Andrea Camilleri “Capodanno” Repubblica “Natale
in giallo” 1 s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 08/12/2020 – I: 16/01/2021 – T:
16/01/2021] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 46; anno:
1998-1999]
Primo
volumetto dedicato al Natale, spinto in maniera fortissima dal marketing
editoriale di GEDI, la società che pubblica “La Repubblica”, eccoci alla
lettura anche se sono passati sia Natale che Capodanno.
Sì,
perché anche questo (ed è il quarto di cui scrivo) pur nella collana del
Natale, parla di Capodanno. Non solo, ma visto che ci si trovano, i curatori,
poiché il racconto non arriva alle canoniche 45-47 pagine, pensano bene di
unirne due, entrambi incentrati sull’ultimo giorno dell’anno.
Ora
tutti sanno la benevolenza profonda che ho verso il sempre compianto “marinise”
(ricordo ai meno attenti che Porto Empedocle, in siciliano, si chiama “’A
Marina”), tuttavia nei racconti non sempre si esprime all’altezza di prove più
lunghe. Talvolta, solo l’unione della lettura di diversi racconti consente di
far tornare Camilleri e Montalbano a livelli quanto meno accettabili.
Cosa
che qui non riesce. I racconti sono brevi, slegati, un po’ di atmosfera, ma
senza le solite caratteristiche forti dei romanzi del nostro.
Il
primo, “Capodanno” (5-29), è tratto dalla raccolta “Un mese con
Montalbano” (1998), raccolta di 30 brevi racconti con il nostro commissario,
che appunto nella massa di trenta ambienti ha un suo perché. Qui ne rimane uno,
con il nostro che è costretto a letto la sera di Capodanno per una febbre alta
(curata con il brodino di Adelina). Ma quando apprende da Catarella che c’è “un
morto di passaggio” pur di non lasciare le indagini al suo vice Mimì si
imbottisce di whiskey e si presenta sul luogo del delitto. Il morto non era di
passaggio, ovvio, ma solo dormiva nell’albergo di proprietà della moglie.
Mentre Mimì ricostruisce la storia di vita di Rosina Liotta, venendo anche a
scoprire che il morto è Saverio, il marito di Rosina, che dopo tre anni di
lavoro a Mosca, aveva appena deciso di tornare a Vigata, Salvo unisce i puntini
del rompicapo, e con grande scorno di Augello, risolve il caso e si rimette a
letto.
Il
secondo, “Gli arancini di Montalbano” (31-47), è tratto dalla
raccolta di cui prende il nome (1999). Anche qui siamo a Capodanno, e dopo la
solita litigata con Livia, Salvo decide di rimanere a Vigata per festeggiare la
fine dell’anno con i mitici arancini di Adelina (se ne volete la ricetta,
potete sempre tornare all’altro volume che ho da poco tramato “La caponatina di
Adelina”). Ma alla cena saranno presenti i figli di Adelina, ed in particolare
Pasquale, sospettato si rapina. Certo che il nostro non può cenare con un
pregiudicato. Tuttavia, Salvo non si dà per vinto, e tra colloqui un po’
forzati, qualche telefonata, ed un po’ di intuito, riesce sia a scagionare
Pasquale, sia, e questo era il suo scopo principe, a salvare la cena e gli
arancini.
Come avete capito, sono storie ben datate,
non dico agli albori di Vigata, ma quasi: ricordo, infatti, che il primo
romanzo di Camilleri con Montalbano è di soli cinque anni prima. Quindi, certo
ci sono quelli che diventeranno caratteristi e protagonisti, con ancora qualche
“rozzezza”. Salvo e Livia litigano, e questo sarà un ventennale costante.
Catarella inventa circonlocuzioni espressive improbabili. Ma Fazio non è ancora
il “re dei pizzini”, e Augello è ancora un po’ in competizione con Salvo, prima
di diventare una solida spalla.
Ma se fosse solo per i racconti, qualcosa in
più avrebbero meritato. Quello che non ho gradito è la scelta editoriale, di
presentare il testo come eponimo per un “Natale in giallo”, e magari
ipotizzando qualche racconto più recente. Potevano forse con più acume
presentate “Una cena speciale” da “Capodanno in giallo” del 2012, che sarebbe
stato di certo meno datato.
