Scusate il pessimo tentativo di
crasi tra “anglosassoni” (come sono definiti i libri) e “Gialli classici” (come
vorrebbe etichettarli il Corriere che li edita). Comunque eccoci ad una nuova
puntata del genere con un solo libro veramente di sufficienza piena (l’ultimo)
e gli altri che viaggiano tra il 5 ½ ed il 6- - (se fossero i voti di un
professore). Devo dire che poi, personalmente, quello che più mi ha attirato di
queste righe è cercare notizie di autori decisamente poco conosciuti (quando a
volte del tutto ignoti).
Horatio Winslow & Leslie Quirk “Svanito nel nulla” Corriere della
Sera Gialli 7 euro 6,90
[A: 07/03/2016– I: 21/07/2017
– T: 23/07/2017] - && +
[tit. or.: Into thin Air; ling. or.: inglese; pagine: 250; anno 1928]
Horatio Gates Winslow e Leslie W.
Quirk sono i casuali autori di questo strano ma poco appassionante (per me)
libro della serie anglosassone. Entrambi americani del Wisconsin, entrambi del
1882, percorrono strade diverse nel mondo dell’editoria, per ritrovarsi, nel
1928, a scrivere questa storia che rimarrà isolata: non scriveranno altro
insieme, né altro faranno congiuntamente. Una storia comunque esemplare, per
alcune ragioni che vedremo più avanti, dove la traduzione italiana del titolo
(tento per non venire meno alle mie solite critiche) aggiunge l’aggettivo
“svanito” che non compare nell’originale. Tra l’altro “Nel nulla” mi ricorda un
esimio episodio dei bellissimi telefilm di Hitchcock. Ma divaghiamo. Il libro,
come detto, ha (teoricamente) un posto d’onore nelle classifiche dei migliori
libri intorno al mistero de “La camera chiusa”. Purtroppo, in Italia è stato
pubblicato solo di recente, e la poca risonanza degli autori ha fatto sì che
solo i patiti del genere ne avessero conoscenza. Ricordo che “La camera chiusa”
è una tipologia di romanzo in cui l'indagine si svolge intorno a un delitto
compiuto in circostanze apparentemente impossibili: un omicidio avvenuto in un
ambiente chiuso, più propriamente una camera, o anche un ambiente anche
all’aperto ma idealmente chiuso, vuoi per una distesa di sabbia o di neve
assolutamente immacolata, oppure per situazioni metereologiche estreme: un incendio
esterno, un tornado; o anche delle camere chiuse figurate: un tetto, una
piscina. Come spesso accade in questa tipologia di storie, soprattutto nelle
prime, c’è sempre vicino qualche altro episodio “soprannaturale” o presunto
tale, che serve, come direbbe un illusionista, a fare volgere il capo in una
direzione per presentare la soluzione da un’altra parte. Sicuramente, anche se
siamo molto lontani dalla scrittura, possiamo ipotizzare tre elementi che
stanno alla base della struttura del libro. Uno esplicito, dove vengono
menzionate ed esposte alcune teorie occultistiche di uno strano personaggio
dell’Ottocento, Eléna Petróvna von Hahn meglio nota con il nome di Madame
Blavatsky, e di cui, se volete andare a vedere, Internet è piena di risorse
dedicate alla sua “Teosofia” (ma anche esoterismo ed occultismo). Gli altri due
più nascosti (e vicini alla scrittura del testo): la recente scomparsa di Harry
Houdini e la pubblicazione del libro di Agatha Christie “La morte di Roger
Ackroyd”, entrambi i fatti avvenuti nel 1926. Poiché non anelo a svelarvi
molto, questi due tributi ve li lascio scoprire, se ne avete voglia.
