Chiara Valerio “La
matematica è politica” Einaudi 12 (in realtà scontato a 11,40 euro)
[A: 18/09/2020
– I: 10/10/2020 – T: 11/10/2020] &&&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 105; anno: 2020]
Anche
se avevo solo intravisto la dottoressa Valerio in “Propaganda Live”, mi aveva
mandato segnali di positiva simpatia. Saputo che, come me, è laureata in
matematica, una volta visto questo saggio in libreria, come resistere alla
tentazione di comprarlo, e di leggerlo presto?
Dopo
i lucidi interventi live, confermo che Chiara ha una visione molto precisa e
condivisibile, sulla vita e soprattutto sulla matematica. Ci sono solo un paio
di sbavature, che solo avendo delle infarinature numeriche si possono
apprezzare. Ma anche laddove si addentra in territori generalmente ostici (tipo
il quinto postulato di Euclide) ne esce in modo brillante e comprensibile.
Il
punto fondamentale, su cui le nostre idee convergono, è la politicità e la
democrazia della matematica. Chi ne ha studiato in maniera seria sa, che il
mondo matematica si fonda su delle regole, su di un quadro di riferimento. Che
è lo stesso che si dovrebbe avere nella vita quotidiana. Bello, ad esempio, il
capitolo sulla Costituzione. Se quello è il quadro della democrazia italiana,
allora bisogna entrare nel suo perimetro. E muoversi, ragionare, lavorare,
proporre, all’interno di quel quadro.
Esattamente
come ci hanno insegnato in matematica. Per arrivare ad un esempio personale,
nell’ambito della mia tesi di laurea, che doveva soltanto dire che non avrei
raggiunto i risultati sperati. Ebbene, tre quarti della tesi li ho impiegati a
definire le regole (per i più addentro alla problematica, ho definito lo spazio
di riferimento e le sue regole interne).
Un
punto che avrei sottolineato di più (o meglio, se ne fossi capace) è la
logicità che consegue alla definizione della democrazia matematica. Per due
canali di ragionamento. Uno interno: date certe premesse, dato il quadro di
riferimento, non possiamo che logicamente e per deduzione arrivare a delle
soluzioni. Che possono essere condivise o meno, ma sono congruenti con le
premesse. Il secondo punto, che chiamerei esterno, è invece l’utilizzo della
logica per affrontare un problema, o la vita stessa.
La
matematica (ma anche lo studio in generale, anche se nel campo matematico è più
facile accorgersene) insegna ad affrontare logicamente una questione, un
problema, la vita. Si inquadra, se ne cercano i contorni (il quadro di
riferimento) e se ne affrontano le parti, magari scomponendole, affrontandole
ad una ad una, sino a che il quadro globale non è smontato e facilmente
raggiungibile.
Un
esempio comprensibile a molti potrebbe quindi essere la divisibilità per un
numero primo elementare, ad esempio il 7 (che essendo il mio numero, è quello
che utilizzo maggiormente). Avendo un numero complesso, di quattro cifre ad
esempio, non è di immediata soluzione la sua divisibilità. Utilizzando un
criterio standard (che metto in appendice per chi fosse interessato), si
scompone logicamente il problema, in divisioni più semplici, sino ad arrivare
alla tabellina del 7, che normalmente è elementarmente nota.
Ulteriore
problema che affronta Chiara è la supposta osticità della matematica. Lei la
risolve solo attraverso una esortazione allo studio (che ci sta). Io
aggiungerei anche la normale non matematicità di molti insegnanti nella scuola
media, che spesso provengono da altre facoltà scientifiche. Perché per farti
superare lo scoglio della sua incomprensibilità, bisogna che chi parli di
matematica si ponga al tuo livello: sappia di cosa si parla e con chi.
Una
chiusa finale, che condivide totalmente, è poi la non immutabilità della
matematica e della vita. Quello che sapeva Pitagora era giusto per i tempi di
Pitagora, ma ora dopo duemila anni e più, la matematica è talmente cambiata che
anche Pitagora ne sarebbe meravigliato. Così è anche la vita, e la democrazia,
per tornare all’assunto inziale. Quello che non muta è la necessità di regole:
se cambia il quadro può cambiare l’approccio democratico alla vita. Quello che
non è vero è il contrario: non si può cambiare prima la democrazia. Si andrebbe
direttamente verso una dittatura.
