domenica 23 settembre 2018

Non tanto geniale - 23 settembre 2018


Nancy Mitford “L’amore in un clima freddo” Adelphi euro 12 (in realtà, scontato a 9 euro)
[A: 19/01/2016 – I: 08/04/2018 – T: 13/04/2018] - && +
[tit. or.: Love in a Cold Climate; ling. or.: inglese; pagine: 280; anno 1949]
Certo è consigliato dalle mie libropeute come coadiuvante per il raffreddore, ma se non avessi letto “Inseguendo l’amore” non credo che avrei avuto voglia di affrontare questo secondo libro di Nancy Mitford, né tanto meno il raffreddore (che poi sarebbe un po’ duro usarlo come fazzolettino…). Infatti, questo libro ha un senso proprio perché lei ha scritto e noi abbiamo letto “Inseguendo l’amore”. Questo infatti è il volume centrale di una ipotetica trilogia che verrà conclusa con “Non dirlo ad Alfred” (che tuttavia non è al momento tra i miei piani di lettura). Qui, la nostra signorina di buona famiglia (anche se all’epoca della scrittura già quarantacinquenne) continua a mostrarci il lato fatuo del mondo snobissimo inglese tra le due guerre. Ma se nel primo c’era afflato, c’era pathos sia umano che politico, qui si va tutto molto più sul leggero. C’è, ed è ovvio nella storia della Mitford, la feroce critica al mondo fatuo e senza prospettive della nobiltà inglese. Con tutta la grande famiglia che viene rappresentata, cugini, zii, cognati, suoceri, perfino vicini di casa o di castello. Tutti belli, tutti piani di gioielli in cassaforte, tutti senza una sterlina da spendere per la casa. La narratrice qui diventa Fanny, che dal suo punto di incontro con i parenti (più o meno tali) ci narra le gesta della famiglia Montdore. Un a famiglia da poco tornata dall’India, dove il Lord signor padre aveva pur un incarico di prestigio, ma dove c’è la figlia Polly, che ormai è in odore di matrimonio. E non si può farla sposare con un meticcio indiano. La madre, volenterosa e senza un briciolo di cervello, continua ad organizzare balli e ricevimenti affinché Polly metta la testa a posto e faccia girare la testa ai giovani di buon partito che ronzano intorno a tutto ciò. Tuttavia Polly non metterà proprio la testa a posto. Anzi, con un colpo di testa decide di sposare il vecchio e supersciocco zio. Un altro essere che gravita in quel mondo fatiscente, che aveva l'unico pregio di essere stato per anni l’amante della madre. Nancy ci descrive allora tutta una sequela di avvenimenti, che ci lasciano non dico freddi, come l’more del titolo, ma addirittura gelati per lo scarso coinvolgimento. Feste, scenate, cacce, abiti da giorno ed abiti da sera, chiacchiere e pettegolezzi (sembra quasi di assistere al matrimonio di Harry e Megan …), adulteri a ripetizione. Nonché lunghe pagine dedicate alla pesca delle trote, che è una delle attività che a me hanno sempre fatto una repulsione fisica (a meno di non parlare del libro di Richard Brautigan, ma quella è tutta un’altra cosa). La nostra riesce a riempire pagine e pagine con i dialoghi tra questi nobili carichi di una geniale stupidità. Ma alla fine, Polly non viene perdonata per il suo colpo di testa. Anzi viene diseredata ed allontanata da casa. Così, il bel patrimonio cui avrebbe avuto diritto, unica figlia di Lord Montdore, viene a cadere sulla testa di un lontano cugino, unico erede maschio, che vive in Nuova Scozia (che per i non informati non è in Inghilterra ma in Australia). Rintracciato e convinto a venire, l’erede sarà la sorpresa finale della vicenda: bello, frivolo, allegro. Ma soprattutto, molto, ma molto gay. Proprio questa sua non coinvolgibilità, fa in modo di dare nuova linfa a Lady Montdore, che al suo braccio riprende la vita mondana ripudiata per la vergogna di Polly. Vi lascio, se vi interessa, gustare gli ultimi intrecci e la fine della fiaba. A me, ripeto, il primo libro era sembrato interessante ed esemplificativo. Questo invece solo ripetitivo. Ma come detto c’è un legame forte tra i due, pur nel mutare dei nomi. O anche nel non cambiarli, laddove vediamo ad esempio Fabrice de Sauveterre (che nel primo ha un suo ruolo ma che non ripetiamo qui) a colloquio con Fanny, dove, esemplificando la leggerezza mondana del libro, la Mitford gli fa descrivere come le donne francesi sappiano meglio tenersi i loro amanti vicino, rispetto all’insipienza delle donne inglesi. Lettura fuori di metafora, che Fabrice è nient’altro che la trasposizione di Gaston, amante per anni entrato e uscito dalla vita di Nancy, e ultimo uomo cui la nostra diede la mano stringendola mentre moriva del linfoma di Hodgkin. Grazie per le lezioni di snobismo, cara sorella Mitford, ma penso che la nostra frequentazione finisca qui.
