domenica 2 settembre 2018

Rocco è sempre meglio - 02 settembre 2018


Antonio Manzini “Cinque indagini romane per Rocco Schiavone” Sellerio euro 14
[A: 21/10/2016 – I: 08/04/2018 – T: 12/04/2018] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 244; anno 2016]
Come anticipavo parlando dei sei casi dei vecchietti del BarLume, eccoci allora alla raccolta antologica di alcuni sprazzi della vita romana del vicequestore Schiavone, prima di essere trasferito (sapremo mai bene il perché?) in quel di Aosta. Come nei racconti di Malvaldi, anche qui il giallo compare poco, forse bene solo nel quarto. Il secondo invece, è il primo scritto che ho letto delle avventure di Rocco, e non è un caso che nei commenti del 2014 il personaggio mi pone delle domande, cui ora so rispondere. Ma nel complesso, seppur chiariscono alcuni aspetti del vicequestore romano, i racconti non hanno una grande presa. Sarebbero quasi arrivati alla sufficienza, se non fosse stato inserito il quinto che ritengo veramente poco utile, forsanche dannoso.
Da “Capodanno in giallo (2012)”: “L’accattone”
La prima uscita in assoluto, quella che doveva servire a vedere se il personaggio “tiene”. Sembra di sì, tanto che l’anno successivo esce il primo romanzo (“Pista nera”). Allora, Manzini in queste prime battute cerca di dare un profilo al “futuro” Rocco: romano, trasteverino, giovinezza sbandatella con amici ai margini. Quindi Rocco è un po’ arrogante, spesso legato allo spinello (che ne caratterizzerà l’uscita in televisione), incline a buttare un occhio verso le donne (in particolare verso l’agente Dobrilla). Ma anche umano nell’entrare empaticamente in sintonia con i personaggi. Come questi “poveri”, sbandati che raccolgono frutta e verdura nell’ora di chiusura del mercato rionale, che invecchiano e non sanno più badare a sé stessi. Magari qualcuno comincia anche ad essere affetto da Alzheimer o simili senilità. Per essere un giallo abbiamo sì il morto, abbiamo delle indagini che ricostruiscono spaccati al limite della legalità, ed una soluzione, ovvia anche se decisamente triste. Comunque si capisce che il personaggio può funzionare. Quindi andiamo avanti.
Da “Ferragosto in giallo (2013)”: “Le ferie di agosto” (ne scrissi nel 2014)
Questo è l’unico che avevo già letto. Come scrissi nel 2014, quando ne parlai: Qui è tutto un mistero. Ma non la storia, bensì il protagonista, il commissario Rocco Schiavone, di cui nulla sapevo prima [mentre adesso ne so], e che rimane adombratamente misterioso anche qui. Mi sembra di capire che abbia (abbia avuto) una donna, che o è morta o l’ha lasciato (non si evince), e mi sembra che Rocco indulga con piacere verso le belle donne. Qui abbiamo una macchina che sfonda una banca, sembra per una rapina, ferendo due impiegati, e, soprattutto, un’anziana signora che stava facendo le pratiche per la chiusura dei conti. Non ci mette molto, il nostro, a collegare la macchina fintamente rubata ad un ladruncolo, compagno di scuola del direttore di banca, sicuramente danneggiato dalla chiusura dei suddetti conti. Qualche pennellata qua e là, e finale al mare, con Rocco, i suoi amici, nonché la moglie del direttore di banca di cui sopra. Scarsamente coinvolgente.
Da “Regalo di Natale (2013)”: “Buon natale, Rocco!”
