domenica 3 dicembre 2017

Volando in testa - 03 dicembre 2017

Perché, anche se qualcuno mi dice che non lo dovrei fare, continua a leggere del signor Bonetti, in arte Fabio Volo. Soprattutto ora che il suo ultimo libro (né letto, né comperato) si colloca in testa alle vendite settimanali (Robinson del 3/12/2017). Qui presente addirittura in tre prove, tute poco riuscite, e ben distanziate, invece dalla solita scrittura, non stravolgente ma intensa, di Carmine Abate.
Fabio Volo “A cosa servono i desideri” Mondadori s.p. (prestito di Alessandra)
[A: 25/04/2017 – I: 07/06/2017 – T: 10/06/2017] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 149; anno 2016]
Peccato per il simpatico Fabio, che ho seguito spesso a suo tempo nel suo primo periodo radiofonico, che non mi dispiace vedere nelle sue uscite cinematografiche, ma questo libro non lo capisco. Cioè non capisco se sia un libro, se abbia un senso scriverlo, e, soprattutto, se abbia un senso leggerlo. Come ben dice una polemica sorta in rete, un libro è una cosa che ha dei contenuti, che qualcuno scrive (per sé stesso e per altri) e che qualche d’un altro legge per trovare spunti (consapevoli o inconsci) sulla propria vita. Un diario è invece una cosa diversa, e chi lo scrive, principalmente, lo scrive solo (e ribadisco “solo”) per sé stesso. In genere, tra l’altro, l’autore ne è anche l’unico lettore. Solo in modo postumo, diari importanti vengono poi messi al servizio di un pubblico più vasto. Spesso attraverso (utili) opere di revisione critica. La polemica si sostanziava dicendo che se voglio comprare un libro è per leggerlo, se voglio comprare un diario è per scriverlo. Invece, queste pagine di Fabio Volo non sono, secondo me, né un libro, né tanto meno un diario. In realtà, hanno l’aspetto di un libro, costano come un libro, e se lo cercate nelle librerie online, viene addirittura classificato sia tra la “Narrativa italiana” sia tra la “Saggistica”. Ma in realtà, la maggior parte delle pagine è bianca, contiene una piccola testatina di suggerimento, attraverso la quale Volo invita quindi a compilare il tuo diario. Ci sono appunto pagine, scelgo a caso, che chiedono “Che animale mi piacerebbe essere?” (pagina 53), “Perché ho sprecato tempo” (pagina 63), fino a “Una persona che ammiro. E una che disprezzo.” (pagina 80) e a “Sono capace di perdonarmi?” (pagina 145). Ora, se voglio scrivere un diario, penso che mi rivolgerò alle cose che mi frullano per la testa. Questa “traccia d’esame di un diario”, sembra quasi voler essere più una traccia di un’intervista, che un fantomatico ed occulto conduttore rivolge a te, che incautamente hai comperato l’oggetto, ed a cui il soggetto acquistante risponde, ma solo per propria voglia e senza contraltare. Un’ultima cosa, per finire con le lamentele, che ho scoperto in libreria. Ne esiste, ovviamente, una versione e-book, ma non è compilabile, quindi se anche volessi usarlo come traccia per un mio ipotetico diario, dovrei poi acquistare almeno un taccuino su cui scrivere le mie personali elucubrazioni. L’unico, gli unici, momenti che un po’ si staccano da questo inutile insieme di fogli, sono l’introduzione ed il finale. Nella prima Fabio spiega di aver preso spunto da un suo vecchio taccuino-diario che aveva utilizzato in gioventù per raccogliere le citazioni, le domande e i pensieri che lo hanno aiutato a crescere e diventare il Volo che è. Di certo è un bell’esercizio ritrovare proprie tracce (l’ho fatto anch’io, forse come tutti, ed ho visto almeno due cose che mi hanno colpito: l’ingenuità e la forza di alcuni pensieri che entravano nella mia testa, e lì cercavano risposte, che tuttavia non ho ancora trovato, e la scrittura, un modo di mettere le lettere sulla carta che tanti cambiamenti ha poi avuto nel corso della mia vita), e ripercorrendole, fare un proprio bilancio su chi si era e chi si è diventato. Nel finale, poi, pur ribadendo il buonismo che pervade tutta l’operazione, ci sono almeno alcune citazioni, alcuni brani, che, anche per me, pur nelle mutate condizioni, hanno detto qualcosa. Uno fra tutti, i brani poetici di Costantino Kefavis. Purtroppo, per finire, un ultimo grido di dolore. Nella quarta di copertina, Volo annuncia che sono presenti “le citazioni, le domande, i pensieri che mi hanno aiutato”. Lodevole intento, se questi fossero corredati da una sua riflessione sugli stessi. Sul Volo che li scrisse e sul Volo che ora ce li presenta. Insomma, acqua da tutte le parti. Non compratelo, non leggetelo, non scrivetelo. E se proprio dovete tenere un diario o un taccuino di pensieri, costruitevelo da soli, con le vostre idee, e con tutti i vostri (nostri) sbagli.
