Preso dal mio demone
di onnivora leggitudine, una volta scoperto che tutto sommato mi faceva piacere
leggere le storie di Martin Bora, tra regali, sconti ed altre amenità ho
trovato quasi tutta la saga. Manca ancora qualche libro introvabile (o
disperso), ma qui abbiamo ben quattro capitoli, sparsi nel tempo, delle
avventure del militare tedesco Martin-Heinz Douglas Wilhelm
Friedrich von Bora scritte dall’italo americana Maria Verbena “Ben” Volpi
Pastor. E quasi tutte sopra la soglia di una buona sufficienza libresca.
Ben
Pastor “Il Signore delle Cento Ossa” Sellerio s.p. (Regalo de “I Floridi”
Mario, Ines e la signora Laura)
[A: 07/05/2019 – I: 12/07/2019 – T:
14/07/2019] - &&&
[tit. or.: Master of One Hundred Bones; ling. or.: inglese; pagine: 396; anno 2010]
Ben
Pastor fa un ottimo miscuglio di romanzi e storia, andando su e giù nel tempo,
per scrivere brani della vita fittizia di Martin Bora, saltando da un episodio
all’altro. Spesso recuperando momenti citati in altri romanzi, al fine di
riuscire a ricreare un personaggio a tutto tondo. Il problema è che, scrivendo
questo, che si inserisce come episodio numero 2 della saga, dieci anni dopo il
primo romanzo, che tuttavia risulterà l’episodio numero 3, rimane qualcosa in
sospeso nella scrittura, che diventa in alcuni passaggi troppo artefatta, tesa
a dover dire, fare, recuperare momenti in situazioni dove la fantasia potrebbe
andare altrove. Ma se del primo libro ne parleremo poi, qui si deve incastonare
l’episodio in un nuovo contesto storico. Da accenni fatti varie volte, sappiamo
che il giovane Martin Bora inizia la sua carriera di “militare critico” con le
avventure spagnole del 1936, con lui ventitreenne alle prese con franchisti,
anarchici e comunisti credo in quel di Bilbao. Episodi descritti nel quarto
libro scritto, datato 2003, uno dei pochi che non sono ancora riuscito a
trovare. Prima dell’inizio in pompa magna con la prossima invasione polacca e
l’inizio della guerra, Martin si trova invischiato in una vicenda cupa e di
respiro contorto, ma che serve all’autrice per giustificare in pieno il
passaggio del nostro verso i Servizi Segreti, nonché la sua avversione verso le
SS ed i modi poco gentili dei nazisti incalliti. Siamo quindi nell’aprile del
1939, in avvicinamento al grande avvenimento delle feste per il cinquantesimo
compleanno di Hitler. Nelle more, in quel di Lipsia si organizza un grande
incontro trilaterale tedesco-italo-nipponico per discutere di armamenti e
investimenti in industrie chimiche. Martin, appena uscito dall’addestramento
verso i Servizi, viene affiliato a questa missione, sotto il controllo del
maggiore Kinzel, con lo scopo di scoprire chi sia il fantomatico “Signore delle
Cento Ossa”, che dovrebbe far parte degli incontri, e che si dice sia un
traditore al soldo degli Stati Uniti. Assistiamo così a tutta una serie di
piccole vicende che coinvolgono i due italiani De Dominicis e Colloredo, nonché
gli otto rappresentanti della delegazione giapponese. Come dirà in uno dei suoi
libri, fin dalla Guerra Spagnola poi Martin aveva cominciato a scrivere le sue
considerazioni personali su di un libricino tipo Moleskine. Qui (ma non so dire
se già altrove, e ve lo dirò quando ne saprò meglio) queste considerazioni
vengono riportate come interventi in corsivo, con la scrittrice che passa
dall’italica terza persona al corsivo in soggettivo. Il “traditore” dovrebbe
passare delle informazioni su gas tossici agli americani. Ed è sicuramente nel