Andando avanti nelle storie, si precisano meglio i contorni del giallo, le presenze del “mondo Schiavone” e le sue capacità investigative, sempre surrogate da qualche conoscenza ai limiti della legge. Anche qui, come nel primo, abbiamo un morto. Anzi due. Due coniugi uccisi in casa. Con la passione di orologi costosi (e se ne citano alcuni, che forse dovrei chiedere ad Aldo e Michela che meglio se ne intendono, visto che io non ne posseggo uno dal 1971). Con due figli, uno emarginato e tossicodipendente. L’altro che vive a Torino e gestisce una piccola azienda. Come spesso in Manzini, la soluzione più ovvia non è quella giusta. Ma il nostro, nonostante il Natale (che odia) e l’influenza riesce a risolvere brillantemente il caso. Dopodiché, poiché è uscito il primo romanzo, e sappiamo dove sia stato trasferito, in finale arriverà anche la lettera con la destinazione punitiva: Aosta. Perché punito? Come dice Rocco, è un segreto, e lui li sa mantenere.
Da “Carnevale in giallo (2014)”: “La ruzzica de li porci”
Questo lo ritengo il migliore, ambientato proprio nel cuore della Roma popolare, un corpo martoriato trovato nel Monte dei Cocci a Testaccio. Di certo, aumenta il mio gradimento camminare con Rocco e con Antonio per via Marmorata, girare intorno al Cimitero degli Inglesi, salire verso via delle Zoccolette ed il Monte di Pietà. Che il morto era uno che prestava soldi dietro pegni, anche se non un tipico “cravattaro”. Ma dopo averci fatto imboccare la strada dei pegni e del ricatto, Rocco ci descrive la morte atroce del suddetto, così come facevano gli antichi per punire delitti d’onore. Gettandoli giù dal monte (ruzzolando, da cui “ruzzica”) come maiali (“porci”). Si ricostruisce il passato del morto, i collegamenti, gli amori, ed altri contorni. Con una prosa che sale di tono e di piacere.
Da “Vacanze in giallo (2014)”: “Rocco va in vacanza”
Piacere che cade a livelli da miniera di diamanti (centinaia di metri sottoterra), in quest’ultimo bozzetto. Apprezzabile solo perché mostra la sua insofferenza verso i soprusi. Ma è poca cosa e lo avrei decisamente eliminato.
Alla fine sono cinque racconti, che ho letto durante piccoli spostamenti in metropolitana, vuoi per comprare mobili per la casa di campagna vuoi per andare al cinema. Comunque, a parte l’ultimo che come ho detto poteva essere omesso, il resto è leggibile, anche se mantiene un basso profilo ed una bassa resa. Ma noi sappiamo di più su Rocco, ed altre sue letture ci attendono.
“Roma. La sua città. Dov’era nato, a Trastevere, vicolo del Bologna, dov’erano nati i suoi genitori, i suoi nonni.” (17) [e dove, a vicolo del Bologna, accanto al forno che non c’è più, nacque mio padre]
Maurizio De Giovanni “L’ultimo passo di tango” BUR s.p. (Natalino di Otto)
[A: 25/12/2017 – I: 20/05/2018 – T: 25/05/2018] - &
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 455; anno 2017]
Anche se il libro non mi è piaciuto, ringrazio sentitamente Otto del regalo, sempre gradito e sempre sfidante (trovare un libro non ancora presente nella mia biblioteca) e dedicato ad un autore che, scoperto molti anni fa quando veleggiava sotto l’egida di Fandango, mi è sempre e comunque piaciuto leggere. Ma leggere di De Giovanni è un conto, leggere dei suoi romanzi un secondo passo, leggere i racconti si è rivelata una grossa fatica ed una delusione. Sapete com’è ovvio che i racconti sono sempre in fondo alla mia scala di valori di leggibilità, eppur tuttavia ce ne sono di belli ed imperdibili. Qui si comincia con quel sottotitolo “Tutti i racconti”, che, come i CV dei nostri politici, dice la verità, ma non tutta. Ad esempio, dov’è quel bellissimo “Maradona è meglio ‘e Pelé”? Tanto per dirne uno. Quindi, molti racconti, certo, ma non “tutti”. L’unico tutti è la prima parte, quella che stava facendo veleggiare verso buone prospettive il libro, dove sono raccolti