Quattro disastrosi,
o quasi, tentativi di gialli italiani, che io non potevo esimermi di leggere,
data la mia passione per il genere, e l’incontinenza nel comprarne se l’autore
è italiano. Ma che forse Repubblica poteva esimersi da pubblicare. Quasi
decenti gli spunti, gli scacchi di Fiorelli, le bocce di Ghizzoni, gli
incidenti stradali di Lucca (ovvio Daria, non la città) o la trasferta parigina
di Coletta. Poi, quasi tutto, soprattutto Ghizzoni, si autodistrugge per
consunzione. Forse è meglio leggerne solo trame e note, che i libri a volte
deludono.
Paolo
Fiorelli “Pessima mossa, maestro Petrosi” Repubblica Italia Noir 26 euro 7,90
[A: 22/11/2016
– I: 25/05/2019 – T: 26/05/2019] &&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 361; anno: 2015]
Paolo Fiorelli è qui alla sua prima uscita da scrittore,
da under 50 marchigiano che normalmente scrive di cinema su “TV Sorrisi e
Canzoni”. Se quindi è ovvio che sappia del mondo in celluloide, da questo
scritto, e dalle note sparse in rete, è di sciuro una persona che conosce gli
scacchi, ed anche molto a fondo. Tant’è che, per molte parti, questo “forse”
giallo si scopre manuale di descrizione delle battaglie sulle 64 caselle. Cosa
che, se non ne avessi quanto meno un’infarinatura, mi avrebbe lasciato più
storto di quanto in realtà non sia avvenuto. E che mi faceva pensare come fosse
forse un libro più degno della lettura del mio amico Mauro. Peccato, che
l’inizio era invitante. Si attende il conte Vitti, uno dei due finalisti del
Grande Torneo di Scacchi. L’altro, il Grande Maestro Achille Petrosi, è
arrivato, ha effettuato l’apertura ed avviato i cronometri di gara. Ovvio che
l’attesa sarà lunga, e poi infinita, dato che il Conte viene trovato morto
nella sua villa. Da qui, Petrosi, che seguiamo per tutte le 350 pagina del
libro, incartarsi nella più semplice eppur complessa indagine, effettua la sua
“pessima mossa” del titolo. Vuole trovare l’assassino, anche se polizia e
magistrati vari non lo vorrebbero tra i piedi. Con una esasperante lentezza,
fortunatamente intervallata da qualche lezione di scacchi, arriviamo così a
comprendere chi sia Petrosi e chi sia il Conte. La vittima è stato tempo
addietro una vedette scacchistica, poi si è lentamente ritirato nella sua
villa. Scopriamo che trafficava pericolosamente con oggetti d’arte forse
trafugati, con frequenti visite in Francia. Scopriamo che è probabilmente gay,
con un ultimo compagno un po’ disturbato, un giovane scacchista ciclotimico.
Scopriamo che è sodale di un grande esperto del gigante degli scacchi Alexander
Alekhine, sodalizio che fa comperare al conte ed al professore due rottweiler
quasi gemelli. Dal canto suo, anche Petrosi è affascinato dal campione del
mondo degli anni Trenta, tanto che ne studia continuamente le partite. In
questo andamento duale, approfondiamo anche la conoscenza del Grande Maestro.
Divorziato da un’attrice che gli ha lasciato un figlio da crescere, o meglio
che ha cresciuto, visto che il Gran Maestro è prossimo alla cinquantina, ed il
figlio Nicola è sui venticinque anni. Figlio che odia profondamente il padre
(senza che io ne abbia capito i motivi profondi), che però dal padre prende la
passione scacchistica. Solo per fuggire da casa, e da campione italiano,
trasformarsi in Gran Maestro Francese, anzi, più che Gran Maestro, visto che entra
tra i primi dieci nella Classifica Mondiale. Achille ha anche una madre di una
pallosità gigante, da cui non riesce a staccarsi, neanche quando va in
trasferta al torneo di Cannes. Vediamo poi i sodali scacchisti del circolo
italiano fulcro della vicenda. In particolare, l’albanese Daxa, irruento ma
sempre pronto a dire una parola per far ragionare il mostro investigatore
dilettante. E la giovane russa Alexandra Kostina, badante part-time,
campionessa in potenza, ma soprattutto con un debole per Achille. Motivo per
cui, a parte il giallo, per tutto il libro faccio il tifo affinché Aki si
affranchi da tutte le pastoie, e posso sfruttare una buona apertura verso Ale.