Forse
ho parlato più di me che di Chiara Valerio, ma ritengo che possiate tutti fare
un piccolo sforzo e leggere questo centinaio di pagine. Lo meritano.
“Ognuno
di noi sbaglia a modo proprio, ma tutti sbagliamo.” (62)
“La
vita d’altronde è una malattia mortale.” (69)
“Io
penso che l’unica difesa della dittatura dell’intrattenimento sia la lettura. …
Il lettore, come chi studia matematica e in generale chi studia, è capace di
stare da solo. Chi sta da solo è politicamente complesso perché non deve essere
intrattenuto. Chi sta da solo si intrattiene da solo.” (84)
Autori
Vari “La caponatina di Adelina” Trenta Editore 16 (in realtà, scontato a 13,60
euro)
[A: 29/05/2020
– I: 20/11/2020 – T: 22/11/2020] &
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 223; anno: 2019]
In realtà sarei stato propenso anche a voti
maggiori se, come avevo scritto nelle mie note personali, avessi potuto
ascrivere il libro ad Andrea Camilleri, visto che il sottotitolo recita: “La
raccolta completa delle ricette amate dal più astuto commissario siciliano”. Ed
in secondo luogo se la costruzione del libro avesse avuto una schematicità ed
un modo di espressione maggiormente pensate.
Seppur l’idea delle edizioni Trenta non è
priva di interesse, soprattutto per uno come me che annovera tra i suoi libri
“cult”, due ricettari inarrivabili: le ricette di Nero Wolfe e le ricette della
signora Maigret, la sua realizzazione, appunto, mi ha lasciato un po’ distante.
Prima di tutto, che le ricette sono dei piatti che mangia il nostro Salvo
Montalbano. Ma questo sarebbe passabile. Quello che poteva essere di collant,
come nel caso della signora Maigret, è la frase, il contesto del piatto. Qui
interviene Camilleri, ma chi ne ha pensato la struttura ha fatto appunto due
errori.
Primo, le frasi sono certo riferite a testi
con tanto di pagine, ma andrebbero commentate, intercalate, in un certo senso
contestualizzate. Secondo, visto che si tratta di pranzi e cene, anche se
variamente concepiti, del nostro commissario, si parla spesso di più di un
piatto. Allora, invece di mettere le ricette in ordine alfabetico, e poi
ripetere la stessa citazione più e più volte, avrebbe avuto maggior senso (e
maggior leggibilità), riportare la citazione e poi elencare i diversi piatti
colà citati. Tanto poi, sarebbe bastato un indice alfabetico finale (che
d’altronde è presente) per permettere di ritrovare i vari piatti.
La struttura generale sarebbe anche
interessante: suddividere i pranzi, le cene, le sedute in tavola del
commissario Montalbano in due grandi elenchi ed i due piccoli. I primi due non
possono che essere i punti fissi, le stelle dell’universo di Montalbano: la
cucina di Adelina e la cucina di Enzo. La prima è quella che gli fa trovare in
tavola (o nel forno) prelibatezze che permettono al nostro di bordeggiare tra momenti
difficili, inchieste complicate e celebrazioni personali (con Livia
soprattutto, ma anche con altre, se avete letto tutto il corpus del
personaggio). Il secondo è il principe indiscusso della trattoria dove,
soprattutto a pranzo, il nostro si reca per schiarirsi le idee, e poi fumarsi
una sigaretta passeggiando verso il molo.
Sono il corpo robusto del volume, l’ossatura
portante. E reggono bene il passo. Con una sola scivolata poca comprensibile: a
pagina 113, mentre si parla di Enzo, citando alcuni passi dei romanzi in cui si
narra del piatto che si va a proporre (nella fattispecie “Pasta coi broccoli”),
viene citata la “Pista di sabbia” dove però si parla di Adelina e non di Enzo.