lotto giapponese. Dove abbiamo l’ammiraglio Oi eroe della guerra contro i
russi, il suo secondo tenente Honda, il generale Kobe, responsabile delle
operazioni giapponesi nello stato fantoccio di Manchukuo, il suo aiutante
capitano Nogi, i due responsabili delle industrie farmaceutiche Ikeda e
Kitamura, che avevano fornito materiale per le operazioni manciuriane, lo
storico dell’arte Fujiwara e la sua aiutante, la signorina Keiko. Come in tutti
i gialli che si rispettano, cominciano a fioccare i morti. Prima Kobe e Nogi,
tra l’altro trovati in situazioni sessualmente imbarazzanti. Poi, il grande
capo Ikeda, che invece sicuramente si suicida. Bora, sfruttando le sue capacità
deduttive, un po’ di fortuna, qualche conoscenza del modus agendi giapponese,
nonché le conoscenze linguistiche di sua nonna e la memoria del comandante di
suo fratellastro, di stanza in Giappone ai tempi dei fatti, ricostruisce i
fatti. In Manchukuo i giapponesi avevano instaurato una unità di studio della
guerra batteriologica che faceva esperimenti sui prigionieri anche vivi. I
chimici erano proprio Ikeda e Kitamura. Gli aguzzini Kobe e Nogi. Ora Kitamura
sembra pentito e costruisce una falsa prova contro i due, convincendo Ikeda a farli
fuori. Ma la prova è falsa e Ikeda, pentito, si suicida. Resta da capire con
chi sia in contatto Kitamura, cosa che Bora comprende pedinando Keiko. La
nostra immaginifica scrittrice imbastisce una scena veramente esilarante con
Bora che per debellare il cattivo ed impedirgli di partire lo insegue a cavallo
ed a cavallo ferma un aereo. Il tutto porterà poi a far capire a Bora che non è
tutto vero quello che sembra palese, che anche Kinzel ha i suoi scheletri da
proteggere. Ma si è ben comportato, nella logica dei Servizi Segreti, tanto che
verrà promosso, e sposerà, prima della campagna polacca, la sua Benedikta
(anche se tutti lo sconsigliano). Visto che sono già dieci anni che Pastor e
Bora vanno a braccetto, non ci meravigliamo dei pensieri del nostro, né del suo
atteggiamento favorevole ma critico verso la rinascita tedesca. Pur citando
però elementi storici reali, rispetto agli altri libri letti, Pastor indulge in
qualche licenza “poetica”. I gas nervini saranno sviluppati solo un paio di
anni dopo, il Manchukuo rimarrà in esistenza sino alla fine della Seconda
Guerra Mondiale, quando il suo territorio passerà alla Russia. Ma soprattutto è
la storia dell’Unità di Kobe e Nogi che mi ha fuorviato. Perché esisteva
veramente una sezione speciale così descritta in Manchukuo, solo che si
chiamava Unità 731 e non Unità 843 come si dice nel libro. Perché questa
modifica? Ragioni di svolgimento della trama? Altro? Insomma, pur apprezzando
la storia, la trovo un po’ al di sotto delle aspettative. Mi piace la figura di
Bora, le sue conoscenze filosofiche, storiche, geografiche e linguistiche, il
suo non arrendersi alle evidenze, e cercare la verità, anche a costo della
propria carriera (cosa che finora, per sua fortuna, non è avvenuta). Infine,
non mi ha soddisfatto la poca chiarezza del disvelamento del titolo. In
Giappone, con il termine “Cento ossa, nove buchi”, si indica il corpo umano.
Qui, il signore di questo corpo non viene mai evidenziato sino in fondo, né si
spiega veramente chi sia cosa. Sarà forse ad indicare che i Servizi Segreti
utilizzano le persone come “corpi” di un gioco perverso che solo loro
conoscono, ma è una spiegazione che è un po’ tirata per i capelli.
