domenica 1 dicembre 2019

La storia di Bora - 01 dicembre 2019


Ben Pastor “Il Signore delle Cento Ossa” Sellerio s.p. (Regalo de “I Floridi” Mario, Ines e la signora Laura)
[A: 07/05/2019 – I: 12/07/2019 – T: 14/07/2019] - &&&
[tit. or.: Master of One Hundred Bones; ling. or.: inglese; pagine: 396; anno 2010]
Ben Pastor fa un ottimo miscuglio di romanzi e storia, andando su e giù nel tempo, per scrivere brani della vita fittizia di Martin Bora, saltando da un episodio all’altro. Spesso recuperando momenti citati in altri romanzi, al fine di riuscire a ricreare un personaggio a tutto tondo. Il problema è che, scrivendo questo, che si inserisce come episodio numero 2 della saga, dieci anni dopo il primo romanzo, che tuttavia risulterà l’episodio numero 3, rimane qualcosa in sospeso nella scrittura, che diventa in alcuni passaggi troppo artefatta, tesa a dover dire, fare, recuperare momenti in situazioni dove la fantasia potrebbe andare altrove. Ma se del primo libro ne parleremo poi, qui si deve incastonare l’episodio in un nuovo contesto storico. Da accenni fatti varie volte, sappiamo che il giovane Martin Bora inizia la sua carriera di “militare critico” con le avventure spagnole del 1936, con lui ventitreenne alle prese con franchisti, anarchici e comunisti credo in quel di Bilbao. Episodi descritti nel quarto libro scritto, datato 2003, uno dei pochi che non sono ancora riuscito a trovare. Prima dell’inizio in pompa magna con la prossima invasione polacca e l’inizio della guerra, Martin si trova invischiato in una vicenda cupa e di respiro contorto, ma che serve all’autrice per giustificare in pieno il passaggio del nostro verso i Servizi Segreti, nonché la sua avversione verso le SS ed i modi poco gentili dei nazisti incalliti. Siamo quindi nell’aprile del 1939, in avvicinamento al grande avvenimento delle feste per il cinquantesimo compleanno di Hitler. Nelle more, in quel di Lipsia si organizza un grande incontro trilaterale tedesco-italo-nipponico per discutere di armamenti e investimenti in industrie chimiche. Martin, appena uscito dall’addestramento verso i Servizi, viene affiliato a questa missione, sotto il controllo del maggiore Kinzel, con lo scopo di scoprire chi sia il fantomatico “Signore delle Cento Ossa”, che dovrebbe far parte degli incontri, e che si dice sia un traditore al soldo degli Stati Uniti. Assistiamo così a tutta una serie di piccole vicende che coinvolgono i due italiani De Dominicis e Colloredo, nonché gli otto rappresentanti della delegazione giapponese. Come dirà in uno dei suoi libri, fin dalla Guerra Spagnola poi Martin aveva cominciato a scrivere le sue considerazioni personali su di un libricino tipo Moleskine. Qui (ma non so dire se già altrove, e ve lo dirò quando ne saprò meglio) queste considerazioni vengono riportate come interventi in corsivo, con la scrittrice che passa dall’italica terza persona al corsivo in soggettivo. Il “traditore” dovrebbe passare delle informazioni su gas tossici agli americani. Ed è sicuramente nel lotto giapponese. Dove abbiamo l’ammiraglio Oi eroe della guerra contro i russi, il suo secondo tenente Honda, il generale Kobe, responsabile delle operazioni giapponesi nello stato fantoccio di Manchukuo, il suo aiutante capitano Nogi, i due responsabili delle industrie farmaceutiche Ikeda e Kitamura, che avevano fornito materiale per le operazioni manciuriane, lo storico dell’arte Fujiwara e la sua aiutante, la signorina Keiko. Come in tutti i gialli che si rispettano, cominciano a fioccare i morti. Prima Kobe e Nogi, tra l’altro trovati in situazioni sessualmente imbarazzanti. Poi, il grande capo Ikeda, che invece sicuramente si suicida. Bora, sfruttando le sue capacità deduttive, un po’ di fortuna, qualche conoscenza del modus agendi giapponese, nonché le conoscenze linguistiche di sua nonna e la memoria del comandante di suo fratellastro, di stanza in Giappone ai tempi dei fatti, ricostruisce i fatti. In Manchukuo i giapponesi avevano instaurato una unità di studio della guerra batteriologica che faceva esperimenti sui prigionieri anche vivi. I chimici erano proprio Ikeda e Kitamura. Gli aguzzini Kobe e Nogi. Ora Kitamura