questi sì tutti, i racconti del Commissario Ricciardi. Anche i tre del già a suo tempo letto contenuti ne “Il delitto Carosino”, e di cui parlai nel lontano dicembre del 2013. Ma tolto il velo su tutti, veniamo alla struttura dell’antologia dell’autore. Che si divide in quattro parti, ben distinte: “Il commissario Ricciardi”, “Anime”, “Napoli e altrove” e “Nove volte per amore”. Quattro parti con una ben diversa resa. La prima è la meglio riuscita, ovvio, laddove si muove il personaggio principe dell’autore. Anche se, più che una serie di racconti, sono una specie di filo rosso, che lega Ricciardi ed il suo sodale, il medico Bruno Mondo, ad un lungo pomeriggio al Gambrinus, tra caffè e sfogliatelle, con passaggi laterali, come quello del brigadiere Maione. E le divagazioni che coinvolgono Erica, l’amata da lontano del condominio di fronte, Rosa, la tata anziana, e Livia, improvvisa presenza e forse qualcosa di più nello svolgimento delle vicende. Mentre Mondo e Ricciardi parlano, si narrano vicende, ed ognuno degli interpreti ne narra una sua. E Ricciardi, tra l’una e l’altra, trova il modo di dire, a chi non lo conosce, la sua storia. Che è troppo nota perché ne ripeta qui anche sommariamente i tratti. Una dozzina di veloci scorribande nella Napoli degli anni Trenta, non sempre ben orchestrate, ma di buon impianto e gradevole lettura. Così come gradevole è la terza parte, dove si scorribanda per Napoli, e per alcuni caposaldi cittadini e non solo. Tanto che il racconto più riuscito è il primo “La beffa della cena, ovvero: piccolo manuale di sopravvivenza nell’intrattenimento in piedi”. Che potrebbe svolgersi ovunque, e che segue passo dopo passo la discesa verso l’inferno di un party in piedi, dall’invito all’ubriacatura finale. Anche gli altri brani di queste sezioni hanno un discreto grado di leggibilità, anche se rimangono sempre su quel tono poco simpatico, tipo: “ora vi racconto una cosa e voi dovete rimanere a bocca aperta”. La seconda parte, invece, è piena zeppa di bozzetti, di piccole cose, di descrizioni, di sensazioni, ma tutte o molto brevi o poco profonde o entrambe. Le “anime” di De Giovanni non scendono sulla terra, e nel loro empireo non ci fanno di certo compagnia. Ma se queste tre parti potevano mantenere un livello, tra leggibilità e simpatia, di un veleggio intorno alla sufficienza, l’ultima parte fa precipitare il libro nella più nera disperazione. De Giovanni, quasi con alterigia, e con l’idea che solo uno scrittore possa riportare fedelmente quanto avviene nella cronaca nera (ma preferisco mille volte un articolo di Piero Colaprico o Massimo Lugli, giornalisti-scrittori, a queste fantasie di uno scrittore-giornalista improvvisato), si cimenta nel ripercorrere i grandi casi di questi ultimi anni. Ne scrive quasi sempre dalla parte di uno dei protagonisti, ma rasenta la più completa insoddisfazione di me lettore quando si cala nei panni di Erika De Nardo che racconta il delitto suo e di Omar, o in quelli di Raffaela e Amanda che uccidono Meredith, o in quelli di Annamaria Franzoni del delitto di Cogne. Per terminare (anche se non in ordine cronologico ma di pessimizzazione) con le “confessioni” della moglie di Massimo Bosetti, quello dell’omicidio di Yara Gambirasio. Una sezione, che credo sia stata anche pubblicata come libro autonomo, che fa precipitare la già traballante storia di questo libro, verso l’illeggibilità totale. Se volete comprarlo, leggete di Ricciardi, e poi chiudetelo. E se, nonostante tutte le mie notiziole, avete l’ardire di leggere le prime tre parti, evitate l quarta. Se poi, sprezzanti, ne leggete, scrivetemi per farmi sapere perché non ho capito nulla, perché è bella invece che inutile, o altre amenità. Per affetto ho letto e leggerò ancora di De Giovanni, ma dopo “I Guardiani” e dopo questi racconti la mia salda determinazione comincia a vacillare.
