alla
narrazione complessiva perché, come avrete già letto, l’episodio del ghiaccio
poco ha apportato allo svolgimento del punto nodale non poliziesco della serie:
Tempe accetterà o meno la proposta di matrimonio di Ryan? Era la domanda con
cui finiva la (decorosa) puntata 17, e che rimane per tutto questo episodio il
tormentone di fondo. È vero che Tempe ha avuto una brutta esperienza con il
marito Pete (il cui unico punto a favore, oltre ad essere scomparso, è averla
aiutata ad avere la figlia Katy), ma le paranoie che la dottoressa si conficca
nella testa sono veramente da saltare a piè pari. Il suo “parto per il Canada o
rimango”, il suo “telefono a Ryan o aspetto”, il suo indeciso procedere verso
un momento (pur complesso) di possibile felicità mi hanno lasciato un po’ di
ruggine nella lettura. Tant’è che queste parti le ho quasi saltate, fin poi a
ritrovarmi in quel finale a due che sinceramente ho poco compreso. E spero che
qualcuno me ne illumini. O forse lo farà l’episodio 19? Ma tolto tutto il
superfluo, rimane la storia di queste ossa che parlano, che ci raccontano (o
dovrebbero raccontarci) la loro storia. Mentre infatti Tempe circa di risolvere
il suo dilemma, viene coinvolta in un nuovo caso dall’arrivo di una donna, di
professione “cyber-segugio”. Strike pensa di aver scoperto la provenienza di
alcune ossa trovate in un posto chiamato Browne Mountain, e rimaste tra i casi
irrisolti. Pensa siano di una ragazza, Cora, scomparsa anni prima. Il dado è
lanciato, e Tempe ci si butta a capofitto. Viene così da un lato a conoscere
tutta la storia dei segugi digitali, gente che, non avendo nulla da fare, si
mette in rete alla ricerca di risolvere casi irrisolti, creando siti, forum, ed
altre internetterie poco divertenti. Dall’altro approfondiamo le solite analisi
delle ossa, per poi scoprire che nel circondario dove furono trovate queste
ignote, se ne vanno trovate altre. Ovvio che Tempe si rechi sul posto, aiutata
da un simpatico poliziotto di nome Zebulon, ma meglio noto come Zeb. Insieme,
anzi sotto la direzione di Zeb, entrano nel mondo locale, dominata da una setta
cristiana eretica, molto devota e iper-tradizionalista (dicono ancora la messa
in latino). Non è un caso che della setta fanno parte i genitori di Cora, che
l’hanno ripudiata dicendo che sia fuggita con tal Manson. Di cui però si sono
perse le tracce. C’è per la sorella di Manson che rivela a Tempe alcuni lati
oscuri. Per tutto il tempo andiamo su e giù tra il laboratorio di Tempe, le sue
ossa, e le montagne con i nuovi ritrovamenti. Anche perché Strike ha un file
audio dove si sentono strazianti appelli di una voce che pare sia di Cora.
Tempe, oltre ad analizzare ossa ed altri ritrovamenti, tra cui un calco di una
testa, porta avanti le indagini sulla comunità. Dove scopre: il prete che la
comanda è stato sospeso “a divinis” dalla Chiesa per uso improprio di
esorcismi, il fratello di Cora è morto dodicenne per maltrattamenti, Cora ha
fatto per un certo periodo la baby-sitter in una famiglia, fino a che il
piccolo neonato affidatole muore pare “di morte bianca”. Infine che il Mason di
cui sopra è (o era) affetto dalla rara sindrome di
Naegeli-Franceschetti-Jadassohn (NFJ), che, tra le altre manifestazioni poco
carine, ha anche come segno distintivo l’assenza di impronte digitali nel
malato. Il tutto collassa ancora al ritrovamento del cadavere di Strike, che
inutilmente aveva cercato di contattare Tempe, dicendo di avere importanti
scoperte da comunicare. Entra così in gioco il detective “Skinny” Sliddell, che
scopriamo essersi ripulito (vedi trama precedente) in quanto innamorato. Il
lavoro congiunto di “Skinny”, Zeb e Tempe, dopo aver percorso diverse strade
cieche (tra cui il tentativo di capire se il prete di cui sopra, oltre ad
esorcista fosse anche pedofilo e assassino), porta alla soluzione del caso.
