Perché, anche se qualcuno mi dice
che non lo dovrei fare, continua a leggere del signor Bonetti, in arte Fabio
Volo. Soprattutto ora che il suo ultimo libro (né letto, né comperato) si
colloca in testa alle vendite settimanali (Robinson del 3/12/2017). Qui presente
addirittura in tre prove, tute poco riuscite, e ben distanziate, invece dalla
solita scrittura, non stravolgente ma intensa, di Carmine Abate.
Fabio Volo “A cosa servono i desideri” Mondadori s.p. (prestito di
Alessandra)
[A: 25/04/2017 – I: 07/06/2017 – T: 10/06/2017] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 149;
anno 2016]
Peccato per il
simpatico Fabio, che ho seguito spesso a suo tempo nel suo primo periodo radiofonico,
che non mi dispiace vedere nelle sue uscite cinematografiche, ma questo libro
non lo capisco. Cioè non capisco se sia un libro, se abbia un senso scriverlo,
e, soprattutto, se abbia un senso leggerlo. Come ben dice una polemica sorta in
rete, un libro è una cosa che ha dei contenuti, che qualcuno scrive (per sé
stesso e per altri) e che qualche d’un altro legge per trovare spunti
(consapevoli o inconsci) sulla propria vita. Un diario è invece una cosa
diversa, e chi lo scrive, principalmente, lo scrive solo (e ribadisco “solo”)
per sé stesso. In genere, tra l’altro, l’autore ne è anche l’unico lettore.
Solo in modo postumo, diari importanti vengono poi messi al servizio di un
pubblico più vasto. Spesso attraverso (utili) opere di revisione critica. La
polemica si sostanziava dicendo che se voglio comprare un libro è per leggerlo,
se voglio comprare un diario è per scriverlo. Invece, queste pagine di Fabio
Volo non sono, secondo me, né un libro, né tanto meno un diario. In realtà,
hanno l’aspetto di un libro, costano come un libro, e se lo cercate nelle
librerie online, viene addirittura classificato sia tra la “Narrativa italiana”
sia tra la “Saggistica”. Ma in realtà, la maggior parte delle pagine è bianca,
contiene una piccola testatina di suggerimento, attraverso la quale Volo invita
quindi a compilare il tuo diario. Ci sono appunto pagine, scelgo a caso, che
chiedono “Che animale mi piacerebbe essere?” (pagina 53), “Perché ho sprecato
tempo” (pagina 63), fino a “Una persona che ammiro. E una che disprezzo.”
(pagina 80) e a “Sono capace di perdonarmi?” (pagina 145). Ora, se voglio
scrivere un diario, penso che mi rivolgerò alle cose che mi frullano per la
testa. Questa “traccia d’esame di un diario”, sembra quasi voler essere più una
traccia di un’intervista, che un fantomatico ed occulto conduttore rivolge a
te, che incautamente hai comperato l’oggetto, ed a cui il soggetto acquistante
risponde, ma solo per propria voglia e senza contraltare. Un’ultima cosa, per
finire con le lamentele, che ho scoperto in libreria. Ne esiste, ovviamente,
una versione e-book, ma non è compilabile, quindi se anche volessi usarlo come
traccia per un mio ipotetico diario, dovrei poi acquistare almeno un taccuino
su cui scrivere le mie personali elucubrazioni. L’unico, gli unici, momenti che
un po’ si staccano da questo inutile insieme di fogli, sono l’introduzione ed
il finale. Nella prima Fabio spiega di aver preso spunto da un suo vecchio
taccuino-diario che aveva utilizzato in gioventù per raccogliere le
citazioni, le domande e i pensieri che lo hanno aiutato a crescere e diventare
il Volo che è. Di certo è un bell’esercizio ritrovare proprie tracce (l’ho
fatto anch’io, forse come tutti, ed ho visto almeno due cose che mi hanno
colpito: l’ingenuità e la forza di alcuni pensieri che entravano nella mia
testa, e lì cercavano risposte, che tuttavia non ho ancora trovato, e la
scrittura, un modo di mettere le lettere sulla carta che tanti cambiamenti ha
poi avuto nel corso della mia vita), e ripercorrendole, fare un proprio bilancio
su chi si era e chi si è diventato. Nel finale, poi, pur ribadendo il buonismo
che pervade tutta l’operazione, ci sono almeno alcune citazioni, alcuni brani,
che, anche per me, pur nelle mutate condizioni, hanno detto qualcosa. Uno fra
tutti, i brani poetici di Costantino Kefavis. Purtroppo, per finire, un ultimo
grido di dolore. Nella quarta di copertina, Volo annuncia che sono presenti “le
citazioni, le domande, i pensieri che mi hanno aiutato”. Lodevole intento, se
questi fossero corredati da una sua riflessione sugli stessi. Sul Volo che li
scrisse e sul Volo che ora ce li presenta. Insomma, acqua da tutte le parti.