“Ti ho preparato per il matrimonio, che a mio parere … è di gran lunga il lavoro migliore per una donna.” (115)
“I cani e gli esseri umani non sono la stessa cosa … ma per … invece lo erano, anzi, per loro i cani erano tutto sommato più reali delle persone.” (127)
“Passare il tempo a leggere libri va bene per gentucola come voi.” (194)
Elena Ferrante “Storia di chi fugge e di chi resta” E/O s.p. (Regalo di Natale di Bene&Fra)
[A: 25/12/2017– I: 13/05/2018 – T: 18/05/2018] - &&&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 382; anno 2013]
Concludevo la lettura e la trama del secondo libro della geniale amicizia di Elena Ferrante con il voto di poter leggere gli altri volumi sperando di averne in regalo da chi mi aveva omaggiato con i primi due. Per ironia della sorte o del caso, i due ultimi (ultimi?) volumi mi sono stati invece sempre regalati da una coppia, passando da Rosemilio a Benefra. Ma non di questo voglio parlare, ma solo ricordare di passaggio. Vorrei invece andare subito al libro e nel libro. Di quelli ad ora letti, devo dire che è quello che meno mi è piaciuto, quello con cui meno sono entrato in sintonia. Anzi, la parte finale l’ho trovata dura da leggere, non riuscivo a progredire, laddove la trama ed il testo si andavano infilando in cul de sac prevedibile e scontato. L’altro dato che emerge da questo terzo libro è lo spostamento sempre più accentuato dell’attenzione da Lila a Lenù. Sebbene non sappia dirvi se sia un bene o un male, è da constatare e sottolineare. Lenù ormai ha la maggior parte della vita lontana da Napoli, ed i suoi rapporti con la città e con l’amica sono sempre più telefonici e distanti. Abbiamo così le loro due storie che proseguono, a volte si intrecciano, ma come i binari forse si incontreranno solo all’infinito (vedremo nel prossimo volume). Quindi a Napoli abbiamo Lila che continua a vivere con Enzo e Rinuccio in quel di San Giovanni a Teduccio, in quelli che saranno gli anni Settanta (e quindi con le protagoniste che si avviano ai trenta anni essendo nate, come sappiamo, nel 1944). Lila lavora in fabbrica, sopporta angherie varie. Enzo fa lavori oscuri e studia la sera su libri di programmazione, capendo, intuitivamente, quale sarà il prossimo futuro. Lila fa uscire la sua coscienza politica con le prime lotte in fabbrica, e lì la nostra autrice ha buon gioco nel descrivere il clima italiano e napoletano di quegli anni. Studenti velleitari a volantinare davanti alle fabbriche, operai che non capiscono che cosa si vuole da loro, padroni e fascisti alleati a reprimere, con la forza, tutte le manifestazioni del dissenso. Lila si ribella, Lenù l’aiuta pubblicando un articolo sulla fabbrica, Lila viene licenziata, anche perché sono sempre i cattivi Solara che hanno in mano la fabbrica. Lenù che con i suoi contatti derivanti dallo sposo (su cui si tornerà) procura un nuovo posto di lavoro a Enzo e Lila, nel centro informatico che la IBM inaugura a Bagnoli (e la storia dell’informatica di allora di intreccia con la mia storia, che alla fine degli anni ’70 anche io entrai in quel mondo, pensando durasse poco, e ne sono uscito solo 35 anni dopo). Enzo e Lila che, forse, cominciano ad avere una “loro” storia d’amore, ma lì, in IBM, Enzo guadagna più di Lila (solita disparità uomo-donna) tanto che alla fine Lila accetta il ruolo di capo