L’intreccio è, come vuole il genere, discretamente complesso. Ruota intorno a
due figure tipiche: un assassino imprendibile, soprannominato lo “spettro di
Salem” ed il criminologo dr. Klotz. Questi è uno dei più bizzarri investigatori
della narrativa, arrogante, spavaldo e discretamente offensivo. Il suo intento
maggiore è smascherare ciarlatani e maghi da strapazzo. Klotz, con le sue
indagini, aveva fatto arrestare lo “spettro”, che però fugge, ma nella fuga si
trova coinvolto in un incidente ferroviario e muore. Questo l’antefatto. Il
romanzo, narrato dal prof. Nollins, allievo di Klotz, prende l’avvio da una
seduta spiritica in cui viene detto a Klotz di tornare a casa. Lì trova la
domestica che gli parla di uno spirito apparsole, e lui scopre un gioiello
scomparso. In base a dei messaggi misteriosi decide di esumare la bara dello
spettro: è sigillata, c’è dentro il cadavere giusto, ma questi ha al dito
l’anello. Questo primo evento da “camera chiusa” (doppia direi: sparizione da
una stanza e apparizione in una bara sigillata), sarà seguito ad un certo punto
dall’omicidio dello stesso dottor Klotz e dalla sparizione del suo assassino,
dissolto nell’aria, svanito, sotto l’occhio di testimoni ed in modo definito
assolutamente sconcertante. Nel frattempo altri personaggi appaiono e si
palesano sulla scena come comprimari e possibili autori dei fatti: lo stesso
narratore Nollins, la sua fidanzata Daisy, che mostra un astio immotivato per il
criminologo, il giudice Mather, che non approva il materialismo di Klotz, la
giornalista Ann Clem, che vuole svelare i misteri ed è spesso vittima di
allucinazioni, il mago Ernest Fitkin, a suo tempo sbugiardato da Klotz. Di
questi probabili colpevoli, ne togliamo solo uno, Fitkin, in arte “Il Gran
Galeoto” perché sarà lui a svelare l’arcano che in un intero capitolo svela i
misteri nonché fa un elenco (che piacerebbe al mio amico Renato) delle affinità
tra i lettori di romanzi polizieschi e gli spettatori di uno spettacolo di
magia: da una parte troviamo i creduloni, disposti a credere a qualunque cosa
sono convinti di vedere, mentre dall’altra ci sono i solutori di enigmi,
categoria che comprende gli adulti ignoranti, i sospettosi e gli spiriti inquieti.
Una delle migliori dichiarazioni di Fitkin è quando afferma che l’intera
“partita” sia “una competizione di intelligenza tra gli scrittori, i criminali
e i maghi da un lato, e i lettori, i detective e gli spettatori dall’altro”.
Nonostante ciò, il libro risultato datato nella scrittura, pesante e pedante.
Sicuramente è un caposaldo del genere, ma la sua lettura ora lascia poco
piacere. Anche il meccanismo risolutivo, pur ingegnoso, è alquanto prevedibile,
almeno da un certo punto in poi. Inoltre, il dedicare spazio e credibilità a
tutta una serie di eventi soprannaturali non consentono ai due autori di
sciogliere tutti i misteri, palesando una scarsa adesione al patto di onestà
tra scrittore e lettore. Leggerlo è obbligatorio per chi ami il genere, ma possiamo
ammettere che non mi è piaciuto.
Mary Fitt “In una sera di pioggia” Corriere della Sera Gialli 25 euro 6,90
[A: 02/08/2016– I: 23/09/2017
– T: 24/09/2017] - &&&--
[tit. or.: Death and the Pleasant Voices; ling. or.: inglese; pagine: 234; anno 1946]
Eccoci ad un nuovo libro della
serie dei gialli “classici” direi di un discreto livello. Forse anche per la
personalità dell’autrice che, sebbene abbia scritto molto di noir, non è per il
noir che viveva la sua vita. Mary Fitt è infatti lo pseudonimo di Kathleen
Freeman insigne grecista, titolare della cattedra di Greco all'università del
Galles del Sud in quel di Cardiff. Così come Margaret Doody o come Danila
Comastri Montanari, ecco allora una insigne docente che decide di sfruttare
alcune sue doti dedicandosi ad una cosiddetta arte minore. Ma Fitt non ha
interesse a speculare sui suoi amati greci, che saranno sempre presenti nelle
sue scrittura "maggiori". Preferisce usare le sue doti affabulatorie,
che i suoi studenti tanto apprezzavano, verso la costruzione di intrecci
interessanti e di ragionamento. Tra le tante sue uscite, ad un certo punto si
focalizza su di un personaggio, l’ispettore Mallett. Delle cui novelle il
tratto caratteristico è il titolo, in genere composto dalla frase “Death and
…”. Purtroppo però in questa uscita il suo eroe ragionatore, anche se
richiamato dal titolo, compare solo come un'ombra durante l'inchiesta. Ne sarà
responsabile e mentore, ma di poco spessore nel corso del ragionamento. Che
tutto il carico è invece sostenuto dal giovane Jack Seaborne. Purtroppo Jack
non ha un grande spessore, o qualche appiglio particolare, che ci faccia essere
a lui sodali. Anche se l’idea della trama sembra carina, e così anche il suo sviluppo.