Comincio a pensare seriamente che tutti i
cambi editoriali del “gruppo Repubblica” intacchino anche solide tradizioni
editoriali di contorno.
Maurizio de Giovanni “Un giorno di
Settembre a Natale” Repubblica “Natale in giallo” 5 s.p. (omaggio di
Repubblica)
[A: 20/12/2020 – I: 17/01/2021 – T:
17/01/2021] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 47; anno:
2013]
Mi
sono discretamente stufato di commentare e chiosare questa serie di racconti di
cui Repubblica negli ultimi tre mesi del 2020 ha fatto omaggio i suoi lettori.
Non torno sulla prima serie, ma vengo a questa seconda, di sole otto uscite, di
cui questa è la quinta in ordine di lettura. Anticipata rispetto ai programmi,
per tenere il passo della contemporanea uscita della fiction televisiva. Non
solo, ma facendo anche un primo cenno d’intesa con i curatori, che questa,
finalmente, si colloca nel Natale e non nel Capodanno.
Per
me è la prima lettura di questa ulteriore sortita di de Giovanni nel variegato
mondo dei personaggi probabilmente seriali. Non torno a sottolineare la
mancanza personale del primo commissario Ricciardi. Né alcune buone prove dei
bastardi di Pizzofalcone. Ritengo che “I guardiani” siano stati una sortita
senza speranza, mentre le storie di Sara continuano ad uscire, anche se non
sono nelle mie corde.
Qui
abbiamo un personaggio più leggero, e, come vorrebbe l’autore in sue uscite
varie, attuale e non solo poliziesco. Soprattutto, un personaggio molto
napoletano, inserito nella città e nelle sue contraddizioni. Gelsomina “Mina”
Settembre ha 42 anni, e fa l’assistente sociale in un consultorio nei Quartieri
Spagnoli. Da due anni ha lasciato il marito Claudio, triste magistrato, dopo
una sua, di Mina, ininfluente storia di sesso, a valle della quale si accorge
della scialba prospettiva di continuare la storia con lui. Si è trasferita a
casa della madre, dispotica e di una indisponenza macchiettistica molto
napoletana. Il tranquillo andazzo del consultorio è sconvolto dall’arrivo di un
nuovo ginecologo, Domenico “Mimmo” Gambardella, molisano, piacente e
probabilmente coevo.
La
storia è velocemente tratteggiata, e pur nella brevità del testo, risulta ben
orchestrata. Una sua ex-protetta, Nanninella, si fa viva dopo una decina
d’anni. Ora fa la escort, ha un figlio di due anni che le è stato rapito per
costringerla a commettere gesti malavitosi ad un suo procacciato cliente da
parte dei suoi protettori, la potente famiglia Longo.
Mina,
non trovando sbocchi istituzionali con il marito magistrato, decide di agire in
prima persona. Con l’aiuto di Mimmo, sequestra un ambulanza, trova il
nascondiglio del piccolo, lo rapisce ai rapitori, e si precipita al molo
Beverello per fermare Nanninella. Dove però trova che Claudio ha già operato al
meglio, fermando la triste avventura prima di un irreparabile finale.
Il
tutto tratteggiato con leggerezza, e con l’ironia che finalmente esce bene
dalle corde dell’autore.
Vorrei solo finire con un piccolo memento
rispetto a quanto della storia è stato riportato nella fiction televisiva. Mina
è stata ringiovanita di cinque anni, Mimmo non è più molisano, ma anche lui
napoletano, ma soprattutto si capovolge la storia con il marito. È Claudio che
la tradisce, motivo per cui lei si allontana (giustamente, anche se altrettanto
giustamente si era allontanata sulle pagine scritte). La storia inoltre è di
solo tre mesi prima e non due anni. Per contorno, poi, il figlio rapito ha
quattro e non due anni, e Nanninella non è una semplice escort, ma la donna del
boss.
Non faccio commenti, che probabilmente le
scelte sono funzionali alla resa televisiva.
Vedremo meglio in altre letture, e
probabilmente in altre uscite sul piccolo schermo.
