Antonio
Manzini “Cinque indagini romane per Rocco Schiavone” Sellerio euro 14
[A:
21/10/2016 – I: 08/04/2018 – T: 12/04/2018] - && e ½
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 244; anno 2016]
Come
anticipavo parlando dei sei casi dei vecchietti del BarLume, eccoci allora alla
raccolta antologica di alcuni sprazzi della vita romana del vicequestore
Schiavone, prima di essere trasferito (sapremo mai bene il perché?) in quel di
Aosta. Come nei racconti di Malvaldi, anche qui il giallo compare poco, forse
bene solo nel quarto. Il secondo invece, è il primo scritto che ho letto delle
avventure di Rocco, e non è un caso che nei commenti del 2014 il personaggio mi
pone delle domande, cui ora so rispondere. Ma nel complesso, seppur chiariscono
alcuni aspetti del vicequestore romano, i racconti non hanno una grande presa.
Sarebbero quasi arrivati alla sufficienza, se non fosse stato inserito il
quinto che ritengo veramente poco utile, forsanche dannoso.
Da
“Capodanno in giallo (2012)”: “L’accattone”
La
prima uscita in assoluto, quella che doveva servire a vedere se il personaggio
“tiene”. Sembra di sì, tanto che l’anno successivo esce il primo romanzo
(“Pista nera”). Allora, Manzini in queste prime battute cerca di dare un
profilo al “futuro” Rocco: romano, trasteverino, giovinezza sbandatella con
amici ai margini. Quindi Rocco è un po’ arrogante, spesso legato allo spinello
(che ne caratterizzerà l’uscita in televisione), incline a buttare un occhio
verso le donne (in particolare verso l’agente Dobrilla). Ma anche umano
nell’entrare empaticamente in sintonia con i personaggi. Come questi “poveri”,
sbandati che raccolgono frutta e verdura nell’ora di chiusura del mercato
rionale, che invecchiano e non sanno più badare a sé stessi. Magari qualcuno
comincia anche ad essere affetto da Alzheimer o simili senilità. Per essere un
giallo abbiamo sì il morto, abbiamo delle indagini che ricostruiscono spaccati
al limite della legalità, ed una soluzione, ovvia anche se decisamente triste.
Comunque si capisce che il personaggio può funzionare. Quindi andiamo avanti.
Da
“Ferragosto in giallo (2013)”: “Le ferie di agosto” (ne scrissi nel 2014)
Questo
è l’unico che avevo già letto. Come scrissi nel 2014, quando ne parlai: Qui è tutto un mistero. Ma non la storia,
bensì il protagonista, il commissario Rocco Schiavone, di cui nulla sapevo
prima [mentre adesso ne so], e che rimane adombratamente misterioso anche qui.
Mi sembra di capire che abbia (abbia avuto) una donna, che o è morta o l’ha
lasciato (non si evince), e mi sembra che Rocco indulga con piacere verso le
belle donne. Qui abbiamo una macchina che sfonda una banca, sembra per una
rapina, ferendo due impiegati, e, soprattutto, un’anziana signora che stava
facendo le pratiche per la chiusura dei conti. Non ci mette molto, il nostro, a
collegare la macchina fintamente rubata ad un ladruncolo, compagno di scuola
del direttore di banca, sicuramente danneggiato dalla chiusura dei suddetti
conti. Qualche pennellata qua e là, e finale al mare, con Rocco, i suoi amici,
nonché la moglie del direttore di banca di cui sopra. Scarsamente coinvolgente.
Da
“Regalo di Natale (2013)”: “Buon natale, Rocco!”
Andando
avanti nelle storie, si precisano meglio i contorni del giallo, le presenze del
“mondo Schiavone” e le sue capacità investigative, sempre surrogate da qualche
conoscenza ai limiti della legge. Anche qui, come nel primo, abbiamo un morto.
