(Senza riferimenti politici…). Settimana
tutta dedicata alla collana di Repubblica devota ad un giro d’Italia in nero,
dal Piemonte di Farinetti alla Roma di De Cataldo & Bonini, dalla Puglia di
Lagioia alla Milano di Recami. E per fortuna che Recami risolleva un po’ le
sorti dei miei giudizi, che per gli altri sono tutti verso un versante
piuttosto negativo.
Gianni Farinetti “Rebus di mezza estate” Repubblica Italia Noir 21 euro
7,90
[A: 18/10/2016 – I: 21/01/2018 – T: 24/01/2018] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 332;
anno 2013]
Dicevo, nella mia prima trama su
Farinetti, che non pensavo di cercarne altri, che non mi aveva convinto molto.
Infatti, così è stato, e solo ora, per gli uffici, non so se buoni o meno,
delle collane noir di Repubblica, ne leggo un nuovo capitolo. Scritto quasi
venti anni dopo il primo libro della serie (“Un delitto fatto in casa”), e dove
ritroviamo nel bel mezzo dell’azione, due dei personaggi del primo. Sono sempre
qui, invischiati nel succedere degli eventi, lo sceneggiatore gay Sebastiano
Guarienti ed il suo compagno Duccio. Allora molto centrali (visto che uno dei
morti è il padre di Seb), ora presenti, attivi, ma in un certo senso, uno degli
elementi della trama. Che, per la parte investigativa vede ora al centro il
maresciallo Buonanno. Intanto, tra i due libri sono passati (oltre gli anni)
anche altri sette volumi, e non sappiamo come si siano evoluti i personaggi.
Quello che è certo, è il rimanere nella piena piemontesità della storia, anche
se, come dissi allora e ripeto ora, ben lontani dalle uscite mirabili di
Fruttero & Lucentini. Immutati comunque nel tempo i suoi vezzi che credo
siano diventati “un marchio”: ’introduzione con l’elenco dei personaggi, lunga,
complessa, e che sfido sempre qualcuno a tenere a mente, i modi di dire
piemontesi, l’ammiccare (ma che qui si concentra fortunatamente solo nel
finale) verso il lettore, per raccontargli cosa farà quello, cosa succederà a
quella, ed altri pettegolezzi più o meno gai (nel senso di allegri). La novità,
è che ci spostiamo da Torino verso la provincia, ed in particolare nelle
Langhe. Tra filari e vigneti, tra casali ed osterie. Sarà casuale che anche
Farinetti stia pendolante tra il capoluogo ed Alba? L’occasione scatenante
della convergenza in Langhe di molte persone è il doppio matrimonio che vi si
celebra. Quello altolocato dei Calvesana, tutto ghingheri e piattini. Quello
“plebeo” di Mircea e Tatiana, due rumeni dipendenti di Massimo e Chiara,
proprietari di alcune case del borghetto di Vignole. Così tornano verso lidi
familiari Seb e Duccio, ospitati alle Vignole, insieme all’amica Laura, mentre
nella vicina tenuta del Tiglieto, ospiti della proprietaria Rosanna Serralunga
ci saranno Mirella Nava (compagnia di scuola in gioventù di Rosanna) con il
marito Cesare, faccendiere e dedito alla ricerca di antichità, con scarso
successo e molte perdite di soldi, da Jone Ramasco, scrittrice di giardinaggio
di cui capisce poco, insieme alla sua compagna, la svizzera Lotte, l’altra
compagna di classe Gigliola con il (terzo) marito, l’ingegner Germani. Nonché,
per completare il quadro, e creare un collegamento, lo squattrinato marchese
Nando di Salmour. Dicevo collegamento, perché nell’avito castello di San
Michele, un tempo di proprietà dei Salmour, ci saranno Pietro Cambiano,
proprietaria di una ricca banca di Cuneo, con la moglie Barbara, vedova del
fratello maggiore di Nando, marchese andato in rovina che proprio nel castello
si impicca, insieme al figlio di primo letto Eugenio di Salmour, costretto su
di una carrozzella in seguito ad un incidente stradale (da lui causato) dove