Autori Vari “Un anno in giallo” Sellerio s.p. (Regalo di Alessandra)
[A: 25/12/2017 – I: 19/05/2018 – T: 27/05/2018] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano-turco-spagnolo; pagine: 532; anno 2017]
Pur accostandomi con la consueta reticenza ai libri di racconti, devo dire che anche questo (come il precedente “Viaggiare in giallo”) sarà per la collana, sarà per gli autori, sarà per la formula, mi è piaciuto. Piaciuto leggerne le brevi indagini (anche se non sempre molto “noir”) e divertito il modo che si è scelto per concatenare i racconti. Non tanto quell’andamento mensile, dove ogni racconto è per l’appunto legato ad un mese, dal gennaio di Camilleri che comincia con la Befana al dicembre di Manzini, che termina verso Natale. Ma per quei piccoli rimandi interni che legano un racconto ai protagonisti di quello successivo, quasi fosse una riedizione trasversale del “Doppio sogno” di Schnitzler. Inizia Camilleri, con Salvo che in un ristorante nuovo dove cerca di passare del tempo per pensare all’indagine, incontra Suleima e Saverio, gli amanti quasi detective di Savatteri. Poi il padre di Saverio, di sfuggita, cita come avvocato che smonta le confessioni di criminali poco credibili, l’emigrata a Londra Cornelia Zac. La quale è l’eroina del primo giallo, anche se poco convincente, di Simonetta Agnello Hornby. Dove Cornelia, che non riesce a dormire, legge un libro consigliatole da un biblioterapeuta romano, Vince Corso. Il quale in un bar di via Merulana incontra Ampelio, il nonno del barrista di Malvaldi. Massimo che, nella lettura di un giornale al bar, fa una citazione di striscio, parlando di una conferenza su Bob Dylan tenuta da Carlo Monterossi, lo stralunato protagonista dei libri di Robecchi. Che a sua volta, nel suo racconto, dove Carlo non figura, ma si parla dei due killer del libro numero due arriva nel finale a far parlare il commissario che sta indagando sugli omicidi che annuncia al mitico trasformista Ghezzi, l’arrivo di una nuova collega: Angela Mazzola, protagonista del racconto di Costa. Angela Mazzola che, in un momento di vacanza dalle indagini, incontra alle Eolie, Kati Hirschel, la libraia turco-tedesca di Esmahan Aykol. Kati che nel suo racconto viene sorpresa dalle parole della sua aiutante che la deve lasciare per tornare a casa e leggere l’ultimo libro delle imprese di Pedra Delicado. Dove, nel suo racconto, Alicia fa dire all’aiutante di Pedra che ha incontrato in crociera due simpatici milanesi, che non sono altro che due abitanti delle case di ringhiera di Recami. Case di ringhiera dove l’anziano Luigi rischia di essere rapinato da un ineffabile Lorenzo La Marca, esimio professore delle storie di Santo Piazzese. Storie che si dipanano intorno alle indagini del commissario Spotorno, che riceve una busta da un suo pari grado romano: busta con spinello inviata dall’ottimo Rocco Schiavone. Rocco che per tutta l’indagine ha la febbre (o sostiene di averla) ed allora il suo sottoposto, per distrarlo gli porta da leggere un giallo di Montalbano. Così siamo tornati all’inizio del carosello. Certo, i dodici racconti non sono della stessa fattura, ed io metterei in primo piano Camilleri, Stassi e Manzini. Poco distanti seguono Savatteri e Malvaldi. Gli altri in ordine sparso, lasciando il lumicino dell’ultimo posto a Simonetta e Esmahan. Comunque è un libro ben fatto, ben articolato, di sicura lettura. E di buona resa.