Ben
Pastor “Lumen” Sellerio euro 14 (in realtà 2,10 euro con Feltrinelli Gift)
[A:
09/07/2019 – I: 15/07/2019 – T: 16/07/2019] - &&&
[tit.
or.: Lumen; ling. or.: inglese; pagine: 432; anno 1999]
L’italo americana
Maria Verbena Volpi Pastor detta “Ben” venti anni fa ha iniziato con questo
libro la saga del militare tedesco Martin-Heinz Douglas Wilhelm Friedrich von
Bora. Tuttavia, nella cronologia poi della “vita” di Martin questo è il terzo
libro, dopo le storie spagnole e l’inizio della carriera da agente cominciata
nell’aprile del 1939 a Lipsia. Ma è un libro importante perché fissa alcune
caratteristiche di Martin, che ricorreranno in tutti i libri. Bora è un
militare di carriera, per tradizione familiare, con padre morto, madre scozzese
risposatasi, patrigno militare dimissionato in quanto in contrasto con le
gerarchie, nonna buddista. Bora è laureato in filosofia, conosce le lingue
(italiano, ma anche rudimenti di giapponese e russo). Bora si pone sempre
domande, anche se poi segue le direttive dei corpi d’armata. Qui, in questo
primo-terzo libro, è aggregato alle forze di occupazione che (la vicenda si
svolge dal settembre al Natale del1939) hanno invaso la Polonia. Fa parte dei
corpi militari, la Wermacht, ed è subito e spesso in contrasto con le SS. L’abilità
della scrittrice è di imbastire trame complesse, inserite in un contesto
storico reale, che quindi impone anche delle costrizioni. Qui, appunto, abbiamo
i tedeschi che stanno iniziando l’escalation che porterà alla Seconda Guerra
Mondiale. Quindi, a parte la vicenda “gialla” che costituisce l’ossatura del
racconto, ci sono le problematiche derivanti dalla resistenza polacca che cerca
di fare piccole opere di guerriglia, i rapporti con i russi, che hanno occupato
l’altra metà della Polonia, ancora vincolati nel patto Molotov-von Ribbentrop,
ma che, per parte loro iniziano a fare tabula rasa di presunti nemici,
soprattutto nel corridoio ucraino-polacco, nonché i rapporti tra militari ed
SS, dove quest’ultime vedono bene di uccidere a tappeto polacchi anche
innocenti, nell’idea di fare tabula rasa di resistenze e di ebrei. Anche su
quest’ultimo punto si notano incrinature nella corazza di Martin, quando,
nell’ambito dei prigionieri polacchi, incontra Weiss, il suo anziano professore
di pianoforte (perché Martin spesso si siede al piano per suonare il suo amato
Schumann). In questa situazione complessa, Martin, attendente del colonello
Hofer, lo accompagna spesso ad incontrare la badessa Kazimierza, in odore di
santità. La prima morte complessa è proprio quella della suora, che potrebbe
essere stata causata da soldati tedeschi o da partigiani polacchi o da altri.
Fatto sta che la suora è colpita a morte nel convento. Hofer, che cercava di
coinvolgere in preci a favore del figlio malato, esce fuori di testa e viene
rimandato a casa. Martin viene allora incaricato di occuparsi del caso,
entrando in contatto con il prete polacco-americano John Malecki. Nelle more
dell’indagine, i due saranno impegnati in discussioni teologiche sui miracoli,
sulle profezie, nonché sulla religione stessa. Intanto Martin è anche
disturbato dal rapporto con il suo coinquilino, il colonnello Retz,
imperterrito donnaiolo, che in quel di Cracovia dove sono di stanza i militari,
incontra la sua vecchia fiamma Ewa, un’attrice sul viale del tramonto. Con cui
riallaccia rapporti stretti. Ne allaccia anche con donne polacche incontrate
casualmente. Nonché con Helenka, la figlia di Ewa ed attrice emergente. Mentre
prosegue l’indagine sulla morte della suora, con piccoli passi avanti, sul finto
ritrovamento di armi, sulla presenza di partigiani nel convento, sulla
possibile presenza dello stesso Hofer poco prima dell’uccisione, i rapporti
complessi di Retz con le sue donne arrivano al punto di rottura. Con Retz che
viene trovato morto con la testa nel forno. Suicidio? Omicidio mascherato?