Anzi due. Due coniugi uccisi in casa. Con la passione di orologi costosi (e se
ne citano alcuni, che forse dovrei chiedere ad Aldo e Michela che meglio se ne
intendono, visto che io non ne posseggo uno dal 1971). Con due figli, uno
emarginato e tossicodipendente. L’altro che vive a Torino e gestisce una
piccola azienda. Come spesso in Manzini, la soluzione più ovvia non è quella
giusta. Ma il nostro, nonostante il Natale (che odia) e l’influenza riesce a
risolvere brillantemente il caso. Dopodiché, poiché è uscito il primo romanzo,
e sappiamo dove sia stato trasferito, in finale arriverà anche la lettera con
la destinazione punitiva: Aosta. Perché punito? Come dice Rocco, è un segreto,
e lui li sa mantenere.
Da
“Carnevale in giallo (2014)”: “La ruzzica de li porci”
Questo
lo ritengo il migliore, ambientato proprio nel cuore della Roma popolare, un
corpo martoriato trovato nel Monte dei Cocci a Testaccio. Di certo, aumenta il
mio gradimento camminare con Rocco e con Antonio per via Marmorata, girare
intorno al Cimitero degli Inglesi, salire verso via delle Zoccolette ed il
Monte di Pietà. Che il morto era uno che prestava soldi dietro pegni, anche se
non un tipico “cravattaro”. Ma dopo averci fatto imboccare la strada dei pegni
e del ricatto, Rocco ci descrive la morte atroce del suddetto, così come
facevano gli antichi per punire delitti d’onore. Gettandoli giù dal monte
(ruzzolando, da cui “ruzzica”) come maiali (“porci”). Si ricostruisce il
passato del morto, i collegamenti, gli amori, ed altri contorni. Con una prosa
che sale di tono e di piacere.
Da
“Vacanze in giallo (2014)”: “Rocco va in vacanza”
Piacere
che cade a livelli da miniera di diamanti (centinaia di metri sottoterra), in
quest’ultimo bozzetto. Apprezzabile solo perché mostra la sua insofferenza
verso i soprusi. Ma è poca cosa e lo avrei decisamente eliminato.
Alla
fine sono cinque racconti, che ho letto durante piccoli spostamenti in
metropolitana, vuoi per comprare mobili per la casa di campagna vuoi per andare
al cinema. Comunque, a parte l’ultimo che come ho detto poteva essere omesso,
il resto è leggibile, anche se mantiene un basso profilo ed una bassa resa. Ma
noi sappiamo di più su Rocco, ed altre sue letture ci attendono.
“Roma. La sua città. Dov’era nato, a
Trastevere, vicolo del Bologna, dov’erano nati i suoi genitori, i suoi nonni.”
(17) [e dove, a vicolo del Bologna, accanto al forno che non c’è più, nacque
mio padre]
Maurizio
De Giovanni “L’ultimo passo di tango” BUR s.p. (Natalino di Otto)
[A:
25/12/2017 – I: 20/05/2018 – T: 25/05/2018] - &
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 455; anno 2017]
Anche se il libro non mi è piaciuto, ringrazio
sentitamente Otto del regalo, sempre gradito e sempre sfidante (trovare un
libro non ancora presente nella mia biblioteca) e dedicato ad un autore che,
scoperto molti anni fa quando veleggiava sotto l’egida di Fandango, mi è sempre
e comunque piaciuto leggere. Ma leggere di De Giovanni è un conto, leggere dei
suoi romanzi un secondo passo, leggere i racconti si è rivelata una grossa
fatica ed una delusione. Sapete com’è ovvio che i racconti sono sempre in fondo
alla mia scala di valori di leggibilità, eppur tuttavia ce ne sono di belli ed
imperdibili. Qui si comincia con quel sottotitolo “Tutti i racconti”, che, come
i CV dei nostri politici, dice la verità, ma non tutta. Ad esempio, dov’è quel
bellissimo “Maradona è meglio ‘e Pelé”? Tanto per dirne uno. Quindi, molti
racconti, certo, ma non “tutti”. L’unico tutti è la prima parte, quella che
stava facendo veleggiare verso buone prospettive il libro, dove sono raccolti
questi sì tutti, i racconti del Commissario Ricciardi. Anche i tre del già a
suo tempo letto contenuti ne “Il delitto Carosino”, e di cui parlai nel lontano
dicembre del 2013. Ma tolto il velo su tutti, veniamo alla struttura
dell’antologia dell’autore. Che si divide in quattro parti, ben distinte: “Il
commissario Ricciardi”, “Anime”, “Napoli e altrove” e “Nove volte per amore”.