Ma che da un certo punto in poi decade, scivolano verso un finale, scontato e
poco entusiasmante. L'idea dicevamo: un sessantenne dalla grande vita muore. Ma
non lascia la sua eredità ai suoi due figli inglesi, nomina invece erede unico
Hugo, il figlio di primo letto che aveva avuto con la moglie indiana (dell’India
non nativa americana), e di cui nessuna sapeva l’esistenza. L'intrigo nasce dal
fatto che Jack, nella campagna inglese, si perde, rompe la macchina, e chiede
ospitalità a casa Ullstone. Tutti pensano sia Hugo l'erede, lo trattano con
rispetto, ma anche con freddezza. Solo sir Frederick lo prende in simpatia, in
quanto dottore come Jack e poi scoprendosi mentore del di lui fratello. Tanto
che lo lascia a custode del buon esito degli avvenimenti. Questo è il momento
migliore, quello della presentazione dei personaggi e delle loro attività
incrociate. Ci sono i due figli inglesi del morto: Ursula, che sembra presa dal
fallito dottor Hillary, e Jim, che invece pare avere una storia con la lontana
cugina Evelyn. Cuginastra che il morto forse voleva sposare, ma che Jim
soppianta. Quattro attori che si muovono con tutte le possibili ambiguità.
Accentuate dall’arrivo dell'aspettato ospite. Un ospite che inizia subito a far
girare molte rotelle. Risulta antipatico sia a Jim che a Hillary. Jack sembra
subirne la volubilità. Evelyn e Ursula, a turno, cadono preda dei suoi modi da
“tombeur de femme”, che sa parlare, sa ballare, suona “Al chiaro di luna” al
pianoforte. Si scopre però che si tratta non di Hugo ma del suo amico Marcel. Avrete
già intuito la falsariga di una tragedia greca. Il Re che disereda i figli e
l’erede che giunge sotto celate spoglie. Speravo si svelasse che Jack era Hugo.
Invece Hugo arriva il giorno dopo, arriva ma morto. Chi aveva interesse a farlo
fuori? I mancati eredi? Marcel che vorrebbe forse prenderne il posto? Evelyn che
così, tornando da Jim, diverrebbe padrona della magione. Con un colpo di genio
però, Mary Fitt fa scrivere ad Hugo un testamento che lascia tutto a Marcel.
Cui ora Ursula ed Evelyn fanno di nuovo il filo. Nell’ombra poi c’è Hillary,
ubriacone non molesto che si lascia andare verso l’oblio, e che potrebbe agire
per lasciare la tenuta ad Ursula. Tutto sembra andare in questa direzione,
poiché il giorno dopo Hillary si uccide. Sarà questo gesto un’estrema
confessione? Siamo entrati a piè pari nella parte minore del romanzo, quella
dove si spendono troppe parole per far capire l’ovvio. Che noi avevamo già
capito dalle mosse dei protagonisti. Allora quello che Hillary deve confessare
lo lascia scritto a Jack con una lunga lettera che ci dice tutto quello che si
suppone non dobbiamo sapere ma che era scritto da tempo. La fine si affretta,
tutti i comprimari vanno verso i loro segnati destini, così come l’artefice di
tutto l’imbroglio. Rimane solo Jack, che finalmente si allontana dalla tremenda
casa degli Ullstone (quasi fosse la casa degli Usher di Poe), ricordando il suo
arrivo e le voci piacevoli che lo avevano accolto sotto la pioggia. Avrei
gradito qualche colpo di scena in più e qualche spiegazione meno scontata.