Come detto, è tutto anche farcito di scacchi questo libro, per cui, oltre a
seguire alcune partite, descritte con la notazione usale degli scacchi (ma se
una non ne sa molto, risultano pagine criptate), ci immergiamo in vari pezzi di
bravura: difesa spagnola, gambetto di donna, arrocco lungo, difesa est indiana.
Si potrebbe continuare, ma forse si va un po’ troppo sul tecnico. Fiorelli,
invece, torna spesso su Alekhine, sulla sua storia (che meriterebbe una trama a
sé), e sulla scacchiera con cui si allenava, e sulla quale si diceva avesse
sviluppato il suo “Metodo”, una serie di mosse del giocatore con il Bianco, che
consentirebbe appunto al Bianco di vincere sempre. Questo è il miraggio (o la
realtà) che hanno offuscato gli ultimi anni del Conte, e che, in seguito ad un
concatenarsi di elementi lo hanno portato alla morte. Petrosi capisce come si
sono svolti i fatti proprio durante il torneo di Cannes, dove affronterà anche
il figlio in una cruenta partita. Perché, come ci insegnano i manuali, se
sparisce (manca o altro) il Difensore del Re, la partita è persa. Non mi
addentro oltre nella trama, ricordando solo che, altro elemento di curiosità ed
interesse, è la citazione e riproposizione a più riprese del cosiddetto “Caso
Wallace”, dove uno scacchista degli Anni Trenta, usando come alibi anche una
partita di scacchi, a forse ucciso, o forse no, la moglie. Fu un caso di gran
risonanza, tanto che ne scrissero maestri della suspense come Raymond Chandler
e P.D. James. Ma che, ad 80 anni dai fatti, non è stato ancora risolto. Il
“caso Vitti”, invece viene risolto, ma la lettura è costata una grande fatica.
Speravo decisamente meglio, laddove il punteggio di gradimento risale solo
perché, in fondo, a me, gli scacchi, piacciono.
“Vivere come un bambino è una delle cose più
profonde che un uomo possa fare.” (338)
Marco
Ghizzoni “I peccati della bocciofila” Repubblica Italia Noir 32 euro 7,90
[A: 17/01/2017
– I: 31/05/2019 – T: 02/06/2019] &
e ¾
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 317; anno: 2015]
Marco Ghizzoni, trentacinquenne o giù di lì
cremonese, dopo aver sfornato un giallo (secondo la critica) di discreta ed
ironica fattura, “Il cappello del maresciallo” (che né lessi né ho in mente di
leggere), continua in questa sua seconda opera le gesta del maresciallo Nitto
Bellomo. E se gli scrittori in genere hanno della coerenza, data questa lettura
di poco spessore, continua anche a fare l’Andrea Vitali in salsa cremonese.
Perché, come in una Bellano senza lago, continua a narrare avvenimenti ed
intrecci vari che si susseguono nella cittadina di Boscobasso. Lo spunto è
l’idea di portare la cittadina agli onori della cronaca provinciale facendole
vincere il campionato provinciale di bocce. Per fare ciò bisogna allenarsi, ed
allora il sindaco Ferraroni ed il suo braccio destro don Fausto decidono di
costruire un bocciodromo. Ovviamente i punti salienti del bocciodromo, oltre
alle bocce, sono il campione locale di bocce Dermille Valcarenghi, e la barista
del bar annesso, nientedimeno che una brasiliana. Sposata, certo, ma sempre di brasiliana si tratta, con tutto ciò che
tale mitologica figura rappresenta nell’immaginario collettivo maschile. Il
maresciallo Bellomo, infatti, non si sbagliava nel prevedere tempi duri nel suo
lavoro, basta poco per mettere in pericolo la pace del luogo. Il maresciallo si
trova così costretto a indagare su vari casi che altrimenti non si sarebbero
verificati: risse, la scomparsa di una persona, un avvelenamento. Tutti gli
abitanti di Boscobasso sono coinvolti in qualche modo nelle varie vicende che
mettono in fermento il paese, persino la perpetua Franca. Fin dall’inaugurazione
capiamo che il bocciodromo sarà al centro degli avvenimenti. La bocciofila Alma