sembra pentito e costruisce una falsa prova contro i due, convincendo Ikeda a farli fuori. Ma la prova è falsa e Ikeda, pentito, si suicida. Resta da capire con chi sia in contatto Kitamura, cosa che Bora comprende pedinando Keiko. La nostra immaginifica scrittrice imbastisce una scena veramente esilarante con Bora che per debellare il cattivo ed impedirgli di partire lo insegue a cavallo ed a cavallo ferma un aereo. Il tutto porterà poi a far capire a Bora che non è tutto vero quello che sembra palese, che anche Kinzel ha i suoi scheletri da proteggere. Ma si è ben comportato, nella logica dei Servizi Segreti, tanto che verrà promosso, e sposerà, prima della campagna polacca, la sua Benedikta (anche se tutti lo sconsigliano). Visto che sono già dieci anni che Pastor e Bora vanno a braccetto, non ci meravigliamo dei pensieri del nostro, né del suo atteggiamento favorevole ma critico verso la rinascita tedesca. Pur citando però elementi storici reali, rispetto agli altri libri letti, Pastor indulge in qualche licenza “poetica”. I gas nervini saranno sviluppati solo un paio di anni dopo, il Manchukuo rimarrà in esistenza sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il suo territorio passerà alla Russia. Ma soprattutto è la storia dell’Unità di Kobe e Nogi che mi ha fuorviato. Perché esisteva veramente una sezione speciale così descritta in Manchukuo, solo che si chiamava Unità 731 e non Unità 843 come si dice nel libro. Perché questa modifica? Ragioni di svolgimento della trama? Altro? Insomma, pur apprezzando la storia, la trovo un po’ al di sotto delle aspettative. Mi piace la figura di Bora, le sue conoscenze filosofiche, storiche, geografiche e linguistiche, il suo non arrendersi alle evidenze, e cercare la verità, anche a costo della propria carriera (cosa che finora, per sua fortuna, non è avvenuta). Infine, non mi ha soddisfatto la poca chiarezza del disvelamento del titolo. In Giappone, con il termine “Cento ossa, nove buchi”, si indica il corpo umano. Qui, il signore di questo corpo non viene mai evidenziato sino in fondo, né si spiega veramente chi sia cosa. Sarà forse ad indicare che i Servizi Segreti utilizzano le persone come “corpi” di un gioco perverso che solo loro conoscono, ma è una spiegazione che è un po’ tirata per i capelli.
Ben Pastor “Lumen” Sellerio euro 14 (in realtà 2,10 euro con Feltrinelli Gift)
[A: 09/07/2019 – I: 15/07/2019 – T: 16/07/2019] - &&&
[tit. or.: Lumen; ling. or.: inglese; pagine: 432; anno 1999]
L’italo americana Maria Verbena Volpi Pastor detta “Ben” venti anni fa ha iniziato con questo libro la saga del militare tedesco Martin-Heinz Douglas Wilhelm Friedrich von Bora. Tuttavia, nella cronologia poi della “vita” di Martin questo è il terzo libro, dopo le storie spagnole e l’inizio della carriera da agente cominciata nell’aprile del 1939 a Lipsia. Ma è un libro importante perché fissa alcune caratteristiche di Martin, che ricorreranno in tutti i libri. Bora è un militare di carriera, per tradizione familiare, con padre morto, madre scozzese risposatasi, patrigno militare dimissionato in quanto in contrasto con le gerarchie, nonna buddista. Bora è laureato in filosofia, conosce le lingue (italiano, ma anche rudimenti di giapponese e russo). Bora si pone sempre domande, anche se poi segue le direttive dei corpi d’armata. Qui, in questo primo-terzo libro, è aggregato alle forze di occupazione che (la vicenda si svolge dal settembre al Natale del1939) hanno invaso la Polonia. Fa parte dei corpi militari, la Wermacht, ed è subito e spesso in contrasto con le SS. L’abilità della scrittrice è di imbastire trame complesse, inserite in un contesto storico reale, che quindi impone anche delle costrizioni. Qui, appunto, abbiamo i tedeschi che stanno iniziando l’escalation che porterà alla Seconda Guerra Mondiale. Quindi, a parte la vicenda “gialla” che costituisce l’ossatura del racconto, ci sono le problematiche derivanti dalla resistenza polacca che cerca di fare piccole opere di guerriglia, i rapporti con i russi, che hanno occupato l’altra metà della Polonia, ancora vincolati nel patto Molotov-von Ribbentrop, ma che, per parte loro iniziano a fare