Altro? Anche di questo viene incaricato in modo non ufficiale il nostro
militare. Che scopre incongruenze nella morte di Retz, che scopre che Ewa, alla
fine, ha scoperto la tresca di Retz con Helenka, che riceve la confessione da
Ewa che Helenka è anche figlia di Retz (anche se questi non ne era a
conoscenza). Sarà il rimorso dell’incesto o un moto di Ewa verso l’impenitente
Retz, che portano quest’ultimo alla morte? Intanto, anche la vicenda della
suora in odore di santità si stanno stringendo. Il bossolo che l’ha uccisa è
polacco. Ma potrebbe essere stato esplosa anche da una pistola tedesca, come
quella multiuso che aveva il colonnello Hofer. Tutte le morti saranno risolte
dal brillante acume del capitano Martin Bora, che però sta entrando in
contrasto con la sua coscienza: vede troppe deviazioni sul terreno militare e
morale, tanto che sentirà il bisogno di avere un lungo colloquio chiaritore con
il prete americano. Martin che probabilmente vedremo quindi promosso nel
prossimo capitolo della saga. Un libro dalla struttura complessa, che mette in
mezzo tanti temi, come ad esempio quello derivante dal motto di Matka
Kazimierza, “Lumen Christi, Adiuva Nos”, dove Bora passa lungo tempo nello
studio dei vari significati del termine “Lumen” che poi dà il titolo al
romanzo. Come anche quello legato alla rappresentazione teatrale dove lavorano
Ewa e Helenka, “Le Eumenidi” di Eschilo, basate sulla domanda se sia più
colpevole la madre che uccide il marito o il figlio che per vendetta uccide la
madre (ovviamente stiamo parlando di Clitennestra che uccide Agamennone e di
Oreste che uccide Clitennestra). Insomma, Pastor mette tanta carne al fuoco,
forse troppa. Di molta ci si dimentica, o non si approfondisce qui (forse nel
seguito), di altra si pensa e rimarrà nel fondo della testa. Come il rapporto
tra dovere ed ordini contrari alla dirittura morale di un soldato. Ma nel
complesso è una trama ben sostenuta dalla scrittura, che, pur nella non sempre
possibilità di punire i colpevoli, porta alle conseguenze finali le varie
azioni: sappiamo come sono avvenute le morti, chi le ha causate e perché. E non
è una conclusione da poco.
Ben
Pastor “I piccoli fuochi” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 11,25 euro)
[A: 18/04/2019 – I: 19/07/2019 – T:
24/07/2019] - && e ¾
[tit. or.: The Little Fires; ling. or.: inglese; pagine: 543; anno 2016]
Come ho già
accennato, l’esimia Maria Verbena saltabella di qua e di là del tempo per
imbastire le storie di Martin von Bora. Questo, infatti, che cronologicamente è
il quarto episodio, in realtà è l’undicesimo e penultimo volume scritto. L’idea
di Pastor, credo, sia quella, una volta trovato il filone narrativo che le si
confà, di riempire, man mano che riesce a trovare i tasselli giusti, la storia
“reale” di questo finto personaggio. Un militare di professione, nazista
convinto (almeno nelle prime attività) ma assolutamente in contrasto con la
parte “politica” del nazismo tedesco, cioè le SS e la Gestapo. Quelli che
meglio di me sanno di storia, trovano che il modello cui Bora si avvicina sia
quello del colonnello Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg, il
principale ideatore della famosa “Operazione Valchiria”, quella che avrebbe
dovuto uccidere Hitler il 20 luglio del 1944. Attentato fallito, con
conseguente fucilazione dei complottanti, tra cui il colonnello. Queste prime,
cronologiche, vicende ricalcano quindi i primi passi noti della carriera di von
Stauffenberg. Non so del primo romanzo, quello ambientato in Spagna, che non ho
e che non riporta cosa fece il colonnello durante la rivolta franchista. Né è
ben chiaro cosa porti Martin-Claus a Berlino nel 1938 per quell’incarico di
collegamento con i giapponesi. Certo serve ad inserire Martin nelle truppe dei
Servizi Segreti. Il volume “Lumen” ricalca (logisticamente) la prima missione
del colonnello, ufficiale delle truppe che invadono la Polonia dal settembre
1939 al giugno 1940. Questo quarto episodio, così come il reale ufficiale, si
svolge durante la Campagna di Francia. Da qui parte la fiction di Bora che,
nelle trame di Ben Pastor, segue le truppe in Francia con due missioni precise.