Non compratelo, non leggetelo, non scrivetelo. E se proprio dovete tenere un
diario o un taccuino di pensieri, costruitevelo da soli, con le vostre idee, e
con tutti i vostri (nostri) sbagli.
“Da soli si va più veloci, insieme si va più
lontano (proverbio africano).” (24)
“Un paese che vorrei visitare: ……” (117)
“È importante essere aggiornati su sé
stessi. Essere ‘presenti’ ci permette di riconoscere le occasioni giuste, di
non farcele scappare solo perché abbiamo un’idea vecchia di noi.” (146)
Fabio Volo “Le prime luci del mattino” Mondadori euro 11
[A: 25/01/2016 – I: 24/06/2017 – T: 27/06/2017] - & e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 218;
anno 2011]
Con
questo libro, invece, ritorniamo al classico libro, che capisco in quanto libro
(rileggete la trama su Volo precedente, sulle mie perplessità) e in quanto
tale, appunto, posso dire che non mi è piaciuto. Come, raramente, mi piacciono
i libri di autore maschile che scrivono in prima persona femminile (vedi la mia
trama al libro di Coe “La pioggia prima che cada”, che tuttavia ha delle uscite
migliori di questo libro di Fabio). Ribadisco che, in genere, i libri di Fabio
Volo non mi sono mai dispiaciuti troppo, per quel tono di ironia con il quale
affronta il mondo e le sue diverse situazioni. Non è di certo un autore
imperdibile, va preso per quello che è (come i suoi film, come le sue
digressioni radiofoniche). Qui poi la trama è di una linearità disarmane,
almeno nei suoi tratti essenziali: seguiamo, attraverso un susseguirsi di
pagine in terza persona e di brani del diario, la storia di Elena. Sposata con
Paolo, ma senza ormai la fiamma che bruciava all’inizio della loro storia.
L’amore viene sepolto dal quotidiano, dove né Elena né Paolo trovano spunti
sufficienti a tirarlo ancora fuori. In questo clima di insoddisfazione, Elena
un po’ cerca stimoli nel lavoro, anche qui con successi relativi. Fino a quando
incontra lui, un uomo gentile (almeno all’apparenza) che ne risveglia la
sessualità. Questo, il sesso, la passione, sarà l’elemento scatenante nei
pensieri di Elena, che attraversa tutti gli stadi dei sentimenti alla ricerca
di una sé stessa scomparsa. Ci sono pagine piene di sensualità, che a qualche lettore
un po’ retro fanno anche dire che siamo ai limiti della pornografia. Cosa che
mi sento in grado di negare recisamente. Se ne legge, si cerca di entrare nella
logica della passione di Elena, dei mille modi in cui si può fare l’amore. Ma
devo dire a libro concluso che non hanno smosso nessuna corda empatica nel mio
cervello (né tanto meno in altre parti del mio corpo). Elena piomba con tutti e
due i piedi in questa storia. Tanto che, ovvio, si innamora. Ma lui non cerca
l’amore. Lui, solitario (forse), con altre storie (di sicuro) cerca solo
l’appagamento dei sensi attraverso tutti i modi in cui il suo corpo lo
desidera. E quando Elena chiede, cerca di fare un passo in più, di uscire dalla
stanza della loro passione, per entrare nel mondo, inevitabilmente si arriva
alla crisi. Elena cercava qualcosa in più del sesso, anche se questo la fa
uscire dalla gabbia di Paolo, della vita con Paolo, della madre di Paolo, e di
tante paolosità. Quando poi Elena cerca di entrare, non invitata, nel mondo
altro dell’amante (lo va a trovare, non invitata, nella sua casa di campagna),
non si potrà che arrivare alla rottura. Lui cercava sesso, lei cercava amore.