perse la vita Enrico, figlio di Pietro e Barbara. Sappiamo, sin dalle prime
righe, che c’è un killer. Che durante lo svolgimento delle 300 pagine, uccide
prima Cesare Nava, affacciato ad un balcone, poi Pietro Cambiano, affacciato ad
una finestra, ed infine tenta di uccidere o ferisce volontariamente Sebastiano
Guarienti quando questi sta su di una giostra alla festa del paese. Il resto
delle pagine è infarcita dalla vita delle Langhe, dai rapporti tra i vari
personaggi, tra grandi mangiate ai due matrimoni (che si celebrano ugualmente
nonostante i morti), dalle descrizioni, piccole o grandi delle attività dei
vari personaggi sopra presentati. Un grande sforzo di affresco, forse interessante
per ammirare un grande quadro cinquecentesco (come entrare nella descrizione di
ogni personaggio de “La scuola di Atene” di Raffaello), ma che qui, dopo un
po’, stufa abbastanza. Non prende, non fa fare collegamenti, non fa avanzare di
un passo la comprensione del disegno. Comprensione cui arriverà solo il
maresciallo Buonanno, proprio ragionando sulla precisione del killer e sulla
mancata morte di Sebastiano. Alla fine, Farinetti ci spiega tutti i perché ed i
come della vicenda, ma in modo molto distante da come sarebbe corretto in un
thriller (vero Van Dine?). come ci dice nelle ultime righe chi sia il killer,
che tanto poco entrava nel meccanismo decisionale di chi aveva commissionato le
morti. Buona capacità di non dimenticarsi i pezzi, invero, quella di Farinetti,
ma poco a che vedere con un thriller. Fotografia della Langhe, che a questo
punto dovrò andare a visitare prima o poi. Ma una grande fatica di lettura.
Rimango sulle mie posizioni, quindi. Se capita si legge, ma non si cerca.
Giancarlo De Cataldo & Carlo Bonini “Suburra” Repubblica Italia
Noir 1 euro 7,90
[A: 01/06/2016 – I: 19/02/2018 – T: 22/02/2018] - &&&
---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 462;
anno 2013]
Il
magistrato-scrittore De Cataldo si cimenta qui in un’impresa titanica e che
difficilmente poteva ottenere i risultati del suo primo libro sulla malavita
romana. Quel “Romanzo Criminale” che con una potente e corale messa in scena,
dava conto della nascita e dell’omologazione al potere di un certo tipo di criminali
che agivano nella capitale. Data la mole e la discreta attualità che il romanzo
implica, De Cataldo si associa nell’impresa ad un fine conoscitore delle trame
giudiziarie della capitale, nonché editorialista di “Repubblica”, Carlo Bonini.
I due danno quindi vita ad un romanzo interessante, con alcuni personaggi
intriganti, una trama facile eppur di scottante attualità. Certo, non c’è la
potenza delle imprese e della teatralità del Freddo, del Dandi o del Libanese.
Qui l’unico che si erge sopra la folla sguaiata, per la sua cattiveria e
rigorosità morale (anche se volta verso parti sbagliate) è il Samurai. Il resto
scade molto, anche perché la stessa criminalità da un lato scade, dall’altro si
occulta tra le pieghe del potere e del clero. Anche se, sfruttando alcune
contingenze, il romanzo di Carlo & Giancarlo fa individuare alcune linee
d’azione interessanti, proprio per le gerarchie del potere e dei soldi.
Infatti, non è un caso che la vicenda si svolge nell’anno della caduta
dell’ultimo governo Berlusconi, anno in cui molti potentati, in particolare a
Roma nell’ambito di quella grande “destra” cresciuta all’ombra del cupolone,
stavano cercando nuovi elementi di protezione. L’altra intuizione (o
rivelazione) dei nostri due è l’utilizzo del grande serbatoio malavitoso
costituito da Ostia e da gran parte del litorale e del quasi litorale romano.