Magari un bel confronto nel salone con tutte le parti in causa. Ma consoliamoci
con la bella prima metà, che resta dignitosa, ben scritta e piacevole, come dal
titolo. E ricordiamoci dei ben più poderosi ed accademici scritti dell’autrice.
“Essere lasciati è una delle sensazioni più strane che abbia mai
provato.” (155)
Milton Propper “Morte in sala d’attesa” Corriere della Sera Gialli 16 euro
6,90
[A: 09/05/2016– I: 17/11/2017
– T: 20/11/2017] - &&&--
[tit. or.: The Divorce Court Murder; ling. or.: inglese; pagine: 347; anno 1934]
Avrebbe
preso la sufficienza piena, questo pur ben datato libro, se: fosse stato più
stringato nell’avvio, avesse avuto un titolo coerente all’inglese, non mi
avesse fatto scoprire anzitempo il colpevole (indico “il” al solito nel
generico singolare onnicomprensivo italico, essendo possibile che il colpevole
sia maschio o femmina). Ed anzi, stava avendo anche qualche punto in più
perché: è un giallo americano di ragionamento, ed il ragionamento stava filando
bene, l’autore era gay dichiarato, e per questo perseguitato ed alla fine
costretto al suicidio a soli 56 anni. Propper nasce infatti nel 1906, si avvia
ben presto alla carriera giornalistica, ed a 23 anni scrive il suo primo
poliziesco, con protagonista un giovane ispettore della polizia di Filadelfia, Tommy
Rankin. Per 14 anni produce un libro all’anno, seguendo Rankin nelle sue
indagini, con un giallo nel filone dell’Ellery Queen degli anni Venti. Atipico,
nel panorama americano, che, avvicinandosi la guerra, si orienta verso gialli
d’azioni, sempre più intensa. Per sfociare negli hard boiled di Dashiell
Hammett e Raymond Chandler. Propper è spiazzato, i suoi gialli non vendono più.
È inoltre osteggiato in quanto gay dichiarato. Emarginato dalla scrittura,
sopravvive per una ventina d’anni tra diverse angheria, per poi chiudere la sua
vita con un gesto tragico a soli 56 anni. Ed il ragionamento, come seguiamo
bene in questo suo libro, è ben portato avanti, si intesse una tela, cui
scoperta dopo scoperta vengono aggiunti dettagli e possibilità. Per poi risolversi
in un momento finale, dove tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto, senza
tanto spargimento di sangue. Infatti, anche qui, pur nella lentezza un po’
diesel della partenza, ed in qualche momento di passaggio poco stringato, la
tela del ragno è ben tessuta. La scena madre è già presentata all’inizio. C’è
un divorzio in atto, abbastanza complicato, ed una testimone chiave, mentre
aspetta di essere ascoltata dalla corte, viene uccisa. Questo il senso del
titolo inglese (“Assassinio al Tribunale del divorzio”), un po’ stravolto da
quello italiano (anche se Barbara viene uccisa proprio nella sala d’attesa del
tribunale). Abbiamo i due divorziandi, Allen e Adele. Lei ricca del precedente
matrimonio, lui un bel tipo senza molta arte, ma di bell’aspetto (cosa tipica
nei gialli americani). Stanchi della loro routine, decidono, previo accordo
economico, di arrivare al divorzio. Cosa che favorisce Allen che avrà un
discreto appannaggio, Adele che potrà risposarsi con un altro bel tipo, al
solito vicino alla malavita (anche se mai incolpato direttamente). Nonché
Harvey, il fratello di Adele, che tornerebbe a curare gli interessi della
sorella, mettendo a posto i suoi enormi debiti personali. Dovendo essere pe
colpa, i due coinvolgono la segretaria di Allen in una tresca con falsa
testimonianza. Tuttavia Allen scopre che Adele non è che sia uno stinco di
santo, avendo anzi tempo iniziato la relazione con il losco Campbell. Per
questo ipotizza di alzare la posta, prendendo a testimone la Barbara di cui
sopra. moglie di un industriale ben in vista nella società di Filadelfia, anche
se fino a quattro anni prima era una semplice manicure in un albergo di lusso.