Quattro parti con una ben diversa resa. La prima è la meglio riuscita, ovvio,
laddove si muove il personaggio principe dell’autore. Anche se, più che una
serie di racconti, sono una specie di filo rosso, che lega Ricciardi ed il suo
sodale, il medico Bruno Mondo, ad un lungo pomeriggio al Gambrinus, tra caffè e
sfogliatelle, con passaggi laterali, come quello del brigadiere Maione. E le
divagazioni che coinvolgono Erica, l’amata da lontano del condominio di fronte,
Rosa, la tata anziana, e Livia, improvvisa presenza e forse qualcosa di più
nello svolgimento delle vicende. Mentre Mondo e Ricciardi parlano, si narrano
vicende, ed ognuno degli interpreti ne narra una sua. E Ricciardi, tra l’una e
l’altra, trova il modo di dire, a chi non lo conosce, la sua storia. Che è
troppo nota perché ne ripeta qui anche sommariamente i tratti. Una dozzina di
veloci scorribande nella Napoli degli anni Trenta, non sempre ben orchestrate,
ma di buon impianto e gradevole lettura. Così come gradevole è la terza parte,
dove si scorribanda per Napoli, e per alcuni caposaldi cittadini e non solo.
Tanto che il racconto più riuscito è il primo “La beffa della cena, ovvero:
piccolo manuale di sopravvivenza nell’intrattenimento in piedi”. Che potrebbe
svolgersi ovunque, e che segue passo dopo passo la discesa verso l’inferno di
un party in piedi, dall’invito all’ubriacatura finale. Anche gli altri brani di
queste sezioni hanno un discreto grado di leggibilità, anche se rimangono
sempre su quel tono poco simpatico, tipo: “ora vi racconto una cosa e voi
dovete rimanere a bocca aperta”. La seconda parte, invece, è piena zeppa di
bozzetti, di piccole cose, di descrizioni, di sensazioni, ma tutte o molto
brevi o poco profonde o entrambe. Le “anime” di De Giovanni non scendono sulla
terra, e nel loro empireo non ci fanno di certo compagnia. Ma se queste tre
parti potevano mantenere un livello, tra leggibilità e simpatia, di un veleggio
intorno alla sufficienza, l’ultima parte fa precipitare il libro nella più nera
disperazione. De Giovanni, quasi con alterigia, e con l’idea che solo uno
scrittore possa riportare fedelmente quanto avviene nella cronaca nera (ma
preferisco mille volte un articolo di Piero Colaprico o Massimo Lugli,
giornalisti-scrittori, a queste fantasie di uno scrittore-giornalista
improvvisato), si cimenta nel ripercorrere i grandi casi di questi ultimi anni.
Ne scrive quasi sempre dalla parte di uno dei protagonisti, ma rasenta la più
completa insoddisfazione di me lettore quando si cala nei panni di Erika De
Nardo che racconta il delitto suo e di Omar, o in quelli di Raffaela e Amanda
che uccidono Meredith, o in quelli di Annamaria Franzoni del delitto di Cogne.
Per terminare (anche se non in ordine cronologico ma di pessimizzazione) con le
“confessioni” della moglie di Massimo Bosetti, quello dell’omicidio di Yara Gambirasio.
Una sezione, che credo sia stata anche pubblicata come libro autonomo, che fa
precipitare la già traballante storia di questo libro, verso l’illeggibilità
totale. Se volete comprarlo, leggete di Ricciardi, e poi chiudetelo. E se,
nonostante tutte le mie notiziole, avete l’ardire di leggere le prime tre
parti, evitate l quarta. Se poi, sprezzanti, ne leggete, scrivetemi per farmi
sapere perché non ho capito nulla, perché è bella invece che inutile, o altre
amenità. Per affetto ho letto e leggerò ancora di De Giovanni, ma dopo “I
Guardiani” e dopo questi racconti la mia salda determinazione comincia a
vacillare.