Ovviamente in un finale in cui Tempe riesce a cacciarsi in tutti i possibili
guai, rischiando al solito di lasciarci le penne. Per fortuna non sarà Ryan a
salvarla, che Tempe è affetta un po’ dalla sindrome di “donzella salvata dal
cavaliere senza macchia e senza paura”. Ma lascia molto perplessi, la soluzione
che, assolutamente fuori delle famose “linee guida Van Dine”, coinvolge
malattie varie e personalità multiple. Poco professionale, Reichs. Sulle ossa
avrai tutto da dire, ma i meccanismi gialli sono sempre troppo costruiti sui
libri delle “patologie rare” dei testi di medicina. Rimangono un po’ di
contorni che, inutile per la trama principale, alleviano un po’ lo spirito e
fanno salire qualche mezzo libricino di gradimento. La storia della mamma di
Tempe, della sua chemio e dei suoi amori senili. Le chiacchiere prima con Zeb e
poi con “Skinny”. Il finale aperto con Ryan. Credo che, purtroppo, la nostra
scrittrice sia troppo condizionata dal “Bones” televisivo, cercando di
riprodurre su carta quanto avviene sullo schermo. Azioni, analisi di corpi ed
altro, che hanno un forte impatto visivo ma poco impatto da lettori. Al solito,
una buona lezione di patologia, un medio coinvolgimento nelle storie di vita ed
una scarsa attenzione ai ritmi ed alle strutture narrative del giallo
tradizionale. Vedremo.
“L’amore non arriva mai troppo tardi nella
vita.” (328)
Kathy Reichs “Ossa di ghiaccio” Rizzoli Vintage euro 12 (in realtà,
scontato a 7,50 euro)
[A: 28/08/2016 – I:
18/09/2017 – T: 19/09/2017] - && --
[tit. or.: Bones on ice; ling. or.: inglese; pagine: 190; anno 2015]
Avendo per qualche tempo saltato
le letture dell’esimia scrittrice nonché factotum della serie televisiva
“Bones”, ho cercato di rimettere un po’ d’ordine nella cronologia della serie
stessa. Secondo quindi la “nomenclatura” che la stessa Reichs propone, questo è
l’episodio 17 1/2. Perché in realtà è più che altro un racconto lungo, che si
colloca tra “Le ossa non mentono”, tramato quasi un anno e mezzo fa, e “La
verità delle ossa” (vedi sotto). In effetti, è uno di quegli spunti di
passaggio, che servono a cucire un po’ la serie, inserendo qualche elemento
chiarificatore, ma che non porta molto all’economia dello svolgimento del
grande filone della saga. Intanto, l’episodio 17 si era chiusa con la proposta
di matrimonio fatta da Ryan, il canadese che da decine di puntate va su e giù
nel cuore della nostra dottoressa. Ebbene, in questo racconto, viene nominato
due volte, ma non entra né nella storia né nei pensieri di Tempe. Alle prese
con l’analisi di una persona morta scalando l’Everest. Questo spunto dà modo
alla nostra scrittrice di scrivere righe su righe pesanti (e condivise) contro
la moda assurda del turismo d’alta quota, dell’impreparazione di persone che
pensano che facendo un selfie a 8000 metri tutto si più bello e radioso nella
loro vita. Non solo, ma anche di ricordare il catastrofico terremoto nepalese
del 25 aprile 2015, e di spezzare una lancia a favore delle ONG che stanno
lavorando per la ricostruzione di quel martoriato territorio. La parte
anatomo-patologicamente interessante è tutta la descrizione sia del modo in cui
si possa arrivare all’ipotermia, sia cosa succede al corpo in quelle condizione
estreme. Dove non ci sono batteri, e dopo 3 anni è possibile analizzare un
morto come se fosse appena deceduto. Ricordo di passaggio tutte le strombazzature
intorno a Ötzi, la mummia del ghiacciaio del Similaun. La morta è figlia di una
eminente famiglia di Charlotte, dove lavora Tempe, che vuole sapere come sia
morta la figlia. Ragazza dedita agli sport estremi, con qualche interesse in
ONG per il recupero di spazi puliti in alta quota (ma qualche dubbio sulle sue
capacità finanziarie lo abbiamo subito), e che vuole toccare il record “delle
Sette Cime”. Inciso per gli appassionati della montagna: le “Sette Cime” sono i
sette monti più alti di tutti i continenti, considerando l’America divisa in
due ed includendo l’Antartide; nella nota finale ne riporto i dati. Ma noi
subodoriamo subito qualcosa di losco. Sia perché ci sono traumi poco spiegabili
sul corpo, sia perché la spedizione della giovane Brighton era senza guida, e
composto da altri 4 suoi amici (3 uomini e una donna) altamente sospetti. Non
mi dilungo sulle motivazioni e le possibilità dei sospetti, che vengono
smontate ad una ad una dal detective della polizia di Charlotte, “Skinny” Sliddell,
anche lui personaggio ricorrente, e con un suo piccolo spazio. Tra l’altro
cominciamo ad avere dei sospetti che qualcosa stia cambiando, dato che “Skinny”
si presenta meno trasandato del solito. La storia va avanti un po’ banalando
qua e là, e solo verso la fine anche Tempe ha la prova che la morta non è
Brighton, ma una cilena di nome Victoria, che è stata Brighton ad ucciderla per
sfuggire alla polizia federale che stava bloccando le sue illecite speculazioni
finanziarie. Peccato poi che la neo-rediviva Brighton-Victoria sia poi
realmente morta poco tempo dopo, scalando la vetta dell’Aconcagua cileno. Ma
anche questa fu vera morte? C’era forse qualcuno dei suoi vecchi amici con lei?