Un ambiente che ora sta venendo alla luce in tutta la sua nefandezza, con i
vari clan, storici da una parte, e infiltrati negli ultimi anni dall’altra
(pensiamo ai calabresi, ai napoletani, ma anche agli oltre cortina, come slavi
e compagnia) che hanno fatto per anni il loro comodo in quelle zone. In questo
marasma di “cattivi soggetti” si muovono i pezzi della malavita grande e
piccola. La pedina più lucida è quella del Samurai, cresciuto a suo tempo
all’ombra dei “grandi” del “Romanzo Criminale”, poi artefice di una riuscita
rapina ad un caveau di una banca, da dove ricava documenti su documenti per
ricattare tutte le sfere del potere politico e giudiziario romano. Con l’idea
di costruire una nuova Las Vegas lì sul litorale romano. Per far questo,
coinvolge i politici, qui esemplificati dall’on. Malgardi, la chiesa con il
vescovo Tempesta, e le varie bande presenti sul territorio: gli Adami di Ostia,
gli Anacleti di Cinecittà, i napoletani di Ciro Viglione, ed altre propaggini
minori. Peccato che a Malgardi, durante una festicciola, muore una prostituta
ucraina, che lui riesce a far sparire con l’aiuto di Spadino, uomo di Rocco
Anacleti. Peccato che Spadino voglia sfruttare a suo uso personale questa
scivolata del politico, il quale chiede aiuto al capo degli Adami non in
carcere, il giovane fuori di testa Cesare, detto NumeroOtto per la pelata a
biliardo. Il quale non pensa e uccide Spadino, cosa che fa infuriare Rocco che
manda i suoi Paja e Fieno a regolare i conti con NumeroOtto. I due falliscono,
e Cesare, per ripicca, lì fa fuori entrambi. Una guerra per banda della miglior
specie, che il Samurai tenta di arginare uccidendo di persona il povero
NumeroOtto. Tutto mentre Malgardi cerca di far approvare una variante al piano
regolatore che consentirebbe di costruire una colata di cemento sul litorale,
piano appoggiato dal vescovo con la promessa di costruire un numero imprecisato
di chiese. In tutto ciò che fanno i “buoni”? Ma soprattutto, chi sono? La punta
di diamante sembra essere il tenente colonnello Marco Malatesta, in gioventù
seguace del Samurai, poi allontanatosi duramente ed entrato in polizia. Marco
sa molto, vede molto, ma ha poche prove. Che tuttavia riesce a far saltare
fuori per mezzo di una breve alleanza con Alice Savelli, un’ambientalista, un
po’ velleitaria, ma con contatti giusti. Tramite lei riesce a stanare una parte
del clan Adami, ma questo risveglia il potere “cattivo”, quello a busta paga del
Samurai. Che tenta di emarginare Alice, che fa anche altre piccole cose di
contorno, che lascio al lettore per brevità. Fatto sta che Marco non è del
tutto sincero con Alice, la quale, giustamente, lo manda a scopare il mare, pur
a valle di una piccola ma intensa storia d’amore. Dalla parte del potere
cattivo vediamo sorgere giudici compiacenti, generali insabbiatori ed altre
amenità. Unico altro paladino, il magistrato Michelangelo de Candia, che unisce
le proprie forze con Marco, anche se si rende conto di dove ci si può arrestare
per non fare passi falsi che darebbero forza alla parte avversa. Tanti altri
piccoli avvenimenti si succedono in queste quasi cinquecento pagine, che alla
fine porteranno se non alla sconfitta, alla resa (momentanea) del Samurai, al
blocco delle mire di Malgardi & Co., alla fine della guerra tra bande. Ma
porteranno anche alla fine della storia di Marco e Alice, ed al ritrovarsi, del
nostro poliziotto, desolatamente solo di fronte al futuro. Perché il romanzo,
come tutti i buoni romanzi quasi-seriali non ha una fine con punto fermo e a
capo. Ma una serie di puntini di sospensione dove noi vediamo facilmente la
possibile nascita di una nuova puntata. Quindi, riprendendo le fila: alcune
buone idee di trama, alcuni momenti interessanti sullo spaccato di vita romano,
un po’ di lungaggini sparse come fossero caramelle, una fine che non è una
fine. Si avvia alla sufficienza piena, ma non la raggiunge, anche se non posso
negare capacità e fecondo idee alla coppia di scrittori.
Nicola Lagioia “La Ferocia” Repubblica Italia Noir 6 euro 7,90
[A: 05/07/2016 – I: 23/02/2018 – T: 28/02/2018] - &&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 409;
anno 2014]
E
forse due libricini sono anche troppi! Sia per i curatori della collana, sia
per chi ha votato questo libro come “Premio Strega 2015”, sia, infine, per lo
stesso Lagioia che tutt’altra scrittura aveva mostrato nell’altro libro che ho
letto (“Tre modi per sbarazzarsi di Tolstoj”). Cominciamo dai curatori di una
collana intitolata “Italia Noir”. Certo questo è un libro italiano (si svolge
tutto in Puglia, e soprattutto a Bari), ma di “noir” è a zero, di suspense
sottozero, che dire di mistero, neanche tracce (forse ematiche, ma un morto non
fa “poliziesco”). Ma poi torneremo sulla trama. Veniamo allora allo Strega.