Mater del locale oratorio ne ha bisogno per le qualificazioni provinciali. La
squadra è capitanata dal 73enne sporcaccione e gran bevitore Dermille
Valcarenghi, vedovo con due figlie zitelle e vergini, Grazia (47) e Cinzia
(45). Il bar del nuovo impianto è gestito da due brasiliani, la 25enne Juliana,
bruttina e in carne, molto simpatica e appariscente, col marito Adriano, secco
e timido. Dermille si fa avanti, lei però è attratta dal bellissimo “tocco”
Federico, ci scappa una rissa (chi era Fede e chi Cannizzaro). Ci scappa
Juliana che scappa. Ci scapperà un tentativo di mettere fuori causa Dermille
prima delle finali regionali. Tutto il paese vi gira intorno: il parroco e la
perpetua, la figlia di lei e l’appuntato, il sindaco e il maresciallo, l’oste e
il brigadiere. Il prete che vuole tenere alto il nome della cittadina, il
sindaco pronto a tagliare il nastro davanti ad un a folla urlante che inneggia
alla squadra dell’Alma Mater pronta per
la serie B, gli anziani ma gaudenti giocatori di bocce che affollano il bar
della prosperosa brasiliana, coloriti
personaggi che ricordano i tifosi del
Borgo Rosso in un mitico film di Alberto Sordi, ma soprattutto somigliano
incredibilmente alle persone comuni che chiunque di noi ha incontrano in
un qualsiasi paesino della provincia
italiana. Alla fine, però c’è ancora qualcuno, come il parroco don Fausto, che
farà i conti con la propria coscienza, domandosi se la bocciofila sia un dono
di Dio o uno strumento del demonio e riflette se sia il caso di mettere in
gioco l’anima dei suoi parrocchiani per vincere il campionato di bocce. In
questo romanzo, noi che non abbiamo letto il primo, conosciamo i vari
personaggi che vivono, indagano, vanno curiosando per il paese, come appunto il
maresciallo dei carabinieri Nitto Bellomo che proviene da Agrigento, il
brigadiere Mancuso, l’appuntato Cannizzaro che ama disperatamente Elena la più
bella ragazza del paese, la madre Franca perpetua di don Fausto parroco del
paese. Il punto poco felice della narrazione, che altrove sarebbe di forza, è
la brevità dei capitoli, che finiscono senza dar modo di entrare nel corpo
della vita reale della cittadina. Finiscono anche per non far risaltare i piccoli
o grandi crimini commessi. Qualcuno avvelena Dermille o è solo indigestione?
Federico Cannizzaro è solo un carabiniere tipico (quindi un po’ stolto) oppure,
realmente innamorato di Elena, resisterà oltre ogni dire alle avance della
brasiliana? La coppia sudamericana è connivente o consenziente? E quale sarà
mai il rapporto tra la perpetua Franca e l’unico vero punto di ristoro del
paese, prima che si aprisse il bocciodromo? Insomma, se peccati ci sono,
sembrano assai veniali, e la scrittura di Ghizzoni, pur allegra e sul filo
dell’ironia ben pensata, non riesce a risollevare le sorti di un romanzo che
non è comico, non è un giallo. Insomma, non è e basta. Mi pare che troppi siano
ultimamente gli epigoni di Camilleri che puntano su di una scrittura leggera,
su piccoli equivoci, sulla localizzazione degli avvenimenti. C’è chi ci riesce,
e chi no. Per ora, Ghizzoni è tra i secondi.
Daria
Lucca “Distanza di sicurezza” Repubblica Italia Noir 33 euro 7,90
[A: 26/01/2017
– I: 28/06/2019 – T: 30/06/2019] &&
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 441; anno: 2014]
Direi che sicuramente è un buon inizio di
scrittura, questo della giornalista Daria Lucca, cronista giudiziaria di tante
vicende, che cominciò a macinare processi e trame dal suo primo incarico come
inviata del Manifesto sul luogo della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Inoltre, non è un caso che sia passata anche nelle fucine dell’Espresso, anche
se il suo attuale approdo a “Il Fatto quotidiano” non mi prende più di tanto.