“Da soli si va più veloci, insieme si va più lontano (proverbio africano).” (24)
“Un paese che vorrei visitare: ……” (117)
“È importante essere aggiornati su sé stessi. Essere ‘presenti’ ci permette di riconoscere le occasioni giuste, di non farcele scappare solo perché abbiamo un’idea vecchia di noi.” (146)
Fabio Volo “Le prime luci del mattino” Mondadori euro 11
[A: 25/01/2016 – I: 24/06/2017 – T: 27/06/2017] - & e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 218; anno 2011]
Con questo libro, invece, ritorniamo al classico libro, che capisco in quanto libro (rileggete la trama su Volo precedente, sulle mie perplessità) e in quanto tale, appunto, posso dire che non mi è piaciuto. Come, raramente, mi piacciono i libri di autore maschile che scrivono in prima persona femminile (vedi la mia trama al libro di Coe “La pioggia prima che cada”, che tuttavia ha delle uscite migliori di questo libro di Fabio). Ribadisco che, in genere, i libri di Fabio Volo non mi sono mai dispiaciuti troppo, per quel tono di ironia con il quale affronta il mondo e le sue diverse situazioni. Non è di certo un autore imperdibile, va preso per quello che è (come i suoi film, come le sue digressioni radiofoniche). Qui poi la trama è di una linearità disarmane, almeno nei suoi tratti essenziali: seguiamo, attraverso un susseguirsi di pagine in terza persona e di brani del diario, la storia di Elena. Sposata con Paolo, ma senza ormai la fiamma che bruciava all’inizio della loro storia. L’amore viene sepolto dal quotidiano, dove né Elena né Paolo trovano spunti sufficienti a tirarlo ancora fuori. In questo clima di insoddisfazione, Elena un po’ cerca stimoli nel lavoro, anche qui con successi relativi. Fino a quando incontra lui, un uomo gentile (almeno all’apparenza) che ne risveglia la sessualità. Questo, il sesso, la passione, sarà l’elemento scatenante nei pensieri di Elena, che attraversa tutti gli stadi dei sentimenti alla ricerca di una sé stessa scomparsa. Ci sono pagine piene di sensualità, che a qualche lettore un po’ retro fanno anche dire che siamo ai limiti della pornografia. Cosa che mi sento in grado di negare recisamente. Se ne legge, si cerca di entrare nella logica della passione di Elena, dei mille modi in cui si può fare l’amore. Ma devo dire a libro concluso che non hanno smosso nessuna corda empatica nel mio cervello (né tanto meno in altre parti del mio corpo). Elena piomba con tutti e due i piedi in questa storia. Tanto che, ovvio, si innamora. Ma lui non cerca l’amore. Lui, solitario (forse), con altre storie (di sicuro) cerca solo l’appagamento dei sensi attraverso tutti i modi in cui il suo corpo lo desidera. E quando Elena chiede, cerca di fare un passo in più, di uscire dalla stanza della loro passione, per entrare nel mondo, inevitabilmente si arriva alla crisi. Elena cercava qualcosa in più del sesso, anche se questo la fa uscire dalla gabbia di Paolo, della vita con Paolo, della madre di Paolo, e di tante paolosità. Quando poi Elena cerca di entrare, non invitata, nel mondo altro dell’amante (lo va a trovare, non invitata, nella sua casa di campagna), non si potrà che arrivare alla rottura. Lui cercava sesso, lei cercava amore. Ma non tutti i drammi vengono per nuocere. I lunghi e tormentati momenti di passione hanno permesso ad Elena di fare un viaggio, intenso, verso di sé. Di scoprire cosa vuole, o cosa potrebbe volere. Di scoprire la bellezza di vivere da soli, sapendo cosa si desidera. Non potrà che lascerà Paolo, ovvio (e Paolo non riesce a capire i motivi, per lui era tutto incanalato nei binari della vita “adulta”). Non potrà che andare a vivere da sola. Magari aprendosi al mondo e scoprendo che c’è altro, oltre all’uomo del sesso, oltre al marito