Sottolineiamo che invece a pagina 54 la pasta coi broccoli di Adelina è isolata,
senza menzione a Enzo. Se poi vogliamo andare a cercare il pelo nell’uovo e
paragoniamo le due ricette, troviamo che sono uguali negli ingredienti e nella
preparazione. Un punto negativo al curatore.
Non è il sol svarione ripetitivo. Un altro
evidente sono le sarde a beccafico. Ricetta di Adelina e di un ristorante
locale. Stessi ingredienti, stessa preparazione. Cambia solo la sintassi. Da
“Mettete a bagno in acqua tiepida … l’uvetta e i pinoli” a “Mettete a bagno
uvetta e pinoli in acqua tiepida”. Chi si vuole prendere in giro?
Poi ci sono i due piccoli elenchi. Quello dei
piatti mangiati da Salvo fuori dalla diade maggiore, e ci può stare. Ma la
cucina “fimmina” non ci sta, o ci sta poco. Perché se è vero che ci sono donne
che hanno cucinato per lui, non risaltano per l’acume culinario. Certo Ingrid
mette una ventata svedese nei menu siciliani. Ma di Livia si ricorda altro, non
certo il tortino d’alici che chiude il libro.
Quindi, tornando alla struttura, avrei diviso
in tre: Adelina, Enzo e resto del mondo. Poi, all’interno di ogni elemento,
userei due criteri per svolgere le ricette: la progressione in tavola
(antipasto, primo, secondo, contorno e dessert) e la citazione
multi-comprensiva (quella che cita tutto un pasto e va trattata in modo omogeneo).
Anche nella descrizione delle ricette avrei
usato un metro più amicale verso il lettore, come ad esempio a pagina 18,
quando si spiega l’origine e la storia di un formaggio mitico: il caciocavallo
ragusano (un formaggio citato in scritti fin dal 1515!).
Insomma, è facile fare un ricettario.
Difficile, e qui non riuscito, fare un ricettario legato ad un personaggio
letterario, che invece dovrebbe essere d’aiuto. Perché basta riferirsi alle
parole che l’autore sparge nei suoi libri, assemblarle intelligentemente, ed
unire a ricette ben commentate.
A proposito di libri, infine, lodevolmente si
riporta la bibliografia dei romanzi del nostro commissario. Ma pur capendo che
si possa non citare “Riccardino”, ultimo e postumo libro di Camilleri, di cui
ben sappiamo la storia che qui non riporto, non capisco perché vengano saltate
le citazioni a “Un covo di vipere” del 2013 e a “La giostra degli scambi” del
2015. Certo, in nessuna ricetta vengono riportati passi da questi due libri, ma
ne avrei fatto cenno comunque (magari spiegando il perché della mancanza di
buon mangiare). Mi ero avvicinato al libro speranzoso. Me ne allontano deluso.
La
Pina “I love Japan” Vallardi s.p. (Regalo di Alessandra)
[A: 02/10/2020
– I: 30/10/2020 – T: 26/11/2020] &&&&---
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 438; anno: 2020]
O
meglio, come recita il titolo completo: “I love Japan. In viaggio con Emiliano
Pepe. 20 posti pazzeschi da vedere in Giappone”. La Pina è ovviamente Orsola
Branzi, ex rapper in vari gruppi e poi solista e da anni voce trainante a Radio
Deejay.
Il
libro, invece, è un (pallido ma efficace) sostituto dell’attuale impossibilità
di viaggiare. Ero indeciso se aspettare l’apertura dei cieli per prenderlo in
mano, tuttavia il settimo anniversario del mio primo viaggio in Giappone mi ha
convinto: leggiamone e viaggiamo con la mente, visto che con il corpo ancora mi
sa che ci vorrà tempo.
Di
certo il mio approccio è stato anche un po’ frenato dal fatto che non fossi
convinto La Pina potesse essere un buon anfitrione. Con mio interno giubilo,
devo dire che mi sono ricreduto. Certo, a volte è troppo entusiasta di piccole
cose, ma il tour giapponese condotto da lei e da Emiliano, è veramente
interessante. Con il mio senso del limite, forse non avrei definito “pazzeschi”
i luoghi da lei proposti, ma di certo interessanti e degni di essere visti.