Con il gusto del disvelamento progressivo scopriamo poi che Barbara e Allen si
frequentano da tempo, tanto da farci supporre una loro liaison precedente. Che
Mortimer, il marito di Barbara, viene avvertito della possibile tresca, ma
quando irrompe, insieme ad Adele e Harvey, nel motel del peccato, trova Allan
non con la moglie ma con la segretaria. Seguendo poi una labile traccia di
medicine per il mal di testa (siamo a metà degli Anni Trenta ed allora non era
molto in voga, ma noi ora leggiamo che si imbottiva di … piramidone) Rankin
scopre che Barbara in realtà si chiama Ellen, è stata un anno in prigione per
colpa del suo precedente compagno, morto durante una rapina. Durante la quale
il complice dei due si salva e scompare. Ricostruendo la scena del delitto,
Rankin ci fa vedere come tutti gli indiziati potevano compiere il delitto:
Adele che compra una bottiglia di cloroformio per passarla a Campbell che, con
l’aiuto di due scagnozzi, potrebbe rapire Barbara; Campbell che potrebbe usare
il cloroformio in modo eccessivo; Allen, che si allontana dal tribunale per
parlare con un autista e potrebbe essere tornato anzi tempo sulla scena del
delitto; Harvey che anche lui ha alcuni minuti non giustificati; Mortimer che
mente sulla sua presenza in Tribunale. Quando Rankin capisce le motivazioni del
delitto, che sono forse più ampie di quelle che si pensava all’inizio, arriva
alla soluzione del caso. Che, come ho detto, aveva già da tempo la mia
soluzione, quando troppe volte si gridava al lupo al lupo, ma mai (e qui
cominciai ad insospettirmi) verso una delle persone indiziabili. Comunque si
legge con gradevolezza, e scorre via senza troppi altri pensieri. Permettendo
ad un pensieroso lettore di avere momenti di tregua da altri e ben più
pressanti accadimenti.
Leslie Cargill “La morte viaggia in autobus” Corriere della Sera Gialli
22 euro 6,90
[A: 24/06/2016– I:
20/11/2017 – T: 22/11/2017] - &&
[tit. or.: Death Goes by Bus; ling. or.: inglese; pagine: 250; anno 1936]
Mi
ero accostato abbastanza speranzoso a questo nuovo giallo anglosassone, spinto
da due premesse intriganti. L’autore, il cui vero nome è Leslie Clarke, è praticamente
ignoto, anche al “Grande Libro dei Giallisti Anglosassoni”. Si sa, per la
quarta di copertina di un suo libro, che è nato nel 1895 e che Cargill è uno
pseudonimo. Scrive 21 romanzi, l’ultimo nel 1952, poi scompare nell’ombra, e di
lui si saprà solo, tramite il suo editore, che muore nel 1964. Ho provato in
tutti i modi a saperne di più, ma anche attraverso tutti i più nascosti siti
internet, questo è il massimo che si riesce a sapere. Cioè, questo, insieme
all’elenco dei libri pubblicati a suo nome. Il secondo punto (oltre a notare di
passaggio che finalmente, il titolo non viene massacrato come al solito) è la
personalità del personaggio centrale, il risolutore del giallo. Morrison Sharpe
viene definito “enigmista”. Solutore di cruciverba, rompicapi, nonché problemi
matematici e/o scacchistici. Sembra un inizio promettente. Con un tono che
Cargill mantiene per tutto il romanzo. Tuttavia, non basta dire che uno è un
enigmista per farlo diventare tale. A parte il problema giallo in sé, Morrison non
sembra mostrare nessuna caratteristica peculiare del solutore di enigmi.