tabula rasa di presunti nemici, soprattutto nel corridoio ucraino-polacco, nonché i rapporti tra militari ed SS, dove quest’ultime vedono bene di uccidere a tappeto polacchi anche innocenti, nell’idea di fare tabula rasa di resistenze e di ebrei. Anche su quest’ultimo punto si notano incrinature nella corazza di Martin, quando, nell’ambito dei prigionieri polacchi, incontra Weiss, il suo anziano professore di pianoforte (perché Martin spesso si siede al piano per suonare il suo amato Schumann). In questa situazione complessa, Martin, attendente del colonello Hofer, lo accompagna spesso ad incontrare la badessa Kazimierza, in odore di santità. La prima morte complessa è proprio quella della suora, che potrebbe essere stata causata da soldati tedeschi o da partigiani polacchi o da altri. Fatto sta che la suora è colpita a morte nel convento. Hofer, che cercava di coinvolgere in preci a favore del figlio malato, esce fuori di testa e viene rimandato a casa. Martin viene allora incaricato di occuparsi del caso, entrando in contatto con il prete polacco-americano John Malecki. Nelle more dell’indagine, i due saranno impegnati in discussioni teologiche sui miracoli, sulle profezie, nonché sulla religione stessa. Intanto Martin è anche disturbato dal rapporto con il suo coinquilino, il colonnello Retz, imperterrito donnaiolo, che in quel di Cracovia dove sono di stanza i militari, incontra la sua vecchia fiamma Ewa, un’attrice sul viale del tramonto. Con cui riallaccia rapporti stretti. Ne allaccia anche con donne polacche incontrate casualmente. Nonché con Helenka, la figlia di Ewa ed attrice emergente. Mentre prosegue l’indagine sulla morte della suora, con piccoli passi avanti, sul finto ritrovamento di armi, sulla presenza di partigiani nel convento, sulla possibile presenza dello stesso Hofer poco prima dell’uccisione, i rapporti complessi di Retz con le sue donne arrivano al punto di rottura. Con Retz che viene trovato morto con la testa nel forno. Suicidio? Omicidio mascherato? Altro? Anche di questo viene incaricato in modo non ufficiale il nostro militare. Che scopre incongruenze nella morte di Retz, che scopre che Ewa, alla fine, ha scoperto la tresca di Retz con Helenka, che riceve la confessione da Ewa che Helenka è anche figlia di Retz (anche se questi non ne era a conoscenza). Sarà il rimorso dell’incesto o un moto di Ewa verso l’impenitente Retz, che portano quest’ultimo alla morte? Intanto, anche la vicenda della suora in odore di santità si stanno stringendo. Il bossolo che l’ha uccisa è polacco. Ma potrebbe essere stato esplosa anche da una pistola tedesca, come quella multiuso che aveva il colonnello Hofer. Tutte le morti saranno risolte dal brillante acume del capitano Martin Bora, che però sta entrando in contrasto con la sua coscienza: vede troppe deviazioni sul terreno militare e morale, tanto che sentirà il bisogno di avere un lungo colloquio chiaritore con il prete americano. Martin che probabilmente vedremo quindi promosso nel prossimo capitolo della saga. Un libro dalla struttura complessa, che mette in mezzo tanti temi, come ad esempio quello derivante dal motto di Matka Kazimierza, “Lumen Christi, Adiuva Nos”, dove Bora passa lungo tempo nello studio dei vari significati del termine “Lumen” che poi dà il titolo al romanzo. Come anche quello legato alla rappresentazione teatrale dove lavorano Ewa e Helenka, “Le Eumenidi” di Eschilo, basate sulla domanda se sia più colpevole la madre che uccide il marito o il figlio che per vendetta uccide la madre (ovviamente stiamo parlando di Clitennestra che uccide Agamennone e di Oreste che uccide Clitennestra). Insomma, Pastor mette tanta carne al fuoco, forse troppa. Di molta ci si dimentica, o non si approfondisce qui (forse nel seguito), di altra si pensa e rimarrà nel fondo della testa. Come il rapporto tra dovere ed ordini contrari alla dirittura morale di un soldato. Ma nel complesso è una trama ben sostenuta dalla scrittura, che, pur nella non sempre possibilità di punire i colpevoli, porta alle conseguenze finali le varie azioni: sappiamo come sono avvenute le morti, chi le ha causate e perché. E non è una conclusione da poco. 