Alicia Giménez-Bartlett “Un Natale di
Petra” Repubblica “Natale in giallo” 3 s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 12/12/2020 – I: 24/01/2021 – T:
24/01/2021] - &
[tit. or.: Parecido razonable; ling.
or.: spagnolo; pagine: 47; anno 2014]
[tit. vero: Petra en Nadividad; ling.
or.: spagnolo; pagine: 47; anno 2011]
Sono discretamente (e credo giustamente)
imbufalito contro le scemenze editoriali che Repubblica ed il suo staff è
riuscita ad accumulare in un solo racconto lungo. Tra l’altro il primo,
dedicato al Natale, che si svolge proprio il giorno di Natale, anzi più
esattamente, nella Notte Santa.
Allora, il risvolto editoriale che dovrebbe
dare indicazioni su come, dove e quando è stato pubblicato il libro, o il
romanzo o il racconto, riporta che è un testo dal titolo originale “Parecido
razonable”, pubblicato in Italia nella raccolta “Vacanze in giallo” del 2014.
Come dicono quelli che sanno parlar bene: ne
avessero azzeccata una!
Il testo originale ha invece il titolo “Petra
en Nadividad”, è del 2011 ed è stato pubblicato in Italia nella raccolta “Sei
casi per Petra Delicado”, sempre di Sellerio come il precedente. Questo, unito
al fatto che negli ultimi tre mesi le iniziative editoriali di repubblica,
sotto l’egida del marchio “Gedi” hanno fatto acqua da tutte le parti ci pone
seriamente il problema di capire cosa stia succedendo in quelle redazioni.
Un ulteriore punto di dolenza è la
post-fazione non firmata, quindi redazionale ed imputabile sempre a Gedi. Che,
se potesse avere un senso, andrebbe messe ante e non post. In effetti, parla di
Petra e del suo vice Fermín, ne spiega (anche se un po’ in modo
manicheo) nascita e sviluppo, ne adombra i caratteri (ma chi l’ha scritto forse
ha pensato più alla Petra di Paola Cortellesi ed al suo aiuto Antonio
Pennacchi) con quel tanto di precisa imprecisione che lascia il sapore del vero
a chi poco ne conosce. Finendo, infine, con una chiosa su dove siano e cosa
facciano i due la sera di Natale, che letto a pagina 47 ha veramente un senso
nullo.
Peccato, che il testo, che avevo letto
quattro anni fa, pur nella sua stringatezza e vaghezza, aveva una sua valenza.
Non a caso, dissi allora che dei sei racconti della raccolta, era senz’altro il
migliore. Poiché odio ripetermi, e spero che dopo alcuni anni i miei commenti
siano ancora sensati, lo riporto integralmente:
“L’unico che sale leggermente sopra la
media è il primo [sto parlando dei sei testi del volume, ndr], “Un Natale di
Petra” dove i nostri due “eroi” [Petra e Fermín, ndr] sono impegnati nella
disamina di due testimoni di un omicidio avvenuto in un ospedale la Vigilia di
Natale. C’è il morto mafioso russo. C’è un tizio che doveva sollevare il morale
dei bimbi malati di cancro vestito da Babbo Natale. C’è la sua ragazza che
aveva organizzato la rappresentazione. C’è la parrocchia da loro frequentata e
con loro da molti immigrati, dall’est dall’ovest e dal sud (dal nord no, che
vedo difficile un giovane norvegese immigrare senza mezzi verso la Spagna). Con
la sua solita abilità di porre domande giuste in modo che l’interrogato sia,
prima o poi, stretto all’angolo, Petra risolve anche questo caso. Lasciando
molto amaro in bocca, che nessuno è quello che sembra (a parte il morto,
ovvio). Purtroppo, quello che risalta … è poco l’aspetto noir che aveva
colorato, pur con le sue sfumature femminili e femministe, le prime avventure.
Risalta soltanto un certo aspetto umano. I rapporti tra Petra e Fermín, sempre
amici e collaborativi, soprattutto davanti ad una pinta di birra [o parlando
della cena di Natale, ndr]. L’aspetto casalingo di Petra, verso il terzo
marito, ed i suoi tre figli (soprattutto verso la più grande, Marina, anche in
quanto femmina). In parte i rapporti di lavoro, con il sempre teso modo di
rapportarsi con il suo capo, il commissario Coronas. Ma non c’è respiro. Appena
si prende un po’ di spazio, il racconto si tronca e finisce.”