Ma la lunga esperienza sui crinali tra lecito ed illecito le ha fatto vedere,
come a molti di noi illuminati, le potenzialità dell’uso del giallo nella
scrittura di intrecci socioeconomici sostenibili, piuttosto, o forse anche, per
scenari politico antropologici di sicuro riflesso reale. Così, penna alla mano,
idee, in testa, ha una illuminazione interessante. Il numero di morti per
omicidi e affini è statisticamente paragonabili a quello dei decessi causati da
incidenti stradali. Sarebbe allora possibile camuffare un omicidio in incidente
stradale? Sopra questa idea, nasce la prima storia della vicequestrice (o
vicequestore?) Amanda Garrone. Sul solco delle idee “manziniane” dei poliziotti
“promoveatur ut amoveatur”, la nostra Amanda, dopo essere stata coinvolta, come
dirigente della Mobile romana, in un mancato arresto di droga ad un onorevole
ben in vista, viene spedita in purgatorio presso la Polizia Stradale di
Aprilia. Dopo pagine e pagine di altro, la nostra scrittrice ci racconta anche
per filo e per segno come e perché Amanda abbia preso una “toppa” nel cercare
di incastrare un sottosegretario. Ma è un dilungarsi che non ha grosso impatto
sul corpo centrale del racconto. Anzi, cerca di fornire spiegazioni e moventi
che potevano rimanere tra il detto ed il non detto, con un sicuro aumento del
fascino del personaggio. La cui vicenda centrale inizia un venerdì 17 dicembre
alle ore 12:45. Dato che io sono uno che non lascia i punti in sospeso, visto
che lo scritto è del 2014, l’azione deve svolgersi nel 2010, laddove appunto il
17 dicembre era un venerdì. In quella data, un praticante avvocato, Gaspare
Santi Fanti, figlio di un notissimo principe del foro, investe l’imprenditore
Corrado Brachetto, da sempre sospettato di fare “il cravattaro”, come si dice a
Roma, ma mai incastrato. Per i non romani, spiego che il termine sta ad
indicare chi presta denaro ad usura, per poi volerne la restituzione, lasciando
senza soldi e senza fiato il ricevente. Come chi viene stretto al collo da una
infelice cravatta. Torniamo però al testo, ed al suo vagare nell’area del
Castelli Romani (cosa che di certo ha dato un pelino di giudizio in più, anche
se parlare di Porchetta di Ariccia quando ben conosciamo la Porchetta di
Soriano è una grande eresia). L’idea poco gialla dell’incipit del libro, per
noi attenti ed un po’ maniaci, ci fa scatenare il panico. Se Gaspare telefona
prima dell’omicidio, come mai, per tutto il libro nessuno, ripeto nessuno, fa
un controllo sui tabulati telefonici? Ma questo toglierebbe tutto il piacere
del testo, che invece, sulle orme di Amanda, ci consente di svelare, passo dopo
passo, sia la vita dell’usuraio Brachetto, i suoi traffici, le sue
soperchierie, e tutto il mondo di mezzo tra lecito e illecito. Mentre
sull’altro piatto della bilancia si va poco avanti per comprendere le
motivazioni del gesto di Gaspare. La scrittrice tenta, con un buon mestiere, di
soffiarci fumo negli occhi, di presentare possibili moventi, scenari
alternativi. Ma noi si era capito tutto al 90% dalle prime venti pagine. Non
per questo, tuttavia, ci si lascia sopire dalle seguenti 400. Che fa comunque
piacere, nell’ambito di quel discorso socioeconomico ed antropologico, scoprire
i mondi di Amanda Garrone, il dolore-amore verso la figlia che decide di andare
a vivere con il padre. Ed ovvio, che nell’ambito della nascita di un
personaggio, si cerchi anche di delineare i contorni, le squadre in gioco. I
poliziotti fidati, gli amici con cui si discetta intorno ad un buon mangiare. I
rapporti con gli altri corpi dello Stato (magistrati, carabinieri, servizi di
sicurezza) che si uniscono al gioco, cercando di complicare la trama
principale. O magari qualche suo rivolo nascosto. Io, invece, con stringatezza
e leggerezza torno al filone principale, che è interessante sia per l’assunto
che dicevo prima, sia per quell’idea pazzariella che mi viene leggendo: ma
c’entra qualcosa, nella mente di uccisioni “strane”, Marta Russo? Una domanda
spero senza risposta. Perché la storia dell’usuraio si intreccia con festini di
alto bordo che si perpetrano nelle ville aristocratiche dei dintorni romani.