Ben Pastor “I piccoli fuochi” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 11,25 euro)
[A: 18/04/2019 – I: 19/07/2019 – T: 24/07/2019] - && e ¾ 
[tit. or.: The Little Fires; ling. or.: inglese; pagine: 543; anno 2016]
Come ho già accennato, l’esimia Maria Verbena saltabella di qua e di là del tempo per imbastire le storie di Martin von Bora. Questo, infatti, che cronologicamente è il quarto episodio, in realtà è l’undicesimo e penultimo volume scritto. L’idea di Pastor, credo, sia quella, una volta trovato il filone narrativo che le si confà, di riempire, man mano che riesce a trovare i tasselli giusti, la storia “reale” di questo finto personaggio. Un militare di professione, nazista convinto (almeno nelle prime attività) ma assolutamente in contrasto con la parte “politica” del nazismo tedesco, cioè le SS e la Gestapo. Quelli che meglio di me sanno di storia, trovano che il modello cui Bora si avvicina sia quello del colonnello Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg, il principale ideatore della famosa “Operazione Valchiria”, quella che avrebbe dovuto uccidere Hitler il 20 luglio del 1944. Attentato fallito, con conseguente fucilazione dei complottanti, tra cui il colonnello. Queste prime, cronologiche, vicende ricalcano quindi i primi passi noti della carriera di von Stauffenberg. Non so del primo romanzo, quello ambientato in Spagna, che non ho e che non riporta cosa fece il colonnello durante la rivolta franchista. Né è ben chiaro cosa porti Martin-Claus a Berlino nel 1938 per quell’incarico di collegamento con i giapponesi. Certo serve ad inserire Martin nelle truppe dei Servizi Segreti. Il volume “Lumen” ricalca (logisticamente) la prima missione del colonnello, ufficiale delle truppe che invadono la Polonia dal settembre 1939 al giugno 1940. Questo quarto episodio, così come il reale ufficiale, si svolge durante la Campagna di Francia. Da qui parte la fiction di Bora che, nelle trame di Ben Pastor, segue le truppe in Francia con due missioni precise. Una del suo superiore diretto, il colonnello Kinzel, dove deve dirimere gli avvenimenti legati all’uccisione in Bretagna di Marie Goumelen, moglie dell’ammiraglio tedesco Arno dal cognome che non ricordo mai. L’altra, da parte del grande vecchio, Wilhelm Canaris, il comandante in capo del Controspionaggio tedesco, dove deve accertarsi di cosa faccia realmente in Bretagna il capitano Ernst Junger. Si, proprio lui, lo scrittore, non personaggio fittizio. Che realmente si trovava in Francia in quel periodo. Forse non in Bretagna, ma sicuramente in uno dei suoi periodi di riflessione tra l’adesione e l’allontanamento verso il nazismo. Junger fu certamente un conservatore, ma anche, e sicuramente, uno scrittore e filosofo di grande spessore, morto una ventina di anni fa alla veneranda età di 103 anni. Inoltre, era anche un curioso entomologo, motivo per cui i suoi giri nella Bretagna del libro sono giustificati ampiamente. Per il resto, a parte le citazioni in ex ergo ad ogni capitoli, ed il suo intervento in alcuni punti della trama, la sua presenza sembra soltanto servire a irrobustire l’immagine di Martin-Claus, che Junger, benché non partecipò, fu vicino agli ambienti del “20 luglio”. Ma qui dobbiamo seguire altro. Abbiamo l’indagine sulla morte di Marie, che si incunea in quella zona d’ombra dei rapporti tra tedeschi occupanti e irredentisti bretoni. Almeno così vorrebbe farci credere l’autore, che