Ma non tutti i drammi vengono per nuocere. I lunghi e tormentati momenti di
passione hanno permesso ad Elena di fare un viaggio, intenso, verso di sé. Di
scoprire cosa vuole, o cosa potrebbe volere. Di scoprire la bellezza di vivere
da soli, sapendo cosa si desidera. Non potrà che lascerà Paolo, ovvio (e Paolo
non riesce a capire i motivi, per lui era tutto incanalato nei binari della
vita “adulta”). Non potrà che andare a vivere da sola. Magari aprendosi al
mondo e scoprendo che c’è altro, oltre all’uomo del sesso, oltre al marito
insoddisfacente. Uno “small happy end”, perché non si finisce in gloria, ma si
finisce con un barlume di speranza che la nostra Elena capisca il suo futuro. E
lo pratichi. Pensavo di essere più corto nella descrizione, invece un po’ la
penna mi prende la mano, mentre i ricordi del libro affiorano. Tuttavia
torniamo al punto interrogativo inziale. Tutta la vicenda di Elena l’ho vissuta
al maschile, come se lei fosse un uomo, ritrovandomi (anche se non in tutti) in
molti stati d’animo. Ma Volo scrive al femminile, ed io mi domando quanto una
donna si ritrova nei pensieri di Elena? Quanto è il lato maschile dello
scrittore che gli fa dire e pensare e scrivere quello che dice, pensa e scrive?
Leggendo pagine di autrici, anche pagine non eccelse, non dei classici, ma dei
semplici eppur intensi libri scritti da donne sulle donne (penso alla “Zona cieca”
della Gamberale, ai primi scritti di Milena Agus, alle minne di Giuseppina
Torregrossa, tanto per rimanere in Italia e nella contemporaneità). Ebbene
tutt’altro rimando me ne hanno dato. Lì, io uomo mi accorgo che sto leggendo
altro da me. Che mi può piacere o meno, ma che rispecchia un sentimento, una
sensibilità femminile. Qui continuo a confrontarmi con il mio io maschile. E
non riesco ad entrare in sintonia con il libro, non riesco a sentirmi
“soffocato”, come Elena in ¾ del libro, non riesco a trovare liberatoria la sua
sessualità (se non appunto, leggendola al maschile). Caro Fabio, torna a fare
due passi, che, nella loro semplicità, hanno un diverso modo di incidere e che
non mi dispiacquero affatto.
“Cosa mi sta succedendo? Si può amare un uomo
e desiderarne un altro?” (47)
“Vivere sola mi ha insegnato a chiedermi
cosa voglio e cosa desidero.” (199)
Carmine Abate “Il mosaico del tempo grande” Mondadori euro 9,50 (in
realtà, scontato a 7,60 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 04/09/2017 – T: 06/09/2017] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 233;
anno 2006]
È
sempre un piacere ritornare alla lettura delle piccole pennellate
calabro-albanesi di Carmine Abate. Qui, inoltre, si sono aggiunti due elementi
trasversali che mi hanno comunicato qualche piccolo piacere in più. Il primo
riguarda la professione di uno dei protagonisti del libro, Gojàri, che fa il
mosaicista, rimandandomi alla breve, eppur piacevole e ricca di spunti,
conoscenza con il bravissimo Costantino, mosaicista che viene dal Sud, e di cui
ho apprezzato alcuni realizzazioni. La seconda quando, passando per Rossano,
uno degli interpreti dei vari pezzi del mosaico grande assaggia e rimane
incantato dalla liquirizia locale. Un doppio motivo per pensare, anche se poi
non posso certo scordare, alla mia amica Rosa (che in queste letture tengo
sempre presente per la vicinanza dei luoghi e per le capacità affabulatorie che
ne scaturiscono, laddove capisco anche alcune sue radici). Di certo Abate, gira
che ti rigira, sempre alle sue radici torna, al suo essere arbëreshë ed a tutte
le saghe che questo ha comportato e comporta. Vi ricordo che gli arbëreshë sono
una enclave albanese che si rifugiò in Italia verso la fine del 1400, quando il
patriota albanese Giorgio Castriota Scanderberg moriva di malaria ed i turchi
cominciavano a riprendere i territori da lui conquistati. Ma sulla saga degli arbëreshë
torniamo più avanti. Che qui si inizia parlando del libro di Abate, che, come
suggerisce il titolo, è un mosaico temporale della saga arbëreshë, con passaggi