Alla
fine, ho dato un voto bassissimo non per il romanzo in sé, ma per tutto il
contorno che lo avviluppa.
Esmahan Aykol “Rubacuori a Capodanno”
Repubblica “Natale in giallo” 6 s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 20/12/2020 – I: 01/02/2021 – T:
01/02/2021] &--
[tit. or.: Yılbaşı Çapkını; ling. or.: turco; pagine: 46; anno 2012]
Una
delle più insulse scelte di questa sciagurata mini-collana di Repubblica. Una
collana che ha sbagliato (quasi) tutte le uscite di quest’ultimo dicembre in
quarantena. Un racconto sbagliato per collana, per confezione e, purtroppo, per
scrittura. Questo porta il testo ad uno dei gradimenti più bassi degli ultimi
tempi.
Andiamo
allora con ordine. La collana parla di gialli natalizi. A prescindere che quasi
tutti, ed anche questo, sono ambientati a Capodanno, si sarebbe dovuto
specificare meglio intento e scopi della collana stessa. Che, in fondo, come ho
detto anche altrove, serve solo a far vendere qualche copia in più del giornale
cartaceo in un momento dove l’editoria giornalistica sta in sofferenza.
C’è
inoltre da ricordare che ben quattro degli otto testi omaggiati da Repubblica
vengono dalla raccolta di Sellerio intitolata “Capodanno in giallo”. Capito
cara Repubblica, “Capodanno” non “Natale”.
Ma a
parte questo, si dovrebbe parlare di gialli. O di tensione. Qui, l’unico giallo
è scoprire se Lale verrà a passare il Capodanno con la sua amica Kati. Amica
che è l’eroina dei diversi libri che la simpatica Aykol ha scritto nel corso
degli anni (in particolare dal 2001 al 2014, per poi dedicarsi di più al
giornalismo ed alla critica sociale). Beh, abbastanza poco per creare suspense.
Poi
c’è la confezione, le scelte editoriali. Come si può pensare di scrivere nella
quarta “un’indagine di Kati Hirschel”? Tutto quello che fa Kati è aspettare che
Lale si faccia viva. Poi, non facendosi viva, di cercare di capire dov’è andata
a finire. Intanto avanza il Capodanno istanbuliota, con il traffico, la gente
che cerca allegria, financo la neve. E ben ricordo il Capodanno del 2007,
quando con Rosa e Emilio eravamo proprio lì, ad Istanbul, sotto la neve. Un
Capodanno pazzo, strano, bello, che ha fatto nascere tante piccole cose, una ad
una maturate, con tanta pazienza.
Ma
torniamo alla confezione. Quindi, un’indagine non c’è. Poi, l’editore pensa
bene di stampare in caratteri più grandi, che altrimenti neanche le canoniche
quarantasei pagine raggiungeva il testo.
Infine,
la scrittura. Si accenna, si dice qualcosa, tornano, insieme a Kati, i suoi
amici: Fofo l’omosessuale e Pelin l’amica aiutante in libreria. E la misteriosa
Lale, con il marito a Cipro dalla madre malata. I tre aspettano Lale, poi
l’aspetta solo Kati che voleva fare una serata pazza con lei nella serata dell’ultimo
dell’anno. Ma Lale scompare, Kati aspetta un po’ guardando la CNN turca che
annuncia neve, un po’ chiamando in giro, un po’ ricevendo notizie che forse la
sua amica ha deciso di passare la serata in altro modo.
Finisce
quindi che Fofo, Pelin e Kati faranno il Capodanno in un’altra libreria, da
un’altra amica, in una situazione diversa, e, forse, inaspettatamente dolorosa.
E il
giallo, direte voi?
Insomma,
una delle più inutili letture degli ultimi quindici anni. E fortuna che erano
meno di cinquanta pagine a caratteri grossi.
Spero
che Esmahan torni ancora alla sua Kati, ma dopo sette anni mi sembra quanto
meno arduo.