Una del suo superiore diretto, il colonnello Kinzel, dove deve dirimere gli
avvenimenti legati all’uccisione in Bretagna di Marie Goumelen, moglie
dell’ammiraglio tedesco Arno dal cognome che non ricordo mai. L’altra, da parte
del grande vecchio, Wilhelm Canaris, il comandante in capo del Controspionaggio
tedesco, dove deve accertarsi di cosa faccia realmente in Bretagna il capitano
Ernst Junger. Si, proprio lui, lo scrittore, non personaggio fittizio. Che
realmente si trovava in Francia in quel periodo. Forse non in Bretagna, ma
sicuramente in uno dei suoi periodi di riflessione tra l’adesione e
l’allontanamento verso il nazismo. Junger fu certamente un conservatore, ma
anche, e sicuramente, uno scrittore e filosofo di grande spessore, morto una
ventina di anni fa alla veneranda età di 103 anni. Inoltre, era anche un
curioso entomologo, motivo per cui i suoi giri nella Bretagna del libro sono
giustificati ampiamente. Per il resto, a parte le citazioni in ex ergo ad ogni
capitoli, ed il suo intervento in alcuni punti della trama, la sua presenza
sembra soltanto servire a irrobustire l’immagine di Martin-Claus, che Junger,
benché non partecipò, fu vicino agli ambienti del “20 luglio”. Ma qui dobbiamo
seguire altro. Abbiamo l’indagine sulla morte di Marie, che si incunea in
quella zona d’ombra dei rapporti tra tedeschi occupanti e irredentisti bretoni.
Almeno così vorrebbe farci credere l’autore, che inzeppa tutta la prima parte
di tocchi legati alla Bretagna, ai monti, ai nomi, ai rapporti con i tedeschi.
Narrazione che raggiunge il culmine con due successive morti: quella della
prostituta Tampico e poi di Manfred, il figlio di Marie e di Arno. Il tutto
condito appunto con il sugo dei Servizi Segreti, anzi delle SS, che hanno il
fiato sul collo del poco ortodosso Martin, che muovono i fili de “La Mome
Chouette”, l’amante di Arno, ed altre minuzie vaganti. La narrazione,
purtroppo, è un po’ prolissa, ed invece di concentrarsi sui punti essenziali,
spesso vaga tra il diario di Bora (che sta diventando un po’ pesante con
l’andare del tempo), e le descrizioni di usi e costumi locali, tanto per
giustificare il titolo dei piccoli fuochi, come fiammelle delle micro-attività
locali, invise all’ortodossia dei tedeschi occupanti. Noi però ci concentriamo
su Bora e sulle sue indagini. Che tra un punto e l’altro delle campagne
bretoni, tra un punto e l’altro dei bottoni del cappotto, unendoli
accuratamente, ricostruisce le trame nascoste. Ovviamente altre, senza contatti
con le insurrezioni locali. Che Arno è un militare di carriera nella Marina
tedesca, dove comincia dal basso e senza una famiglia danarosa alle spalle.