informatico nella nuova industria messa in piedi proprio da Michele Solara, il cattivo, mafioso ed antipatico, che dal primo libro la insidia. Lila dice che sarà lei ad usare Michele, mentre Lenù sostiene il contrario. Vedremo. In parallelo, ma sempre più in primo piano, seguiamo invece la storia di Elena Greco. L’avevamo lasciata all’uscita del suo libro ed all’incontro con il mai sopito amore di Nino Serratore. Ma Lenù procede, anche se non a grandi passi. Sposa, ma solo civilmente, Pietro Airota, alla cui famiglia si è appoggiata per allontanarsi da Napoli ed avere una sua indipendenza. Aiuta Lila nelle lotte sindacali, inimicandosi l’ala estrema dei movimenti napoletani, esemplificata da Pasquale Peluso (il primo che si innamorò di Lenù) e da Nadia Galiani (la figlia della professoressa). Ma la vita di famiglia la prende oltre misura. Fa due figlie, Dede e Elsa. Si inimica la sorellina Elisa che si fidanza con l’orrido Marcello Solara (si quello dei camorristi). Vede passare da Firenze Pasquale e Nadia, avviati (noi lo sappiamo, loro no), alla lotta armata. Elena prova a continuare a scrivere, ma non ci riesce più. Trova un aiuto, parziale e laterale, da Mariarosa, la sorella di Pietro, diventata super-femminista. Per tutto il libro assistiamo alla caduta verso lo sfacelo della vita di Elena, ce ne accorgiamo noi, forse anche gli amici, ma lei no. Sarà il ritorno alla ribalta di Nino che provocherà una svolta. Nino che ha fatto un figlio (Rinuccio) con Lila, Nino che ha fatto un figlio (Mirko) con Silvia di Milano, Nino che ha sposato Eleonora ed ha fatto un figlio (Albertino) con lei. Nino che le professa il suo immutato amore sin dai tempi di Ischia (ma perché non lo fece allora? Perché si mise con Lila?). Ed Elena cade con tutte e due i piedi nel trappolone amoroso. Certo, questo gli dà la spinta di riprendere la scrittura, che la quotidianità e la poca verve di Pietro le avevano spento. Il libro finisce con la fuga d’amore di Elena e Nino, che abbandonano i rispettivi figli per una settimana a Montpellier. Finisce anche con Lila che questa volta prende lei a male parole Elena, così come questa aveva fatto all’epoca del matrimonio dell’amica. Trovo che il libro (non la scrittura) si stia troppo scentrando. Come parlare a nuora perché suocera intenda. Proclamare tutto l’interesse per l’amica geniale, e passare quasi mille pagine a parlare di sé. Vedremo nel quarto libro come tutto ciò andrà verso il suo fine. Sono stato contento, andando in giro per il mondo di vedere i libri della Ferrante in molte librerie, soprattutto anglosassoni. Sono contento del successo di una scrittura che non può che portare lo straniero ignaro a cercare di capire meglio Napoli ed il nostro tormentato Sud. Tuttavia questa svolta non mi è piaciuta, penso che questo sia il meno belli dei tre libri che ho letto. Troppa carne al fuoco, perché si passa anche dall’analisi della sola Napoli ad un voler mescolare tutto, nel calderone dell’avanzare dei giorni e degli anni: economia, politica, carriera universitaria, nascita dell’informatica, terrorismo. Un romanzo non è (sempre) un calderone che contiene tutto. Basta alla sua esistenza che contenga anche una sola idea che ci coinvolga, che ci faccia pensare. Vorrei sempre leggere un libro, non una sintesi wikipediana del mondo. Vedremo, vedremo, vedremo.