tra passato remoto, passato prossimo e presente direi ben congeniati, anche se
vanno sempre a scontrarsi con la mia poca simpatia verso l’ondivagare nel
tempo. Per mia struttura personale, sono una persona lineare, cui piace andare
dal punto A al punto B, partendo ad un certo orario ed arrivando ad un altro
presumibile tempo dovuto alla percorrenza. Ma qui Abate ci propone un mosaico,
e come un mosaico lo costruisce, mescolando le storie della fuga dall’Albania
dei primi profughi dei tempi di Scanderberg (passato remoto), la storia della
fuga e dell’amore di Antonio Damis, discendente del primo papas (cioè pope) che
guidò gli albanesi in Calabria (passato prossimo), la storia di Michele,
l’io-narrante, di Laura, la figlia di Antonio, e del ritorno dello stesso
Antonio nella natia Hora dopo venti anni di auto-esilio. Intanto, diciamo che
con il termine Hora, gli arbëreshë indicano comunque il loro luogo natio, quasi
un toponimo che diviene simbolo. E che qui si sovrappone con l’attuale Carfizzi,
città di Carmine. Anche Michele, poi, ha i tratti, in parte, dello scrittore:
si laurea, e poi, alla fine, emigra. Di Michele parleremo poi, Abate si
trasferisce prima in Germania, dove insegna italiano agli emigrati, e poi in
Trentino, dove insegna tuttora in un liceo. Il collante di tutto il romanzo, il
filo rosso che ci fa andare su e giù per il tempo è il mosaico che per la
comunità locale sta realizzando Gojàri, mosaicista e narratore delle storie
antiche. Il mosaico ci narra appunto di papas Damis che porta i profughi
dall’Albania alla Calabria, dove trovano ospitalità da un barone locale,
lavorano, si installano, e quando decidono che è l’ora di mettere il segno
della loro presenza, avviano la costruzione di una chiesa, da dedicare al loro
santo protettore, San Giovanni Battista. Faranno una grande raccolta di tutti
beni portati in esilio, compreso il pugnale dorato che Liveta, uno dei
luogotenenti di Scanderberg, aveva avuto in dono dal grande condottiero. Ma una
serie di avversità fanno sì che ci vorranno più di cento anni, più di una morte
della dinastia dei papas Damis, prima di vedere completata l’opera. E nel
frattempo l’oro è scomparso. Nel passato prossimo si insedia la storia di
Antonio, discendente e giovanotto che fa tremare i cuori. Da discendente, pensa
di sapere dove sia l’oro, e forse, con l’aiuto del padre di Michele, lo trova.
Ma tace, anche perché in preda ad un grande turbamento. Benché fidanzato con
Rosalba, la visita di una compagnia di danza albanese lo stravolge, in particolare
per la presenza della bella Drita. Butta il cuore oltre l’ostacolo Antonio:
lascia Rosalba, che non si riprenderà più dal torto subito, viene minacciato di
morte da chi pensa che abbia trovato e rubato l'oro della comunità, va in
Albania sulle tracce di Drita, ma c’è ancora Hoxa, e risulta impossibile
trovarla. Seguendo tracce labile, la trova a Bruxelles, e la convince a fuggire
con lui, per vivere la loro vita ed il loro amore ad Amsterdam. Nel presente,
vediamo Laura, la bella figlia di Antonio, tornare ad Hora, con la scusa di una
ricerca sulle radici degli arbëreshë, ma in realtà per preparare il ritorno di
Antonio, che, malato, vorrebbe rivedere le case natie. Ovvio che nasca l’amore
tra Michele e Laura, anche se osteggiato dal padre di Michele che ritiene
Antonio un farabutto, ladro e mentitore. E si sa che gli odi calabresi durano
generazioni e generazioni. Avrà ragione il padre di Michele? Ci sono altri odi
che sopiti escono fuori? Il finale che vi lascio leggere mantiene la tragicità
e la speranza che sottende buona parte del libro. Con le sue cose migliori: le
storie di Gojàri, l’amore di Antonio e Drita, quello tra Michele e Laura,
alcuni scorci della natura calabra, con il vento che soffia. Abate rimane
fedele, pur nella diversa esposizione, all’attenzione che da sempre pone ai
rapporti tra migranti, anche quando questi sono all’interno della stessa
comunità. Un buon libro leggibile, cosa da non sottovalutare in questi tempi
grami.