Così, quando è di stanza a Le Havre si accompagna con una signorina locale,
facendo con lei un figlio. Poi incontra la ricca Marie, lascia con un palmo di
naso la bella Katen ed il piccolo Drez. Con Marie genera Manfred, ma per
continuare a fare la bella vita con altre donnine, non ultima la cantante di cabaret
sopra citata. Quando Arno torna in Francia con i tedeschi occupanti, Marie ha
un lampo di genio per vendicarsi del marito fedifrago: coinvolgere Katen e Drez
nella morte della cantante, illudendo il povero Drez di poter nominare erede di
parte delle sue fortune. Peccato che La Mome non cade nella trappola e Drez, di
molto imbestialito, prima uccide Marie, cercando di far incolpare qualche
bretone dei monti. Poi, non contento, fa fuori anche il fratellastro Manfred,
prima di morire in un incidente automobilistico. Nelle more, l’unica persona
che muore senza un vero perché è la prostituta Tampico, amante di Manfred, ma
fatta fuori dalle SS per incastrare, senza successo, Martin. Io ve l’ho fatta
facile, ma la nostra scrittrice impiega più di 500 pagine per intortare la
trama, per girarci sopra e sotto, per metterci altre pulci nelle orecchie. Ad
esempio, citando il massacro di Katyn, di cui aveva avuto sentore nel romanzo
“Lumen” (il primo scritto, ricordo), che gli viene ricordato da un fuoriuscito
polacco, nonché dal futuro marito della madre di sua moglie Dikta. Massacro che
verrà allo scoperto solo nel 1943, e che sarà “confessato” alla luce del sole
solo nel 1992! Poi, accennando al fatto che, ritornando al quartier generale a
Berlino dovrebbe partire per Mosca. Cosa che i più attenti scopriranno nel
prossimo volume, quinto nella crono, ma scritto prima di questo. Infine,
Martin, benché faccia finalmente sesso soddisfacente con la moglie, lancia già
qualche frecciata, di modo che vedremo come questo rapporto non porterà i due
molto lontani. Comunque, l’impianto generale, benché complesso ed a volte
troppo macchinoso, rimane interessante: vedere l’evoluzione mentale interiore
di una persona ligia al dovere ma critica verso le sue deviazioni. E si continuerà
a leggerne, perché, nonostante le lunghezze, l’idea mi affascina (e la rimando
lì al mio amico Professore).
Ben
Pastor “La strada per Itaca” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 11,25
euro)
[A: 17/04/2019 – I: 25/07/2019 – T:
30/07/2019] - &&& -
[tit. or.: The Road to Ithaca; ling. or.: inglese; pagine: 493; anno 2014]
Continuiamo nella
scrittura “su e giù” della nostra scrittrice italo-americana, di cui
continuiamo a leggere per poter arrivare a chiudere il cerchio con quel libro
acquistato per altre motivazioni. Qui, infatti, arretriamo di due anni nella
scrittura, ma avanziamo di qualche mese nella scrittura. Passiamo allora dalla
campagna di Francia, con il cammeo dedicato a Ernst Junger, al trasferimento
del nostro eroe, Martin von Bora in quel di Mosca dove, insieme alle gerarchie
naziste, prepara la famosa “Operazione Barbarossa”, che fece passare russi e
tedeschi dallo scellerato patto Molotov – von Ribbentrop, alla guerra aperta.