“Ebbi la certezza che gli volevo bene, era una persona che sapeva il suo valore e tuttavia, se necessario, si dimenticava di sé con naturalezza.” (83)
Elena Ferrante “Storia della bambina perduta” E/O s.p. (Regalo di Bene&Fra)
[A: 07/05/2018 – I: 02/06/2018 – T: 12/06/2018] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 451; anno 2014]
E con questo quarto volume si chiude la grande “saga” di Elena Ferrante intitolata “L’amica geniale”. Per i maniaci della precisione riporto in fondo l’elenco completo delle “puntate” così come risulta dallo scritto stesso dell’autrice. Intanto, riprendo, ribadisco ed approfondisco il giudizio, che questo libro mi è piaciuto ancora meno del precedente. Sarà che finalmente esce allo scoperto (ma lo dirà solo a pagina 438, e io non vi dico cosa dirà), sarà che abbraccia un arco di tempo lungo, troppo lungo, sarà che questo è il tempo (anche) mio, ma la lettura che ne dà Greco/Ferrante è troppo poco incisiva. Non che io abbia desiderato un libro politico, non è questo il luogo, ma se si danno pennellate sulla vita che ci ha visto presenti ed attivi, avrei bisogno di qualche scatto in più. Scatto morale, scatto politico. Invece, continuando l’equilibrismo tra pubblico e privato, non si dà luce né all’uno né all’altro. Continuiamo così a seguire le vicende delle due amiche. Come sappiamo Elena lascia il marito per Nino, che però non lascia la moglie. Nino è sempre stato un personaggio a me antipatico. E qui, pagina dopo pagina, scopriamo fino a che punto lo è. Non lascia la moglie, con cui fa un altro figlio. Fa una figlia con Lenù, che verrà chiamata Imma. Continua a tradirla senza che lei se ne accorga. Ci impiegherà una vita, ma alla fine lo caccia via. E di Nino seguiamo tutta la parabola personale e politica: barricadero in gioventù, poi comunista ma moderato, negli anni ’80 socialista ed onorevole, quindi travolto da “Mani pulite” (ma che la Ferrante non cita mai con il suo nome), poi riciclato in qualcosa tipo “Forza Italia” o giù di lì. Insopportabile. Soprattutto, nell’atteggiamento verso le donne. Non se ne lascia scappare una. E Lenù, occhi foderati d’amore, faticherà una vita a capirlo. Lenù che scrive di meno, affogata tra la cura di Dede, di Elsa, di Imma. Che è tornata a Napoli. Che ha ripreso le vecchie ragnatele di rapporti. Che si ritrova con Lila. Lila fa anche lei una carriera folgorante, ma nel ramo informatico. Si mette in proprio con Enzo, sfrutta per prima le molte possibilità dell’elettronica, continua a fare sgarbi ai Solara, a tutti e due i fratelli camorristi, ed alla fine con Enzo fa anche una figlia Tina. Qui la Ferrante mette il pezzo forte di questo ultimo libro: non si sa come, né forse esattamente perché, durante un momento convulso della vita di Lila, Lenù, Nino e le figlie, scompare Tina. E non sarà più ritrovata. Ormai la strada è in discesa, ed il libro non farà altro che percorrerla tutta, attorcigliandosi intorno ai rimpianti di cosa poteva essere e non è stato. Ma se Lila si “liquefà” intorno a questo avvenimento, non ne uscirà più (e con ragione), andando sempre più alla deriva, con mestizia, a volte, ed a volte con cattiveria. Sino alla conclusione che conosciamo sin dal primo libro. Perché è quella conclusione che ci viene presentata nel prologo, e che ora ci si ripresenta. Senza soluzioni, che la vita non sempre chiarisce tutto (non siamo certo in un romanzo giallo). D’altra parte invece, abbiamo Lenù, che si rimette a camminare con le proprie gambe, che non dipende (cerca di non dipendere) né da Pietro né da Nino. Ma trascura le figlie, che ben presto crescono ed avranno voglia di vedere altro nel mondo. In questo aiutate più da Pietro che da altri. Elena, in questo crescere tormentato, (ri-)scopre l’amore per la madre Immacolata e la assiste nella sofferenza e nel trapasso. Elena continua a combattere per continuare a scrivere, per essere sé stessa, anche se la colpa di non seguire le figlie da vicino la spezza interiormente. Ma lei ha bisogno di scrivere, di viaggiare, di girare l’Europa, e tanto altro. Ha bisogno