Autori
Vari “Un anno in giallo” Sellerio s.p. (Regalo di Alessandra)
[A:
25/12/2017 – I: 19/05/2018 – T: 27/05/2018] - &&&&
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano-turco-spagnolo; pagine: 532; anno 2017]
Pur accostandomi con la consueta reticenza ai libri
di racconti, devo dire che anche questo (come il precedente “Viaggiare in
giallo”) sarà per la collana, sarà per gli autori, sarà per la formula, mi è
piaciuto. Piaciuto leggerne le brevi indagini (anche se non sempre molto
“noir”) e divertito il modo che si è scelto per concatenare i racconti. Non
tanto quell’andamento mensile, dove ogni racconto è per l’appunto legato ad un
mese, dal gennaio di Camilleri che comincia con la Befana al dicembre di
Manzini, che termina verso Natale. Ma per quei piccoli rimandi interni che
legano un racconto ai protagonisti di quello successivo, quasi fosse una
riedizione trasversale del “Doppio sogno” di Schnitzler. Inizia Camilleri, con
Salvo che in un ristorante nuovo dove cerca di passare del tempo per pensare
all’indagine, incontra Suleima e Saverio, gli amanti quasi detective di
Savatteri. Poi il padre di Saverio, di sfuggita, cita come avvocato che smonta
le confessioni di criminali poco credibili, l’emigrata a Londra Cornelia Zac.
La quale è l’eroina del primo giallo, anche se poco convincente, di Simonetta
Agnello Hornby. Dove Cornelia, che non riesce a dormire, legge un libro
consigliatole da un biblioterapeuta romano, Vince Corso. Il quale in un bar di
via Merulana incontra Ampelio, il nonno del barrista di Malvaldi. Massimo che,
nella lettura di un giornale al bar, fa una citazione di striscio, parlando di
una conferenza su Bob Dylan tenuta da Carlo Monterossi, lo stralunato
protagonista dei libri di Robecchi. Che a sua volta, nel suo racconto, dove
Carlo non figura, ma si parla dei due killer del libro numero due arriva nel
finale a far parlare il commissario che sta indagando sugli omicidi che
annuncia al mitico trasformista Ghezzi, l’arrivo di una nuova collega: Angela
Mazzola, protagonista del racconto di Costa. Angela Mazzola che, in un momento
di vacanza dalle indagini, incontra alle Eolie, Kati Hirschel, la libraia
turco-tedesca di Esmahan Aykol. Kati che nel suo racconto viene sorpresa dalle
parole della sua aiutante che la deve lasciare per tornare a casa e leggere
l’ultimo libro delle imprese di Pedra Delicado. Dove, nel suo racconto, Alicia
fa dire all’aiutante di Pedra che ha incontrato in crociera due simpatici
milanesi, che non sono altro che due abitanti delle case di ringhiera di
Recami. Case di ringhiera dove l’anziano Luigi rischia di essere rapinato da un
ineffabile Lorenzo La Marca, esimio professore delle storie di Santo Piazzese.
Storie che si dipanano intorno alle indagini del commissario Spotorno, che
riceve una busta da un suo pari grado romano: busta con spinello inviata
dall’ottimo Rocco Schiavone. Rocco che per tutta l’indagine ha la febbre (o
sostiene di averla) ed allora il suo sottoposto, per distrarlo gli porta da
leggere un giallo di Montalbano. Così siamo tornati all’inizio del carosello.
Certo, i dodici racconti non sono della stessa fattura, ed io metterei in primo
piano Camilleri, Stassi e Manzini. Poco distanti seguono Savatteri e Malvaldi.
Gli altri in ordine sparso, lasciando il lumicino dell’ultimo posto a Simonetta
e Esmahan. Comunque è un libro ben fatto, ben articolato, di sicura lettura. E
di buona resa.
Andrea Camilleri
“La calza della befana” (11-46)
In linea con il Camilleri di buona fattura. Con una
buona empatia finale, un po’ alla Maigret. Il nostro sta invecchiando, e si
sente. Anche se lo fa bene.