Andrea Camilleri “La calza della befana” (11-46)
In linea con il Camilleri di buona fattura. Con una buona empatia finale, un po’ alla Maigret. Il nostro sta invecchiando, e si sente. Anche se lo fa bene.
Gaetano Savatteri “I colpevoli sono matti” (49-104)
Non ho letto nulla, ma mi intriga questo Saverio Lamanna con i suoi arzigogoli (mitico quando interrompe il lavoro di pittura non pagato per l’amica Marilù adducendo come scusa: “Devo andare a rileggere ‘Salario, prezzo e profitto” di Marx). La storia inoltre regge abbastanza.
Simonetta Agnello Hornby “Le strade sono di tutti” (107-149)
Interessanti alcuni spunti, mutuati credo dall’esperienza della scrittrice presso i centri di accoglienza dell’infanzia maltrattata a Londra, mestiere che Simonetta ha fatto per anni prima di uscire prepotentemente anche come autrice. Ma il giallo in sé è invece poco convincente.
Fabio Stassi “Per tutte le altre destinazioni” (153-188)
Superlativa la figura di Vince Corso, dell’invenzione del mestiere di biblioterapeuta e di tutti riferimenti letterari cui è infarcita la storia. Non credo sia un caso che Stassi sia stato il curatore italiano di quel libro che tengo sempre aperto vicino al computer “Curarsi con i libri”. Intanto, al libro di Garcia Marquez ero arrivato prima che lo dicesse lui. Un unico appunto: è vero che uno dei miei miti, il cantante francese si chiama George Charles Brassens, ma citarlo solo come Charles mi è sembrato un delitto. Come se citassi Angelo Fo, al posto di Dario.
Marco Malvaldi “Voi, quella notte, voi c’eravate” (191-229)
Sempre piacevole l’ondivagare dei vecchi della pinetina e del buon Massimo. Si procede nelle storie, il bar si allarga, il ristorante dell’amico si apre e si chiude e poi si riapre. Il Rimediotti ha un suo buon momento, che sta sempre in disparte. Forse poco incisivo, ma all’amore non si discute.
Alessandro Robecchi “Doppio misto” (233-272)
Abbandonato, spero solo per il racconto, l’epica del buon Carlo, seguiamo i problemi deontologici dei due killer professionisti ingaggiati da un marito ed una moglie con l’incarico ognuno di uccidere l’altro della coppia.
Gian Mauro Costa “Il divo di Ballarò” (275-310)
Anche di Costa ho poco, ma qui mi è piaciuto l’arrivo della poliziotta Mazzola, nonché dell’atmosfera palermitana di Ballarò e dintorni. Dovrò approfondire lo scrittore.
Esmahan Aykol “Macchie gialle” (313-354)
[tit. or.: Sari nokta; lingua: turco; anno 2017]
Fa piacere solo il tanto parlare di Istanbul, dei suoi minareti e di tutta la città che sempre mi rimane nel cuore. Inoltre la mamma di Kiti ha una macula oculare proprio come aveva mia madre! Ma la storia ha poco sugo e niente giallo.
Alicia Giménez-Bartlett “Quando viene settembre” (357-402)
[tit. or.: Cuando llega septiembre; lingua: spagnolo; anno 2017]
Una onesta prova di passaggio, con Pedra al meglio delle sue possibilità, in attesa di leggere delle sue ultime avventure con il serial killer. Molto ambiante, ed una storia che si tiene, anche se la soluzione appare lampante dalle prime battute.
Francesco Recami “Ottobre in giallo a Milano” (405-445)
Una ringhiera in minore, tutta incentrata sulle paure di essere raggirato del vecchio Luigi. I soliti incastri di micoravvenimenti, ma non molto intriganti. E poi manca l’amato Consonni. Trovo inoltre fuorviante tacciare il Lorenzo di Piazzese di essere diventato un esperto truffaldino.
Santo Piazzese “Quanti dì conta novembre?” (449-486)
Storia di olive e di raccolti, ben scritta e rappresentata, ma poco avvincente.