di tempo per continuare a scoprire sé stessa, per continuare a sentirsi o ad essere indipendente. Lina e Lenù vivono l’approssimarsi della vecchiaia, della morte, in parallelo, vicine ma ognuna per proprio conto. Lila affoga le sue angosce nel tentativo di scoprire i misteri di Napoli, leggendone e scrivendone, ma solo per sé stessa. Ma quando Elena le chiede di ripensare a questi cinquanta, e poi sessanta anni, e poi quanti altri ancora, ecco che Lila esce fuori con una delle sue frasi che vanno dritte al cuore, al cuore dell’amica e dei problemi: “Stai invecchiando come si deve … hai smesso di essere figlia, sei diventata veramente madre.” Poi le figlie di Elena vanno a vivere all’estero, Elena scrive un’ultima storia sulla sua amicizia con l’amica. Con la speranza che Lila possa finalmente vivere una vita sua, secondo i suoi canoni, che i legacci della vita le avevano impedito di seguire. Speranza vera? Speranza folle? Speranza di due amiche che forse sono entrambi geniali, almeno in alcuni ambiti. Perché come sappiamo, è difficile, forse impossibile, essere geniali, essere intelligenti “a tutto tondo”. Ci saranno sempre per ognuno delle zone d’ombra. Ci sarà sempre qualche pagina di troppo scritta dalla Ferrante per questa storia, che, finalmente, dopo più di 1500 pagine giunge al suo termine. Come ho più volte ripetuto, la scrittrice è potente, è da leggere, è da seguire. Ma solo il secondo di questi quattro libri mi ha coinvolto e convinto. Il resto l’ho letto, e lo rileggerei se non lo avessi fatto. Ma lasciandomi tutte le perplessità del caso. Troppo lontano dalle mie sensazioni il primo libro sull’infanzia, troppo privo delle mie sensazioni questo che dovrebbe parlare degli avvenimenti a me contemporanei. Comunque, sono anche contento che questi libri mi siano stati regalati. Che un pensiero è trapelato tra tutte queste ombre e tutte queste luci. Un pensiero che è mio, e lì rimarrà. Buona fortuna, Ferrante, che in tutto il mondo ormai c’è la “Ferrante fever”.
“Quando la testa mi dice: è meglio che fai in questo modo, lo faccio e non ci penso più. Se ci torni sopra fai solo guai.” (233)
“Ogni rapporto intenso tra esseri umani è pieno di tagliole e se si vuole che duri bisogna imparare a schivarle.” (429)
Indice completo dell’opera “L’amica geniale” (1630 pagine)
PROLOGO                Cancellare le tracce
INFANZIA               Storia di don Achille
ADOLESCENZA         Storia delle scarpe
GIOVINEZZA            Storia del nuovo cognome
TEMPO DI MEZZO     Storia di chi fugge e di chi resta
MATURITÀ               Storia della bambina perduta
VECCHIAIA              Storia del cattivo sangue
EPILOGO                 Restituzione
Patricia Highsmith “Carol” Bompiani euro 10
[A: 25/03/2016 – I: 28/06/2018 – T: 02/07/2018] - &&&&
[tit. or.: Carol or The Price of Salt; ling. or.: inglese; pagine: 284; anno 1952]
Assolutamente da leggere, sia che si sia visto il film con Cate Blanchett, sia che lo si ignori completamenti. Anche se uno conosce la saga di mr. Ripley (soprattutto nella splendida trasposizione che ne fece Wim Wenders, e che vidi con il mio allora cognato al cinema Arlecchino vicino Piazzale Flaminio, ora scomparso) e conosce o meno Patricia, va letto. Anche se uno sa soltanto l’esistenza della splendida idea di “Sconosciuti in treno” che Hitchcock fece diventare il meraviglioso “Delitto per delitto”, va letto. Il secondo libro della scrittrice americana, dopo il precedente degli sconosciuti, invero ebbe difficoltà ad essere pubblicato, per la sua tematica “forte” per gli anni Cinquanta americani. Tanto che la scrittrice preferì utilizzare lo pseudonimo di Claire Morgan, al fine di non essere etichettata come spesso il mondo delle lettere americane fa. Perché dopo gli sconosciuti, era diventata una scrittrice di “gialli”; dopo Carol, sarebbe diventata una paladina LGBT; dopo la saga di Ripley, una scrittrice di “noir psicologici”. Insomma, nessuno avrebbe visto lei come una scrittrice e basta. Pesante, la cappa americana di censura sessuale, che costrinse, moralmente Patricia ad