Gaetano Savatteri
“I colpevoli sono matti” (49-104)
Non ho letto nulla, ma mi intriga questo Saverio
Lamanna con i suoi arzigogoli (mitico quando interrompe il lavoro di pittura
non pagato per l’amica Marilù adducendo come scusa: “Devo andare a rileggere
‘Salario, prezzo e profitto” di Marx). La storia inoltre regge abbastanza.
Simonetta Agnello
Hornby “Le strade sono di tutti” (107-149)
Interessanti alcuni spunti, mutuati credo dall’esperienza
della scrittrice presso i centri di accoglienza dell’infanzia maltrattata a
Londra, mestiere che Simonetta ha fatto per anni prima di uscire
prepotentemente anche come autrice. Ma il giallo in sé è invece poco
convincente.
Fabio Stassi “Per
tutte le altre destinazioni” (153-188)
Superlativa
la figura di Vince Corso, dell’invenzione del mestiere di biblioterapeuta e di tutti
riferimenti letterari cui è infarcita la storia. Non credo sia un caso che
Stassi sia stato il curatore italiano di quel libro che tengo sempre aperto
vicino al computer “Curarsi con i libri”. Intanto, al libro di Garcia Marquez ero
arrivato prima che lo dicesse lui. Un unico appunto: è vero che uno dei miei
miti, il cantante francese si chiama George Charles Brassens, ma citarlo solo
come Charles mi è sembrato un delitto. Come se citassi Angelo Fo, al posto di
Dario.
Marco Malvaldi “Voi, quella notte, voi
c’eravate” (191-229)
Sempre
piacevole l’ondivagare dei vecchi della pinetina e del buon Massimo. Si procede
nelle storie, il bar si allarga, il ristorante dell’amico si apre e si chiude e
poi si riapre. Il Rimediotti ha un suo buon momento, che sta sempre in
disparte. Forse poco incisivo, ma all’amore non si discute.
Alessandro Robecchi “Doppio misto” (233-272)
Abbandonato,
spero solo per il racconto, l’epica del buon Carlo, seguiamo i problemi
deontologici dei due killer professionisti ingaggiati da un marito ed una
moglie con l’incarico ognuno di uccidere l’altro della coppia.
Gian Mauro Costa “Il divo di Ballarò” (275-310)
Anche
di Costa ho poco, ma qui mi è piaciuto l’arrivo della poliziotta Mazzola,
nonché dell’atmosfera palermitana di Ballarò e dintorni. Dovrò approfondire lo
scrittore.
Esmahan Aykol “Macchie gialle” (313-354)
[tit. or.: Sari nokta; lingua: turco; anno 2017]
Fa
piacere solo il tanto parlare di Istanbul, dei suoi minareti e di tutta la
città che sempre mi rimane nel cuore. Inoltre la mamma di Kiti ha una macula
oculare proprio come aveva mia madre! Ma la storia ha poco sugo e niente
giallo.
Alicia Giménez-Bartlett “Quando viene
settembre” (357-402)
[tit. or.: Cuando llega septiembre; lingua: spagnolo; anno 2017]
Una
onesta prova di passaggio, con Pedra al meglio delle sue possibilità, in attesa
di leggere delle sue ultime avventure con il serial killer. Molto ambiante, ed
una storia che si tiene, anche se la soluzione appare lampante dalle prime
battute.
Francesco Recami “Ottobre in giallo a Milano”
(405-445)
Una
ringhiera in minore, tutta incentrata sulle paure di essere raggirato del
vecchio Luigi. I soliti incastri di micoravvenimenti, ma non molto intriganti.
E poi manca l’amato Consonni. Trovo inoltre fuorviante tacciare il Lorenzo di
Piazzese di essere diventato un esperto truffaldino.
Santo Piazzese “Quanti dì conta novembre?”
(449-486)
Storia
di olive e di raccolti, ben scritta e rappresentata, ma poco avvincente.
Antonio Manzini “L’eremita” (489-532)
Finalmente
una storia aostana del nostro Rocco (un racconto cioè, dopo la serie infinita
di racconti romani). Con un giallo di buona fattura, con le smanie di
Rocco-Giallini tra febbre ed ipocondria. Una degna chiusura di un buon libro di
racconti.