Un
plus, non scontato ma veramente ben accettato e ben fatto, è il “QR code” alla
fine di ogni capitolo, che rimanda ad un video che ripercorre alcuni passi
salienti dello scritto appena letto, accompagnato dalle musiche di Pepe. A
volte forse troppo tendenti a Keith Jarrett (senza raggiungerlo), altre volte
un po’ tra New Age e Ambience. Tuttavia, nel complesso non stonano e
sottolineano con grazia i momenti giapponesi.
Venendo
al contesto, tra scritto ed entusiasmo, devo separare bene il testo dalle sue
descrizioni. La scelta dei luoghi, ed in particolare i cinque capitoli
iniziali, sono degni e condivisibili. Le parole che ne parlano e ne descrivano,
a volte sono, per i miei gusti, un po’ troppo sopra le righe. Una
sovrabbondanza di “pazzesco”, bellissimo, imperdibile, indimenticabile. Che
forse ci sono, ma le sensazioni incredibili che lascia il Giappone (ed a me le
ha lasciate) a volte necessitano più di sussurri che di grida.
Comunque,
La Pina azzecca il motore dell’azione verso il Giappone, inserendo cinque
capitoli tematici che danno il senso ed il colore (ed anche il sapore, forse) a
tutto il viaggio.
Infatti,
si parla di mezzi di viaggio. Se non siete mai stati su uno Shinkansen non
potete capirne né il senso di vicinanza che comunica, né il senso di rispetto
che hanno verso di voi i dipendenti delle ferrovie. Che si inchinano ogni volta
che vi incontrano in senso di rispetto. E puliscono tutto il treno, che viaggia
lindo e pinto.
Infatti,
si parla di cibo. E cosa sarebbe il Giappone senza il suo cibo. Senza la
delicatezza e la forza di sushi, sashimi, tempura e via discorrendo. Senza lo
stordimento dei sensi cospargendo il cibo con il wasabi. Senza i colori, senza
il tè. Senza gli accostamenti di sapori a volte inscindibili, a volte non
proprio in linea con il mio gusto occidentale.
Infatti,
si parla di ryokan e onsen. Due elementi tipicamente giapponesi, che se non li
avete visitati non capirete mai a fondo l’anima del posto. I “ryokan” sono le
locande, spesso a conduzione familiare, che vi ospitano tipo b&b, ma con la
tradizione giapponese. Si entra, e si cammina solo su tatami, scalzi o con
ciabatte (di una scomodità unica), si dorme sui futon, si vesta la yukata, i servizi
sono condivisi. Insomma, si attraversa uno spaccato di vita giapponese
tradizionale. E poi ci si lava negli “onsen”, che sono una specie di bagni
termali nostrani, ma di una gradevolezza ed una compostezza gestuale unica.
Infatti,
si parla di templi. Che ce ne sono tanti, che sono da vedere, da passeggiare,
da stare e riposare. Dagli shintoisti molto Japan inside, ai buddisti, ai
cimiteri di tutti i tipi, fino a quello degli animali domestici toccante non
sapete quanto.
Un
errore è stato solo non aver inserito in questa introduzione ad ampio spettro i
giardini. Perché i giapponesi amano i fiori, le composizioni, il verde e gli
accostamenti tra alberi e piante. Riposare su una panchina in un giardino zen è
un’esperienza di riposo totale.
Dopo
aver capito i motori fondamentali della cultura di vita giapponese, si parte
per le destinazioni fuori e lontano da Tokyo. Utili gli schemini riassuntivi
che indicano come raggiungere le varie località partendo dalla capitale.
Sarebbe stato utile mettere un capitolo finale in cui si poteva suggerire come
fare un “tour del Giappone” attraverso queste meraviglie.
Personalmente,
ho visto solo Kanazawa, per cui mi metterò prima o poi alla ricerca delle altre
mete. Magari cercherò di combinarle io in quel giro che forse pensava La Pina,
ma che qui non ha esplicitato. Per ora, un grazie ad Alessandra che sa
veramente quanto mi manche viaggiare, da solo, con lei, e con tutti voi.