Come sia andata, non è certo di queste pagine esaminare, perché anche il libro
della nostra esegeta (anti-)nazista passa subito ad altri lidi, anche se nella
stessa guerra. Come ci rimanda il titolo, allora, ci spostiamo a sud, anche se
non nell’isola omerica, ma nella più interessante e “fakiana” isola di Creta. Certo,
Pastor è abile nel mettere tanta carne a fuoco. Ad esempio, la piccola nota
dedicata a Erskine Caldwell ed a sua moglie Margaret Bourke-White, che in
effetti furono a Mosca, anche se la loro presenza è documentata in Ucraina due
anni più tardi. Poi, gli accenni agli eccessi di Lavrentij Pavlovič Berija,
considerato l’anima nera dello stalinismo, negli anni del romanzo a capo della
Polizia Segreta, che prima invia Bora alla ricerca di speciali vini cretesi, il
bianco Dafni ed il rosso Mandilaria, poi, a seguito delle vicende narrata,
nonostante il successo del vino, farlo espellere dal suolo sovietico il 9
giugno del 1941, pochi giorni prima dell’offensiva nazista, che iniziò il 22
giugno. Ma il nocciolo del romanzo è appunto a Creta, dove Bora, arrivato alla
ricerca del vino, viene coinvolto nella ricerca della soluzione di un efferato
omicidio, quello di un apparente pacifico cittadino svizzero, Villiger, e di
tutta la sua servitù. Bora viene coinvolto perché, sulla base di alcune
indicazioni di prigionieri inglesi, parrebbe essere stato un manipolo di truppe
aviotrasportate tedesche ad effettuare la strage. Qui vediamo la capacità di
Pastor di incasinare il tutto. Perché a capo del manipolo c’è Waldo Perger, un
tempo bambino che giocava con Martin, per poi divergerne in seguito ad una lite
mai sanata. Lite che per tutto il libro Martin cerca di ricordare, e che invece
è ben presente in Waldo, che fa di tutto per mettere bastoni tra le ruote del
nostro. Poi ci sono gli italiani, di stanza a Creta, che potrebbero essere
autori della strage, essendo i bossoli compatibili con le loro Beretta. Ma
questi non avevano motivi. C’è il turco Rifat Bey, che si accompagna con una
ebrea, vicino di casa di Villiger, che potrebbe aver avuto paura di delazioni
varie. C’è tutta la comunità estera di stanza a Creta, principalmente in quanto
archeologi ed affini. Inglesi, americane sposate con greci, italiani
truffaldini. Tutta gente che aveva allontanato Villiger dalle loro
frequentazioni. Infine, ci sono gli stessi inglesi, il soldato Powell-Cowell
che ha fotografato la strage, ed il detenuto Patrick Krisnamurti Sinclair,
tenente anglo-indiano, che ha denunciato la strage. Bora al solito trova un
alleato locale nello strano comandante della polizia locale, Varion Kostaridis,
che molto sembra sapere, ma che poco sembra aiutare il nostro. Pastor impiega
una quantità spropositata di pagine per seguire le solite peregrinazioni
mentali di Bora. Sia per continuare quel lavoro di entomologia, nel seguire
l’evoluzione mentale di un militare, ligio alle gerarchie, ma che si pone dei
dubbi sempre più forti sul nazismo e sull’operato delle sue truppe. Inutile
seguirlo su questa strada, anche se, a ritroso, ne vediamo il percorso, che,
per chi come me aveva letto tre anni fa “Luna bugiarda” in parte era già
chiaro. Sia per farci fare passo dopo passo le stesse tappe nella ricostruzione
del delitto. La scoperta di passaporti falsi, la scoperta di nomi falsi, dove
Villiger alla fine non è più svizzero, ma forse tedesco. E non è di certo archeologo,
ma probabilmente spia. Talmente incasinata, la sua vita da spia, che potrebbe
essere stato anche un doppiogiochista, che spiava per i russi in Cina alla fine
degli Anni Venti, e che ora cercava di rivendere ai tedeschi vecchi camerati.
C’è tutto un lungo peregrinaggio per i monti cretesi, insieme ad una archeologa
americana, alla ricerca di testimoni, che potrebbe forse interessare uno
studioso ed attento conoscitore del suolo locale come il mio amico Fako, ma che
risulta un po’ palloso. Nei boschi incontra anarchici spagnoli, con i quali
nella mente ritorna sempre al suo primo amore Remedios. Incontra comunisti
greci che vorrebbero ucciderlo. Incontro finalmente anche gli inglesi. Ma
Cowell è morto. Tuttavia, i suoi scritti in punto di morte, illuminano
finalmente sia il gioco pericoloso di Villiger, sia il gioco sporco di
Sinclair. Alla fine, Bora riesce a scagionare completamente i tedeschi (da
questa morte, non dalle stragi). E rivela il colpevole, realmente una spia
russa (motivo per quella uscita di Berija sopra menzionata). Ripeto, il
percorso di Martin è interessante, Pastor è discretamente documentata, i
passaggi storici sono in ogni caso interessanti. Forse maggiormente per uno
specialista come il mio amico Luciano. A me rimangono il piacere di una lettura
che stimola a cercare notizie storiche anche dimenticate, l’ideale di Martin, e
qualche spigolatura. Dispiace il dissiparsi della trama in forse troppe pagine.