inzeppa tutta la prima parte di tocchi legati alla Bretagna, ai monti, ai nomi, ai rapporti con i tedeschi. Narrazione che raggiunge il culmine con due successive morti: quella della prostituta Tampico e poi di Manfred, il figlio di Marie e di Arno. Il tutto condito appunto con il sugo dei Servizi Segreti, anzi delle SS, che hanno il fiato sul collo del poco ortodosso Martin, che muovono i fili de “La Mome Chouette”, l’amante di Arno, ed altre minuzie vaganti. La narrazione, purtroppo, è un po’ prolissa, ed invece di concentrarsi sui punti essenziali, spesso vaga tra il diario di Bora (che sta diventando un po’ pesante con l’andare del tempo), e le descrizioni di usi e costumi locali, tanto per giustificare il titolo dei piccoli fuochi, come fiammelle delle micro-attività locali, invise all’ortodossia dei tedeschi occupanti. Noi però ci concentriamo su Bora e sulle sue indagini. Che tra un punto e l’altro delle campagne bretoni, tra un punto e l’altro dei bottoni del cappotto, unendoli accuratamente, ricostruisce le trame nascoste. Ovviamente altre, senza contatti con le insurrezioni locali. Che Arno è un militare di carriera nella Marina tedesca, dove comincia dal basso e senza una famiglia danarosa alle spalle. Così, quando è di stanza a Le Havre si accompagna con una signorina locale, facendo con lei un figlio. Poi incontra la ricca Marie, lascia con un palmo di naso la bella Katen ed il piccolo Drez. Con Marie genera Manfred, ma per continuare a fare la bella vita con altre donnine, non ultima la cantante di cabaret sopra citata. Quando Arno torna in Francia con i tedeschi occupanti, Marie ha un lampo di genio per vendicarsi del marito fedifrago: coinvolgere Katen e Drez nella morte della cantante, illudendo il povero Drez di poter nominare erede di parte delle sue fortune. Peccato che La Mome non cade nella trappola e Drez, di molto imbestialito, prima uccide Marie, cercando di far incolpare qualche bretone dei monti. Poi, non contento, fa fuori anche il fratellastro Manfred, prima di morire in un incidente automobilistico. Nelle more, l’unica persona che muore senza un vero perché è la prostituta Tampico, amante di Manfred, ma fatta fuori dalle SS per incastrare, senza successo, Martin. Io ve l’ho fatta facile, ma la nostra scrittrice impiega più di 500 pagine per intortare la trama, per girarci sopra e sotto, per metterci altre pulci nelle orecchie. Ad esempio, citando il massacro di Katyn, di cui aveva avuto sentore nel romanzo “Lumen” (il primo scritto, ricordo), che gli viene ricordato da un fuoriuscito polacco, nonché dal futuro marito della madre di sua moglie Dikta. Massacro che verrà allo scoperto solo nel 1943, e che sarà “confessato” alla luce del sole solo nel 1992! Poi, accennando al fatto che, ritornando al quartier generale a Berlino dovrebbe partire per Mosca. Cosa che i più attenti scopriranno nel prossimo volume, quinto nella crono, ma scritto prima di questo. Infine, Martin, benché faccia finalmente sesso soddisfacente con la moglie, lancia già qualche frecciata, di modo che vedremo come questo rapporto non porterà i due molto lontani. Comunque, l’impianto generale, benché complesso ed a volte troppo macchinoso, rimane interessante: vedere l’evoluzione mentale interiore di una persona ligia al dovere ma critica verso le sue deviazioni. E si continuerà a leggerne, perché, nonostante le lunghezze, l’idea mi affascina (e la rimando lì al mio amico Professore).