“Dürrenmatt non scrive gialli, ma
capolavori.” (100) [concordo al 100%]
“Che non ci fosse nessuna libertà, alla fine
del lavoro, lo sapevo già. La libertà bisogna prendersela prima.” (165) [o
cominciare a prendersela e portarla avanti prima e dopo]
Maurizio
De Giovanni “Sara al tramonto” Rizzoli s.p. (Regalo della signora Laura)
[A:
07/05/2018 – I: 29/05/2018 – T: 01/06/2018] - && e ¾
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 360; anno 2018]
Un
gradito regalo di compleanno, che, fortunatamente, riporta leggermente verso
l’alto le quotazioni del buon De Giovanni che stavano precipitando alquanto.
Non solo per il precedente libro di racconti, di cui ho sopra parlato, ma anche
per quel poco leggibile “I guardiani” che spero non avrà seguito (non sempre
tutte le serie iniziate da un buon autore ha senso si proseguano). Anche questa
sembra (o si ipotizza) possa essere la prima uscita di una nuova serie, con la
misteriosa Sara Morozzi detta Mora a fare da filo conduttore. Devo dire che
l’inizio è stato molto faticoso. Non decollava, si stava incartando in momenti
descrittivi poco significativi (o poco coinvolgenti, che è la stessa cosa),
sembrava ripercorrere le strade de “I guardiani” con inserti corsivati che
volevano dire cose auliche ma che riescono soltanto a far perdere il filo. Poi,
anche se con fatica, la trama prende una sua decisa impronta sul sentiero di
uno svolgimento in pianura, se non in discesa. Veniamo così a conoscere la
storia di Sara che, come tutti i personaggi principali di De Giovanni ha una
qualche particolarità. Ricordo le belle storie, che da tempo non ritrovo, del
commissario Ricciardi e del suo vedere gli ultimi istanti di vita dei morti di
morte violenta. Sara, dopo anni di lavoro nelle squadre speciali, ha la
capacità di leggere le parole sulla bocca e sui gesti delle persone, quasi
queste avessero microfoni nascosti e lei auricolari sensibili. Capacità di
certo in aiuto quando lavorava a sgominare il crimine, ma che anche ora può
dare i suoi frutti. Ora che ci racconta la parabola della sua vita: ad un certo
punto, entrata in squadra, viene colpita da un fulmine irresistibile che la
travolge d’amore per il suo capo. Per questo lascia marito e figlio, va a
vivere da sola, e poi, quando Massimiliano se ne accorge, vive un’intensa
storia d’amore con lui. Sempre sull’orlo del baratro, che comunque Massi è il
suo capo. Sempre in combutta con la sua amica e alter-ego Teresa Pandolfi detta
la Bionda. Fino a che Massi muore di un male incurabile (ancora, ma c’è sempre
in tutti gli ultimi libri che leggo…), e Sara si ritira nell’ombra.
Ristabilendo contatto solo con Viola, la compagna del figlio che, poco prima
dell’inizio del racconto, muore in un incidente stradale, lasciando Viola sola
ed incinta. Certo, mi sto già addentrando nel racconto, ma come farne a meno?
Troppa la volontà di condivisione (e forse, come dice il mio amico che non
nomino, ma cui voglio bene, troppo poca la capacità di estrapolazione critica).
In ogni caso, Massimiliano morto, ed ogni tanto ritornante in quei corsivi che
ho già criticato in tutta l’opera di Andrea Manzini e del suo Rocco, Viola
incinta, Teresa nuovo capo, e mistero da indagare. Un tal capitano d’industria
è morto un anno prima, pare ucciso dalla figlia, dedita a droghe pesanti.