Ma anche questa è una caratteristica dell’autrice. Alla quale tuttavia farei due
domande finali, che mi hanno lasciato perplesso. L’americana Frances dice che
Villiger era soprannominato Blimpy, come il personaggio spalla di Braccio di
Ferro, quello che mangiava sempre hamburger. Ora, in una versione italiana,
l’avrei chiamato come viene ribattezzato in Italia, cioè Poldo. Ma soprattutto,
in americano il personaggio si chiama Wimpy. È vero che Wimpy è ora una catena
di fast-food. Ma anche Blimpy lo è. Mistero! Infine, il poliziotto Kostaridis
dice di aver partecipato con successo alle Olimpiadi di Anversa nel 1920. Ed in
effetti, la squadra militare greca, in quella occasione, vinse la medaglia
d’argento nella categoria “pistola militare a squadre”. Ma la squadra, di
cinque elementi, era composta da Alexandros Theofilakis, Ioannis Theofilakis,
Georgios Moraitinis, Alexandros Vrasivanopoulos e Iason Sappas. Perché inserire
un dettaglio importante, ma in modo sbagliato? Altro mistero!
“Questa [donna] …
è intrepida, un fastidio peggiore che se fosse un tipo svenevole. Se mi risultasse
attraente, potrei controbilanciare l’antipatia con l’indulgenza che noi maschi
stupidamente proviamo per le donne belle e moleste.” (316)
“Ogni strada verso
casa è la strada per Itaca … Proprio come ogni viaggiatore è Ulisse, se prende
coscienza del suo vagabondare.” (453)
Anche settembre
si è viaggiato (nel bellissimo Guatemala), ma qualche libro lo si è letto
ugualmente. Sempre con pochi slanci, se non un’interessante ripresa di uno dei
primi libri di Jo Nesbo dedicato ad Harry Hole, e, sul versante opposto, un
difficilmente digeribile libro di racconti di Simona Vinci.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Simona Vinci
|
In tutti i sensi come l’amore
|
Einaudi
|
s.p.
|
1
|
2
|
Gianni Simoni
|
Troppo tardi per la verità
|
TEA
|
9
|
3
|
3
|
Anne Perry
|
Morte di uno sconosciuto
|
Mondadori
|
3,60
|
2
|
4
|
Anne Perry
|
Sangue sul fiume
|
Mondadori
|
5,90
|
2
|
5
|
Michael Connelly
|
La strategia di Bosch
|
Pickwick
|
10,90
|
2
|
6
|
Antonio Forcellino
|
Raffaello. Una vita felice
|
Corriere della Sera Arte
|
7,90
|
3
|
7
|
Giovanni Cocco & Amneris Magella
|
Omicidio alla Stazione Centrale
|
TEA
|
11
|
3
|
8
|
Jo Nesbo
|
Scarafaggi
|
Einaudi
|
13,50
|
4
|
9
|
Dolores Redondo
|
Il guardiano invisibile
|
TEA
|
12
|
2
|
10
|
Paula Hawkins
|
La ragazza del treno
|
Piemme
|
19,50
|
3
|
Aspettando
che si concretizzi il primo viaggio 2020 ancor verso l’amata India, un bel fine
settimana a sistemare le ultime cose in campagna. Ma i lavori non finiscono
mai, come gli esami di Edoardo. Però sembra che tutto (o quasi) raggiunga il
suo pezzo d’incastro nel puzzle della vita.
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