Un
appunto finale. Pare che Çapkını stia per svolazzante, imbroglio o qualcosa
di simile, mentre “Rubacuori” vada tradotto con “kalp kırıcı”. Chi sa di
turco mi faccia sapere.
Santo Piazzese “Come fu che cambiai marca
di whisky” Repubblica “Natale in giallo” 8 s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 20/12/2020 – I: 02/02/2021 – T:
02/02/2021] &&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 46; anno:
2012]
E per
fortuna siamo all’ultimo di questi poco invitanti racconti su “I gialli di
Natale” o “Natale in giallo”. Risale un po’ dalla lettura turca, ma non si
svolta. Rimane una serie gestita male, con poco da salvare. Qui, inoltre, i
curatori hanno pensato bene, come nelle opere di autori poco noti, di chiosare
il testo con due inutili pagine rievocative.
Perché,
ed è vero, Piazzese non è certo tra gli scrittori gialli italiani in pole
position, avendo scritto in tutto quattro libri. E soprattutto, avendo scritto
i migliori tra il 1996 ed il 2002 (come
mi ricordava la mia amica Otto, che me li fece conoscere). Poi decenni di
silenzio e riposo.
Quindi
è ovvio che qualcuno pensi che sia meglio rinfrescare la mente dello sparuto
lettore. Anche perché, il testo in sé, è denso di riferimenti all’universo
letterario di Piazzese che altrimenti poco se ne capirebbe. D’altronde, ci si
domanda anche il motivo per cui si dovrebbe capire di più da una storia che,
inserita in una collana di gialli natalizi, ha una collocazione temporale
corretta, ma di giallo forse ha solo l’etichetta di qualche superalcolico.
I
protagonisti della vicenda sono i due emblemi principi del mondo di Piazzese.
Da un lato, il suo alter ego, Lorenzo La Marca, biologo come Santo, e coinvolto
in alcuni casi polizieschi suo malgrado. In uno di questi, indaga sulla strana
vita di Monsieur Laurent, il padre della sua collega Michelle, che fa
l’anatomopatologa. Un’indagine talmente serrata che alla fine Lorenzo e Michelle
non mancheranno di avere una storia insieme, e quindi, qui, di convolare in
giusta convivenza. Sancita non da uno scambio di anelli, ma da un bel più
impegnativo scambio di chiavi di casa.
Dall’altro,
il commissario Vincenzo Spotorno, un poliziotto un po’ sulle sue, non
particolarmente espansivo, che si spalleggia con La Marca la scena da
protagonista dei libri di Piazzese. Anche con una reciproca stima, se vogliamo,
che i due non entrano in competizione ma si spalleggiano e, in fondo, si
stimano.
Un
altro e notevole punto di scarsa attenzione editoriale lo troviamo nella
quarta, dove i curatori pensano bene di apporre il sigillo: “un’indagine di
Lorenzo La Marca”. Ora, fatto salvo che non ci sono indagini, se anche si
potesse ipotizzare la presenza di un germe di ricerca poliziesca, la potremmo
trovare nel racconto di Spotorno. Quindi, poteva avere un senso la scritta
“un’indagine di Vincenzo Spotorno”. Ma La Marca sembra più noto, quindi, via
con le mistificazioni.
Perché,
infine, non certo di indagini si tratta. Ma di una visita prenatalizia di
Lorenzo e Michelle alla famiglia Spotorno. Soprattutto, del pomeriggio
inoltrato, dove Lorenzo e Vincenzo si ritirano nello studio del commissario. E
lì, sorseggiano un Lagavulin, il commissario racconta una storia. Una storia di
amicizia e malavita varia, che si svolge a Marsiglia, dove Spotorno incontra un
poliziotto, lo aiuta e scolta le sue vicende. Poi succedono altre cose, che
magari vorrete leggere. Quello che risulta chiaro è che Piazzese sta facendo un
sentito omaggio a Jean-Claude Izzo ed il suo personaggio principe, Fabio
Montale. Per non togliervi qualche barlume di curiosità, non dico altro.
Torno
invece all’assunto principale. Che non è una storia, che ripercorre storie di
altri, che non è un’indagine, né tanto meno un’indagine di Lorenzo La Marca.