insoddisfacente. Uno “small happy end”, perché non si finisce in gloria, ma si finisce con un barlume di speranza che la nostra Elena capisca il suo futuro. E lo pratichi. Pensavo di essere più corto nella descrizione, invece un po’ la penna mi prende la mano, mentre i ricordi del libro affiorano. Tuttavia torniamo al punto interrogativo inziale. Tutta la vicenda di Elena l’ho vissuta al maschile, come se lei fosse un uomo, ritrovandomi (anche se non in tutti) in molti stati d’animo. Ma Volo scrive al femminile, ed io mi domando quanto una donna si ritrova nei pensieri di Elena? Quanto è il lato maschile dello scrittore che gli fa dire e pensare e scrivere quello che dice, pensa e scrive? Leggendo pagine di autrici, anche pagine non eccelse, non dei classici, ma dei semplici eppur intensi libri scritti da donne sulle donne (penso alla “Zona cieca” della Gamberale, ai primi scritti di Milena Agus, alle minne di Giuseppina Torregrossa, tanto per rimanere in Italia e nella contemporaneità). Ebbene tutt’altro rimando me ne hanno dato. Lì, io uomo mi accorgo che sto leggendo altro da me. Che mi può piacere o meno, ma che rispecchia un sentimento, una sensibilità femminile. Qui continuo a confrontarmi con il mio io maschile. E non riesco ad entrare in sintonia con il libro, non riesco a sentirmi “soffocato”, come Elena in ¾ del libro, non riesco a trovare liberatoria la sua sessualità (se non appunto, leggendola al maschile). Caro Fabio, torna a fare due passi, che, nella loro semplicità, hanno un diverso modo di incidere e che non mi dispiacquero affatto.
“Cosa mi sta succedendo? Si può amare un uomo e desiderarne un altro?” (47)
“Vivere sola mi ha insegnato a chiedermi cosa voglio e cosa desidero.” (199)
Carmine Abate “Il mosaico del tempo grande” Mondadori euro 9,50 (in realtà, scontato a 7,60 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 04/09/2017 – T: 06/09/2017] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 233; anno 2006]
È sempre un piacere ritornare alla lettura delle piccole pennellate calabro-albanesi di Carmine Abate. Qui, inoltre, si sono aggiunti due elementi trasversali che mi hanno comunicato qualche piccolo piacere in più. Il primo riguarda la professione di uno dei protagonisti del libro, Gojàri, che fa il mosaicista, rimandandomi alla breve, eppur piacevole e ricca di spunti, conoscenza con il bravissimo Costantino, mosaicista che viene dal Sud, e di cui ho apprezzato alcuni realizzazioni. La seconda quando, passando per Rossano, uno degli interpreti dei vari pezzi del mosaico grande assaggia e rimane incantato dalla liquirizia locale. Un doppio motivo per pensare, anche se poi non posso certo scordare, alla mia amica Rosa (che in queste letture tengo sempre presente per la vicinanza dei luoghi e per le capacità affabulatorie che ne scaturiscono, laddove capisco anche alcune sue radici). Di certo Abate, gira che ti rigira, sempre alle sue radici torna, al suo essere arbëreshë ed a tutte le saghe che questo ha comportato e comporta. Vi ricordo che gli arbëreshë sono una enclave albanese che si rifugiò in Italia verso la fine del 1400, quando il patriota albanese Giorgio Castriota Scanderberg moriva di malaria ed i turchi cominciavano a riprendere i territori da lui conquistati. Ma sulla saga degli arbëreshë torniamo più avanti. Che qui si inizia parlando del libro di Abate, che, come suggerisce il titolo, è un mosaico temporale della saga arbëreshë, con passaggi tra passato remoto, passato prossimo e presente direi ben congeniati, anche se vanno sempre a scontrarsi con la mia poca simpatia verso l’ondivagare nel tempo. Per mia struttura personale, sono una persona lineare, cui piace andare dal punto A al punto B, partendo ad un certo