Anzi, prima dello Strega, se volete leggete le ultime righe del mio commento al
primo libro del nostro per sapere la mia posizione generale in proposito. Nello
specifico, sapete chi ha battuto il nostro Nicola? Nientemeno che la Ferrante
della “Storia della bambina perduta”. Sapete quante vittorie ha ottenuto
Einaudi nelle ultime 4 edizioni? Ben 3! Sapete cosa fa Lagioia oltre a
scrivere? Il direttore del Festival del Libro. Direi che tutto ciò si commenta
da sé. Ed infine la scrittura, e per soprammercato, la storia. Lagioia tenta di
descrivere la saga di una famiglia di corruttori nel suo Sud. Ma quanta altra
verve aveva quel Tolstoj! Che sorprendeva per i cambi di direzione, per le
uscite, per il modo di rivolgersi al lettore. Qui rimangono dei su e giù
temporali, con la voglia e la capacità, certo, di mettere in mezzo tutta una
serie di personaggi, con al centro la poco ortodossa famiglia Salvemini (e
vedremo poi perché). Ma poco altro. La storia è scontata (non dico banale, ma
ci si avvicina). I personaggi presi a piè pari da possibili cronache
giornalistiche o scandalistiche o giudiziarie. Senza fare nessuno sforzo
letterario di costruzione. Con un facile esempio, De Cataldo, nei suoi Noir su
Roma, prende di certo i personaggi dalla realtà, anzi sono proprio a volte
reali. Ma su di loro costruisce un romanzo. Qui, Lagioia non fa nessuno sforzo.
Ognuno è ciò che sarebbe in una di quelle cronache sopracitate. Dobbiamo, se
vogliamo leggere il libro, seguire le vicende della suddetta famiglia
Salvemini. Con in testa Vittorio, settantenne imprenditore, corruttore,
frodatore di fisco e contribuenti. Un tipico esempio del malaffare a cavallo
tra la pura malavita ed il corrotto mondo degli affari “alla Berlusconi” (non
vorrei essere citato, è solo un esempio, non un’accusa, ed è per questo
virgolettato). Specula, soprattutto nel mondo dell’edilizia. E quando non
riesce ad ottenere i permessi, corrompe, sa, o scopre, le debolezze altrui, e
vi affonda il coltello. A sua fianco la moglie Annamaria, che lo segue silente
ed acquiescente, che ha un modo di timida resistenza e ribellione quando
Vittorio prende una sbandata e sembra mollarla, lei e i suoi due figli. Ma la
tizia con cui Vittorio vorrebbe costruire altro muore mettendo alla luce
Michele. E Vittorio pensa bene di adottarlo, e di inserirlo nella famiglia, e
costringere Annamaria a “volergli bene”. Non vi dico cosa penso io di tutto
ciò, ma potete immaginare cosa pensi la moglie e come tratti il “bastardo”. Poi
i figli. Ruggero, il maggiore, che aveva già compreso la vocazione truffaldina
del padre, che si era fatto un suo spazio nel campo oncologico internazionale.
Poi, quando il padre gli offre un posto favoloso a Bari, molla tutto e torna
all’ovile. Divenendo, anche se obtorto collo, uno degli strumenti di controllo
e corruzione del padre. Gioia, la più piccola, assolutamente, inutilmente
allegra. Una presenza per l’appunto inutile, che sta lì a favoleggiare della
sorella, ma che poteva sparire dopo le prime pagine. Veniamo allora ai due
punti forti della famiglia: Clara e Michele. Clara è la pietra dello scandalo,
l’unica che si accorge del modo barbino in cui trattano Michele, l’unica che
cerca di avvicinarlo. Ma quando Michele, per salvarsi, va via, va a Roma, lei
non trova di meglio che buttarsi nel “bunga bunga” selvaggio. Si sposa, certo
per la facciata. Ma non fa altro che passare da una coca ad uno spinello, da un
letto all’altro, di tutti quelli che hanno potere a Bari, e che, alla fine,
possono servire al padre. Michele, di suo, non poteva che venir fuori come uno
leggermente sfasato, un non amato che rischia seriamente di andare fuori di
testa, che ha un’intelligenza ciclotimica (e devo dire che ne conosco di
tipologie simili, purtroppo). Che per salvarsi, appunto, fugge dal padre, da
Bari, e trova la sua pace in quel di Roma, facendo quasi finta di essere
felice. Tutto ciò viene a crollare (o quasi) alla morte di Clara. Quella che
vorrebbe far gridare al “noir”, ma non ha senso. Sappiamo dalle prime pagine
come è morto. Intuiamo presto perché è morta. Capiamo che Michele, anche se
lentamente, non può far altro che ribellarsi all’ipocrisia imperante. Perché
Vittorio maschera la morte da suicidio, quando vediamo che è un camion che la
mette sotto, anche se è già messa male di suo, perché… Beh, qualche riga ve la
lascio, così magari cadete anche voi nella trappola di leggerlo. Le 400 pagine
sono riempite anche da una serie di personaggi laterali, da infimi guardaspalle
di palestra a altrettanto infimi, moralmente, sottosegretari e potentati veri.