Meglio
lasciar perdere, se non si è capaci di portare avanti un discorso coerente. Ed
in questo, i curatori della serie si sono dimostrati quanto più lontani da
conoscitori del giallo, italiano e no.
Siamo
alla terza settimana, ed in attesa che torni qualche “libro felice”, vi
sommergo di citazioni e ricordi.
Per bonus track, valle di un fine settimana passato
nel caldo fucecchiese a trovare storici amici toscani, vi riporto una citazione
di citazione, laddove Piergiorgio Odifreddi nel bello e da leggere libro “Le
menzogne di Ulisse”, riporta le parole di Eubulide: “In questo momento, sto
mentendo”. Una frase che apre un mondo di discussioni.
Quindi, detto delle fatiche settimanali, diciamo anche che tra due ore andrò a fare la seconda dose, sperando a valle che insieme ai pass digitali, si riesca ad aprire la frontiera del mondo. Diciamo infine che lancio anche un pensiero a Francesco per le prossime quattro settimane, e lui sa il perché. A tutti gli altri, porgo umilmente un abbraccio.
Citazioni dagli appunti di Giovanni
Citazioni di giugno
Eccoci
ancora con le mie bolle di memoria, dove ci mettiamo a guardare appunti e
pensieri riferite al periodo giugno – settembre 2007.
Era
un periodo in cui stavo decidendo del mio futuro lavorativo, ed una mia cara
amica mi spalancò le porte di un autore che forse non è sempre a quelle
altezze. Ma Maxence Fermine soprattutto ne “L’apicoltore” mi diede molto da
riflettere. E subito ne trassi questa frase: “ebbe l’intuizione che si
ha in punto di morte: la vita è appesa a un filo. Un filo d’oro tessuto dai
giorni, in cui si capisce che il bisogno di placare la propria sete sarà sempre
più forte del piacere di bere.” Maxence Fermine scrisse una trilogia su
quella falsariga, una trilogia d’amore. Ma il racconto giapponese non mi diede
nulla da riflettere. Non come “Il violino nero” dove sottolineò una
sensazione che avevo sempre avuto: “era un grande musicista: sapeva
ascoltare e sapeva sentire”.
Sempre in quel di giugno, leggendo dell’ottima regista
i suoi ricordi di famiglia, da Cristina Comencini
nel suo “Passione di famiglia” ricavavo due frasi: “Qualcun
altro aveva deciso al suo posto. Era stata un’invitata anche alla sua vita” (ricordando
a tutti e tutte che, forse, c’è bisogno di presenza e positività nella vita), e
“Per amore si deve mentire agli altri. L’unica cosa che conta è non mentire a
sé stessi”. Un principio, questo, che io ho sempre interpretato in modo molto
esteso, dato che ho una difficoltà patologica a mentire.
Pochi giorni dopo, terminavo il libro che sempre mi
ricorda la mia amica Nico, che mi ha ogni volta confessato che, dopo i suoi russi,
è il suo libro-cult. E da “Possessione” di Antonia S. Byatt cito:
“Spesso è così nella vita: diventiamo coerenti e metodici troppo tardi, su basi
insufficienti e forse nella direzione sbagliata” (una frase che dopo quindici
anni è ancora mia). Oppure: “Quando ti vedo, mi sembra che solo tu sia viva e
tutto il resto scompare”, una frase che ora dedico al mio amore.
Nel mese di luglio, passai di nuovo del tempo sui miei
amori psicanalitici post giovanili e pre-anziani. Antonio Alberto Semi ne
“Il narcisismo” mi ricorda i guasti di non avere un ragionato
atteggiamento verso i figli: “La famiglia può incentivare il fatto per cui un
suo membro si senta inesistente come persona”. Mentre Olivier de Ladoucette in
“Restar giovani è questione di testa” (libro che già dal titolo è tutta una
citazione), riporta un’affermazione fondamentale: “Mentre ai bambini si insegna
a crescere, non viene fatto nulla per insegnare agli adulti ad invecchiare”.