Soprattutto, e qui casca l’asino, l’autore non ci dice uno che uno degli enigmi
da lui risolti. Ogni tanto, Cargill inzeppa la frase con: qui Mr. Sharpe
risolve un cruciverba, qui Morrison fa dei strani segni su di un pezzo di
carta, qui il nostro si china su di una scacchiera e pensa. Già questo mi stava
innervosendo. Poi, ogni volta che la polizia fa un passo avanti, lui dice di
averlo scoperto prima, di esserci arrivato prima, ma senza mai farci seguire il
suo ragionamento. Come se noi si dovesse avere una fideistica adesione a tutto
quello che dice l’autore. Ne risente anche la trama gialla, che si annuncia
interessante, si complica strada facendo, ma si scioglie come neve al sole,
che, per l’appunto, non ci vengono spiegati i ragionamenti di Morrison, né
tanto meno quelli dell’ispettore di polizia. Il nostro enigmista, senza motivi
apparenti, va su e giù per la campagna inglese, con treni ed autobus. Ma questa
volta, il bus è particolarmente interessante, per i personaggi e gli
avvenimenti. Ci sono una decina di persone, più l’autista. Autobus vecchio, che
fatica in salita, scoppiettando talmente forte da coprire uno sparo che uccide
un passeggero, Caleb. Sharpe prende il controllo della situazione, in attesa
dei poliziotti, scoprendo che oltre a lui, sul mezzo c’erano: una coppia di
agricoltori, da subito esclusa, un giovanotto, abbastanza sveglio anche se
distratto, che dice di aver visto qualcuno scendere al volo, ed un barbone che
scroccava un passaggio, il giovane John Smith, in possesso di una pistola che
però non spara e che voleva convincere l’autista a partecipare a delle rapine,
la signora Hanson, che, alla vista del morto, inopinatamente, sviene, un greco
che sostiene fare il commerciante di mobili antichi, ma che nasconde qualcosa,
il signor Young, unico a raccontare bene quello che ha visto, anche se poi
mente su di sé, sulle sue manovre, e presto scompare. Morrison e l’ispettore,
in un crescendo di piccole agnizioni scoprono al fine che quella mattina,
sull’autobus, c’era veramente di tutto. Il signor Winslow, quello visto dal
giovanotto e poi sparito, è in realtà un bancario in fuga con soldi rubati alla
banca. Ma scappa dal bus lasciando i soldi, si trova nel bosco, vede il
barbone, fuggito anche lui alla vista del morto, pensa di essere già stato
raggiunto dalla polizia, e si uccide con del veleno. Poi c’era la grande banda
di ladri internazionali, composta da Caleb (il morto, nonché il capo, nonché in
possesso di una collana rubata poco tempo prima a New York), il greco (in
funzione di ricettatore e smistatore della refurtiva), Smith e Young, i
manovali del crimine, e la signora Hanson, amante dello sposato Young. Caleb
aveva venduto la collana al greco, per poi rubargliela di notte e fuggire,
inseguito dal resto della banda. Caleb aveva fatto il colpo per punire gli
altri che, sotto la spinta di Young, oltre alle varie merci rubate, avevano
cominciato a spacciare droga, elemento secondo Caleb disonorevole per un ladro.
Anche se Caleb non è che sia tanto onorevole, venendosi a sapere poi che il
giovane Smith è figlio suo e della signora Hanson. Quindi tutti avevano dei
motivi per farlo fuori, ma solo uno della banda lo ha fatto. Vi lascio questo
piccolo dilemma, anche se, pur non essendo Morrison, si comprende ben presto
chi possa essere. Peccato, quindi, che ad un inizio promettente, seguano pagine
non all’altezza, dove l’onnisciente Cargill ci spiega tutto, senza darci gli
strumenti per seguire i nostri ragionamenti. Credo che sia stato giustamente
dimenticato nel corso degli anni, come scrittore di seconda fascia.