Figlia che, condannata, lascia la piccola Bea in balia del fratello e della
cognata. Figlia che chiama l’ispettore Pardo perché preoccupata della salute di
Bea. Qui entra anche in scena Davide Pardo, bravo, diligente, sempre un po’ in
ritardo sui tempi, padrone, non volente, di un cane di razza “bovaro del
bernese” (un cucciolotto di circa 50 chilogrammi…). Davide fa un po’ da
macchietta, per contrastare la serietà di Sara, la sua rettitudine, il suo fare
sempre la cosa giusta, ma con una freddezza glaciale (il lettore smaliziato
dirà, certo, dopo tuti quello che ha passato…). Così Sara e Davide cominciano
questa indagine non ufficiale per capire se realmente Bea stia soffrendo e
deperendo e perché. Inavvertitamente, quasi per un’inerzia nascosta, alle
indagini si associa anche la nuora Viola, pur con il pancione. Sara vede la
madre carcerata, incontra il fratello, incontra la cognata, ed incontra Bea.
Ogni volta, più che le parole, legge il linguaggio dei corpi, e ci comunica chi
mente e chi dice la verità. Non certo dove ed in che punto mente, Sara non è
magica, solo molto intelligente. Tanto che ci si domanda se farà mai qualche
sbaglio. La cosa che i nostri tre riescono a delucidare è che si, Bea non sta
bene. E Sara si spinge oltre, affermando che la malattia non è conseguenza ma
concausa della morte del nonno. Ma a questo punto si erge drammatico lo scontro
tra la Bionda e la Mora. Perché, come, cosa sta succedendo, quali altri rivoli
nascosti ci sono lascio a voi il piacere di scoprirlo. Come vi lascio alla
risoluzione delle indagini, al ruolo di Davide e Viola, ai motivi della morte
di Giorgio (e questo chi è? Ma leggete il libro, no?). il mio commento è un
piacevole scorrere degli avvenimenti, dopo le prime 50-60 pagine che ancora non
mi convincevano. Certo, anche altre cose non sono rodate, non c’è quella
bellezza delle prime avventure del commissario Ricciardi, né dei bastardi di
Pizzofalcone. Ma qualcosa gira meglio nella penna di De Giovanni. Alla cui
lettura si torna sempre con gradimento.
“Dicono che essere nonni sia molto più bello
di essere genitori.” (331)
Eccoci
ai libri letti in giugno. Direi un mese discreto con 12 letture gradevoli, di
cui solo una sotto la sufficienza (il solito Smith un po’ ripetitivo) e due
belle uscite, che meritano anche di più: una saga indo-birmana di Ghosh ed uno
dei migliori volumi dei romanzi di Maigret.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Maurizio De Giovanni
|
Sara al tramonto
|
Rizzoli
|
s.p.
|
3
|
2
|
Amitav Ghosh
|
Il palazzo degli specchi
|
Beat
|
11
|
4
|
3
|
Patrizia Morlacchi
|
Hanno ammazzato il guercio
|
Repubblica Italia Noir
|
7,90
|
3
|
4
|
Luke Rhinehart
|
L’uomo dei dadi
|
Marcos y Marcos
|
12
|
3
|
5
|
Patricia Cornwell
|
Carne e sangue
|
Mondadori
|
14
|
2
|
6
|
Georges Simenon
|
Tre camere a Manhattan
|
Adelphi
|
12
|
3
|
7
|
Elena Ferrante
|
Storia della bambina perduta
|
E/O
|
s.p.
|
3
|
8
|
Emanuele Bissattini
|
Glock 17 – La pazienza dell’odio
|
Round Robin
|
s.p.
|
3
|
9
|
Wilbur Smith
|
Stirpe di uomini
|
TEA
|
6,90
|
2
|
10
|
Pierluigi Panza
|
La croce e la
sfinge
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
11
|
Georges Simenon
|
I Maigret – 12
|
Adelphi
|
s.p.
|
4
|
12
|
Metin Arditi
|
Il Turchetto
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
Come sapete da altre mi missive, e dal fatto
che stia qui a scrivervi, non sono in California. Né altrove. Certo, un po’ di
Soriano per cercare di finire entro il mese di settembre (speriamo!). Ed anche
qualche incontro-riunione con amici e viaggiatori. Per il resto non posso esimermi
dal pensare e mandare un abbraccio a tutti i gli amici che compleannavano in
quel di Agosto.
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