Ma nessuno non dico suscita simpatia, che non è questo che si vuole. Ma dico
suscita interesse, voglia di capire. L’unica voglia è stata di vedere se, prima
o poi, il libro facesse un salto di qualità. Ebbene no, non l’ha fatto. Però
leggetelo, magari un vostro parere contrario potrà farmi cambiare idea.
Francesco Recami “La casa di ringhiera” Repubblica Italia Noir 27 euro
7,90
[A: 29/11/2016 – I: 04/03/2018 – T: 06/03/2018] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 171;
anno 2011]
Finalmente
sono riuscito a leggere il primo libro delle avventure della casa di ringhiera
di Francesco Recami. Uno scrittore sempre gradevole nelle sue storie, che mi
era già discretamente piaciuto si ne “L’errore di Platini” si ne “Il ragazzo
che leggeva Maigret” (trame cui rimando l’inclito lettore che le avesse
distrattamente perse). E di cui avevo letto, in base alle solite e strane
alchimie delle mie letture, il secondo episodio di queste storie. Quello “Gli
scheletri nell’armadio” che mi aveva convinto ad aprire un credito verso
l’autore anche in questa sua fatica quasi seriale. Credito ben riproposto,
tanto che mi sono divertito a leggere questo “primo episodio” come se non
sapessi già cose che ho letto nel secondo. Così che a poco a poco si potevano
scoprire i vari personaggi della saga. Oltre ad Amedeo Consonni, su cui si
tornerà, abbiamo appunto il pensionato De Angelis con la sua macchina, il
parcheggio nel cortile e la lotta quotidiana con i parcheggiatori che
abusivamente occupano il suo posto. In particolare il camioncino con cui il
marito di Erika tenta di sbarazzarsi del corpo della donna, credendo di averla
uccisa. Mentre Amedeo viene chiuso in cucina, il nipotino prima finisce nella
cella frigorifera, poi viene salvato dai fratelli che vi avevano rinchiuso il
padre per disintossicarlo dall’alcool, all’insaputa della moglie Donatella. Non
c’è la curiosona del primo piano, quella sempre alla finestra a spiare, che per
ora sta fuori Milano, magari in Romagna a ballare. Ma c’è Angela, la
ex-professoressa che fa da tempo il filo ad Amedeo. Su cui ora siamo tornati,
su di lui e sulla sua passione verso la “Cronaca Nera”. Un collezionismo di
ritagli che lo porta ad improvvisarsi investigatore dilettante. In particolare
per un delitto avvenuto nell’hinterland milanese, in quel di Lentate, dove
l’esperto di modellismo ed egittologo dilettante, Antonino Rebaudengo, era
stato ucciso e indi sistemato in una posizione che, secondo i giornali,
somigliava a quella della sfinge di Giza. Fermandoci un attimo, è proprio
questo intreccio di varie storie, cui pur riesce a mantenere un intento quasi
unitario che rende queste letture di Recami interessanti e di piacevole
lettura. Pur ogni tanto con qualche caduta (vuoi per descrizioni troppo lunghe,
vuoi per piccoli salti temporali che non sono mai molto a me congeniali).
Quindi, tornando al testo, ci godiamo il lungo inserto sulla nascita della
passione di Consonni per la “Nera”, nonché i suoi tentativi di investigatore
dilettante in quel di Lentate. Dove parla con la moglie del morto, con la
vicina appassionata di gatti, ma soprattutto con la bibliotecaria, che gli
fornisce l’elenco delle letture di Rebaudengo, in particolare quelle relative a
Iside ed al suo culto ed ai canopi che accompagnavano il morto. Tornato nelle
case di ringhiera, vediamo gli avvenimenti precipitare ed intrecciarsi.