Nota
finale: non ho fatto un elenco dei giri e delle proposte di viaggio fatte da La
Pina, che valgono la lettura (se volete) o il viaggio (se riusciremo a farlo).
Ma presto lo rifaremo.
“[In
Giappone] ho apprezzato la naturalezza con cui si accettano i cambiamenti del
proprio corpo con l’età. Il fatto di vedere le persone anziane nude è una cosa
che a noi capita raramente … la vecchiaia non è una cosa da nascondere.” (364)
Francesco
“Fratelli tutti” Libreria editrice Vaticana euro 2,90
[A: 20/10/2020
– I: 07/12/2020 – T: 10/12/2020] - &&&&
[tit.
or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 280;
anno 2020]
Più esattamente, come dice il sottotitolo:
“Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Una bella lettura. Certo, il
gradimento alto, non è dovuto allo stile, tipicamente scarno che adotta il
pontefice. Ma ai contenuti, interessanti, forse non tutti condivisibili, ma in
gran parte espressi con una forza morale cui sarebbe bene dare supporto e
seguito.
Ci sono, è ovvio, parti legate alla Chiesa ed
alla catechesi, su cui, per mia forte incapacità, non entro neanche con commenti
marginali.
Quello che vorrei tirar fuori sono tre passi
che mi sembrano condivisibili sempre e comunque, nonché due piccoli
approfondimenti marginalmente dottrinali, che però intravedo alla luce del
nostro comune buon senso.
Il primo punto riguarda esplicitamente il
sottotitolo. L’esortazione alla fratellanza, al sentirsi un noi che vada al di
là dell’egoismo che sempre è presente in tutti. Soprattutto quando si avvicina
un “prossimo” che ci mette in difficoltà. Ecco allora che dal fratello si passa
all’amico, dove si sottolinea che gli amici si scelgono, i fratelli no. Ma se
vogliamo passare dall’indifferenza sulle sorti umane, dobbiamo affratellarci
con gli altri, scegliendoli come amici, e sentircene legati come fratelli. Papa
Francesco ne fa una linea di pensiero coerente, andandoci a descrivere chi sono
questi altri che dobbiamo scegliere come amici, trattare come fratelli, al fine
di vivere, noi e loro, in un mondo diverso, più attento alla ricostruzione di
quanto in questi anni, in questi decenni, molti hanno distrutto. E continuano a
distruggere.
Il secondo punto è l’esortazione alla pace.
Un discorso ben difficile, visto che, anche se non ce ne accorgiamo, siamo
contornati da guerre. Guerre tra popoli, e queste sono facili da comprendere.
Guerre verso le malattie, che si potranno vincere solo tornando a quanto nel
paragrafo precedente, solo diventando quel noi che insieme possa lottare e
trovare i modi di sconfiggere tutte le malattie. Due passaggi mi hanno colpito.
Uno, reale e condivisibile, dove si afferma che non esiste una guerra giusta.
Sotterrando millenni di ingiustizie storiche. Il secondo, anch’esso
condivisibile ma, sfortunatamente, discretamente irreale. Il Papa fa una
semplice considerazione: se convertissimo le spese degli armamenti in spese al
fine di combattere la fame del mondo, avremmo risolto la quasi totalità delle
conflittualità attuali.
Il terzo punto che mi trova concorde e
solidale, sono le parole spese al fine di stornare l’attenzione al primato
dell’economia a favore del primato della politica. Se l’economia governa il
mondo, non potremo far altro che continuare ad accentuare le difficoltà e le
rotture attuali. Come non biasimare quelle forze che dicevano “con la cultura
non si mangia”, e che ora si trovano a chiedere aiuto incondizionato a
ricercatori ed altri poco propensi al guadagno immediato per risolvere i
problemi pandemici. Ci sarebbe molto anche da dire sui populismi, ma le parole
del Papa sono molto più efficaci di quanto ne possa traslare qui io.