Antonio Manzini “L’eremita” (489-532)
Finalmente una storia aostana del nostro Rocco (un racconto cioè, dopo la serie infinita di racconti romani). Con un giallo di buona fattura, con le smanie di Rocco-Giallini tra febbre ed ipocondria. Una degna chiusura di un buon libro di racconti.
“Dürrenmatt non scrive gialli, ma capolavori.” (100) [concordo al 100%]
“Che non ci fosse nessuna libertà, alla fine del lavoro, lo sapevo già. La libertà bisogna prendersela prima.” (165) [o cominciare a prendersela e portarla avanti prima e dopo]
Maurizio De Giovanni “Sara al tramonto” Rizzoli s.p. (Regalo della signora Laura)
[A: 07/05/2018 – I: 29/05/2018 – T: 01/06/2018] - && e ¾ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 360; anno 2018]
Un gradito regalo di compleanno, che, fortunatamente, riporta leggermente verso l’alto le quotazioni del buon De Giovanni che stavano precipitando alquanto. Non solo per il precedente libro di racconti, di cui ho sopra parlato, ma anche per quel poco leggibile “I guardiani” che spero non avrà seguito (non sempre tutte le serie iniziate da un buon autore ha senso si proseguano). Anche questa sembra (o si ipotizza) possa essere la prima uscita di una nuova serie, con la misteriosa Sara Morozzi detta Mora a fare da filo conduttore. Devo dire che l’inizio è stato molto faticoso. Non decollava, si stava incartando in momenti descrittivi poco significativi (o poco coinvolgenti, che è la stessa cosa), sembrava ripercorrere le strade de “I guardiani” con inserti corsivati che volevano dire cose auliche ma che riescono soltanto a far perdere il filo. Poi, anche se con fatica, la trama prende una sua decisa impronta sul sentiero di uno svolgimento in pianura, se non in discesa. Veniamo così a conoscere la storia di Sara che, come tutti i personaggi principali di De Giovanni ha una qualche particolarità. Ricordo le belle storie, che da tempo non ritrovo, del commissario Ricciardi e del suo vedere gli ultimi istanti di vita dei morti di morte violenta. Sara, dopo anni di lavoro nelle squadre speciali, ha la capacità di leggere le parole sulla bocca e sui gesti delle persone, quasi queste avessero microfoni nascosti e lei auricolari sensibili. Capacità di certo in aiuto quando lavorava a sgominare il crimine, ma che anche ora può dare i suoi frutti. Ora che ci racconta la parabola della sua vita: ad un certo punto, entrata in squadra, viene colpita da un fulmine irresistibile che la travolge d’amore per il suo capo. Per questo lascia marito e figlio, va a vivere da sola, e poi, quando Massimiliano se ne accorge, vive un’intensa storia d’amore con lui. Sempre sull’orlo del baratro, che comunque Massi è il suo capo. Sempre in combutta con la sua amica e alter-ego Teresa Pandolfi detta la Bionda. Fino a che Massi muore di un male incurabile (ancora, ma c’è sempre in tutti gli ultimi libri che leggo…), e Sara si ritira nell’ombra. Ristabilendo contatto solo con Viola, la compagna del figlio che, poco prima dell’inizio del racconto, muore in un incidente stradale, lasciando Viola sola ed incinta. Certo, mi sto già addentrando nel racconto, ma come farne a meno? Troppa la volontà di condivisione (e forse, come dice il mio amico che non nomino, ma cui voglio bene, troppo poca la capacità di estrapolazione critica). In ogni caso, Massimiliano morto, ed ogni tanto ritornante in quei corsivi che ho già criticato in tutta l’opera di Andrea Manzini e del suo Rocco, Viola incinta, Teresa nuovo capo, e mistero da indagare. Un tal capitano d’industria è morto un anno prima, pare ucciso dalla figlia, dedita a droghe