Consonni pensa che il marito abbia ucciso Erika, ma inopinatamente si trova
chiuso nella cucina. Il nipote Enrico entra in casa di Erika solo per essere
preso dal bruto e portato in cantina, nel frigo in disuso, da dove,
inavvertitamente, riesce quindi a fuggire l’ubriacone Davide. Nel frattempo,
due guardie cercano Consonni perché vistolo aggirare in quel di Lentate. Non
trovandolo, ma leggendo gli appunti, scoprono una traccia inaspettata (ma che
noi abbiamo già anticipato e che avrà allertato i più attenti di voi). Così la
polizia, con l’aiuto di Consonni, risolve il mistero di Lentate. Erika, solo
stordita, libera Amedeo dalla cucina. Donatella con i figli si allontanerà
dalla casa dov’è tornato il marito alcolista e manesco. Il marito di Erika,
spaventato dai poliziotti e per altri motivi che qui tralascio, si troverà lui
rinchiuso inavvertitamente nel frigo in cantina. Intanto però, i giornali danno
risalto all’operato di Amedeo che assurge agli onori della cronaca, diventando
quel punto di riferimento di strane indagini, come abbiamo già visto nella
seconda già tramata puntata. Entrando tuttavia in conflitto con la figlia
Caterina nella gestione del piccolo Enrico. Ma entrando altresì sempre di più
nella rete che gli tende la procace anche se a lui (quasi) sodale Angela (che
prima o poi gli rivelerà anche i suoi segreti). Così continua la vita di
ringhiera, un modo quasi scomparso, che mi ricordo sia per alcune frequentazioni
milanesi, sia, soprattutto, per tutto il periodo degli anni ’70 dove in una
casa di ringhiera in San Lorenzo svolsi un’attività lunga e talvolta complessa,
ma che mi ha portato a conoscere una serie di amici cui ancora, dopo tanti
anni, sono sempre legato. Insomma, credo che di Recami si leggerà ancora, spero
con altrettanto piacere.
Ed
ecco con la prima trama di giugno i 16 libri di marzo. Sarà stato il momento
che sapete, ma non mi hanno coinvolto, tutti lì ad oscillare tra il 2 ed il 3. Meriterebbe
un discorso a parte Buzzati, che ha una bassa quotazione non per il libro in
sé, ma per la poca aderenza tra il libro ed il contenuto. Che avrebbe bisogno
di altro contesto per essere meglio apprezzato. Ma se ne parlerà tramandolo.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Wilbur Smith
|
Monsone
|
TEA
|
9,90
|
3
|
2
|
Enrico Pandiani
|
Pessime scuse per un massacro
|
Rizzoli
|
16
|
2
|
3
|
Francesco Recami
|
La casa di ringhiera
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
3
|
4
|
Jennifer Egan
|
Manhattan Beach
|
Mondadori
|
s.p.
|
2
|
5
|
Annamaria Fassio
|
La morte e l’oblio
|
Mondadori
|
5,90
|
3
|
6
|
Giampaolo Simi
|
Cosa resta di noi
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
7
|
Wilbur Smith
|
Orizzonte
|
TEA
|
9,90
|
3
|
8
|
Dino Buzzati
|
Le storie dipinte
|
Mondadori
|
s.p.
|
1
|
9
|
Fulvio Ervas
|
Finché c’è prosecco c’è speranza
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
2
|
10
|
Fulvio Ervas
|
Si fa presto a dire Adriatico
|
Repubblica Noir
|
7,90
|
2
|
11
|
Iain Pears
|
La pista Caravaggio
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
12
|
Dror Mishani
|
Un caso di scomparsa
|
Repubblica Noir
|
7,90
|
3
|
13
|
Jussi Adler-Olsen
|
Battuta di caccia
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
3
|
14
|
Susan Vreeland
|
La ragazza in blu
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
15
|
Robert M. Edsel
|
Monuments Man
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
16
|
Clive Cussler & Dirk Cussler
|
Havana Storm
|
Longanesi
|
12,90
|
3
|
Sarà
un giugno di lavori e di impostazioni. Soriano nel suo meglio procede, così
come le ipotesi avventurose. C’è stanchezza, ma anche prospettive. Ribadendo che
il noir italiano mi prende sempre, ma non il nero che vedo intorni, seppur
contornato da un falso giallo.
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