emigrare in Svizzera nel 1982, ed a riconoscersi autrice di questo libro solo nel 1989. Un libro, che come lei stessa dice nella breve post-fazione, riflette l’inizio di una sua personale vicenda: aver visto una splendida donna fare acquisti, mentre lei, Patricia, per guadagnarsi da vivere, faceva la commessa da Bloomingdale nel periodo natalizio in un reparto per bambini. A contatto con i “piccoli mostri”, Patricia prese la varicella, si mise a letto per un mese, e rielaborò la vicenda in questo libro. Che non ha una grande storia, non ha dei grandi passaggi, ma è pieno di amore, di descrizioni delle sensazioni che si provano durante il rapporto tra due persone (vicinanza, lontananza, attrazione, repulsione, ed anche un totale miscuglio di tutto ciò). Therese commessa, vicina a Richard “perché è buono”, ma senza esserne innamorata, viene folgorata da Carol. Che acquista una bambola per la figlia. Therese, essendo vicino il Natale, le manda un biglietto di auguri, e da lì comincia la storia. Da un lato c’è Therese con il mondo maschile: commessa per avere qualche dollaro, ma scenografa, anche con talento, di professione. Non riesce a trovare incarichi, si accompagna con Richard, un amico del quale gli procura un piccolo ingaggio. È abbastanza vicina, con la testa, a Dennie. Ma non è quello il “suo” universo. Certo, è una giovane anche colta, ha letto James Joyce e Gertrude Stein, cita Picasso e Mondrian e Cezanne. Insomma, non è lì per caso. Ma è il caso che le mette Carol davanti. Una donna sposata “per convenzione”, con una figlia che adora ed un ex-marito che vuole il divorzio perché Carol è un po’ “deviante”. Fin da bambina ha avuto, ha una storia con Abby, anche se è più nel ricordo infantile di loro due bambine sui dodici-quattordici anni, che sulla loro vita attuale di trentenni. Ma Abby, pur ormai ex, è sempre presente, la aiuta, la consiglia. Fa anche un esame, suo, alla giovane Therese, che ha 19 anni, è immigrata (quindi straniera), ha vissuto in un orfanotrofio perché abbandonata dalla madre. Ma Therese una volta vista Carol, non ha più altro in mente. Riesce a mandare a quel paese l’inutile Richard. Entra ed esce dagli appuntamenti con Carol, con tutta la leggerezza di una persona innamorata. Finché le due decidono di fare una scorribanda in macchina per le strade americane. Momenti di piena felicità, ma anche di angoscia. Che il marito cattivo le fa pedinare da un investigatore, al fine di usare la sessualità di Carol per toglierle la figlia. Non solo ma per arrivare ad una ordinanza di “completo allontanamento”. Assistiamo all’alternanza, sempre comunque con gli occhi di Therese, tra i suoi momenti soggettivi d’amore, e l’analisi del comportamento degli altri, ed in particolare di Carol. Che, colpita quasi a morte, torna a New York per la causa, lasciando Therese a girellare tra la Iowa ed il Missouri, prima di tornare anche lei A New York, via Illinois e Pennsylvania. Le ultime 40 pagine sono le più intense. Patricia scopre le carte sino in fondo: una lettera di Carol illuminante, i pensieri di Therese che sta maturando, la delusione che prova vedendo Carol “costretta” a scegliere tra lei e la figlia. Fino ad un finale che finalmente non vi svelo. Avete visto il film? Lo conoscete. Non lo conoscete? Leggete il libro. Una maestria di parole, a volte acerbe (l’autrice è anche lei under 30). Ma che svelano, e con il suo cuore in mano, tutta la vita di Patricia. Quella prima e quella futura fino alla morte più che settantenne in una Svizzera più tollerante dell’intollerante, ingiusta, impossibile America.
“Cosa fa di una commedia un classico? … Un classico è qualcosa che ha alla base una situazione umana.” (157)
Ancora alle prese con tutte le sistemazioni di case e cose, ancora alle prese con scuse che girano e che non riesco a far partire. Ancora alle prese con una programmazione prossima ventura che non mi dà serenità. Ma sempre con qualche amico da incontrare e salutare (vero Vito?). E tanti altri da abbracciare e salutare.

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