“Si muoveva al ritmo della canzone, perché
senza te io non vivo / e mi manca il respiro / se tu te ne vai.” (131)
Fabio Volo “La strada verso casa” Mondadori euro 11 (in realtà,
scontato a 8,80 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 10/10/2017 – T: 13/10/2017] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 315;
anno 2013]
Anche
se nessuno capisce perché mi ostino a leggere di Volo, ho letto anche questo,
che trovo senz’altro migliore del precedente. Anche se, purtroppo, ancora ben
lontano dalle prime uscite dello scrittore, attore, conduttore, eccetera,
eccetera. Mi piaceva la sua aria scanzonata, il suo mescolare leggerezza con
qualche distillato di piccola intelligenza di vita. Soprattutto, erano
gradevoli le sue storie in prima persona, ed i suoi rapporti con l’altro sesso.
Qui, purtroppo, siamo in terza persona, ci sentiamo un po’ distanti dai
personaggi, anche se (ed è la terza volta che uso questo costrutto) la trama e
le idee contenute potrebbero essere discretamente appassionanti, in quanto,
abbastanza stranamente, vicine a momenti non troppo distanti dal mio io
attuale. La base della trama ci trova coinvolti nel rapporto tra due fratelli,
che si sono allontanati nella vita, pur rimanendo formalmente in contatto, che
devono ritrovarsi a causa della malattia del padre. Marco è sempre stato più
libero, più spontaneo, più aperto. Aveva sogni e bisogni, per i quali ha fatto
in modo di vivere. Pur dovendo proteggere il suo cuore da sentimenti troppo
forti. Andrea è ligio, forse cupo, segue una strada che pensa sia tracciata per
lui, studiando, laureandosi, sposandosi. Sempre però senza passione. Marco ora
fa il ristoratore a Londra, e pur con tutte le storie, più di sesso che
d’amore, è sempre in bilico verso Isabella, il suo unico, vero, grande amore. A
cui non riesce a dirlo, a cui non sa come rapportarsi per non sentirsi in
gabbia. Andrea, sposato con Daniela, capisce, dopo una folle avventura con una
giovane collega, che quello che pure ha accettato, non è il suo mondo. Si
allontana, si separa, cerca un altro sé (forse più vicino al sé liberato di
Marco). In tutto questo, il padre si ammala di Alzheimer. Ed i due fratelli si
vedono costretti a cambiare le carte in tavola della loro vita. Il padre non è
più autosufficiente, ha bisogno di cure e di presenze. Allora i due convergono,
mettendo in piedi una routine che li costringe a confrontarsi, che li costringe
ad aprire tutte le porte ed i cassetti della loro casa avita. Che li costringe
ad affrontare, finalmente, il dolore antico derivato dalla morte, in loro
giovane età, dell’amata madre. Una morte dolorosa, che doloroso era il cancro
che la rodeva. Una madre che era il vero fulcro della loro vita, la vela al
vento che faceva andare avanti la barca delle loro esistenze. Una madre che
cercò a lungo di resistere, di affrontare, di combattere. Ma che non poteva non
soccombere, andando verso quella morte che né Marco né Andrea riuscirono ad
elaborare. Esasperando ognuno di loro i caratteri del proprio comportamento. E
con il mezzo il padre che, privato del timone, cercava una guida nella routine
ripetitiva e monotona della sua vita. Non riuscendo mai a mostrare l’affetto
per i figli, che pure innegabilmente, provava. Facendo un percorso interiore
durante la malattia paterna, Marco ed Andrea, a poco a poco, ritrovano sé
stessi, ritrovano il loro rapporto, quasi scambiandosi i ruoli. Che ora Marco
sembra proteggere Andrea, al contrario della loro gioventù. Fino ad arrivare
alla dolente morte del padre, dolente perché una morte duole sempre, anche se
liberatoria per il padre, che smette anche lui di soffrire. Una morte che
permette ai nostri due fratelli, anche leggendo le belle pagine della madre, e
le ultime righe del padre, di recuperare quella strada verso casa, che, durante
la vita, avevano smarrito. Che per mette a Marco di dire ad Isabella: “Ci
sono”. Che permette ad Andrea di cominciare un viaggio lontano da tutti, senza
sentirsi in colpa (e lo troviamo in effetti a Sydney, mentre legge una bella
lettera del fratello). Di certo è una grande storia d’amore quella che sottende
il libro. Ma tra chi e di chi lo lascio a quei pochi che avranno la voglia di
dedicarsi a queste pagine con leggerezza, magari estiva (o forse invernale,
davanti ad un camino acceso). Quello che Volo non sa alla fine maneggiare
benissimo è la complessità dei rapporti familiari, quando vi si pone in modo
così neutro e non completamente in prima persona. Complessità che ben sappiamo
tutti, nella vita. Di come sia facile la nascita di incomprensioni, tra
fratelli. Di come scattino meccanismi strani di odio e di amore. E di come una
malattia possa fare da catalizzatrice, nel bene e nel male, di tutte queste
dinamiche. Ricordo bene quella di mio padre. Vivo con un po’ di terrore questa
di mia madre, anche se, come Marco e Andrea, vedo un avvicinamento di attività
che si era, negli anni e nelle vicissitudini, diversamente sviluppato. Non mi
ha, alla fine, lasciato segni indelebili, ma Fabio ha sempre il pregio di avere
qualche piccola sorpresa nel suo arco. Come il fatto di averne letto ora e non
prima o dopo.