Solo un piccolo passaggio di una scrittrice di cui ho
letto poi altro, anche se non sempre bene, è stato il mese di agosto. Perché Zadie Smith, ricordandomi i miei tanti
viaggi in India, in “Denti bianchi” rilascia una affermazione
fondamentale nei miei rapporti con il mio amore: “Sono le lettere, più ancora
dei baci, ad unire le anime”. Anche se, lo dico qui così nessuno ne legge,
ancora non lo avevo conosciuto. Ci vorranno anni, ma saranno ben speso.
Invece settembre, con l’avvicinarsi del pendolo
pensionistico, fu un mese di saggi e pensieri di viaggi. Si cominciò con le
meta citazioni tratte da “Di nessuna Chiesa. La libertà del laico” di Giulio Giorello. Che riporta Pierce:
“Tre cose non possiamo mai sperare di raggiungere: la certezza assoluta,
l’esattezza assoluta, l’universalità assoluta”. Riporta Einaudi: “è preferibile
l’equilibrio attraverso discussioni e lotte a quello imposto da forze
esteriori”. Nonché, pensando a mio cugino Cesare, Gilgamesh “Se tu aiuti me, io
aiuto te. Chi può prevalere su di noi?”.
Si continuò con “I Vangeli gnostici” a cura di Luigi Moraldi. Vengono citazioni
dai vari vangeli citati, e dai commenti del curatore: “nessuno può dare senza
l’amore… giacché se uno non dà per amore non trae profitto da ciò che dà”, Una
frase fondamentale, che ripeto a tutti, giovani e non, “l’ignoranza è la madre
di ogni male”. Ed una mini-parabola che mi spinge a camminare ancora, che sono
sempre arrivato da qualche altra parte: “l’asino girando intorno alla mola
percorse 100 miglia; quando fu sciolto si trovò ancora nello stesso posto.
Alcuni camminano molto, ma non arrivano mai da nessuna parte”.
A quest’ultima frase si collegò la lettura di un
allievo di Don Milani, Francesco Gesualdi, che nel suo “Sobrietà”, oltre
a sollecitarmi proprio alla sobrietà come etica di vita, ricordava: “dai
ricordi di un capo indiano: quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo
fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può
mangiare il denaro”. Come riportato nel titolo, poi “è possibile vivere bene
più sobriamente? Si con 4 rivoluzioni: lo stile di vita, la produzione, il
lavoro, l’economia pubblica”. Forse in un’etica molto comunista, ma
cattolicamente condivisa, diceva: “la funzione del lavoro non è guadagnare un
salario, ma soddisfare i nostri bisogni”. Infine, la sua, e spero anche la
nostra, sobrietà, si può sintetizzar con “cinque parole: ridurre, riutilizzare,
riparare, riciclare, rallentare”.
Rimanendo in tema di viaggi, leggevo un autore che ho
sempre amato Ryszard Kapuscinski. Nel bellissimo “Ebano” riportava
delle sensazioni che ho provato anch’io in viaggio: “per la maggior
parte delle persone che vi abitano il mondo finisce sulla soglia di casa” oppure
“il nostro mondo … non è che un pianeta di migliaia di province che non si
incontrano mai”. nonché una frase che mi ha riportato immediatamente in Libia,
con Emilio e Rosa: “l’acqua è tutto. Il deserto ti insegna una verità: esiste
qualcosa che si può desiderare più di una donna: l’acqua”.
Finivo il mese con due letture di autori sconosciuti,
sia allora che ora. Da Roberto Varese traggo
dal suo “La piccola dea” una citazione personale e molto pertinente al
tempo della lettura: “hai voluto sapere, perciò non lamentarti… nessuno ti può
aiutare. Sei solo. Auguri”. Da Alessandro Scotti estrapolo da “Tempo”,
quella che al tempo era solo una speranza ed ora una certezza: “non credo
di conoscerti. Tu sei l’immagine sulla mia retina. Sei il calore che provo. Sei
la pelle che mi sfiora. Sei un mio colore e una mia forma. Sei parte della mia
memoria e mio sogno. Sei mia. Sei la mia tu. Non conosco una te diversa. Tu sei
quello che sei per me”.
Con tutto ciò, con tutti i bagagli di ricordi, con
tutte le speranze che si concretizzeranno da lì a pochi mesi, anche da qui vi
saluto con tutto l’affetto del mondo.
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