Beh, non sarà una sorpresa, anche se inserito nel solito finale ad effetto in
cui Tempe rischia qualcosa. Purtroppo è sempre lo stesso tipo di effettaccio
che cerca l’autrice e dopo un po’ è stancante. Comunque il finale ve lo dovete
leggere, che io non apro più bocca. Se non per due considerazioni finali. A più
ripresa, Tempe si incontra con una sua amica di nome Anne. Peccato che, a mia
memoria, compaia solo, e senza neanche tanti ricordi, in “Morte di lunedì”
(episodio 7), mentre qui sembra che siano pappa e ciccia. La seconda invece
riguarda la battuta che riporto sotto. Non riuscendo a capire molto della morte
di Brighton, Tempe si lancia in una elencazione di possibili cause del decesso,
includendo la citazione che riporto. E che solo i più esperti avranno capito
sia tratta da quel divertente e poco noto ai giovani gioco di società, dal nome
di Cluedo. A quanto volte ci giocai…
“Quale la causa del decesso? … Strangolata in biblioteca con una fune
dal Colonello Mustard?” (27)
SETTE CIME (in ordine di altezza): 1. Antartide – Massiccio Vinson,
4.892; 2. Africa – Kilimanjaro (Tanzania), 5895; 3. Nordamerica - Monte Denali
(Alaska), 6194; 4. Sudamerica – Aconcagua (Cile), 6962; 5. Asia – Everest
(Nepal), 8848. Poi ci sono due dispute: 6. Europa – se consideriamo la
“vecchia”, Monte Bianco (Italia), 4810; se consideriamo la “nuova”, Elbrus
(Georgia), 5642; 7. Oceania – se consideriamo la terraferma, Monte Kosciuszko
(Australia), 2228; se consideriamo la parte insulare, Puncak Jaya (Nuova
Guinea), 4884
Kathy Reichs “Ossa – The Collection” BUR euro 13 (in realtà, scontato a
11,05 euro)
[A: 25/09/2017 – I: 25/09/2017
– T: 26/09/2017] - &&&
[tit. or.: The Bone Collection; ling. or.: inglese; pagine: 379; anno 2016]
Beh, dovevo
assolutamente battere il ferro quando è caldo. Così, una volta aperta la porta
a Kathy Reichs ed alle sue ossa, ho trovato l’unico libro che ancora mi mancava
della serie. Preso, letto e mangiato. Anche perché, non è un romanzo, ma la
collazione di 4 racconti (tre lunghi ed uno normale) che, nelle intenzioni
della scrittrice, servono a riempire alcuni buchi dei romanzi della serie
maggiore. Nella fattispecie, il primo racconto è una sorta di prequel, che ci
fa scoprire le motivazioni per cui Tempe decide di intraprendere la carriera di
anatomopatologa forense. Il secondo fa un inciso per spiegare un caso accennato
nel libro “La voce delle ossa”. Il terzo dà conto di un intervallo temporale
trascurato tra “Le ossa dei perduti” e “Le ossa non mentono”. L’ultimo è anche
uscito in volume singolo, tanto che l’ho già ampiamente tramato sopra (“Ossa di
ghiaccio”). I racconti non sono particolarmente elaborati o avvincenti,
seguendo spesso lo schema solito delle storie della dottoressa Brennan: morto,
accumulo di indizio, qualche agnizione, di cui alcune sbagliate, scoperta della
via maestra, pericolo per Tempe e soluzione finale. Così appunto nel primo caso
[”Prime ossa – First Bones”, 2016,
pag. 9-91], che scritto per ultimo, fa anche una specie di raccordo con le
vicende di “La verità delle ossa”. Anche se bisogna stare molto attenti che
sono velate. Mentre attende al capezzale del suo capo colpito forse mortalmente
da un colpo di pistola, Tempe fa un lungo salto doppio all’indietro, narrandoci
come sia entrata nella spirale dell’analisi ossea. Erano i tempi ancora felici
in cui viveva con il marito Pete, allora avvocato ma anche attento a Tempe ed
al suo mondo. Lei invece si stava specializzando in archeologia ossea.
Trovandosi da sola in laboratorio, viene coinvolta dal bravo ma assai
sporchello (una macchina piena di residui alimentari, un visto maleodorante,
capelli unti) Erskine “Skinny” Sliddell nell’analisi di un morto carbonizzato.