Per cui passo alle ultime due postille. Una,
doverosa, riguarda il titolo. Quando San Francesco d’Assisi, nella sesta
Ammonizione esorta “Fratelli tutti, guardiamo all’opera del buon pastore…”, è
con ovvio moto di traslazione che si rivolge veramente a tutti, uomini e donne.
Solo un cattivo uso del “politicamente corretto” piò imputare a San Francesco
ed a Papa Francesco di discriminare le donne. Rimando qui, molto laicamente, a
quanto ha detto in proposito Umberto Eco, da me recentemente commentato.
Il secondo approfondimento è la chiave di
tutta l’Enciclica e della conseguente analisi del Papa. Riguarda la parabola
del Buon Samaritano, che tutti conosciamo ad orecchio, ma che dovremmo studiare
più a fondo.
Prima scena: un uomo viene assalito dai
briganti e lasciato morente sul ciglio della strada. Non sapremo mai chi sono i
briganti, perché sono i cattivi che fanno del male e non vengono mai puniti.
Seguiamo invece il ferito.
Seconda e terza scena: prima un sacerdote e
poi un levita passano per la strada e vanno oltre. Gli strali occulti di Gesù
sono a questo punto ben presenti: il ferito viene ignorato da un sacerdote, che
dovrebbe applicare la legge del Signore ed assistere tutti. E viene ignorato da
un levita. I leviti non erano sacerdoti, ma persone legate alla religione ed
alle sue forme. Discendenti di Levi (terzo figlio del patriarca Giacobbe),
unica tra le tribù d’Israele a non ottenere una terra in Israele, perché la
loro eredità, la loro terra, era servire Dio. Quindi tutti quelli che
contornano il Signore passano oltre.
Quarta scena: passa un samaritano che cura il
ferito. I samaritani erano considerati “pagani” dai Giudei (cioè dai
discendenti delle tribù del “Regno di Giuda”) perché (in parte o in
moltitudine) erano rimasti pagani, lontani dalla Legge. Tanto che Gesù esorta
gli Apostoli a non predicare in Samaria. Ma la scena ci dice che è meglio un
ipotetico “eretico” che si comporta secondo i dettami della Legge (anche se
morale) piuttosto che dei religiosi che la ignorano.
Ed in generale, noi qui ci fermiamo,
analizzando, con l’apostolo Luca, chi sia il “nostro prossimo”. Ma c’è una
quinta scena: il samaritano porta il ferito in un ricovero, e lascia denari al
responsabile affinché curi il ferito dopo la sua partenza. Che non solo il
fratello samaritano si occupa del qui e ora, ma pone le basi di una
prosecuzione dell’azione d’amore e fratellanza. Così come si dovrebbe fare
verso il nostro prossimo, il vicino, l’amico, il migrante. E da qui tutta la
concatenazione di discorso che viene trattata nell’Enciclica.
Mi scuso della lunghezza, in particolare di
quest’ultima parte, ma è un breve passo (Luca 10, 25-37), che mi ha fatto a
lungo riflettere.
“L’indifferenza è complice delle
ingiustizie.” (11)
“Com’è importante sognare insieme! … Da soli
si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si
costruiscono insieme.” (34)
“Se una persona … vi dice di ignorare la
storia … è un modo facile … per farci fare solo quello che lui vi dice.” (38)
“Il danno causato alla natura alla fine
chiede il conto dei nostri soprusi.” (55)
“Demolire l’autostima di qualcuno è un modo
facile di dominarlo.” (67)
“I nostri sforzi nei confronti delle persone
migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere,
proteggere, promuovere e integrare.” (128)
“[Questo è il] significato positivo del
diritto di proprietà: custodisco e coltivo qualcosa che possiedo, in modo che
possa essere un contributo al bene di tuti.” (139)
“La vita è l’arte dell’incontro, anche se
tanti scontri ci sono nella vita.” [da “Samba della benedizione” di Vinicio de
Moraes] (197)
“[Si può perdonare…] quello che mai si deve
proporre è il dimenticare.” (222)
Ultime
letture dedicate al 2020, ed in un anno di coprifuoco, non si poteva che chiudere
in forte rialzo con 23 letture (merito o colpa anche degli allegati di
Repubblica). Tre letture su tutte: papa Francesco (di cui avete letto sopra),
il ricordo di Auschwitz di Elie Wiesel ed un nuovo autore scandinavo, Erlend Loe.