“Quando incontrava uomini o donne senza
mento … si chiedeva sempre come facevano a infilare le federe nei cuscini…”
(38)
“Si dice che nessuno è genitore solo perché
ha dei figli, genitori si diventa imparando giorno dopo giorno, avendoli e
crescendoli.” (58)
“Non tutte le cose belle della vita
contengono un futuro, a volte durano il tempo in cui accadono.” (238)
Con
la prima trama dell’ultimo mese dell’anno vi propino la lista dei libri
settembrini. Una scorpacciata di 18 titoli, con due punte verso l’alto (e mi
sarei domandato il perché se non lo fossero) con Hemingway e Terzani, ed una
scivolata in un racconto lungo di Simoni, che peraltro viaggia su una buona
media (come quasi tutti i libri del mese, ben 11 a livello 3).
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Ernest Hemingway
|
Addio alle armi
|
Mondadori
|
10,50
|
4
|
2
|
S.S. Van Dine
|
L’enigma dell’alfiere
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
3
|
Carmine Abate
|
Il mosaico del tempo grande
|
Mondadori
|
9,50
|
3
|
4
|
Gianni Simoni
|
Pesca con la mosca
|
TEA
|
9
|
3
|
5
|
Isabel Allende
|
L’amante giapponese
|
Feltrinelli
|
9,90
|
3
|
6
|
Baynard Kendrick
|
I due ciechi
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
7
|
Gianni Simoni
|
Il ferro da stiro
|
TEA
|
9
|
3
|
8
|
Gianni Simoni
|
Chiuso per lutto
|
TEA
|
9
|
3
|
9
|
Gianni Simoni
|
L’apparenza inganna, giudice Petri
|
TEA
|
s.p.
|
1
|
10
|
Kathy Reichs
|
La verità delle ossa
|
BUR
|
11,90
|
3
|
11
|
Kathy Reichs
|
Ossa di ghiaccio
|
Rizzoli
|
12
|
2
|
12
|
Bruno Morchio
|
Un conto aperto con la morte
|
Garzanti
|
9,90
|
3
|
13
|
Roberto Centazzo
|
Squadra Speciale minestrina in brodo
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
14
|
Tiziano Terzani
|
Pelle di leopardo
|
TEA
|
10
|
4
|
15
|
Mary Fitt
|
In una sera di pioggia
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
2
|
16
|
Kathy Reichs
|
Ossa – The Collection
|
BUR
|
13
|
3
|
17
|
Gianni Simoni
|
Il filosofo di Via del Bollo
|
TEA
|
9
|
3
|
18
|
Clara Sanchez
|
Il profumo delle foglie di limone
|
Garzanti
|
s.p.
|
2
|
Sapete già tutto il resto, di
mamma, dei viaggi, e di questo mese di dicembre che va chiudendo un anno primo
(in quanto 2017 è un numero primo, ed è anche un anno primo nella sua
negatività). Ma siccome noi siamo fondamentalmente ottimisti, vediamo che da
tutto ciò non può che venire momenti e giorni e tempi migliori.
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