orario ed arrivando ad un altro presumibile tempo dovuto alla percorrenza. Ma qui Abate ci propone un mosaico, e come un mosaico lo costruisce, mescolando le storie della fuga dall’Albania dei primi profughi dei tempi di Scanderberg (passato remoto), la storia della fuga e dell’amore di Antonio Damis, discendente del primo papas (cioè pope) che guidò gli albanesi in Calabria (passato prossimo), la storia di Michele, l’io-narrante, di Laura, la figlia di Antonio, e del ritorno dello stesso Antonio nella natia Hora dopo venti anni di auto-esilio. Intanto, diciamo che con il termine Hora, gli arbëreshë indicano comunque il loro luogo natio, quasi un toponimo che diviene simbolo. E che qui si sovrappone con l’attuale Carfizzi, città di Carmine. Anche Michele, poi, ha i tratti, in parte, dello scrittore: si laurea, e poi, alla fine, emigra. Di Michele parleremo poi, Abate si trasferisce prima in Germania, dove insegna italiano agli emigrati, e poi in Trentino, dove insegna tuttora in un liceo. Il collante di tutto il romanzo, il filo rosso che ci fa andare su e giù per il tempo è il mosaico che per la comunità locale sta realizzando Gojàri, mosaicista e narratore delle storie antiche. Il mosaico ci narra appunto di papas Damis che porta i profughi dall’Albania alla Calabria, dove trovano ospitalità da un barone locale, lavorano, si installano, e quando decidono che è l’ora di mettere il segno della loro presenza, avviano la costruzione di una chiesa, da dedicare al loro santo protettore, San Giovanni Battista. Faranno una grande raccolta di tutti beni portati in esilio, compreso il pugnale dorato che Liveta, uno dei luogotenenti di Scanderberg, aveva avuto in dono dal grande condottiero. Ma una serie di avversità fanno sì che ci vorranno più di cento anni, più di una morte della dinastia dei papas Damis, prima di vedere completata l’opera. E nel frattempo l’oro è scomparso. Nel passato prossimo si insedia la storia di Antonio, discendente e giovanotto che fa tremare i cuori. Da discendente, pensa di sapere dove sia l’oro, e forse, con l’aiuto del padre di Michele, lo trova. Ma tace, anche perché in preda ad un grande turbamento. Benché fidanzato con Rosalba, la visita di una compagnia di danza albanese lo stravolge, in particolare per la presenza della bella Drita. Butta il cuore oltre l’ostacolo Antonio: lascia Rosalba, che non si riprenderà più dal torto subito, viene minacciato di morte da chi pensa che abbia trovato e rubato l'oro della comunità, va in Albania sulle tracce di Drita, ma c’è ancora Hoxa, e risulta impossibile trovarla. Seguendo tracce labile, la trova a Bruxelles, e la convince a fuggire con lui, per vivere la loro vita ed il loro amore ad Amsterdam. Nel presente, vediamo Laura, la bella figlia di Antonio, tornare ad Hora, con la scusa di una ricerca sulle radici degli arbëreshë, ma in realtà per preparare il ritorno di Antonio, che, malato, vorrebbe rivedere le case natie. Ovvio che nasca l’amore tra Michele e Laura, anche se osteggiato dal padre di Michele che ritiene Antonio un farabutto, ladro e mentitore. E si sa che gli odi calabresi durano generazioni e generazioni. Avrà ragione il padre di Michele? Ci sono altri odi che sopiti escono fuori? Il finale che vi lascio leggere mantiene la tragicità e la speranza che sottende buona parte del libro. Con le sue cose migliori: le storie di Gojàri, l’amore di Antonio e Drita, quello tra Michele e Laura, alcuni scorci della natura calabra, con il vento che soffia. Abate rimane fedele, pur nella diversa esposizione, all’attenzione che da sempre pone ai rapporti tra migranti, anche quando questi sono all’interno della stessa comunità. Un buon libro leggibile, cosa da non sottovalutare in questi tempi grami.