Due invece sono precipitati in basso: l’ultimo noir di Repubblica della coppia
Fantini&Pariani, nonché la seconda poco utile commedia nera di Francesco
Recami.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Erlend
Loe |
Naif.Super |
Corriere Boreali |
8,90 |
4 |
2 |
Francesco
Recami |
Sei
storie della casa di ringhiera |
Sellerio |
14 |
2 |
3 |
Marcello
Fois |
Ti
ho fatto male |
Repubblica |
s.p. |
1,5 |
4 |
Elie
Wiesel |
La
notte |
Giuntina |
12 |
4 |
5 |
Giampaolo
Simi |
Il
comandante Oberdan |
Repubblica |
s.p. |
3 |
6 |
Francesco
Recami |
Ottobre
in giallo a Milano |
Repubblica |
s.p. |
2 |
7 |
Nicola
Fantini & Laura Pariani |
Il rasoio
di Asimov |
Repubblica |
s.p. |
1 |
8 |
Francesco |
Fratelli
tutti |
San
Paolo |
2,90 |
4 |
9 |
Javier
Cercas |
Terra
alta |
Guanda |
s.p. |
3 |
10 |
Francesco
Recami |
Il
diario segreto del cuore |
Sellerio |
14 |
2 |
11 |
Francesco Recami |
La verità su Amedeo Consonni |
Sellerio |
15 |
2 |
12 |
Bernard
Malamud |
Il
commesso |
Repubblica Duemila |
9,90 |
2,5 |
13 |
Stefano Di Marino |
L’amante di pietra |
Mondadori |
5,90 |
2 |
14 |
Francesco
Recami |
La
clinica Riposo & Pace – Commedia nera n. 2 |
Sellerio |
14 |
1 |
15 |
Antonio
Manzini |
L’accattone |
Repubblica |
s.p. |
2 |
16 |
Morten
A. Strøksnes |
Il
libro del mare |
Corriere Boreali |
8,90 |
3,5 |
17 |
B.
A. Paris |
La
coppia perfetta |
Corriere Thriller |
7,90 |
2 |
18 |
Monica
Kristensen |
La
leggenda del sesto uomo |
Corriere Boreali |
8,90 |
3,5 |
19 |
Marco
Malvaldi |
Il
Capodanno del cinghiale |
Repubblica |
s.p. |
2,5 |
20 |
Francesco
Recami |
Capodanno
nella casa di ringhiera |
Repubblica |
s.p. |
2 |
21 |
Carlo Parri |
Firmato Cardosa |
Mondadori |
5,90 |
2 |
22 |
Gianni Simoni |
Omicidio senza colpa |
TEA |
10 |
2 |
23 |
Zerocalcare |
A
Babbo morto |
Bao |
s.p. |
2 |
Prima domenica di marzo, con solo un mese
alla Pasqua, e tanti, troppi ritardi nei vaccini. Incrociamo le dita, e
tocchiamo legno, come dicono gli inglesi. E noi, come più volte ribadito,
continuiamo a mettere mattoncini di futuro, che c’è sempre speranza (non il
ministro).
Per cui ci leghiamo anche ad una citazione da
“Arrivederci Piccole Donne” di Marcela Serrano, che
ci ricorda: “l’unico segno che ti faccia capire che stai superando il passato è
quando smette di fare male”.
Appendice - Divisibilità per 7
Un
numero è divisibile per 7 se la differenza tra il numero ottenuto escludendo la
cifra delle unità ed il doppio della cifra delle unità è 0, 7 o un multiplo di
7.
Ad
esempio, il numero 493827 può essere sottoposto alla seguente catena di
scomposizioni:
493829
à
49382 – (2x9) = 49364 à
4936 – (2x4) = 4928 à
492 – (2x8) = 476 à
47 – (2x6) = 35 (che è facilmente intuibile essere 7 x 5)
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