Ben Pastor “La strada per Itaca” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 11,25 euro)
[A: 17/04/2019 – I: 25/07/2019 – T: 30/07/2019] - &&& -  
[tit. or.: The Road to Ithaca; ling. or.: inglese; pagine: 493; anno 2014]
Continuiamo nella scrittura “su e giù” della nostra scrittrice italo-americana, di cui continuiamo a leggere per poter arrivare a chiudere il cerchio con quel libro acquistato per altre motivazioni. Qui, infatti, arretriamo di due anni nella scrittura, ma avanziamo di qualche mese nella scrittura. Passiamo allora dalla campagna di Francia, con il cammeo dedicato a Ernst Junger, al trasferimento del nostro eroe, Martin von Bora in quel di Mosca dove, insieme alle gerarchie naziste, prepara la famosa “Operazione Barbarossa”, che fece passare russi e tedeschi dallo scellerato patto Molotov – von Ribbentrop, alla guerra aperta. Come sia andata, non è certo di queste pagine esaminare, perché anche il libro della nostra esegeta (anti-)nazista passa subito ad altri lidi, anche se nella stessa guerra. Come ci rimanda il titolo, allora, ci spostiamo a sud, anche se non nell’isola omerica, ma nella più interessante e “fakiana” isola di Creta. Certo, Pastor è abile nel mettere tanta carne a fuoco. Ad esempio, la piccola nota dedicata a Erskine Caldwell ed a sua moglie Margaret Bourke-White, che in effetti furono a Mosca, anche se la loro presenza è documentata in Ucraina due anni più tardi. Poi, gli accenni agli eccessi di Lavrentij Pavlovič Berija, considerato l’anima nera dello stalinismo, negli anni del romanzo a capo della Polizia Segreta, che prima invia Bora alla ricerca di speciali vini cretesi, il bianco Dafni ed il rosso Mandilaria, poi, a seguito delle vicende narrata, nonostante il successo del vino, farlo espellere dal suolo sovietico il 9 giugno del 1941, pochi giorni prima dell’offensiva nazista, che iniziò il 22 giugno. Ma il nocciolo del romanzo è appunto a Creta, dove Bora, arrivato alla ricerca del vino, viene coinvolto nella ricerca della soluzione di un efferato omicidio, quello di un apparente pacifico cittadino svizzero, Villiger, e di tutta la sua servitù. Bora viene coinvolto perché, sulla base di alcune indicazioni di prigionieri inglesi, parrebbe essere stato un manipolo di truppe aviotrasportate tedesche ad effettuare la strage. Qui vediamo la capacità di Pastor di incasinare il tutto. Perché a capo del manipolo c’è Waldo Perger, un tempo bambino che giocava con Martin, per poi divergerne in seguito ad una lite mai sanata. Lite che per tutto il libro Martin cerca di ricordare, e che invece è ben presente in Waldo, che fa di tutto per mettere bastoni tra le ruote del nostro. Poi ci sono gli italiani, di stanza a Creta, che potrebbero essere autori della strage, essendo i bossoli compatibili con le loro Beretta. Ma questi non avevano motivi. C’è il turco Rifat Bey, che si accompagna con una ebrea, vicino di casa di Villiger, che potrebbe aver avuto paura di delazioni varie. C’è tutta la comunità estera di stanza a Creta, principalmente in quanto archeologi ed affini. Inglesi, americane sposate con greci, italiani truffaldini. Tutta gente che aveva allontanato Villiger dalle loro frequentazioni. Infine, ci sono gli stessi inglesi, il soldato Powell-Cowell che ha fotografato la strage, ed il detenuto Patrick Krisnamurti Sinclair, tenente anglo-indiano, che ha denunciato la strage. Bora al solito trova un alleato locale nello strano comandante della polizia locale, Varion Kostaridis, che molto sembra sapere, ma che poco sembra aiutare il nostro. Pastor impiega una quantità spropositata di pagine per seguire le solite peregrinazioni mentali di Bora. Sia per continuare quel lavoro di entomologia, nel seguire l’evoluzione mentale di un militare, ligio alle gerarchie, ma che si pone dei dubbi sempre più forti sul nazismo e sull’operato delle sue truppe. Inutile seguirlo su questa strada, anche se, a ritroso, ne vediamo il percorso, che, per chi come me aveva letto tre anni fa “Luna bugiarda” in parte era già chiaro. Sia per farci fare passo dopo passo le stesse tappe nella ricostruzione del delitto. La scoperta di passaporti falsi, la scoperta di nomi falsi, dove