“Si muoveva al ritmo della canzone, perché senza te io non vivo / e mi manca il respiro / se tu te ne vai.” (131)
Fabio Volo “La strada verso casa” Mondadori euro 11 (in realtà, scontato a 8,80 euro)
[A: 21/03/2016 – I: 10/10/2017 – T: 13/10/2017] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 315; anno 2013]
Anche se nessuno capisce perché mi ostino a leggere di Volo, ho letto anche questo, che trovo senz’altro migliore del precedente. Anche se, purtroppo, ancora ben lontano dalle prime uscite dello scrittore, attore, conduttore, eccetera, eccetera. Mi piaceva la sua aria scanzonata, il suo mescolare leggerezza con qualche distillato di piccola intelligenza di vita. Soprattutto, erano gradevoli le sue storie in prima persona, ed i suoi rapporti con l’altro sesso. Qui, purtroppo, siamo in terza persona, ci sentiamo un po’ distanti dai personaggi, anche se (ed è la terza volta che uso questo costrutto) la trama e le idee contenute potrebbero essere discretamente appassionanti, in quanto, abbastanza stranamente, vicine a momenti non troppo distanti dal mio io attuale. La base della trama ci trova coinvolti nel rapporto tra due fratelli, che si sono allontanati nella vita, pur rimanendo formalmente in contatto, che devono ritrovarsi a causa della malattia del padre. Marco è sempre stato più libero, più spontaneo, più aperto. Aveva sogni e bisogni, per i quali ha fatto in modo di vivere. Pur dovendo proteggere il suo cuore da sentimenti troppo forti. Andrea è ligio, forse cupo, segue una strada che pensa sia tracciata per lui, studiando, laureandosi, sposandosi. Sempre però senza passione. Marco ora fa il ristoratore a Londra, e pur con tutte le storie, più di sesso che d’amore, è sempre in bilico verso Isabella, il suo unico, vero, grande amore. A cui non riesce a dirlo, a cui non sa come rapportarsi per non sentirsi in gabbia. Andrea, sposato con Daniela, capisce, dopo una folle avventura con una giovane collega, che quello che pure ha accettato, non è il suo mondo. Si allontana, si separa, cerca un altro sé (forse più vicino al sé liberato di Marco). In tutto questo, il padre si ammala di Alzheimer. Ed i due fratelli si vedono costretti a cambiare le carte in tavola della loro vita. Il padre non è più autosufficiente, ha bisogno di cure e di presenze. Allora i due convergono, mettendo in piedi una routine che li costringe a confrontarsi, che li costringe ad aprire tutte le porte ed i cassetti della loro casa avita. Che li costringe ad affrontare, finalmente, il dolore antico derivato dalla morte, in loro giovane età, dell’amata madre. Una morte dolorosa, che doloroso era il cancro che la rodeva. Una madre che era il vero fulcro della loro vita, la vela al vento che faceva andare avanti la barca delle loro esistenze. Una madre che cercò a lungo di resistere, di affrontare, di combattere. Ma che non poteva non soccombere, andando verso quella morte che né Marco né Andrea riuscirono ad elaborare. Esasperando ognuno di loro i caratteri del proprio comportamento. E con il mezzo il padre che, privato del timone, cercava una guida nella routine ripetitiva e monotona della sua vita. Non riuscendo mai a mostrare l’affetto per i figli, che pure innegabilmente, provava. Facendo un percorso interiore durante la malattia paterna, Marco ed Andrea, a poco a poco, ritrovano sé stessi, ritrovano il loro rapporto, quasi scambiandosi i ruoli. Che ora Marco sembra proteggere Andrea, al contrario della loro gioventù. Fino ad arrivare alla dolente morte del padre, dolente perché una morte duole sempre, anche se liberatoria per il padre, che smette anche lui di soffrire. Una morte che permette ai nostri due