Una vicenda “quasi” parallela che metta a rischio anche l’incolumità della
nostra bella Amanda, una storia che si intreccia anche con loschi traffici
est-europei. Ma, sebbene servano a riempire il romanzo, poco apportano alla
vicenda principale. Delineano meglio contorni altri. Tuttavia, aspetteremo,
anche senza troppo ansia, che ci sia un seguito per capire se seguiremo il
vicequestore Garrone.
Claudio
Coletta “Il manoscritto di Dante” Repubblica Noirissimo 31 euro 7,90 (in realtà
scontato a 5,25 euro)
[A: 10/01/2018
– I: 28/07/2019 – T: 29/07/2019] &
+
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 169; anno: 2016]
In
realtà, non ho niente di particolare contro l’ottimo dottor Coletta, le sue
storie e la sua scrittura. Tra l’altro, a parte questa ripubblicazione nelle
collane di Repubblica, gli scritti del mio quasi coetaneo sono pubblicati da
Sellerio, che è un marchio di generale garanzia per la scrittura, e quindi, per
noi agenti passivi, per la lettura. Tuttavia, questo scritto, di veloce e poco
impegnativa lettura, non prende, non coinvolge, non muove (quasi) nessun moto
dell’animo, se non quanto riporto nel finale, ma per motivi altri dalla
scrittura e dalla riflessione. Ipotizzo, non avendo letto gli altri due libri
pubblicati prima di questo, che a tenere le fila sia una sorta di scrittura
seriale. Immagino, cioè, che il poliziotto che segue le indagini e che risolve
il caso, Nario Domenicucci, sia presente anche negli altri libri. Questo
spiegherebbe che la sua presenza non sia introdotta da descrizioni, menzioni,
rimandi. E spiega anche che non vengano motivati in altro modo la presenza di
una moglie (Annelise), di un figlio down (Edoardo), l’ambiente genovese della
vita cittadina di Nario, nonché la sua appartenenza all’Europol. Capisco che
non si voglia appesantire la narrazione, ma i serial writer che si rispettino
trovano il modo di far capire al povero lettore tutto quanto è accaduto prima
della presente narrazione. Dato che è un po’ superbo presupporre che io lettore
abbia già letto tutti i tuoi precedenti libri (a meno che quest’uno non sia il
qui scrivente tramatore; in genere infatti leggo i libri cronologicamente, ma
questo a partire da un punto di attacco, che non sempre, però, è il primo volume
della serie). Detto questo dei personaggi, e lasciati in Italia quelli poco
funzionali alla trama principale, il filo del giallo si snoda in una Parigi
della memoria. Coletta tributa i dovuti omaggi al “maestro” Simenon, il Quai
des Orfevres, alcuni paesaggi cittadini (il quai de la Rapée dove c’è
l’Istituto di Medicina Legale, e fu teatro del romanzo “Maigret e il barbone”),
birrerie e caffè, un giovane agente di nome Lapointe (“il giovane Lapointe”),
ed un accenno al Popinga che guardava i treni. Poi cerca di imbastire una trama
che si vuole sensata, ma che ci vogliono quasi cento pagine per capirne
qualcosa. Viene trovata morta una ricca ed attempata signora, il segretario
(giovane ed aitante italiano) scompare, il maggiordomo tuttofare Kowalski
(spero un caso che si chiami come il pinguino della serie “Madagascar”) dice
molto e forse tace molto. Si scopre la scomparsa di tre quadri: un Picasso, un
Constable ed un appena arrivato Giorgione. Su questo (chissà perché) si
appuntano le ricerche di Domenicucci. Si risale alla vendita, pilotata
dall’avvocato della signora, tal Jalabert. Quadro sottoposto ad expertise, che
ne attestava la presunta falsità, ma ugualmente acquistato per una cifra enorme
dalla famiglia De Soissons, nobili in decadenza. Piccolo siparietto campestre
nella magione dei nobili, comunanza di idee con la bella Eleonore de Soissons.