pesanti. Figlia che, condannata, lascia la piccola Bea in balia del fratello e della cognata. Figlia che chiama l’ispettore Pardo perché preoccupata della salute di Bea. Qui entra anche in scena Davide Pardo, bravo, diligente, sempre un po’ in ritardo sui tempi, padrone, non volente, di un cane di razza “bovaro del bernese” (un cucciolotto di circa 50 chilogrammi…). Davide fa un po’ da macchietta, per contrastare la serietà di Sara, la sua rettitudine, il suo fare sempre la cosa giusta, ma con una freddezza glaciale (il lettore smaliziato dirà, certo, dopo tuti quello che ha passato…). Così Sara e Davide cominciano questa indagine non ufficiale per capire se realmente Bea stia soffrendo e deperendo e perché. Inavvertitamente, quasi per un’inerzia nascosta, alle indagini si associa anche la nuora Viola, pur con il pancione. Sara vede la madre carcerata, incontra il fratello, incontra la cognata, ed incontra Bea. Ogni volta, più che le parole, legge il linguaggio dei corpi, e ci comunica chi mente e chi dice la verità. Non certo dove ed in che punto mente, Sara non è magica, solo molto intelligente. Tanto che ci si domanda se farà mai qualche sbaglio. La cosa che i nostri tre riescono a delucidare è che si, Bea non sta bene. E Sara si spinge oltre, affermando che la malattia non è conseguenza ma concausa della morte del nonno. Ma a questo punto si erge drammatico lo scontro tra la Bionda e la Mora. Perché, come, cosa sta succedendo, quali altri rivoli nascosti ci sono lascio a voi il piacere di scoprirlo. Come vi lascio alla risoluzione delle indagini, al ruolo di Davide e Viola, ai motivi della morte di Giorgio (e questo chi è? Ma leggete il libro, no?). il mio commento è un piacevole scorrere degli avvenimenti, dopo le prime 50-60 pagine che ancora non mi convincevano. Certo, anche altre cose non sono rodate, non c’è quella bellezza delle prime avventure del commissario Ricciardi, né dei bastardi di Pizzofalcone. Ma qualcosa gira meglio nella penna di De Giovanni. Alla cui lettura si torna sempre con gradimento.
“Dicono che essere nonni sia molto più bello di essere genitori.” (331)
Eccoci ai libri letti in giugno. Direi un mese discreto con 12 letture gradevoli, di cui solo una sotto la sufficienza (il solito Smith un po’ ripetitivo) e due belle uscite, che meritano anche di più: una saga indo-birmana di Ghosh ed uno dei migliori volumi dei romanzi di Maigret.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Maurizio De Giovanni
Sara al tramonto
Rizzoli
s.p.
3
2
Amitav Ghosh
Il palazzo degli specchi
Beat
11
4
3
Patrizia Morlacchi
Hanno ammazzato il guercio
Repubblica Italia Noir
7,90
3
4
Luke Rhinehart
L’uomo dei dadi
Marcos y Marcos
12
3
5
Patricia Cornwell
Carne e sangue
Mondadori
14
2
6
Georges Simenon
Tre camere a Manhattan
Adelphi
12
3
7
Elena Ferrante
Storia della bambina perduta
E/O
s.p.
3
8
Emanuele Bissattini
Glock 17 – La pazienza dell’odio
Round Robin
s.p.
3
9
Wilbur Smith
Stirpe di uomini
TEA
6,90
2
10
Pierluigi Panza
La croce e la sfinge
Corriere della Sera Arte
7,90
3
11
Georges Simenon
I Maigret – 12
Adelphi
s.p.
4
12
Metin Arditi
Il Turchetto
Corriere della Sera Arte
7,90
3

Come sapete da altre mi missive, e dal fatto che stia qui a scrivervi, non sono in California. Né altrove. Certo, un po’ di Soriano per cercare di finire entro il mese di settembre (speriamo!). Ed anche qualche incontro-riunione con amici e viaggiatori. Per il resto non posso esimermi dal pensare e mandare un abbraccio a tutti i gli amici che compleannavano in quel di Agosto. 

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