Villiger alla fine non è più svizzero, ma forse tedesco. E non è di certo archeologo, ma probabilmente spia. Talmente incasinata, la sua vita da spia, che potrebbe essere stato anche un doppiogiochista, che spiava per i russi in Cina alla fine degli Anni Venti, e che ora cercava di rivendere ai tedeschi vecchi camerati. C’è tutto un lungo peregrinaggio per i monti cretesi, insieme ad una archeologa americana, alla ricerca di testimoni, che potrebbe forse interessare uno studioso ed attento conoscitore del suolo locale come il mio amico Fako, ma che risulta un po’ palloso. Nei boschi incontra anarchici spagnoli, con i quali nella mente ritorna sempre al suo primo amore Remedios. Incontra comunisti greci che vorrebbero ucciderlo. Incontro finalmente anche gli inglesi. Ma Cowell è morto. Tuttavia, i suoi scritti in punto di morte, illuminano finalmente sia il gioco pericoloso di Villiger, sia il gioco sporco di Sinclair. Alla fine, Bora riesce a scagionare completamente i tedeschi (da questa morte, non dalle stragi). E rivela il colpevole, realmente una spia russa (motivo per quella uscita di Berija sopra menzionata). Ripeto, il percorso di Martin è interessante, Pastor è discretamente documentata, i passaggi storici sono in ogni caso interessanti. Forse maggiormente per uno specialista come il mio amico Luciano. A me rimangono il piacere di una lettura che stimola a cercare notizie storiche anche dimenticate, l’ideale di Martin, e qualche spigolatura. Dispiace il dissiparsi della trama in forse troppe pagine. Ma anche questa è una caratteristica dell’autrice. Alla quale tuttavia farei due domande finali, che mi hanno lasciato perplesso. L’americana Frances dice che Villiger era soprannominato Blimpy, come il personaggio spalla di Braccio di Ferro, quello che mangiava sempre hamburger. Ora, in una versione italiana, l’avrei chiamato come viene ribattezzato in Italia, cioè Poldo. Ma soprattutto, in americano il personaggio si chiama Wimpy. È vero che Wimpy è ora una catena di fast-food. Ma anche Blimpy lo è. Mistero! Infine, il poliziotto Kostaridis dice di aver partecipato con successo alle Olimpiadi di Anversa nel 1920. Ed in effetti, la squadra militare greca, in quella occasione, vinse la medaglia d’argento nella categoria “pistola militare a squadre”. Ma la squadra, di cinque elementi, era composta da Alexandros Theofilakis, Ioannis Theofilakis, Georgios Moraitinis, Alexandros Vrasivanopoulos e Iason Sappas. Perché inserire un dettaglio importante, ma in modo sbagliato? Altro mistero!
“Questa [donna] … è intrepida, un fastidio peggiore che se fosse un tipo svenevole. Se mi risultasse attraente, potrei controbilanciare l’antipatia con l’indulgenza che noi maschi stupidamente proviamo per le donne belle e moleste.” (316)
“Ogni strada verso casa è la strada per Itaca … Proprio come ogni viaggiatore è Ulisse, se prende coscienza del suo vagabondare.” (453)
Anche settembre si è viaggiato (nel bellissimo Guatemala), ma qualche libro lo si è letto ugualmente. Sempre con pochi slanci, se non un’interessante ripresa di uno dei primi libri di Jo Nesbo dedicato ad Harry Hole, e, sul versante opposto, un difficilmente digeribile libro di racconti di Simona Vinci.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Simona Vinci
In tutti i sensi come l’amore
Einaudi
s.p.
1
2
Gianni Simoni
Troppo tardi per la verità
TEA
9
3
3
Anne Perry
Morte di uno sconosciuto
Mondadori
3,60
2
4
Anne Perry
Sangue sul fiume
Mondadori
5,90
2
5
Michael Connelly
La strategia di Bosch
Pickwick
10,90
2
6
Antonio Forcellino
Raffaello. Una vita felice
Corriere della Sera Arte
7,90
3
7
Giovanni Cocco & Amneris Magella
Omicidio alla Stazione Centrale
TEA
11
3
8
Jo Nesbo
Scarafaggi
Einaudi
13,50
4
9
Dolores Redondo
Il guardiano invisibile
TEA
12
2
10
Paula Hawkins
La ragazza del treno
Piemme
19,50
3

Aspettando che si concretizzi il primo viaggio 2020 ancor verso l’amata India, un bel fine settimana a sistemare le ultime cose in campagna. Ma i lavori non finiscono mai, come gli esami di Edoardo. Però sembra che tutto (o quasi) raggiunga il suo pezzo d’incastro nel puzzle della vita. 

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