E finalmente, quando anche io sono arrivato alla fine di queste note, ed anche
alla fine della pazienza di un libro che dovrebbe avere qualche motivo per
intitolarsi “Il manoscritto di Dante”, si scopre che il finto Giorgione serviva
solo a far transitare nelle mani della ricca signora le uniche due pagine
scritte di pugno dal poeta. Fiction grandissima, che si sa che nessun
manoscritto dantesco della Commedia è a noi pervenuto (quello più accreditato è
la versione di poco posteriore alla morte di Dante e redatto da Giovanni
Boccaccio). Tra l’altro ci sono una quindicina di inutili pagine introduttive
sulle vicende trecentesche di quelle due pagine, cadute casualmente nelle mani
di tal Ludovico di Soissons (ecco il collegamento…). Il finale è convulso e
poco credibile. Il segretario amante è ben presto tolto dai sospetti, avendolo
trovato anch’esso morto. Jalabert scompare. Kowalski fa il misterioso.
Domenicucci, dopo un lungo colloquio con Eleonore, capisce che ci deve essere
altro sotto, entra furtivamente nella casa della morta, entra nella camera
blindata dove trova il cadavere di Jalabert, rischia di morire nella stessa. Ma
senza motivo alcuno viene salvato, e proprio da chi ha ucciso Jalabert, anche
se è forse proprio Jalabert che ha ucciso la signora. O forse no? Fatto sta che
questo salvataggio è un mistero, che porta anche al mistero perché il ladro
ultimo si allontani con il manoscritto, e poi si getta con tutte le carte nella
Senna. Così, e finalmente, anche le ultimi possibili copie de “l’amor che move
il sole e l’altre stelle.” Scompaiono dal mondo. Insomma, Coletta si avvia su
una strada, ne tira fuori un’altra per virare il racconto sul poliziesco,
impiega cento pagine per ricollegare le due strade, e si affretta in un finale
convulso a cercare di chiudere molte porte, ma lasciando tutto un po’
velocemente trattato. Tanto che, ad esempio, non si capisce chi sia il
misterioso orientale visto con Jalabert, né verrà mi svelato. Dicevo sopra,
veniamo al congiungimento mentale, unico elemento che mi ha svegliato da una
lettura soporifera. Ad un certo punto, Domenicucci, solo a Parigi, va al cinema
a vedere un film con Jeanne Moreau, dove si incuriosisce per una colonna sonora
firmata M. Davis. E lì non dice altro. Ora, forse non sarò un cinefilo come
alcuni miei illustri cugini, né un musicofilo attento, ma bastano questi due
accenni per collocare il film nella sua giusta luce. Si tratta di “Ascensore
per il patibolo”, primo film, e capolavoro, di Louis Malle, con la colonna
sonora registrata dal vivo da Miles Davis. Un film ed un album capolavori. Solo
nelle ultime pagine, Coletta butta lì il titolo del film. Ora, o Domenicucci è
un alieno di film (anche se sembra un patito di James Bond) oppure questo è un
tentativo di fare “il divertente”, assolutamente non riuscito. A prescindere da
ciò, potete evitare di leggere il libro, ma andate a vedere, se vi capita, il
film. Se ne dovrebbe parlare, è geniale!
Essendo
agosto un mese di viaggi, spesso si legge meno. Come quest’anno, guidati in una
bellissima Irlanda, ecco che ci rimangono otto libri letti, abbastanza piatti,
a parte l’ottimo saggio di Carlo Rovelli sul tempo.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Ben Pastor
|
Kaputt Mundi
|
Sellerio
|
15
|
2
|
2
|
Ben Pastor
|
Il morto in piazza
|
Sellerio
|
15
|
3
|
3
|
Ben Pastor
|
La venere di Salò
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
2
|
4
|
Ben Pastor
|
La notte delle stelle cadenti
|
Sellerio
|
15
|
2
|
5
|
V.
S. Naipul
|
La
máscara de África
|
Debolsillo
|
s.p.
|
3
|
6
|
S.S. Van Dine
|
Il caso del terrier scozzese
|
Newton Compton
|
s.p.
|
2
|
7
|
Carlo Rovelli
|
L’ordine del tempo
|
Adelphi
|
14
|
4
|
8
|
Osvaldo Guerrieri
|
Schiava di Picasso
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
Salutando gli ottimi amici bolognesi di
week-end romano, e sperando si riescano a concretizzare le idee estive (non è mai
troppo presto), eccoci ad affrontare un novembre che si preannuncia caldo e
piovoso. Niente viaggi in vista, ma tanti consolidamenti di affetti, di visite,
di amicizie.
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