Solita routine, confronto dei denti, scoperta che il morto non è quello che si
credeva, che il dottore padrone della casa in fumo si fa presto vivo. Secondo
morto, cinese agopuntore, anche lui semi-carbonizzato, con una traccia che
collega i tre casi: i due morti ed il vivo. Per farla breve, siamo negli anni
’80, sono tutti malati di AIDS, il dottore cerca le medicine in Messico, ma un
terzo paziente, un po’ fuori di testa, vuole ucciderli tutti. Scena catartica
con intervento risolutore di Skinny, che si capisce perché sia diventato poi
sodale di Tempe. Ritorno al presente in ospedale ed arrivo di Ryan. Da qualche
accenno si capisce che i due oramai filano insieme. Il secondo [“Ossa in tasca – Bones in her pocket”,
2013, pag. 93-158] come detto da conto della morte di qualcuno che cercava di
salvare uccelli vari da stermini ecologici di acque inquinate. Un cadavere
viene trovato in un sacco in un fiume. Vi risparmio dettagli poco simpatici su
tutti gli animali che pasteggiarono con il corpo. Ben presto, Tempe e Skinny
risalgono una catena di indizi che porta ad identificare la morta con
l’ambientalista Edith (analoga appunto alla morte di Dick che voleva salvare i
caribù nella ‘voce delle ossa’). Il colpevole sembra tal Herman, anche lui
ambientalista, ma della sezione anarco-individualista (buttiamo le bombe per
far saltare le industrie inquinanti). Dopo una serie di passi falsi, il tutto
si risolve nella scoperta di Edith di un traffico di cuccioli di cane. Solita
scena trucida finale, con la nostra eroina in pericolo, ma questa volta il
salvatore non vi dico chi è (e non è Ryan). La cosa migliore è il commento
personale finale di Kathy Reichs contro l’allevamento fraudolento di animali al
solo scopo di lucro). Il terzo invece [“Ossa
nella palude – Swamp Bones”, 2014, pag. 159-257] si riferisce ad una
vacanza che Tempe in uno dei suoi libri maggiori dice di voler fare per andare
in Florida a trovare una sua collega, che si occupa di necroscopia, cioè
analisi della morte di animali, in particolare uccelli. Ma la sua amica non sta
a Miami, ma nel Parco Nazionale delle Everglades. Che è sì abbastanza vicino
alla capitale, ma è un luogo umido e trasudante alligatori (in partica, come
dice il titolo, è una palude). Lì nella palude, incauti personaggi, dopo averli
tenuti come animali domestici, liberano decine e decine di pitoni Burma (che
come dice il nome vengono dall’Asia). Che si riproducono con una velocità
incredibile. Che mangiano gli uccelli sterminandoli. E sezionando un pitone
insieme alla sua amica, Tempe viene coinvolta in un vortice di ricerca. Il
pitone ha mangiato un avvoltoio che ha mangiato un cadavere umano (e qui, c’è
un altro colpo di genio, che il traduttore non può che continuare citando
Branduardi!). Cadavere che si scopre essere di una cacciatrice di pitoni
(perché sugli animaletti c’è una bella taglia). La scena si complica con
elementi indigeni che fanno i bracconieri, tatuaggi sotto le unghie, altri
morti sbranati e smembrati (di cui uno da un alligatore). Anche qui il
colpevole ultimo sarà abbastanza insospettabile all’inizio, ma ben
individuabile dalla scena degli armadietti in poi (ma mica vi dico che scena
è). Fatto conto il solito finale tempestoso, con la brutta fine del losco
figuro, Reichs ci intrattiene ancora un po’ con una tirata contro i bracconieri
e gli uccisori di pitoni e coccodrilli, solo per ricavarne pelli da
abbigliamento. Del quarto ho parlato poco sopra, e non ci torno su, anche se
devo dire che, presi nell’insieme come “Collection” sono più gradevoli che
isolati come racconti lunghi (vedi appunto i miei commenti iniziali). In
finale, pur essendo racconti, sono sostenibili nell’andamento. Inoltre si
scagliano sempre contro piaghe mai risolte: cure per l’AIDS, allevamenti di
frodo, bracconaggio animale. Condividiamo l’afflato ambientalista e animalista
della scrittrice. Speriamo che però riesca a darci un saggio finale delle
attività della dottoressa Brennan e del suo mondo di ossa.
In attesa di un
Capodanno (cioè del 1 gennaio 2018) che porta ad iniziare un anno “col botto”,
colgo l’occasione di questa domenica di San Silvestro per fare tutti i migliori
auguri a tutti i miei lettori, amici, viaggiatori, e tutti quelli che in questi
dodici anni di scrittura mi sono stati vicini. Sperando che rimangano vicini,
tanti io vi avrò sempre nel cuore e nella mente.
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