fratelli, anche leggendo le belle pagine della madre, e le ultime righe del padre, di recuperare quella strada verso casa, che, durante la vita, avevano smarrito. Che per mette a Marco di dire ad Isabella: “Ci sono”. Che permette ad Andrea di cominciare un viaggio lontano da tutti, senza sentirsi in colpa (e lo troviamo in effetti a Sydney, mentre legge una bella lettera del fratello). Di certo è una grande storia d’amore quella che sottende il libro. Ma tra chi e di chi lo lascio a quei pochi che avranno la voglia di dedicarsi a queste pagine con leggerezza, magari estiva (o forse invernale, davanti ad un camino acceso). Quello che Volo non sa alla fine maneggiare benissimo è la complessità dei rapporti familiari, quando vi si pone in modo così neutro e non completamente in prima persona. Complessità che ben sappiamo tutti, nella vita. Di come sia facile la nascita di incomprensioni, tra fratelli. Di come scattino meccanismi strani di odio e di amore. E di come una malattia possa fare da catalizzatrice, nel bene e nel male, di tutte queste dinamiche. Ricordo bene quella di mio padre. Vivo con un po’ di terrore questa di mia madre, anche se, come Marco e Andrea, vedo un avvicinamento di attività che si era, negli anni e nelle vicissitudini, diversamente sviluppato. Non mi ha, alla fine, lasciato segni indelebili, ma Fabio ha sempre il pregio di avere qualche piccola sorpresa nel suo arco. Come il fatto di averne letto ora e non prima o dopo.
“Quando incontrava uomini o donne senza mento … si chiedeva sempre come facevano a infilare le federe nei cuscini…” (38)
“Si dice che nessuno è genitore solo perché ha dei figli, genitori si diventa imparando giorno dopo giorno, avendoli e crescendoli.” (58)
“Non tutte le cose belle della vita contengono un futuro, a volte durano il tempo in cui accadono.” (238)
Con la prima trama dell’ultimo mese dell’anno vi propino la lista dei libri settembrini. Una scorpacciata di 18 titoli, con due punte verso l’alto (e mi sarei domandato il perché se non lo fossero) con Hemingway e Terzani, ed una scivolata in un racconto lungo di Simoni, che peraltro viaggia su una buona media (come quasi tutti i libri del mese, ben 11 a livello 3).

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Ernest Hemingway
Addio alle armi
Mondadori
10,50
4
2
S.S. Van Dine
L’enigma dell’alfiere
Corriere della Sera Gialli
6,90
3
3
Carmine Abate
Il mosaico del tempo grande
Mondadori
9,50
3
4
Gianni Simoni
Pesca con la mosca
TEA
9
3
5
Isabel Allende
L’amante giapponese
Feltrinelli
9,90
3
6
Baynard Kendrick
I due ciechi
Corriere della Sera Gialli
6,90
3
7
Gianni Simoni
Il ferro da stiro
TEA
9
3
8
Gianni Simoni
Chiuso per lutto
TEA
9
3
9
Gianni Simoni
L’apparenza inganna, giudice Petri
TEA
s.p.
1
10
Kathy Reichs
La verità delle ossa
BUR
11,90
3
11
Kathy Reichs
Ossa di ghiaccio
Rizzoli
12
2
12
Bruno Morchio
Un conto aperto con la morte
Garzanti
9,90
3
13
Roberto Centazzo
Squadra Speciale minestrina in brodo
Repubblica Italia Noir
7,90
2
14
Tiziano Terzani
Pelle di leopardo
TEA
10
4
15
Mary Fitt
In una sera di pioggia
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
16
Kathy Reichs
Ossa – The Collection
BUR
13
3
17
Gianni Simoni
Il filosofo di Via del Bollo
TEA
9
3
18
Clara Sanchez
Il profumo delle foglie di limone
Garzanti
s.p.
2

Sapete già tutto il resto, di mamma, dei viaggi, e di questo mese di dicembre che va chiudendo un anno primo (in quanto 2017 è un numero primo, ed è anche un anno primo nella sua negatività). Ma siccome noi siamo fondamentalmente ottimisti, vediamo che da tutto ciò non può che venire momenti e giorni e tempi migliori.

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