Samuel W. Taylor “L’uomo con la mia faccia” Corriere della Sera Gialli
6 euro 6,90
[A: 29/02/2016– I: 25/11/2017
– T: 26/11/2017] - &&&
[tit. or.: The Man with my Face; ling. or.: inglese; pagine: 252; anno 1949]
Finalmente
torniamo a livelli accettabili di scrittura in questa collana ultimamente un
po’ troppo al ribasso. Tra l’altro con uno scrittore americano e non inglese,
anche se fuori dall’ormai imperante hard boiled degli anni ’40. Taylor tra
l’altro ha una sua storia strana (da lui poi scritta in una interessante
biografia). Nasce nello Utah mormone, in una famiglia allargata ancora
sull’onda poligamica del fondatore. Cerca di farsi un suo spazio, senza riuscirci
in quel mondo chiuso e ristretto (andateci nello Utah e capirete), per poi
fuggirne a 27 anni, rintanarsi a Redwood in California con la moglie, e da lì
produrre il suo meglio. Sia in qualche buona sceneggiatura (anche se i biografi
sbagliano ad attribuirgli una collaborazione con Hitchcock) sia nelle
biografie, sia in qualche buon giallo o poliziesco o thriller. Come questo, che
se avesse un buon regista sarebbe anche potuto diventare un buon film, ed
invece non lo fu. Non è un poliziesco classico, non c’è da scoprire assassini o
colpevoli, ma siamo lì, fin dalle prime righe a seguire la strana vicenda che
comincia a vivere Charles "Chick" Graham. Onesto contabile, torna a
casa dal lavoro una sera, e la moglie Cora, che sempre lo va a prendere alla
stazione non c’è. torna a casa a piedi e trova la moglie, insieme al di lei
fratello Buster, nonché suo socio nella contabilità, e la di lui moglie,
insieme ad un quarto uomo. che sostiene di essere lui Chick. Un uomo con una
strabiliante somiglianza. Noi seguiamo la vicenda dalla parte di Chick, e ci
domandiamo, con lui, che cosa sta succedendo? Chi è quello? Perché il cane di
Chick non obbedisce al padrone ma al nuovo entrato? Da qui, passo dopo passo,
si aggiungono pezzetti di storia, in una vicenda che alla fine risulta essere
una gigantesca e macchinosa messa in scena, tesa alla copertura di un furto di
svariati milioni di dollari. Certo, l’operazione “sostituzione” è lunga, ma
costruita con attenzione, perizia, e non facilmente scardinabile. Tutto era
cominciato sotto le armi. Chick, ufficiale americano, si imbatte in Buster che
lo scambia per il suo amico Rand. Sciolto l’equivoco, Buster si incolla a
Chick, divenendone un’ombra fedele. Gli fa conoscere la sorella Cora, che
comincia a fare la svenevole con lui. Gli nasconde le lettere della fidanzata
Mary, che Chick ben presto fa scivolare nell’oblio, anche perché viene spedito
in Europa. Al ritorno, Chick e Cora si sposano, Chick e Buster mettono su una
società di contabilità, Bill, addestratore di cani, vende un bull terrier, gli
vende il cane Jiggs. Insomma tutto fila per almeno un anno sul filo della
normalità. Fino alla scena descritta sopra. Dove crolla tutto e dove Chick deve
difendersi da tutti gli assalti alla sua persona. Arrestato, riesce a scappare,
per scoprire che il giorno prima un bancario di nome Rand ha fatto una rapina
di diversi milioni di dollari alla sua banca, ed è fuggito uccidendo un uomo. Una
tramona costruita in anni e anni, aggiungendo tassello dopo tassello. Vista la
somiglianza, Rand capisce la possibilità di una grande rapina, fa incollare
Buster e Cora a Chick, va anche lui sotto le armi, dove riesce a sostituire le
sue impronte digitali a quelle di Chick. Finita la guerra, mentre Chick inizia
la sua vita come sopra, sempre controllato dai due fratelli, Rand convince il
suo amico Bill, addestratore di cani, ad istruire due bull terrier gemelli,
regalandone uno a Chick. Poi Rand fa la corte ad Alexandra, convincendo il di
lei padre ad assumerlo nella banca di famiglia. Eccoci pronti al grande colpo:
Rand, mentre trasporta un ingente quantitativo di valori, uccide la guardia che
è con lui e fugge. Arrivato a Redwood (la città dove vive anche il nostro
scrittore) mentre aspetta il ritorno di Chick, si sostituisce a lui nella casa,
prendendo anche il cane gemello. Così tutto è pronto per mettere fuori gioco
Chick: a casa nessuno lo riconosce, neanche il cane, una guardia lo arresta, ma
mentre vanno verso il carcere, dove li aspetta Bill con un altro cane pronto ad
assalire ed uccidere Chick, la guardia, inaspettatamente, rilascia Chick.
Questo è il punto in cui poi incominciano le vicende a perdita di fiato: Chick
ritrova la sua vecchia fiamma Mary, da cui cerca di farsi aiutare. Vuole
rintracciare Alexandra, che conosce da vicino Rand, ma questa viene uccisa.
Come vengono uccisi, ma mano, tutti i possibili testimoni a favore di Chick. Ma
lui non demorde ed in una scena inversa della prima, mentre Rand sta in
ufficio, Chick torna a casa, riprende il suo posto, ed al ritorno di Rand si
cerca di ripercorrere la scena iniziale. Con il cane di Chick che torna ad
essere il cane di Chick. E con la guardia che viene per arrestare qualcuno. Chi
avrà la meglio? Vi lascio qualche suspense, dicendo anche che un film ne fu
tratto senza grande successo, mentre l’altro film che mi veniva in mente,
quello con Cage e Travolta, è basicamente diverso (lo ricordate, vero?).
Bisognerebbe avere un buon regista, perché invece questo libro meriterebbe.
“Ma chi è che riesce ad avere dalla vita quello che veramente vuole?”
(82)
Come dimenticare che la prima
trama del mese porta con sé degli elenchi di libri letti? Ecco quindi i 14
libri decembrini, che una volta tanto spaziano veramente dall’alto in basso.
Basso che raggiungono con lo striminzito saggio di Hoffmann e l’inutile (eppur
tanto acclamato) giallo di Carrisi. Mentre le vette (o quasi) vengono raggiunte
da due classici (o quasi) di Böll e di Simenon, nonché da due saggi (che finalmente
sono all’altezza della loro fama). Avere un mese con quasi 1/3 delle letture
quasi al top è evento assai raro.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Anne Holt
|
Quale verità
|
Einaudi
|
13
|
3
|
2
|
Zane Grey
|
Il ranger del Texas
|
Corriere della Sera Western
|
5,90
|
2
|
3
|
Massimo Cassani
|
Zona Franca
|
TEA
|
11
|
3
|
4
|
Heinrich Böll
|
Biliardo alle nove e mezzo
|
Mondadori
|
9,50
|
4
|
5
|
Zygmunt Bauman & Ezio Mauro
|
Babel
|
Laterza
|
10
|
4
|
6
|
Elizabeth George
|
Un piccolo gesto crudele
|
TEA
|
12
|
3
|
7
|
Massimo Recalcati
|
Il segreto del figlio
|
Feltrinelli
|
15
|
4
|
8
|
Jean M. G. Le Clézio
|
Voyage à Rodrigues
|
Folio
|
s.p.
|
2
|
9
|
Massimo Gramellini & Chiara Gamberale
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Avrò cura di te
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TEA
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5
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2
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10
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Roald Hoffmann
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Chimica e poesia
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Castelvecchi
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s.p.
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1
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11
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Georges Simenon
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I Maigret – 9
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Adelphi
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s.p.
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4
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12
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Donato Carrisi
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Il suggeritore
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Superpocket
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4,90
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1
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13
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Martin Cruz Smith
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Tatiana
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Repubblica Noir
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7,90
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2
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14
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Charlie Higson
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Spara o muori
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Repubblica Noir Junior
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6,90
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3
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Tra oggi e domani ricorrono i 75
anni dalla nascita di due grandi cantanti italiani ormai scomparsi. Ma io
voglio invece qui ricordarvi che ieri è stato il 66° compleanno di un mio
amico. Di certo non vi dico che sia, ma almeno facciamo festa che il resto, per
ora, in questo ’18 buio e pesto, non è che si sia allegri (ed accidenti alle
moto, all’acqua e tanto altro). Ma io da questa grande piazza da dove canto al
sole (belle citazioni, eh), vi saluto
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